lunedì 27 giugno 2011

IT CAME FROM OUTER SPACE #3

NOMEANSNO - Why Do They Call Me Mr. Happy?

Informazioni
Gruppo: Nomeansno
Titolo: Why Do They Call Me Mr. Happy?
Anno: 1993
Etichetta: Alternative Tentacle Records
Autore: ticino1

NON LO VOLEVO 'STO DISCO! Andare o restare? Perché lo chiamano Mr. Happy? Krüger? Mani di forbice? Canada? Sì, Canada. Perché tanti misteri? Domande su domande... Nomeansno non sono sempre la risposta, ma aiutano a trovarla, qualche volta o mai. Ritmi possenti, martellanti... dolcezza! I need you! Chi? Non so.









SCANDAL - Temptation Box

Informazioni
Gruppo: Scandal
Titolo: Temptation Box
Anno: 2010
Etichetta: Sony
Autore: Insanity

Il Pop Rock moderno è sempliciotto e banale? E chi lo dice? In oriente sembra che non la pensino così, queste quattro ragazze sono riuscite a comporre un album decisamente piacevole e per nulla scontato. Basterebbero le sole linee di basso di questo disco per rendersene conto, ma anche gli intrecci delle varie voci e una varietà generale che rende il disco molto gradevole.








BLACKMORE'S NIGHT - Ghost Of A Rose

Informazioni
Gruppo: Blackmore's Night
Titolo: Ghost Of A Rose
Anno: 2003
Etichetta: SPV
Autore: Dope Fiend

Ritchie Blackmore non necessita di presentazioni e, per luce riflessa, non ne ha bisogno nemmeno la sua creatura, i Blackmore's Night. Ma cos'è "Ghost Of A Rose"? Semplice, è un album intimo, dolce, a tratti scanzonato, molto più spesso delicatissimo. La voce di Candice scandaglia l'animo di chi ha voglia di fluttuare in una soave malinconia: la titletrack, "Where Are We Going From Here" e le due parti di "Queen For A Day" sono alcuni dei momenti più belli di un sogno a occhi aperti, un sogno carezzevole e leggiadro, un sogno indimenticabile.






TODAY IS THE DAY - Willpower

Informazioni
Gruppo: Today Is The Day
Titolo: Willpower
Anno: 1994
Etichetta: Amphetamine Reptile
Autore: Advent

Una band che nessuno è riuscito a definire sotto qualche genere. Il genio di Steve Austin, dopo un primo album troppo impulsivo, ha sfornato questa perla. Matura, post-core, i rallentamenti grind strizzano l'occhio ai Pig Destroyer, il tono degli accordi è collega dei primi Converge. Che bombe i Today Is The Day! La solita voce graffiante in questo episodio assume sembianze più benevoli, ma sempre acide. "Willpower" è perfetto come primo approccio a una delle realtà sperimentali più difficili da metabolizzare.






CHET BAKER - The Touch Of Your Lips

Informazioni
Gruppo: Chet Baker
Titolo: The Touch Of Your Lips
Anno: 1979
Etichetta: SteepleChase
Autore: 7.5-M

Quanto può far innamorare questo suono così caldo, così gentile, così splendido? Non c'è conto che torni o tenga. Le sue rughe, i suoi denti rotti, il suo decadimento fisico, sembrano tutti elementi che non fanno altro che aumentare la purezza del suono di Chet Baker. L'organico di questo disco è perfetto e smussato: una chitarra, un contrabbasso, una tromba, una voce. Tutto smussato e caldo, come non mai. Gentile, Splendido. In mezzo alle rughe, ai denti rotti e al decadimento fisico della realtà, questa musica fa innamorare.






FAITH NO MORE - King For A Day... Fool For A Lifetime

Informazioni
Gruppo: Faith No More
Titolo: King For A Day... Fool For A Lifetime
Etichetta: Slash Records
Anno: 1995
Autore: Mourning

"King For A Day... Fool For A Lifetime" è un album controverso e che ha fatto impazzire i fan dei Faith No More molto più nel secondo periodo post-uscita che al momento del rilascio ufficiale. La solita potenza e versatilità sonora espresse in brani quali "Digging The Grave" e The Gentle Art Of Making Enemies", la delicatezza suadente di "Evidence" e l'eleganza dotata di carattere di "King For A Day" basterebbero a farvi venire l'acquolina alla bocca. Per tanti un lavoro che segnava la fase calante di Patton e soci, per il sottoscritto l'ennesima faccia di un diamante grezzo che brillava come pochi. Per i seguaci dei Faith un "must", per tutti gli altri amanti della genialità musicale un disco sicuramente da conoscere.




ISAAC SHEPARD - Deep Joy

Informazioni
Artista: Isaac Shepard
Titolo: Deep Joy
Anno: 2008
Etichetta: CreateSpace / Autoprodotto
Autore: Fedaykin

Secondo alcuni, il pianoforte è l'unico strumento in grado di esprimere l'intera gamma delle emozioni umane, dalla gioia alla disperazione, dalla malinconia alla rabbia, dalla paura al rilassamento. Non ho mai saputo decidere se questo corrisponda alla realtà; ciò che so è che questo ragazzo, Isaac Shepard, artista statunitense in attività dal lontano '98 e con cinque dischi all'attivo, con l'utilizzo del solo pianoforte sa regalare dei momenti straordinari, arrivando davvero a toccare l'anima di chi è disposto a fermarsi qualche minuto e ascoltarlo. "Deep Joy", il suo terzo lavoro, è forse anche quello che gli è riuscito meglio, per quanto a livello qualitativo i suoi album si equivalgano più o meno tutti: ho scelto questo in particolare perché mi ha permesso di avvicinarmi al pianista, e non posso dimenticarmi di pezzi come "Gentle" o "Leaves In The Wind". Il suo tocco ci conduce per paesaggi malinconici, ma soprattutto è una gioia primordiale, immotivata a nascondersi nella semplicità e nell'essenzialità delle sue note.



BANDA BASSOTTI - Avanzo De Cantiere

Informazioni
Gruppo: Banda Bassotti
Titolo: Avanzo De Cantiere
Anno: 1995
Etichetta: Gridalo Forte Records
Autore: M1

"Avanzo De Cantiere" è il grido più forte che i Bassotti abbiano mai tirato fuori. La rabbia contro l'ingiustizia che attanaglia il mondo, dall'Italia all'ex Unione Sovietica, passando per il Sudamerica è convogliata nei solchi di un combat rock potente che sale dritto al cuore. La titletrack, "Luna Rossa", "Potere Al Popolo" e "Mockba '993" una manciata di pezzi che trasmettono appieno la rabbia di chi "ha sempre vissuto come uno schiavo e ora dice basta". Sono passati sedici anni dall'uscita eppure questo disco, al di là degli aspetti più ideologici, risulta ancora attualissimo e degno di attenzione in un'Italia sempre più a pezzi...

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KYPCK - Ниже


Informazioni
Gruppo: KYPCK
Anno: 2011
Etichetta: Yellow House
Contatti: www.myspace.com/kypck
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Гифарус
2. После
3. Аллея Сталина
4. Чужой
5. Фелица
6. Разрыв
7. Бурлаки На Волге
8. Бардак
9. Товарищам
10. Вальс Смерти

DURATA: 57:16

Chi si diletta nel seguire, magari anche non costantemente, il Doom avrà sicuramente incrociato sul proprio percorso i KYPCK. Questo quartetto finnico, nel 2008, si era presentato sulla scena con il debutto "Cherno", un disco davvero ottimo che lasciava nutrire buonissime speranze per il futuro della band.
Ecco che il 2011 ci consegna nelle mani anche il secondo parto della formazione di Tampere, "Ниже".
Sono rimasti i titoli in cirillico ed è rimasta la passione dei musicisti per le vicende sovietiche, cosa che porta anche il cantato in lingua russa.
Sembra quindi logico aspettarsi una continuazione del disco precedente; mi fiondo all'ascolto e ciò che alla fine penso è: "fanculo, un altro gruppo che si è immediatamente ammosciato. Torno ad ascoltarmi "I Compagni Di Baal", quello sì che è un vero discone".
Qualcosa però mi dice che sto saltando a conclusioni affrettate, quindi con la dovuta calma e i dovuti tempi riascolto più volte l'album.
Ciò che pian piano si rivela è una maggiore cripticità generale rispetto a "Cherno", con il proseguire degli ascolti "Ниже" cresce sempre più ed ora posso tranquillamente affermare che è un buonissimo lavoro ma che richiede pazienza.
La superiore dose di "accessibilità" inserita nel songwriting è lo scoglio contro cui si infrange la concentrazione ai primi ascolti. E' soltanto dopo più passaggi nello stereo che si può cogliere pienamente il velato alone malinconico che il maggiore uso delle melodie stende al di sopra dell'incedere pesante e quasi pachidermico di "После" (nonostante un refrain davvero un po' ruffiano), "Аллея Сталина" e "Разрыв".
Oltre alla monoliticità del riffing, ciò che aveva reso "Cherno" un gran disco era in buona parte l'enorme capacità di creare un mood fitto e opprimente. Nemmeno il nuovo "Ниже" si lascia mancare questa componente; l'unica differenza è che stavolta le atmosfere ricreate sono più grigie, nebbiose e quasi sfocate ma vengono delineate in maniera sapiente dai riff, dagli arpeggi e dalla struttura generale di tracce come "Чужой" e "Бурлаки На Волге".
D'altro canto le parti più "sfacciatamente" dolciastre presenti in "Фелица" e "Бардак" sono un retaggio indubbio derivante dai Paradise Lost post-"Gothic" e dai Sentenced (non è certo un caso che il chitarrista dei KYPCK sia il signor Sami Lopakka).
Una parte molto importante viene recitata dalla produzione che evidenzia in maniera ottima una batteria veramente efficace nel tenere tempi lenti, senza rinunciare alla potenza, e una voce evocativa che in alcune parti veicola anche una punta di astiosa acidità.
Se, come il sottoscritto, amate il debutto della band, quindi, potreste non riuscire immediatamente a entrare in contatto con "Ниже", ma qualche giro in più nello stereo potrebbe farvi ricredere.
In attesa di un terzo full che decreti in maniera definitiva il valore reale dei KYPCK, io sono sicuro che mi farò ancora parecchie scorpacciate di questo disco.
E voi?

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VITA ODIOSA - Cogito Ergo Crucior


Informazioni
Gruppo: Vita Odiosa
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: myspace.com/vitaodiosa
Autore: Akh.

Tracklist
1. Ancora Una Volta
2. Solo
3. Silenzio
4. Lenta Si Consuma La Vita
5. Addio

DURATA: 01:19:12

Dolore e Vita Odiosa, una relazione di cui abbiamo già parlato su Aristocrazia Webzine in termini positivi, per quanto il termine "positivo" mal si adegui alla proposta musicale, abbracciando di fatto quel sottogenere che è il Depressive BM.

La prima cosa che salta immediatamente all'occhio è la differente produzione e il ruolo che le chitarre rivestono in questo lavoro, prendendo sicuramente la leadership dei primi quattro brani di "Cogito Ergo Crucior".
La cosa che colpisce è: che per quanto io trovi noioso e prolisso il DBM, sia per mancanza di personalità che per la derivazione del 95% delle band coinvolte in questo sottogenere, di fronte ai Vita Odiosa mi tocca subito ricredermi, sia in termini di originalità, sia per la spiccata qualità del riffing e dei suoi arrangiamenti, nonostante la lunghezza media dei brani superi il quarto d'ora come è d'uopo per sviscerare ogni "Mal di Vita".
Infatti il "Tempo" è stato il fattore determinante per comprendere questo nuovo lavoro di Dolore e lo splendido stacco che rievoca lo scandire di un vecchio pendolo in "Ancora Una Volta" è stato fondamentale in tal senso, il tutto amalgamato da ottime atmosfere cariche di melanconia e lasciva disperazione.

Tutto in questo cd è filtrato al setaccio del velo della non speranza, in un lento inesorabile trascinarsi, anche quando le tastiere si accoppiano alle linee guida di chitarra armonizzandosi fra loro, la voce come un lontano eco sembra l'urlo disperato di una banshee, che porta al cospetto immediato della Nera Signora.
"Solo, "Silenzio", "Lenta Si Consuma La Vita", altri spaccati dove le suadenti e decadenti note, danzando ossessivamente fra loro in maniera apatica e al contempo viscerale, riportano alla mente quanto il termine "Vita" possa esser vuoto e doloroso in certi contesti, dove l'anima s'incastra e s'incrina struggendosi nella sua dannazione terrena, in quello che a tutti gli effetti viene percepito come uno spreco infinito di energie, prendendo la piega di un'illusione e di una condanna sofferente.

"Vita Odiosa" quindi si manifesta in un album di BM (data l'alta qualità trovata è inutile inserirlo in certi contesti musicali), dove la passione, il dramma, la sofferenza, il dolore, l'acredine che diviene sconfitta sono sensazioni tangibili, urli disperati da condividere con chi possa avere la medesima sensibilità, da donare in toto a chi possa capire... e "Addio", una lenta nenia mortifera di piano in cui i grigi accordi mi riportano alla mente certe soluzioni care ai vecchi My Dying Bride, un gruppo che ha fatto della tristezza e dell'abbandono un marchio di qualità, ne è la piena riprova.

L'unico consiglio che mi riservo di affermare è di curare maggiormente nel prossimo futuro l'arrangiamento della batteria, fornendo patterns lievemente più dinamici come già è avvenuto per "Ancora Una Volta", quindi niente che possa stravolgere i connotati del gruppo, ma per il resto non posso che fare i miei complimenti alla proposta.

Vita Odiosa non è quindi un semplice monicker...
È un'espressione di sofferenza, e questo "Cogito Ergo Crucior" è una parte delle sue lacrime; da consigliare comunque anche a chi adora il nero in tutte le sue più dolorose ed intrinseche sfaccettature.

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NAILGUN MASSACRE - Backyard Butchery


Informazioni
Gruppo: Nailgun Massacre
Anno: 2011
Etichetta: Slowrunner Records
Contatti: www.myspace.com/nailgunmassacre666
Autore: Mourning

Tracklist
1. Cadaverous Lay
2. Albert The Geek
3. Mortuary Meathouse
4. Nailed To The Wall
5. Jugannatha!
6. Spanish Spider
7. Head On A Stick
8. Zombie Swamp

DURATA: 39:48

Si può fare un gran bel disco con appena un solo anno d'attività? Direi di sì, chiedetelo agli olandesi Nailgun Massacre.
In un anno dove gli Autopsy tornano a far felici gli old schooler con "Macabre Eternal", questi allievi provenienti dal nord Europa attingendo dal lavoro di Chris Reifert e soci, dagli Asphyx e dal marciume svedese primordiale ci "rifilano" un platter fatto di horror, zombie e sesso con tanto di sezione grafica del cd e del booklet in esso inserito che non sono lontani dal ricordare la follia fumettistica dei Necrophagia del signor Killjoy.
I quattro cavalieri della morte Corpsechucker (voce), Bonesaw (chitarra ritmica/solista), Juggernaut (basso) e Hairybucks (batteria) sono quanto di più fedele agli anni Ottanta, primissimi Novanta si possa desiderare trovare inserendo un disco nello stereo, l'operato della sei corde poi ricorda in più frangenti quello della coppia Coralles/Cutler quindi è come ritrovarsi a una festa d'amici che non ascoltavate da un po' e pensare che il tempo si sia fermato rendendovi indietro un po' dell'atmosfera persasi negli anni per colpa di quelle dannatissime produzioni seriali, incelofanate e fottutamente commerciali.
Mettete su "Backyard Butchery" e sin dalla prima nota emessa il retrò sound vi farà dimenticare ciò che è la musica odierna, aggiungete la presenza di un pilastro della scena death metal da sempre, parlo di Paul Speckmann, leader dei Master che si offre nel ruolo di guest in ben tre pezzi ("Cadaverous Lay", "Nailed To The Wall" e "Head On A Stick"), tenete conto che più si va avanti con le tracce maggiore è la quantità di melma sonora che vi ricoprirà arrivando al picco in una "Spanish Spider" in cui è presente finalmente anche una fase solistica (già, peccato ci sia troppo poco spazio per i solos) e capirete che quest'album è fatto su misura per chi vive di old school.
Come si fa a non gradire le fasi allentate e putrescenti che scandiscono "Nail To The Wall" e "Zombie Swamp"? Come si può non amare la prova gutturale vomitante in classico "eighties style" di Corpsechucker?
I testi non si distaccano dai cliché horrorifici dal risvolto umoristico annerito che amiamo praticamente da sempre, sono una componente che nel bene o nel male ha caratterizzato e continua a caratterizzare questo filone discografico, perché negarceli?
I Nailgun non hanno creato un capolavoro, né un lavoro che possa ridefinire i cardini stilistici del genere ma è evidente che abbiamo di fronte un esempio valido e coerente di come si suoni e del perché si suoni death metal in una certa maniera.
Con "Backyard Butchery" ci viene fatto un invito all'acquisto che gli affamati di tali sonorità non possono (e a mio avviso non devono) evitare d'ascoltare.
Inseritelo nella lista degli averi da possedere, affiancherà il ritorno dei padrini Autopsy non sfigurando al suo confronto.

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DEKAPITATOR - We Will Destroy... You Will Obey


Informazioni
Gruppo: Dekapitator
Anno: 1999 / 2011
Etichetta: Relapse Records
Contatti: www.myspace.com/dekapitator
Autore: Bosj

Tracklist
1. One Shot, One Kill
2. Release The Dogs
3. We Will Destroy...You Will Obey
4. Hell's Metal
5. Make Them Die
6. Possessed With Damnation
7. Thundering Legions
8. Faceripper
9. Attack With Mayhem
10. T.F.S. (Total Fucking Slaughter)
11. Haunted By Evil
12. Hell's Metal (alternative version)
13. Make The Die
14. Haunted By Evil
15. Faceripper

DURATA: 47:06

È bene che sia chiaro fin dall'inizio: questa è una recensione atipica. L'oggetto è infatti un disco di ben dodici anni fa, da tempo fuori stampa, oggi riedito dall'attenta Relapse.
Niente voli pindarici, dunque: del disco si è parlato a suo tempo, una dissertazione a riguardo oggi sarebbe per forza di cose anacronistica e decontestualizzata.
Mi limiterò brevemente a dire che i Dekapitator sono un side project del cantante e dell'(allora) batterista degli Exhumed, con il quale i due californiani si sono dilettati nel dare sfogo alla loro vena thrashy "bay areana" e decisamente incazzata, com'è lecito aspettarsi dagli Exhumed, niente più e niente meno.
Band con all'attivo due full, oggi inattiva, seppur a detta di Matt Harvey non sciolta, i Dekapitator sono a tutti gli effetti un gruppo "minore" (non vogliatemene per il termine), per appassionati.
Voce piuttosto acuta, assoli, velocità elevate, doppio pedale d'ordinanza, il tutto suonato da gente che nemmeno all'epoca era di primo pelo, anzi, che sapeva bene come costruire un brano potente e di facile assimilazione.
"We Will Destroy... You Will Obey", primo dei due lavori sotto questo monicker, si presenta rimasterizzato ed impreziosito di quattro tracce aggiuntive, tutte e quattro versioni demo di pezzi presenti nell'album originale. Non ho mai ascoltato il disco originale, lo ammetto, certo è che se questa è una rimasterizzazione, i suoni sulla prima edizione dovevano essere decisamente pessimi, ma insomma, il marciume non è detto che sia un male.
Sicuramente ci sarà chi storcerà il naso a causa del remaster; a costoro dico di tentare l'ascolto, perchè il disco non ha assolutamente alcun accenno di "modernità" nei suoni.
Tolti questo e le quattro tracce demo di cui sopra, di questa ristampa c'è poco da dire, se non che la Relapse rende di nuovo disponibile un disco a lungo introvabile, per la felicità di tutti i thrashers incalliti. Agli altri difficilmente potrà interessare, ma rendiamo onore allo sforzo.

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KILLGASM - Bloodbath Of Satanic Vengeance


Informazioni
Gruppo: Killgasm
Anno: 2011
Etichetta: UW Records
Contatti: www.myspace.com/killgasm - www.killgasm.com
Autore: Mourning

Tracklist
1. Perpetrators Of Total Extermination
2. Pissing On Your Cross
3. Grinded Into Oblivion
4. Raped To Pieces
5. Bound To Bleed
6. The Blackest Holokaust
7. Bloodbath Of Satanic Vengeance
8. Destroyer Of Girls
9. Satank Rising
10. Last Caress (Misfits cover)

DURATA: 34:45

I Killgasm era ormai da tempo che ci giravano attorno, è da quando sono in attività (2002) che pubblicano demo, ep, split, doveva quindi arrivare 'sto "benedetto" album di debutto no?
Il 2011 è il loro anno, "Bloodbath Of Satanic Vengeance" il manifesto che da forma alla malevolenza black di una formazione che come di frequente avviene imbastardisce con altre branche del settore extreme.
Sarà alquanto semplice infatti riscontrare una vena grind che percorre quasi integralmente la sua durata nella media riuscendo a coinvolgere seppur manifesti qualche calo di tensione.
La proposta è di quelle cattive, rozze, zero fronzoli anche se in brevi frangenti un apparente comparto melodico sembra farsi vivo, il più delle volte sono mazzate e sferragliate che puntano i piedi decise a romperci il collo ed ecco quindi che brani quali l'opener "Perpetrators Of Total Extermination", "Raped To Pieces" e la doppietta sita in zona centrale della tracklist, che vedrà susseguirsi "Bound To Bleed" e "The Black Holocaust" in cui si potrà udire nel cantato una leggera inflessione al "pig-squeel", direi che sì, sono quelle più adatte.
Il disco è esplosivo, se la gioca usando tutti i cliché conosciuti iniziando dalla blasfemia spudorata di titoli come "Pissing On Your Cross" e "Bloodbath Of Satanic Vengeance", arrivando alla cover con tanto di "Satanasso" in front e immagine in stile Moyen sul retro, puntando ovviamente sull'arrembante attacco più volte perpetuato nei brani.
Certo come anticipato qualche riga più su qualche pezzo traballa, "Destroyer Of Girls" è la meno bella del platter e la titletrack la segue a ruota anche se si mantengono ben più in là di un ascolto sufficiente.
I punti persi in tali frangenti vengono però recuperati in fase di giudizio complessivo che oltre all'annotare sul taccuino una piacevole cover di "Last Caress" dei Misfits, traccia di "Static Age", album per anni inedito del gruppo in cui al tempo militava Glenn Danzig, segnala una prestazione dietro il mixer più che soddisfacente capace di tenere a galla il malsano sound del trio di Sacramento.
"Bloodbath Satanic Vengeance" è un bel calcio in culo, non credo che i Killgasm volessero presentare musica da "baronetti", è quindi un lavoro rivolto a chi vuole "tutto e subito", una sportellata in faccia che accompagnata da una devastante dose di alcol farà ancora più effetto, grezzo sì, ma come si deve.

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AISTHESIS - The Eon Of Wrath


Informazioni
Gruppo: Aisthesis
Anno: 2010
Etichetta: Australis Records
Contatti: www.myspace.com/aisthesis - www.facebook.com/pages/Aisthesis/96759554752
Autore: Mourning

Tracklist
1. Black Sea Of Vanity
2. Missioner Of Fear
3. My Arrogance, My Agony
4. Sin's Garden
5. Funeral Lust
6. The Need Of More
7. Rotten Spawn
8. Sangre De Angel
9. Outro

DURATA: 55:49

Vi mancano i Cradle Of Filth o i Dimmu Borgir d'annata? Onestamente più passa il tempo, più sento il bisogno di tenere i dischi di queste due realtà (e parlo solo della fase iniziale delle loro carriere) lì, negli scaffali, tirandoli fuori sì e no una o due volte l'anno, noto comunque che ci sono ancora band che attingono da ciò che erano queste realtà per tirar fuori i loro lavori, è il caso dei cileni Aisthesis giunti al debutto con "The Eon Of Wrath" nel 2010.
Il combo composto da Sanguis Nigrum (voce), Skarh (chitarre), Pravis (basso), Tralkan (batteria) e Argoth (tastiere) ha i due act citati fra i riferimenti palesati nel sound, certo che il concept che dovrebbe tenere in piedi il platter non è dei più originali, incentrare l'album sullo sviluppo concettuale dei sette peccati capitali può essere interessante ma al tempo stesso qualcuno potrebbe anche dire: "Un altro? Stanno a scoprì l'acqua calda?".
Del resto la musica stessa è ben composta, ricca di buoni spunti soprattutto quando l'anima sudamericana dei cinque vien fuori distaccandosi dagli stilemi ripetuti più e più volte in passato da act della scena europea (e non solo).
Il reparto atmosferico rimane di frequente in bilico fra gothic e black privilegiandoli con un'alternanza che si adegua allo sviluppo dei brani, peccato che dopo un crescendo emotivo ben coltivato nel finale di "My Arrogance, My Agony" e aver assimilato una "Rotten Spawn" che potrebbe essere una b-side del periodo "Enthrone Darkness Triumphant", il ricordo della tendenza catchy e poco fluida racchiusa in "Sin's Garden", capace di smontare quel po' di nero che si stava addensando, mi distoglie dal ripremere il tasto "play".
Pur evitando voci femminili che si presentano con coretti degni del peggior pop da classifica in stile "Nymphetamine", evitando di immettere suoni sgradevoli come il "gallinaccio" (Agnete Maria Forfang Kjølsrud) che si può udire in "Gateways", contenuta in quella genialata da non comprare che è "Abrahadabra", gli Aisthesis spesso e volentieri non riescono comunque ad andare oltre un già sentito gradevole, a momenti elegante, in altri arrembante, in altri ancora sopitamente melancolico ma che non aggiunge in sostanza nulla di particolarmente rilevante da spingermi a mettere su ancora una volta "The Eon Of Wrath", il mio consiglio d'ascolto è quindi volto unicamente a chi ha una passione sfegatata per questo tipo di release sinfoniche.

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SACRARIO - Stigma Of Delusion


Informazioni
Gruppo: Sacrario
Anno: 2010
Etichetta: Voice Music
Contatti: www.myspace.com/sacrariobr
Autore: Mourning

Tracklist
1. Stigma Of Delusion
2. Reborn In Chaos
3. From The Ashes We Rise
4. Covenant
5. God Against God
6. Infernal Paranoia
7. Insane Meaning
8. Deliverance
9. Frozen Dusk
10. Back for Blood
11. Euthanasia
12. Trauma

DURATA: 55:20

Il panorama thrash carioca è ricco di formazioni che hanno una storia quasi ventennale eppure arrivano a noi con prove full solo nell'ultimo lustro, è il caso anche dei Sacrario.
La band è in giro dal 1992 e dopo un filotto di tre demo negli anni Novanta è andata in letargo sino al 2007, anno in cui è avvenuta la rinascita e han dato alle stampe il primo album "Catastrophic Eyes", ancora un demo "Frozen Dusk" nel 2009 e sul finire del successivo 2010 viene rilasciato il secondo capitolo intitolato "Stigma Of Delusion".
Cinquanta minuti di musica old school oriented e non poteva essere altrimenti, difficile non tirare in ballo nomi di gente quali Slayer, Kreator, Sodom, early Sepultura, è quindi chiaro che la voglia di pestare e affondare il colpo non manchi al quartetto che vede Fabio Webber nel ruolo di chitarra e voce, Ricardo Lemos alla chitarra, Gustavo Stuepp a coprire le linee di basso e Everson Krentz a martellare dietro le pelli.
E' un platter livellato, si percepisce l'assenza di tracce guida, è un monolitico assalto che possiede degli spunti degni di nota, vedasi la violenza gretta e smisurata di "From The Ashes We Rise", il riffing efficace coadiuvato da una prestazione ritmica avvincente di "Infernal Paranoia", le dissonanze isteriche e il solo che fanno da ingresso alla successiva "Insane Meaning", tutte piccole note che permettono a "Stigma Of Delusion" di trovare spazio fra gli "on air" senza troppi problemi.
C'è anche da dire che sia strumentalmente che compositivamente i Sacrario si dimostrano ben più preparati e inquadrati di loro colleghi forse gettati allo sbaraglio dalla voglia di proporre thrash old school fornendo platter frequentemente sufficienti e nulla più.
Gli ingranaggi girano alla perfezione, così come le dinamiche dei cambi di tempo, gli inserimenti degli assoli e l'uso della voce, unico punto dove forse si potrebbe muovere obiezione per una omogeneità delle linee che viene a galla sulla lunga distanza ma che in fin dei conti non ne affievolisce la caparbia e ruggente esibizione.
Spalleggiati da una produzione che garantisce una resa del sound più che discreta, i Sacrario portano in casa vostra un disco dello stile che ne possiede pure lo spirito e che quindi mi sento di consigliare a chiunque abbia voglia di farsi una sana e liberatoria scorazzata di testa.

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SUBLIRITUM - A Touch Of Death


Informazioni
Gruppo: Subliritum
Anno: 2011
Etichetta: Battlegod
Contatti: www.myspace.com/subliritum
Autore: Mourning

Tracklist
1. No Tomorrow
2. Indulcence
3. The Beast
4. Back To Zero
5. Memories
6. Cease To Be
7. Berserk
8. A Touch Of Death

DURATA: 35:37

Le label esagerano, enfatizzano, provano a sedurre l'ascoltatore tirando spesso in causa nomi altisonanti creando false speranze che ahimè il più delle volte si sciolgono facendole schiantare in terra dopo aver fatto girare il disco un paio di volte nello stereo.
Perché questa premessa? Semplice, se mi si presenta una band dicendo che le linee guida fondamentali sono i Satyricon di un tempo e gli Emperor mi aspetto una formazione che, scusatemi l'espressione, faccia letteralmente il culo a pois a tanti, invece una volta messo nel lettore "A Touch Of Death" dei Subliritum mi son detto: Embè? Tutto qui?
Teniamo conto che questi signori hanno dietro le pelli Vyl (Keep Of Kalessin, ex Gorgoroth nei live e Goat The Head) e Sverre Berntsen (Bloodthorn) alla chitarra, non si tratta quindi di mancanza d'esperienza o qualità, il grosso problema insito in questa release norvegese è esplicabile con un motto da caserma in voga anche ai giorni nostri: "Tutto a posto e niente in ordine" (sì, è anche un film della Wertmuller ma quello è altro discorso).
Formalmente abbiamo all'orecchio un platter che possiede un buon riffing, delle discrete dinamiche e una prestazione complessiva che pur non facendo urlare a chissà quale miracolo fa sì che la tracklist scorra, ma dove sono gli attimi votati al genio? Dov'è il cambio di passo che ti spezza inaspettatamente la monotonia ormai stabilizzatasi a causa di costruzioni troppo inquadrate e fedeli ai canoni del genere tanto da divenire impersonali o peggio ancora possedere una personalità sì, ma non quella dei Subliritum? Per non parlare del sinfonismo, dove l'hanno nascosto? E' accennato, quasi spaurito come avesse timore reverenziale nei confronti della strumentazione classica.
Thebon, compagno di Vyl nei Keep Of Kalessin, presta la sua voce in un paio d'incursioni guest, una sorta di rimpatriata dato che in passato era stato anch'esso membro dei Subliritum, mi sarei concentrato su altro fossi stato in loro.
Dopo una decina di giri affermo che un paio di pezzi come "The Beast", "Cease To Be" e "Berserk" riescono a fare il proprio mestiere segnando qualche punto una volta in diretta ma è la differita che non fa registrare ricordo alcuno, il che pesa come un macigno sul giudizio di "A Touch Of Death".
Buona produzione, buoni i musicisti e l'impegno ma un risultato decisamente al di sotto delle aspettative, un album che magari a qualche incallito e bisognoso metallaro mendicante qualsiasi cosa si avvicini anche alla lontana alle band segnalate a influenza riuscirà a solleticare il palato ma che se messo al confronto con le tante (forse troppe) realtà similari percorrenti lo stesso tragitto musicale non so quanto sarebbe capace di tenerne il passo.
Only for fanatics.

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REDEEMER - Global Exorcism


Informazioni
Gruppo: Redeemer
Anno: 2010
Etichetta: Death Of The Earth Records
Contatti: non disponibili
Autore: Mourning

Tracklist
1. I Am Revenge
2. Slave Name
3. Global Exorcism
4. Unhinged
5. Dark Passenger
6. Regression
7. Unquenchable
8. Scourge Of Man

DURATA: 33:59

Il groovy sound si è ormai ritagliato uno spazio enorme nel panorama thrash, sono sempre di più gli act che calcano la mano su tale fattore, non tutte però ne sono capaci. I canadesi Redeemer giungono a noi dopo un demo omonimo pubblicato nel 2006 con questo "Global Exorcism" dando piena voce allo sfogo pressante e pesante con otto pezzi che miscelano old school thrash, groove, rallentamenti e qualche passaggio in clean senza cadere nella trappola del ritornello cazzone.
Un disco compatto, veloce che in appena trentaquattro minuti infila un paio di episodi veramente rilevanti vedasi le due badilate in corsa poste a capo, "I Am Revenge", e fine della tracklist, "Scourge Of Man", che trovano il modo di farci assaporare atmosfere doomish nell'intro di "Dark Passenger", giocano con timbriche quasi stoner in "Global Exorcism", danno per sparutissimi frangenti riposo all'incessante cantato acido di Shane Faulkner come avviene in "Slave Name" con la parola "Libertà" emessa con suono pulito e cristallino e una "Regression" combattiva dai forti accenti Pantera.
La band texana fa percepire spesso la sua presenza ed è quasi impossibile ormai evitarlo, insieme agli Exhorder hanno dato vita a uno stile che ha influenzato a ripetizione molteplici act, incrocerete anche gli Exodus e un nome che vi salterà subito in testa sarà quello dei Forbidden ascoltando "Unqueanchable", si torna indietro di un ventennio e più. Saranno solo queste le band che hanno ispirato i canadesi o ci sarà dell'altro? Ascoltatelo e ne saprete di più.
Non lavorano di fino i Reedemer, se c'è da tirare mazzate lo fanno, le chitarre di George Georgis e Jason Cuddy sono robuste, non si lasciano scappare l'occasione per ritagliarsi spazi per una solistica non forzatamente complessa e che punta sull'efficacia, la batteria, tranne nelle due citate come prime del filotto che aumentano notevolmente i giri, si mantiene costante su mid-tempo massicci ma quando serve il drummer Victor Rebelo assesta dei bei cambi semplici molto naturali che fanno scorrere alla grande i brani accompagnato dal basso di Darius Szczepaniak meticoloso nell'esecuzione e vispo a fargli compagnia.
I Reedemer non inventano nulla ma consegnano alle nostre orecchie del buon thrash, se siete stanchi di gente come i Lazarus A.D., Warbringer e le varie formazioni che hanno delle produzioni talmente fasulle che se tiri il cd contro il muro ti torna indietro in stile palla da tennis o peggio ancora hanno quel suono da "copia e incolla" manco li avessero prodotti in serie, fossi in voi un giro a "Global Exorcism" nello stereo lo farei fare. Moderno? Probabile, Genuino? Di sicuro.

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TOMBS - Path Of Totality

Informazioni
Gruppo: Tombs
Anno: 2011
Etichetta: Relapse Records
Contatti: www.facebook.com/TombsBklyn
Autore: Bosj

Tracklist
1. Black Hole Of Summer
2. To Cross The Land
3. Constellations
4. Bloodletters
5. Path Of Totality
6. Vermillion
7. Passageways
8. Silent World
9. Cold Dark Eyes
10. Black Heaven
11. Red Shadows
12. Angel Of Destruction

DURATA: 57:30

Per chi non li conoscesse, i Tombs sono un three-piece newyorkese, nella fattispecie di Brooklyn, dedito ad una particolare e personale reinterpretazione dei canoni sludge. Tradizionalmente, trattasi di genere figlio di certi suoni ariosi ed atmosferici, per quanto graffianti facilmente associabili a vasti spazi aperti, riempiti solo da respiri di chitarre lisergiche; in questo caso, niente di più lontano dalla verità. La Grande Mela è prepotente, e giocoforza condiziona i tre musicisti nelle loro composizioni. Le atmosfere nebbiose, sature ed irrespirabili di New York trovano spazio in questo "Path Of Totality", nelle sue linee serrate, claustrofobiche.
Immaginate i Cult Of Luna, senza le loro tipiche aperture a spezzare un po' i ritmi più sostenuti, con una batteria tremendamente più veloce, un utilizzo della voce estremamente più rarefatto e una violenza generale almeno dieci volte superiore. Il risultato non può che essere di lenta, lentissima assimilazione.
Questo secondo lavoro sulla lunga distanza infatti, per quanto super pubblicizzato dalla Relapse e dal gruppo stesso su Facebook, Myspace, Bandcamp e chi più ne ha più ne metta, risente fondamentalmente di un grosso problema: l'eccessiva durata. Un disco con queste coordinate, seppur pregevole, rischia di stufare prima della fine, nel momento in cui i dodici brani hanno una durata media di cinque minuti l'uno e in alcuno di essi la proposta viene variata, nemmeno in minima parte.
La differenziazione di stili vocali tra il pulito e lo sporco, con qualche sovraincisione qua e là e qualche cambio di tempo non bastano a far digerire un album che diversamente, fosse stato un quarto d'ora più breve, comunicherebbe un'urgenza di gran lunga maggiore.
E' invece un innegabile punto a favore la produzione, volutamente fumosa e poco definita, che fa risaltare il mood cupo e paludoso delle registrazioni.
Fa piacere, in ultimo, che le etichette spingano i propri gruppi e credano fermamente in questi, ma un testo di presentazione (che, peraltro, è SEMPRE lo stesso, sul sito della label, sulle diverse pagine del gruppo, nella copia promozionale, manco fosse il nuovo slogan della Coca-Cola) come "...with Path of Totality, TOMBS has come into their own as one of the finest heavy bands in the world." spara decisamente alto per un disco che, nella sua onestà, è sicuramente valido, ma lontano dal capolavoro.
Non voglio essere frainteso: "Path Of Totality" un ascolto lo merita, ma è giusto che sappiate a cosa andate incontro.

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373°K - Spiriti Bollenti

Informazioni
Gruppo: 373°K
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/373kelvin
Autore: Mourning

Tracklist:
1. 373°K
2. Sciarpe Vintage
3. Comunque Vada
4. Eterno Ritorno
5. Lascia Che Sia
6. La Vita è Mia
7. 30....
8. Il Paradiso Insieme A Te
9. Dentro Di Te

DURATA: 35:58

Il rock è da sempre il percorso musicale più adatto per esprimere i propri pensieri di rivolta, disagio, ribellione, sia la versione più acida o quella più riflessiva e melancolica la risultante è il più delle volte coincidente riuscendo nel compito d'inviare il proprio messaggio.
Il quintetto bolognese dei 373°K debutta con l'album "Spiriti Bollenti", il monicker espresso in gradi Kelvin equivale ai 100 gradi della scala Celsius cioè il punto d'ebollizione dell'acqua, sì, perché la gioventù in ogni generazione che si rispetti ha le sue reali motivazioni per farsi girare le palle e giungere a quella temperatura pronta a ribaltare qualsiasi situazione, oggigiorno possiamo dire manchino gli stimoli che possano ricondurre il nostro stato d'animo al ribollire? Purtroppo ne abbiamo a iosa.
Pensate al rock nostrano di gente come Movida, Ritmo Tribale, i primi Timoria prima che Pedrini li mandasse a puttane o i Litfiba e Ligabue dell'alba dei tempi incrociati con le influenze blues dei Doors, passaggi Led Zeppelin o se volete in chiave più moderna similari ai Wolfmother ("Sciarpe Vintage" calza a pennello in tal senso).
E' rock stradaiolo, schietto, un po' grunge nell'animo, che sente il bisogno di prendersi le dovute pause in cui lasciar fuoriuscire la vena più dolciastra, bella ad esempio la breve esecuzione pianistica di "Eterno Ritorno" che fa da preludio a una disincantata "Eterno Ritorno", disincanto che è costantemente esplicato nei testi.

Ci son passaggi come questo:

"Soffocati anche se qui l'aria c'è,
dalle regole che questo mondo fa
siamo pronti comunque a dire che
che di prediche e omelie ce ne saranno ma...
non cambieranno questa verità...


che comunque vada moriremo tutti qui, tutti sì
che comunque è vero siamo in 'sto fottuto..."



che per fortuna trovano un contraltare positivo in altri spinti dalla voglia di guardare avanti con fiducia:

"Ogni giorno è una sfida
provo a vincer' la partita
e comunque vada sai io proverò
Faccia a faccia con la sfiga
che sotto sotto sa di vita
e comunque vada sai ce la farò

tanta gente dice sia impossibile, impossibile
mentre tutto sembra raggiungibile..."



"Spiriti Bollenti" è una scarica d'adrenalina, è la vita vissuta con gli occhi di un gruppo di giovani come noi che si dibatte e combatte con le problematiche che attanagliano tanti (forse troppi), lo si può paragonare a un diario di viaggio in cui ognuno può attingere riconoscendosi in parte, è una versione ritmata, condita da solistiche calde che ti danno una scossa e la propensione adeguata per alzarti ancora una volta e guardare in faccia la realtà, è rock.
Fra la moltitudine di emo-band, punk rocker che di punk hanno a stento la magliettina (ahimè pulita da far schifo) e ragazzini usciti da laboratori di plastica quali X-Factor e Amici, perché non concedersi il beneficio del dubbio ponendosi una semplice domanda: è possibile far rock in Italia? La risposta è sì, i 373°K come tanti che rimpolpano il folto bosco underground continuano piacevolmente a mantenere vivo il sogno, a loro va il mio personale supporto, voi ci state o no?

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ISOLATION IN INFAMY - Isolation In Infamy


Informazioni
Gruppo: Isolation In Infamy
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/isolationininfamy
Autore: Mourning

Tracklist
1. Theory Of Flight
2. Psychological Bombardment
3. Unison Of Beasts
4. Threshhold
5. Solitary Insanity
6. Inanimate Existence

DURATA: 22:25

Gli Isolation In Infamy sono una sconosciuta macchina da guerra statunitense, il combo ha all'attivo un solo demo rilasciato nel 2008 e quest'anno ha da poco messo a disposizione l'ep omonimo contenente sei brani dall'alto tasso tecnico, una combinazione di death con influenze blackish che per una volta ci permette di ascoltare qualcosa che non sia il solito pastone rozzo, ferale e privo di compromessi che, per carità, in molti casi mi rende felice ma dopo averne fatti girare nello stereo non so quanti un po' di noia mi assale.
"Isolation In Infamy" è una badilata di ventidue minuti, l'opener "Theory Of Flight" serve a inquadrare i personaggi: la voce cattiva maligna di Andy Nelson, i ricami chitarristici di Shadi Absi, quelli ritmici forniti da Chris Audish al basso e Mikey Wilson che spinge sul doppio pedale ci preannunciano che il divertimento è appena iniziato.
E' infatti con "Psychological Bombardment" con il basso in rilievo, un riffato macinante che sa tanto di Suffocation e una sacca di tranquillità apparente pre-finale da cui sgorgherà un intrigante assolo di chitarra che si ha prova del suddetto pensiero.
"Unison Of Beasts" è la canzone che meglio affronta la combinazione di stili in corso trovando un perfetto equilibrio fra la spietata cattiveria del death e l'oscurità dell'alone black che la percorre, "Solitary Insanity" aggiunge a quanto già citato una scanalatura groove profonda mentre "Threshold", breve strumentale, e "Inanimate Existence" favoriscono l'headbanging alzando i giri al motore chiudendo il mini-platter in velocità.
Sono preparati, il songwriting è maturo, la proposta è forse scontata in quanto il genere è ormai stato metabolizzato dai più grazie a un trend divenuto crescente con una esponenzialità disarmante, dimostrano però di andare spesso e volentieri oltre la classica riproposizione tecnico-onanistica di cui si fanno fregio parecchi act.
La potenza in alcuni frangenti detonante, una formazione coesa e strumentalmente in ordine come quella degli Isolation In Infamy possono però sicuramente smuovere l'interesse dei patiti di questo filone.
I ragazzi stanno lavorando bene, lo scoglio da superare adesso è il rilascio del debutto, vediamo cosa saranno capaci di offrire in una prestazione più estesa come durata e quindi anche più indicativa della capacità di mantenere alta l'attenzione di chi ascolta.
Segnatevi il monicker e per ora accontentatevi di sparare a tutto volume questo "Isolation In Infamy", è un gran bel biglietto da visita.

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BEFORE THE RAIN - Frail


Informazioni
Gruppo: Before The Rain
Anno: 2011
Etichetta: Avantgarde Music
Contatti: www.myspace.com/beforetheraindoom
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. And The World Ends There
2. Shards
3. Breaking The Waves
4. A Glimpse Towards The Sun
5. Frail
6. Peace Is Absent

DURATA: 01:14:43

I Before The Rain sono una formazione lusitana, precisamente di Setúbal, attiva fin dal 1997. E' solo dopo dieci anni che arriva il debutto sulla lunga distanza, "...One Day Less", un discreto album che ha raccolto consensi abbastanza buoni.
Ora, nel 2011, il quintetto torna con il nuovo full, "Frail".
Ciò che il gruppo ci propone è un Death/Doom che si rifà in maniera evidente allo stile dei britannici My Dying Bride e agli Anathema di "The Silent Enigma", senza tralasciare una visione proveniente in special modo dal più classico versante Cathedral.
Sono sicuramente degne di nota, in tracce come "And The World Ends There" e "A Glimpse Towards The Sun", le malinconiche divagazioni atmosferiche interposte ad una più catacombale striatura Death/Doom, il tutto appoggiato a certi substrati sonori che sembrano approdare nientemeno che su lidi di stampo quasi avanguardistico.
Le suddette ambientazioni si fanno eteree quando inserite all'interno di soluzioni chiaramente riscontrabili in "Breaking The Waves", nella title-track (coadiuvate dall'eco di una soave voce femminile) e "Peace Is Absent"; soluzioni che favoriscono lo sviluppo prosperante di un mood che trasmette angoscianti sensazioni di decadenza.
Purtroppo però, nonostante i meriti menzionati, non mancano le note dolenti. La sfaccettata eterogeneità della proposta, infatti, provoca a tratti l'effetto "bussola smagnetizzata" che lascia interdetto l'ascoltatore. Le varie influenze e i cambi in corsa, per quanto formalmente ben eseguiti, fanno in certi casi fatica a incastrarsi tra di loro spezzettando un po' troppo l'andamento generale.
Certo, la notevole durata del disco non giova in tal senso, anzi; un minutaggio più snello avrebbe sicuramente facilitato l'assimilabilità dell'album, scongiurando, almeno in parte, i quasi inevitabili cali di concentrazione che purtroppo induce. Quando si decide di comporre canzoni lunghe ed articolate va riposta molta attenzione nell'evitare di dilungarsi in maniera eccessiva su parti meno efficaci.
Proprio questo è il tallone d'Achille di "Frail", disco con standard sicuramente molto buoni ma troppo diluiti.
Attendo i Before The Rain al varco: il prossimo lavoro sarà decisivo, nel bene o nel male.
Spero nel frattempo che il gruppo possa smussare questi inconvenienti, legati forse a un eccesso di zelo per dimostrare personalità. Uscirà anche a breve uno split con gli Shape Of Despair che potrebbe essere una buona occasione per sondare le intenzioni future dei portoghesi.
Frattanto un ascolto a "Frail" consiglio comunque di darlo, le potenzialità non mancano, necessitano solo di essere concentrate in maniera più omogenea.

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TWISTED TOWER DIRE - Make It Dark


Informazioni
Gruppo: Twisted Tower Dire
Anno: 2011
Etichetta: Cruz Del Sur
Contatti: www.twistedtowerdire.com - www.myspace.com/twistedtowerdire
Autore: Mourning

Tracklist
1. Mystera
2. Snow Leopard
3. The Stone
4. Make It Dark
5. White Shadow
6. The Only Way
7. Torture Torture
8. Beyond The Gate

DURATA: 36:36

Ci son voluti quattro anni prima che gli statunitensi Twisted Tower Dire si rifacessero vivi ma è valsa la pena attendere un po' più del solito, il quinto capitolo "Make It Dark" li conferma come una fra le band più ispirate del mondo heavy.
Line-up riassestata e grinta da vendere, "Mystera" e "Snow Leopard" danno inizio a un platter che ha mantenuto in toto le qualità delle passate release, ci sono le melodie trascinanti, il lavoro chitarristico perfetto come sempre da parte di Waldrop e Boyd per quanto concerne sia la costruzione del riffing, sia nelle fughe solistiche, ci sono le hit che ti si piantano in testa chiedendoti di premere il tasto "play" ancora e ancora ("The Stone" e "The Only Way"), ci sono le tracce dove il cantante Jonny Aune può mettere in mostra pienamente il suo valore ("Make It Dark" e "White Shadow"), che forse proprio per l'eccesso di vocal-oriented sono le uniche che tendono a una leggera omogeneità stilistica, pecca peraltro alquanto trascurabile.
Sul finire vengono inserite le canzoni dal piglio più elementare e standard ("Torture") e quella che spinge i confini musicali un po' più in là attingendo in territorio progressivo ("Beyond The Gate"), tale accoppiata per com'è posizionata in scaletta la ritengo ottimale per chiudere un disco che ancora una volta ci consegna i Twisted Tower Dire in piena forma.
Fra brani che potrete rinominare sin da subito come classici e altri che lo diverranno dopo un paio di giri nello stereo, "Make It Dark", fornito di una produzione lucida e di una prova del combo che metterebbe in serio imbarazzo tanti dei "grandi vecchi" del genere, si candida seriamente a essere uno fra i lavori più rilevanti del 2011 nel settore.

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RAW - Raw


Informazioni
Gruppo: Raw
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/rawmoozik
Autore: Fedaykin

Tracklist
1. Dig More
2. Decide
3. Oligarchy
4. Rats
5. A Rust Ballad
6. Life

DURATA: 26:24

Nati nel 2009, i Raw, quartetto capitolino dedito ad uno stile musicale in bilico tra rock, metal e crossover, ci danno un assaggio di ciò che sanno fare in questa mezz’ora scarsa di EP chiamato semplicemente “Raw”, rilasciato nel 2010 dopo che, a detta loro, le sei tracce presenti avevano già subito numerose variazioni e ri-registrazioni.
Sin dal pezzo di apertura, il proposito che i quattro romani si sono posti nel comporre questo disco viene alla luce in modo piuttosto chiaro: divertirsi e divertire con una musica lineare e diretta, senza tanti fronzoli, che richiama spesso e volentieri certe sonorità crossover, punk e nu-metal, soprattutto nel cantato, ma che nel riffing e nella ritmica non dimentica mai una lunga tradizione rock ed heavy che pone le sue radici nei lontani anni ’70. La parola d’ordine qui è groove: le chitarre e il basso, rispettivamente di David e Diego, disegnano delle trame semplici e godibili, accompagnate dal preciso Zippo dietro le pelli, mentre la voce di Giuseppe, nei suoi alti e bassi, ha sempre un impatto potente ed aggressivo; si può senz’altro dire che tra i componenti del gruppo ci sia una certa alchimia, e tecnicamente la realizzazione del disco è ottima, soprattutto sul lato ritmico e chitarristico.
Volendo analizzare il disco in modo più dettagliato, si notano delle variazioni stilistiche interessanti tra un pezzo e l’altro: i primi tre, tra cui forse “Oligarchy” rappresenta il picco qualitativo, contengono più o meno gli stessi ingredienti di cui si è parlato fin qui, ma in “Decide” è particolare la scelta di costruire la linea vocale insieme a quella di chitarra, fino ad arrivare ad uno sfogo finale che è uno dei momenti più belli e coinvolgenti del disco; “Rats” invece è decisamente più crossover, e nel cantato quasi rappato mi ricorda vagamente certi System Of A Down; personalmente lo trovo il punto più debole del platter, ma non nego che sia anche una questione di gusti. “A Rust Ballad” è, come dice il titolo stesso, una splendida lenta, in cui il singer, a mio avviso, da davvero il meglio di sè; i suoni metallici dipingono uno sfondo malinconico e "rugginoso" al punto giusto, ed è grande l'emotività che ci arriva sia dal microfono che dall'assolo finale, a tratti quasi blues; la conclusiva “Life” è forse il pezzo più aggressivo del disco, e ritorna alle sonorità viste nei primi pezzi, seppur ancora una volta con una linea vocale ispirata fortemente al crossover.
Devo ammettere che l’EP mi ha messo un po’ in crisi, nel momento in cui ho riflettuto sul giudizio da trasmettere in questa sede. Da una parte, noto che non è affatto esente da difetti; musicalmente, talvolta sembra non essere nè carne nè pesce, e si fatica un po’ a capire dove i Raw vogliano arrivare; la parte strumentale è ok, come detto, ma la voce, oltre a non avere una pronuncia perfetta dell’inglese (ma va detto che si nota solo raramente) a volte subisce delle fasi un po’ calanti, che danno un effetto quasi punk a certe sessioni, soprattutto dove è presente il doppio cantato, quando in altri momenti sembra invece quasi sprecata per la sua innata potenza e per l’intonazione perfetta che Giuseppe riesce a darle nelle fasi più “strillate”; la produzione è perfettamente adeguata al sound che il gruppo vuole raggiungere, ma anche qui, se i nostri fossero riusciti a conferirle un effetto più moderno e preciso il disco ne avrebbe senz’altro guadagnato in carisma.
Dall’altra parte, però, non posso fare a meno di riconoscere che il demo è tremendamente trascinante, la testa si muove da sola fin dalle prime note, e dopo già due o tre ascolti i pezzi restano facilmente impressi nella memoria; insomma i romani hanno dato vita ad un prodotto che può essere discutibile sotto certi aspetti, ma che è innegabilmente divertente e stracarico di groove, obbiettivo in cui band ben più blasonate di loro falliscono clamorosamente.
Sono insomma fermamente convinto che i Raw abbiano i mezzi e le idee per fare molto bene, in futuro: se riusciranno a mantenere la loro carica emotiva migliorando alcuni lati tecnici e compositivi, sono sicuro che rilasceranno dei lavori molto interessanti. Restiamo sintonizzati!

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HEMOPTYSIS - Misanthropic Slaughter


Informazioni
Gruppo: Hemoptysis
Anno: 2011
Etichetta: Rock It Up Records
Contatti: www.hemoptysismetal.com - www.myspace.com/hemoptysismetal - www.facebook.com/hemoptysis
Autore: ticino1

Tracklist
1. Misanthropic Slaughter
2. Hopeless
3. M.O.D.
4. Impending Doom
5. And The World Dies
6. Interlude
7. The Cycle
8. Blood Storm
9. Shadow Of Death
10. Hadephobia
11. End Of Sorrow

DURATA: 49:23

Dopo cinque giorni di dura marcia sotto la pioggia e duecento chilometri consumati dalle vostre suole sentite che il vostro corpo è ai confini delle sue capacità. Quello che è iniziato come un raffreddore si trasforma ben presto in una polmonite. Speranza di ricevere cure sono minime, i medicamenti sono scarsi e tempo per riposarsi non c’è. Marcia o crepa! Colpi di tosse violenti vi scuotono le membra intirizzite e grumi di sangue salgono dai polmoni. Ecco spiegato cosa è l’Emottisi, l’espettorazione di sangue in seguito a malattie.

Scoprite con me se questo nome è programma o se invece è uno specchio per le allodole.

Ricercando in rete informazioni su questa giovane formazione statunitense fondata nel 2007, non posso fare altrimenti che pensare di trovarmi in faccia a un prodotto di marketing molto spinto e concretamente volto a un profitto rapido. In maniera insistente si mette sotto il naso del lettore che il quartetto fu più volte vincitore di concorsi musicali. Conosciamo questi concorsi dai programmi televisivi pattume dedicati alla ricerca delle prossime… stelle del pop. Cito dal loro sito: "Hemoptysis is the true embodiment of the re-birth of American Thrash Metal" ("Hemoptysis è la vera incarnazione della rinascita del thrash americano"). Dobbiamo credervi? Dulcis in fundo, la produzione è stata curata da Ryan Greene che fu responsabile tra l’altro per Mr. Big e Alice Cooper.

Bene. Passiamo ora alla musica. Non bisogna dubitare del fatto che i musicisti sappiano il fatto loro. Il riffing è assolutamente solido, la voce è aggressiva e la batteria è perfettamente in grado di porre gli accenti necessari a esaltare le differenti parti. Pezzi come "Impending Doom" sono lavori d’artigianato molto robusto. Non posso però permettermi, come ascoltatore onesto, di confermare le note altisonanti rilasciate sul sito, dove si osanna l’originalità della loro musica. Indiscutibilmente le canzoni sono quelle che il metallaro nel pozzo vuole sentire: tante melodie e tratti da "headbanging" o da "mosh pit" sfrenati. Il disco non dà un secondo di sosta, gli strumenti martellano i timpani del pubblico senza pietà. Cosa c’è allora che non va, chiederete? Il tutto mi risulta troppo plastificato e innaturale. Troverete influssi provenienti dalla crème de la crème del metal storico e non, influssi sapientemente tessuti al fine di ottenere un lenzuolo di sonorità che devono piacere per forza.

Soggettivamente non riesco a entusiasmarmi per questo lavoro, troppo povero di rugosità e d’impegno all’ascolto.

Chi deve rischiarci un orecchio? Tutti quelli che adorano death e thrash melodici; forse addirittura chi amava i primi Children Of Bodom riuscirà a trovarvi accesso. Penso che “Misanthropic Slaughter” sia anche adatto agli amanti della tecnica che non pretendono originalità a tutti i costi.

Sono convinto che Hemoptysis sia da vedere in concerto. La sua musica è ideale per il live, sempre che i suoi musicisti siano in grado di trasmetterla, offrendovi uno show come si deve.

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KRAKEN DUUMVIRATE - The Astroglyphs Of The Ritual Of Deluge


Informazioni
Gruppo: Kraken Duumvirate
Anno: 2011
Etichetta: Ahdistuksen Aihio Productions
Contatti: non disponibili
Autore: Insanity

Tracklist
1. I Channel
2. The Astroglyphs of the Ritual of Deluge
3. Sacrifice Me

DURATA: 24:53

Dopo tre anni dal primo ep "From The Dying Soil To The Eternal Sea" tornano i Kraken Duumvirate, band finlandese di cui sappiamo poco se non che è dedita ad un Black Metal angosciante e sperimentale. Il nuovo lavoro "The Astroglyphs Of The Ritual Of Deluge" mantiene la stessa struttura di tre brani del debutto: una breve intro atmosferica, una canzone lunga a costituire gran parte del disco e una traccia di media durata a concludere.
È compito di "I Channel" quindi aprire questo ep, due minuti di arpeggi malinconici e rumori inquietanti che fanno da preambolo alla titletrack; "The Astroglyphs Of The Ritual Of Deluge" mantiene quindi il mood negativo ormai innestato con sussurri e suoni vagamente simili a rintocchi di campane fino all'ingresso delle chitarre, i riff vengono ripetuti ossessivamente su ritmiche cadenzate, quasi Doom, e volutamente monotone nella loro particolarità. Il sound è saturo, i synth pur rimanendo per lo più in background riempiono il tutto e nella fase ambientale a metà brano si rendono più evidenti, per poi lentamente lasciare spazio nuovamente all'agonia espressa dalle sei corde, gli ultimi due minuti della traccia sono ancora Ambient. La conclusiva "Sacrifice Me" segue lo stile della precedente, più corta ma fatta di quel Black Metal sperimentale e angosciante. Ciò che rende particolare ed unica questa band è l'atmosfera che riesce a creare, il monicker è azzeccatissimo considerando che Kraken è un mostro leggendario simile ad un'enorme piovra e il sound è in un certo senso riconducibile agli Ahab.
Un ritorno decisamente gradito quindi, questo secondo ep verrà sicuramente apprezzato da chi cerca un Black Metal evocativo e sperimentale; vedremo nel futuro cosa ci proporranno questi finlandesi, nel frattempo un ascolto a questo ep e al precedente è consigliato.

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VARGANOCTE - Als Die Nacht Anbrach


Informazioni
Gruppo: Varganocte
Anno: 2011
Etichetta: Self Mutilation Services / Thors Hammer Productions
Contatti: www.myspace.com/varganocte
Autore: Mourning

Tracklist
1. Abendrot
2. Als Die Nacht Anbrach
3. Schritte Gen Ewigkeit
4. Vom Dahinscheiden Einer Ruhelosen Seele
5. Sonnenaufgang
6. Seelenleyd

DURATA: 34:28

Varganocte è un solo project teutonico, l'autore della musica e dei testi è Nocturnus che in questo 2011 ha dato alle stampe il debutto "Als Die Nacht Anbrach" sia in versione cd (Self Mutilation Services, limitato a 500 copie) che tape (Thors Hammer Productions, limitato a 200 copie).
Trenta minuti di ambient/black in cui la natura cruda e silvestre viene sviscerata e offerta in pasto all'ascoltatore, non è innovativa la scelta tipologica del sound né delle atmosfere che l'artista si prefissa di creare a supporto del limitato comparto strumentale, una mancanza di profondità del black proposto trova contraltare in una più che discreta corrente ambientalistica, nota piacevole dell'album.
Le canzoni che meglio incarnano questo viaggio all'interno delle ore notturne sono quelle che favoriscono la parte ambient del progetto, "Abendrot", "Schritte Gen Ewigkeit" e "Sonnenaufgang" che per posizione e ruolo agiscono enunciando, declamando e spegnendo un sound carico di misticismo e frutto di un costante vagare nell'oscurità con emozioni a essa annesse, mentre le tracce massice del platter, "Als Die Nacht Anbrach" e "Vom Dahinscheiden Einer Ruhelosen Seele", forti dell'inserimento delle linee vocali danno alla carica sensazionale della tracklist una dimensione meno naturalistica e più umana.
I ritmi, le melodie e l'impostazione che Varganocte utilizza per trasmettere il suo pensiero, catturato, sviscerato e rilasciato attraverso l'incedere allentato ed evocativo teso a trasportare l'ascoltatore nel mezzo della foresta che ne ha ispirato le movenze, permettono una connessione completa con quello che è il suo modo d'intendere il genere.
Posta come bonus vi è "Seelenleyd", episodio che l'artista aveva pubblicato nella compilation prodotta dalla label Bleichmond Tonschmiede e intitolata "Lieder Von Lieb'Und Leid", il suono è essenzialmente raw e vocalmente non piacevole quanto le due presentate nel disco, l'alzare di tono soffocandosi di Nocturnus sembra quasi fuori luogo.
"Als Die Nacht Anbrach" è un discreto lavoro underground che probabilmente se fosse dotato di una produzione affidabile e capace di elevare ancor più le situazioni atmosferiche avrebbe le possibilità di fare un salto di qualità notevole, un ascolto che gli appassionati del filone, magari solo per conoscenza (e chissà che non scatti successivamente l'interesse), dovrebbero fare.

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SIGNO ROJO - Promo

Informazioni
Gruppo: Signo Rojo
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/signorojoswe
Autore: Mourning

Tracklist:
1. Lashing The Hellespont
2. The Beast Beneath
3. These Machines Used To Kill
4. The Calling
5. Dying Sun
6. Apotheosis

DURATA: 36:25

Non c'è niente di meglio del vecchio passaparola per far conoscere la propria musica, i Signo Rojo, band svedese stranamente senza contratto (sono fantastici), usano questo stile nella versione moderna: il loro "Promo" viene rilasciato in free download a chi ne fa richiesta utilizzando l'indirizzo email signorojoswe@gmail.com in modo da diffondere il nome, nulla di particolarmente complicato no?
Questi ragazzi scandinavi ci sanno davvero fare, la proposta è interessante in quanto miscela doom, stoner, rock, psichedelia post metal e seppur siano solo sfaccettature minime la prestanza del death di casa loro (zona Stoccolma) potrebbe venir riconosciuta assimilando a dovere le tracce.
Il platter si apre con un esempio dei più classici e pesanti di stoner/doom "Lashing The Hellespont", si sposta in territori post/fangosi con la successiva "The Beast Beneath", un mattone che aumenta il proprio impatto con l'avanzare dei minuti, "These Machines Used To Kill" e "The Calling" deviano il tiro verso lidi maggiormente progressivi, il riffing è leggermente più elaborato e le tinte psichedeliche vengono fuori esprimendosi al meglio nell'ultima chiamata in causa, il dilatato e quasi dolciastro/melancolico trascorrere ne favoriscono lo sviluppo.
Con "Dying Sun" si torna ai connotati originari, il sound riacquisisce vigore, le melodie sono impregnate di dissonanze e acuiscono il flavour scuro della composizione sino all'entrare in scena di "Apotheosis", capitolo conclusivo del disco capace di racchiudere in sé la totalità degli stili proposti all'interno del "Promo", una sottile vena epica intarsia il monile che pone la parola fine all'ascolto.
I trentasei minuti volano via grazie a una girandola intensa di riff che catturano l'attenzione, grazie a una prestazione dietro al microfono convincente, potente e alla fluidità con la quale scorrono le tracce, è decisamente un buonissimo lavoro introduttivo ciò che i Signo Rojo ci danno in pasto, consiglio pertanto agli amanti di sludge/doom e similari di dare una chance agli svedesi augurando loro di trovare al più presto una label che supporti degnamente la loro causa.

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2BLACK - Promo 2010: No Time To Die


Informazioni
Gruppo: 2Black
Anno: 2010
Etichetta: MMP Much Music Promotion
Contatti: www.2black.ch - www.myspace.com/2blackthrasher
Autore: ticino1

Tracklist
1. Dead Of The Empire
2. Breathing Fear
3. Faceless Mirror
4. Blood Of The Soulless King
5. Cutback
6. Journey Into This
7. Age Of Decadence

DURATA: 28:58

A volte tutto si svolge più in fretta di quel che si possa credere. Un bel sabato pieno di Sole, il sottoscritto imbottito di bronchite e di medicamenti, un raduno con qualche birra qui e là, alcuni bicchieri di vino e di Met sono gli ingredienti necessari per instaurare contatti metallici. Davanti a un piatto di carne grigliata si arriva presto a discutere con tutti i presenti. Nel giro di qualche minuto mi trovo con questo CD in mano.

Parlando con George, chitarrista, scoprii che egli è presente nella scena metal da parecchio tempo. Mi disse che si occupò già dei piuttosto conosciuti ginevrini, e già da anni estinti, Apocalypse. La sua faccia mi era famigliare… studiando Metal-Archives notai che lui fu già membro degli svizzeri Excruciation, formazione doom zurighese.

Cosa ci propongono i 2Black? Thrash, thrash abbastanza classico. I membri sono tutti maturi e non esitano a rivisitare vecchi eroi del genere. Non so perché ma quando ascolto tali gruppi nostrani, vedo alcune particolarità che lasciano dire "questi sono svizzeri". Su questo disco incontro lo stesso fenomeno. La musica non si lascia definitivamente catalogare come affine a una qualunque cultura statunitense degli Anni Ottanta. Se proprio si volesse tentare questo passo, allora calzerebbe forse la scarpa teutonica.

Sette piste, sette mazzate nei denti, sette rinunce al compromesso offerte cortesemente dagli Svizzero Tedeschi 2Black. Riff pesanti, ritmiche impietose sfiondate verso l’ascoltatore lo tengono così sveglio e attento. Da notare è la produzione molto robusta e poderosa. Nuovamente si nota l’esperienza dei membri. Consiglio particolarmente l’ascolto di tracce come "Cutback" che faranno venire le lacrime agli amici dello stile tanto caro a veterani e giovani.

La musica è tutt’altro che veramente originale o da catalogare fra l’élite del metal internazionale. Non per questo è, però, da scartare. 2Black offre, grazie ai suoi membri in età matura, un thrash metal solido, pesante e, se volete definirlo così, VERAMENTE di vecchia scuola.

Non esitate a contattare il gruppo per lasciarvi spedire questo lavoro che farà buona figura nella vostra collezione!!!

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SEKHMET - Opus Zrudy


Informazioni
Gruppo: Sekhmet
Anno: 2010
Etichetta: Hell Is Here
Contatti: www.myspace.com/sekhmetczech - www.sekhmet.wz.cz
Autore: Mourning

Tracklist
1. Intro
2. Nástroje Bolesti
3. Cas Poselství
4. Poprava
5. Opus Zrudy
6. Pochmurnost Vlastní Slepoty
7. Legie Vítezství
8. Písen Války
9. Dejiny Nenávisti
10. Under A Funeral Moon (Darkthrone cover)

DURATA: 54:07

Ci sono band che dell'ortodossia e della visione retrò del sound che presentano fanno un credo di vita, i cechi Sekhmet appartengono a questa schiera e non lo scopriamo sicuramente oggi.
La formazione, attiva dalla prima metà del decennio post 2000, giunge nel 2010 alla pubblicazione del terzo capitolo "Opus Zrudy" rimanendo ancorata al passato.
La primordialità dell'orda norvegese che diede origine al black scandinavo, qualche lieve influsso di stampo svedese, sferragliate rozze e bastarde un po' Aura Noir e richiami poi non troppo celati ai maestri della loro terra, i Master's Hammer, danno consistenza a un suono che non lascia nulla all'immaginazione sfoderando una prestazione maligna, diretta e che fra sfuriate al fulmicotone e classiche aperture lente in stile Darkthrone fornisce al platter quell'atmosfera nineties di cui famelicamente si nutre.
Addentrarsi in un ascolto dei Sekhmet porta a ripercorrere mentalmente sentieri già battuti, difficilmente non riuscirete a dare una collocazione sia in ambito temporale, sia per quanto riguarda la derivazione dalla band da cui han tratto ispirazione per modellare il pezzo, c'è però da dire che un disco bastardo, ruvido, in cui il fronzolo non ha motivo di esistere e nel quale la stessa produzione si propone come non perfetta ma neanche totalmente lo-fi o cacofonica, ha come scopo unico quello di ammorbare e conquistarsi la fiducia di chi l'ha inserito con le armi più elementari e tetre: violenza e oscurità.
Non è quindi un caso che si trovi posta in chiusura una delle perle più belle del duo Nocturno Culto/Fenriz, "Under A Funeral Moon" sigillata in quel capolavoro di album che indossa con fierezza il titolo omonimo.
I Sekhmet non le mandano a dire, non hanno nessuna voglia di evolversi, di laccarsi, né tantomeno di cambiare le generalità di una proposta che sta loro a cuore e che continuano a tenere saldamente e canonicamente legata al black che fu, se siete fra quelli che pretendono coerenza e lo sguardo rivolto in segno di estrema devozione alle decadi passate, "Opus Zrudy" fa decisamente per voi.

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