venerdì 29 luglio 2011

EUROFORCE - Euroforce


Informazioni
Gruppo: Euroforce
Anno: 2005
Etichetta: Sonic Age
Contatti: www.myspace.com/euroforceband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Spirit Raven
2. The European Lie
3. Trumpets Of Old
4. Crown Seeker
5. Modern Times
6. Hellenic Spirit
7. By Neptune's Hand
8. Spirit By My Side
9. Brighter Hellas
10. Weeping Of A Stone
11. Ubiquitous
12. Byzantine Heritage

DURATA: 46:45

L'unione di due artisti celebri della scena ellenica come Theodore Ziras virtuoso chitarrista dal tocco neo-classico (Ice Divine, Guardian Angel, Hand Of God e Hybrid), e il cantante Jiotis Parcharidis (Human Fortress, Victory, Herman Frank) con il supporto al basso di John Kostis e dietro le pelli di Spyros Kabasakalis, diede vita nel 2005 a una prova metal dalle influenze neoclassiche e progressive "Euroforce" titolo tratto dal monicker del progetto.
Approcciai questo disco dopo aver letto un paio di sonore stroncature, vi posso assicurare che il sottoscritto l'ha letteralmente macinato, è uno di quegli album che ti rimane in testa perché equilibrato, capace in ogni momento di sfruttare le armi in suo possesso e che in questo specifico caso sono molte.
Sia infatti il guitarworking in fase di riffing e pregevole in chiave solistica (anche se un tantino ripetitiva), sia la voce di un Jiotis in forma spettacolare nell'adagiare il cantato fornendo il tono epico ("Hellenic Spirit"), evocativo o accattivantemente catchy ("Modern Times") a seconda dei brani, siano i ritornelli ("Spirit By My Side" e "Brighter Hellas") o gli attimi in cui i brevi innesti folkloristici nel sound donano quel tocco dal gusto propriamente mediterraneo alla prestazione, la cosa certa è che oltre quarantacinque minuti sembrano sparir via in un nonnulla.
Il platter di per sè ha una tracklist ricca di buoni episodi, la perla, il brano che fa la differenza è la stupenda ballad "By Neptune's Hand" costruita su una melodia d'altri tempi e con un testo orecchiabile, facile da assimilare, di quelli che dopo un paio di volte vi verrà quasi naturale intonare.
Non è però tutto oro ciò che riluce, "Euroforce" a tanti pregi che si possono elencare e arrivano diretti al nostro udito senza mezzi termini, è altrettanto vero che la pecca più grave per un album simile sta nel possedere una produzione che per quanto renda chiaramente intellegibile la strumentazione danneggia soprattutto il comparto ritmico con la scelta del suono per la batteria un po' smorto.
Gli Euroforce erano al debutto, era giusto attendersi una release di valore visti i personaggi che ruotavano (o ruotano, non si hanno notizie sull'attività della band) internamente alla line-up e per lo più sono riusciti nel convincermi.
Se il metal guitar-oriented vi piace un disco come "Euroforce" non dovrebbe creare problemi al vostro udito, provare in fin dei conti non costa nulla, no?

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DOWNFIRE - Redemption


Informazioni
Gruppo: Downfire
Anno: 2006
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/downfire
Autore: Mourning

Tracklist
1. Wasted
2. Never
3. Stand
4. You
5. Yesterday
6. Drown
7. Someday
8. Alone
9. Powerful Me
10. Time
11. Through The Damage
12. Inside My Head
13. Step Up

DURATA: 52:03

Anno 2006, i newyorkesi Downfire rilasciano l'album di debutto "Redemption", tredici tracce di metal "bastardo", una mistura che unisce la classica prestanza dell'Us Power di gente come i Metal Church alla scia Heavy perseguita da alcune realtà Nu-Metal (e in questo preciso caso fra le influenti per il percorso dell'album un buon punto di riferimento sembrano essere i Disturbed e Sevendust) facendovi confluire virate dal gusto più rock oriented.
La voce del singer David Diaz nella sua impostazione rimembra più volte sia il già citato cantante che l'Heitfield in versione più hardrockeggiante ed è supportato da basi accattivanti, in alcuni momenti anche di facile presa ma condite da discrete divagazioni solistiche a opera del riff-maker Carlos Vega e da un clima generale più che gradevole che rende il disco di buona compagnia seppur la presenza di tante band venga a galla fra le quali è impossibile non citare proprio i Metallica.
Il quartetto d'apertura in scaletta composto da "Wasted", "Never", "Stand" e "You" scopre in pratica le carte in tavola, è un dilettarsi fra istinto del quale l'opener gode appieno, intimità caratteristica che prende largo nell'ultima, delle tirate in causa e ritornelli che ti entrano in testa sbattendo a più riprese fra le mura del cervello con "Never" fra gli esempi più rapidi da enunciare.
Cinquanta minuti che non regalano sorprese o disegnano chissà quale quadro metal inaspettato, i Downfire suonano, si divertono, pestano quando ce n'è bisogno e infilano un altro paio di episodi che attirano l'orecchio, penso soprattutto a una "Yesterday", pezzo perfetto per trasmissioni radiofoniche o per una rotation su Mtv, è dotata di un'alta fruibilità tanto da ricordare in certi passaggi l'appeal dei Collective Soul, la semi ballad "Someday", l'introspettiva "Inside My Head" e un duo più robusto formato da "Drown" e "Powerful Me".
Un debutto che faceva ben sperare, fornito di una produzione calda e abbastanza pulita tanto da offrire una discreta resa collettiva, i ragazzi ci proporranno il bis quattro anni più tardi con "Damnation" decisamente più maturo ma che se avesse avuto a supporto un lavoro dietro al mixer pari a quello ravvisabile in "Redemption" sarebbe stato un discone.
I Downfire sono una formazione da seguire, in continua crescita e che gli amanti del sound metallico non eseguito nella più classica delle forme troveranno essere una compagnia di tutto rispetto.

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VIRON - NWOGHM


Informazioni
Gruppo: Viron
Anno: 2006
Etichetta: Sonic Age
Contatt: www.myspace.com/viron1
Autore: Mourning

Tracklist
1. Sander
2. Blow The Fuse
3. Viron
4. Bound To Die
5. Winds Of Valhalla
6. For Her Majesty
7. Ride On
8. Instrumetal
9. Lucifer Arise
10.Born Out Of Light
11.Doomsday

DURATA: 55:07

L'heavy metal ha nel corso degli anni ripreso sempre più importanza, è la madre del metal, inutile negarcelo anche se le generazioni più giovani continuano troppo spesso nel fare l'errore d'iniziare dall'estremo o di disconoscere il ruolo di base a un genere che andrebbe onorato e ringraziato per i meravigliosi frutti regalati, NWOBHM in primis.
Se l'Inghilterra è stata la terra regina, la Germania gli si pone subito dietro insieme agli Stati Uniti, proprio dal territorio tedesco nei primi anni post 2000 intraprese il cammino una formazione dapprima denominata Seduction che, dopo aver prodotto solo due demo ("Ode To War" e "Winds Of Valhalla"), decise di cambiare il monicker in Viron ricevendo dei feedback positivi per l'album di debutto "NWOGHM".
Pionieri del nuovo sound teutonico? Il parafrasare l'acronimo britannico rendeva il messaggio alquanto chiaro e lo stile moderno di una band veloce, compatta, epicheggiante e soprattutto dotata di un cantante, Alex Stahl, capace di fare la differenza grazie a una vocalità a metà fra il power e l'hard rock (ascoltandolo mi son venuti in mente Ian Gillan, Kursch e Conklyn) era l'arma adeguata per affrontare una sfida heavy nel millennio dove l'estremo ha dilagato in maniera spropositata (e non sempre con risultati apprezzabili).
Momenti di furia libera in "Blow The Fuse" trovano contraltare nel classicismo ispirato manowariano di "Winds Of Valhalla" composta al tempo dei Seduction, frangenti di oscurità e misticismo incrociano il nostro orecchio in "Ride On" e "Born Out Of Light", i toni scuri aumentano nella parvenza doom di "Bound To Die" e una certa prestanza old oriented è rinvenibile nella sprezzante "Lucifer Arise"; tutto ciò vale la pena di esser gustato più e più volte a un discreto volume.
La formazione era potente, dinamica, compositivamente accurata e strumentalmente preparata in toto, le asce quanto la ritmica svolgeva il proprio compito offrendo una prestazione di alto livello e ripetermi sull'uomo che si attiva dietro il microfono sarebbe inutile.
Ciò che dispiace è che dopo aver dato alle stampe un secondo capitolo, "Ferrum Gravis", i Viron abbiano deciso di sciogliersi, sono quindi questi due dischi il piccolo patrimonio che lasciano al metal.
Vi dovesse capitare sott'occhio questo "NWOGHM" fossi in voi non scarterei a priori l'acquisto, è un platter che da soddisfazioni anche sul lungo termine.

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lunedì 25 luglio 2011

HILLS - Master Sleeps


Informazioni
Gruppo: Hills
Anno: 2011
Etichetta: Transubstans Records
Contatti: www.myspace.com/hhillss
Autore: Mourning

Tracklist
1. Rise Again
2. Bring Me Sand
3. Claras Vaggvisa
4. The Vessel
5. Master Sleeps
6. Death Shall Come

DURATA: 36:13

Spazio e tempo, due concetti da sempre al centro dello studio scientifico, possono essere annullati? Si può fare un reale salto nel vuoto o finire in una dimensione che si ponga a cavallo fra le due grandezze? Onestamente non credo esistano ancora i viaggi nel futuro o il teletrasporto con cui il Doctor Spock e i compagni di Star Trek si proiettavano in altro loco con tanta velocità, è sicuro però che con la mente ogni barriera si possa abbattere e quale mezzo migliore della psichedelia per farlo?
Gli svedesi Hills dopo l'omonimo album rilasciano il secondo capitolo, "Master Sleeps", che qualcosa bollesse in pentola era chiaro, il risultato è più disteso, dotato di una produzione ampia che fa esplodere le componenti kraut-rock e spacey, la natura post-rock del sound continua a creare un miscuglio sonoro talmente particolare tanto che in certi momenti sembra quasi un dovere chiamare in causa nomi come i sempreverdi Velvet Underground ("Venus In Furs").
Sei tracce che propongono dal mood più classico legato al garage space dell'opener "Rise Again" alla sensualità orientaleggiante e desertica della successiva "Bring Me Sand", dall' inscurimento severo e intristito di "Claras Vaggvisa" all'ampollosità ondosa di "The Vessel".
E' un platter più riflessivo e conciso rispetto al debutto sognante e stralunato, capace di mostrare il lato primorde kraut-oriented in una titletrack dal riffing ciclico inebriante che in parte rimanda anche alle allucinazioni provocate dalla prima versione dei Q.O.T.S.A., quella più psych e sfoderare improvvisamente un animo tenebroso nella conclusiva "Death Shall Come".
"Master Sleeps" è l'ennesimo disco che ci ricorda come il movimento rock svedese sia fra i migliori al mondo, non inventa, non si reinventa perché non ne ha nessunissimo bisogno, si dedica a chi ha amato, ama e amerà in futuro continuare a far trascorrere le proprie giornate in compagnia delle atmosfere dilatate ed effervescentemente emotive ricreate da percorsi drogati di psichedelia.
Se siete fra questi è un acquisto che anche se non necessariamente indispensabile comunque non vi dispiacerà fare.

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GRIMNESS 69 - The Bridge


Informazioni
Gruppo: Grimness 69
Anno: 2010
Etichetta: Rising Nemesis Records / Butchered Records / Sevared Records
Contatti: www.myspace.com/grimness69
Autore: Mourning

Tracklist
1. White Room
2. Down To The Bones
3. Chariot Of Acrimony
4. The Shining Key
5. Illheaven Hells
6. The First Words Of A Dead
7. Adore the Ten Fathers
8. Feeding
9. V
10. VII
11. XI
12. XIII
13. XVII
14. XIX
15. XXIII
16. XXIX
17. Doomsday Carillon

DURATA: 39:36

I Grimness 69 per chi segue con costanza l'underground italico non sono un nome nuovo, li ricorderete magari senza quel numero affiancante il monicker nella vecchia veste grindcore mixata noisecore, quella che aveva caratterizzato il periodo primordiale della band con l'uscita degli split insieme a Holocausto Canibal, Viscera e Groinchurn.
Nel 2005 la modifica al nome porta con sè innovazioni considerevoli, i due album pubblicati in successione, "Grimness Avenue 69" e "Illheaven Hells", virano decisamente in territori più death oriented, aumentano il tasso tecnico ma contemporaneamente evidenziano uno sfogo compositivo non del tutto riuscito.
A due anni di distanza dall'ultimo citato, tornano in carreggiata con "The Bridge" e una modifica in line-up che vede l'abbandono del cantante storico Lord Nuclear Ripped Pig che lascia spazio a Nerve (Gaetano Cavallaro) dei Deadly Strain, è quindi un asse veneto-pugliese che darà vita ai quaranta minuti del platter.
La formazione ha eseguito un passo in avanti netto, l'album è arrembante, ben costruito e capace di alternare momenti di pura "pressione" grind ad altri più groovegianti e d'assetto portante death come avviene in "Chariot Of Acrimony", di mostrare una discreta qualità anche nelle cadenze allentate con "Illheaven Hells", di sfoderare la brutalità made in Usa con una "Adore The Ten Fathers" degna del marciume blasfemo di certi capisaldi storici.
Ovvio che le modalità esecutive per volere dei ragazzi assumeranno una forma più adatta a mantenere vivo quel confine fra i due stili che ne alimentano il songwriting così come non hanno chiuso e sigillato il recente passato in un cassetto, prova n'è la riproposizione di "Doomsday Carillion" già presente nel debutto in veste più odierna e per nulla male.
Buona la prestazione di Nerve dietro al microfono, il ragazzo si conferma come un cantante che sa come mettere la voce al servizio di basi che pur non presentando ancora una personalità forte, hanno però raggiunto delle soglie più che discrete per quanto riguarda la compattezza e l'efficacia delle soluzioni utilizzate.
I Grimness 69 stanno crescendo, pian piano stanno trovando ciò che serve loro per crearsi una dimensione adeguata alle capacità di cui dispongono e alle passioni che li spingono a cimentarsi in questo death/grind moderno e con "The Bridge" questo corso sembra aver imboccato la direzione giusta, concedete quindi l'occasione a questo platter di fare ciò per cui è stato composto, darvi una bella sveglia.

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ANGER WITHOUT REASON - Retaliate First


Informazioni
Gruppo: Anger Without Reason
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/angerwithoutreason1
Autore: Mourning

Tracklist
1. The War Behind My Eyes
2. Persecution Complex
3. Direct Action
4. No Right To Bear Arms
5. Backlash
6. Same Old Story
7. Last Respects

DURATA: 15:08

Gli Anger Without Reason per chi segue il nostro sito non sono un nome nuovo, la formazione inglese ha già presenziato in occasione dell'uscita dei due album sinora prodotti: "Rage" e The Blood That Fills The Grail".
Nello stesso periodo in cui il secondo lavoro stava per esser completato, la band componeva anche i brani per l'ep "Retaliate First" contenente appena un quarto d'ora di musica ma che per come ci hanno ben abituato si mantengono sugli standard qualitativi conosciuti e più che discreti oltre il conservare la componente genuina del punk sempre più presente nell'ossatura thrashy del sound.
Non c'è quindi nulla di realmente nuovo, possiamo definire questo mini un prosieguo del percorso già intrapreso, pezzi quali "The War Behind My Eyes" e "Persecution Complex" se aveste avuto possibilità d'ascoltare i full vi accorgereste che potrebbero tranquillamente inserirsi al loro interno portando con sè benefici tanto che, "No Right To Bear Arms" e l'accoppiata successiva composta da "Backlash" e"Same Old Story", pezzi compresi in quelle release, scorrono inglobati in un assetto che dimostra di possedere sia equilibrio che genuinità.
Purtroppo con questo "Retaliate First" insieme all'ennesima conferma della vivida passione con cui gli Anger Without Reason portano avanti il loro operato, vi è la notizia di una line-up adesso dimezzata per le uscite di Smuddy e Abbo, in pratica andrà ricostruita la sezione ritmica, Fraser e Dave comunque han fatto intendere chiaramente di voler continuare a produrre altra buona musica.
Non ci resta quindi che restare sintonizzati, attendere buone nuove da gente che con la grinta e la perseveranza di chi ama la vecchia scuola nuda e cruda è pronta a farci godere con release che ci conducano ancora una volta per mano con un salto nel passato in quegli eighties che in tantissimi adoriamo, avanti così ragazzi!!!

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DECISION - The Unholy Days Of Slaughter


Informazioni
Gruppo: Decision
Anno: 2010
Etichetta: Audiofolter
Contatti: www.myspace.com/decisionmetal
Autore: Mourning

Tracklist
1. Terror Reign
2. Blood For Blood
3. Believe
4. Cannibal Holocaust
5. Cold Blood
6. Celebrated Deathmachine
7. Lords Of Death

DURATA: 22:47

I dettami che la scuola death metal primorde ha lasciato ai posteri sono fortunatamente duri a morire, è innegabile che si stia vivendo un revival sempre più infervorato e attento nel riproporre le sonorità degli anni a cavallo fra gli Ottanta e i primi Novanta con risultati in più casi soddisfacenti e a questa corrente si uniscono i tedeschi Decision.
Il trio proveniente da Berlino si cimenta nella versione brutale dello stile tanto cara ai Deicide e ai Malevolent Creation ricordandomi per alcuni versi "In Cold Blood" nel quale era Jason Blachowicz a ricoprire il ruolo di frontman della band di Phil Fasciana.
I poco più di ventidue minuti che costituiscono "The Unholy Days Of Slaughter" sono caratterizzati dal violento e pestato percuotere la batterida da parte di Tormentor, dall'alternarsi del buon growl, gutturale e acido quanto si deve e dall'infiltrarsi di fasi screammate che potrebbero ricordare i Belphegor, in entrambi i casi l'impostazione è abbastanza decisa e maligna da risultare ben piazzata e brani come "Blood For Blood", "Cannibal Holocaust", "Cold Blood" e "Lords Of Death" sono degni rappresentanti della maniera con la quale i Decision abbiano seriamente intenzione di farsi notare.
I pezzi in genere non sono molto complicati, preferiscono andare a colpire subito il bersaglio predestinato e c'è da dire che da questo punto di vista se la cavano più che bene.
Il suono è supportato da una produzione che permette una discreta resa strumentale anche del basso che forse un po' più alto nel master avrebbe avuto possibilità di aumentare la spinta delle basi, un pizzico di varietà compositiva in più avrebbe poi giovato a rendere meno omogeneo il platter.
Per essere dinanzi a una prova d'esordio non ci si può comunque lamentare di un "The Unholy Days Of Slaughter" che bastona come e quando serve.
Martellate senza compromesso, blasfemia e puzzo di cadavere sono motivi validi per mettere su un album come questo?
Assolutamente sì, la Morte non segue regole se non quella di stendere chi si trova di fronte e i Decision con le loro mattonate vi daranno una mano.

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HIGHGATE - Shrines To The Warhead


Informazioni
Gruppo: Highgate
Anno: 2010
Etichetta: Totalrust
Contatti: www.myspace.com/therealhighgate
Autore: Mourning

Tracklist
1. Burning Venom Fire
2. Holy Poisoning
3. Of Ruins
4. Warhead Rise

DURATA: 42:16

Gli Highgate, provenienti da Florence nel Kentucky, sono di quelle band che sia amano o odiano, ho già letto in passato critiche alquanto pesanti al debutto omonimo etichettato come "noioso" o "palla al piede", di sicuro non era un ascolto semplice nemmeno per i ferrati in ambito funeral.
Nel 2010 la formazione torna all'assalto con il successore "Shrines To The Warhead", la solfa non solo non cambia ma si appesantisce ulteriormente, pensate infatti di unire gente come Burning Witch e Winter rendendola ancora più minimalista, annerita, struggente e caricandola di una malevolenza ributtante odio con una continuità sorprendente, bene, in pratica avete ottenuto il sound degli Highgate, figli legittimi anche di gente come Grief, Corrupted e Khanate. Che vogliano diventare più bastardi dei padri stessi?
Non vi sono tocchi di fino, non vi sono melodie che attirano, i quaranta e rotti minuti che caratterizzano il platter, suddiviso in quattro tracce di cui l'opener, "Burning Venom Fire", posta lì a puro scopo introduttivo, danno modo all'humus generato e nutrito da emozioni malsane, claustrofobiche ed esilianti di attecchire portando linfa a un riffato essenzialmente monocromatico che passa dal nero venato di lievi striature bluesy a un nero pece inattaccabile nel quale riflettersi o il solo provare a guardare all'interno è cosa insensata da attuare.
E' straziante il modo in cui la voce stridula serpeggiando si fa strada nella coltre scura e impenetrabile creata dai giri di chitarra minimal, è maligno lo schema ritmico talmente elementare nel proprio battere da tendere più volte ad azzerarsi per fornire via libera al basso solitario; e che dire di quelle poche note di piano messe lì a rendere ancora più gelida e distaccata l'atmosfera già tetra? Indovinate.
"Shrines To The Warhead" è lo step successivo, la svolta che ci si attendeva, quell'incattivirsi e danneggiarsi volutamente che gli Highgate avevano unicamente accennato nell'omonimo è divenuto una realtà di fatto, è doom a tutti gli effetti, un destino però che non può essere condiviso con chiunque, se siete convinti che l'estremo del genere, quello più marcio e privo di un minimo luccichio, sia davvero troppo per voi tanto da non reggerlo, evitatelo, i restanti s'immergano in questo mare d'oblio e ne ricavino godimento. "The Torture Never Stops".

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BARBARIAN PROPHECIES - Remember The Fallen


Informazioni
Gruppo: Barbarian Prophecies
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/barbarianprophecies
Autore: Mourning

Tracklist
1. Rotten Under The Stones
2. Remember The Fallen
3. Baptized By Wolves
4. Voices From Beyond
5. Hunter For Hunters
6. Lost Souls
7. Neverending Winter
8. Frozen Winds
9. The Tomb

DURATA: 01:03:13

Secondo full per gli spagnoli Barbarian Prophecies e cambio di rotta netto e devastante oserei dire.
La formazione ha praticamente mollato la componente black dirigendo il potenziale in direzione univoca, è il death metal che regna incontrastato in un "Remembert The Fallen" che picchia, presta il fianco all'addittivo "core" (non parlo di emo-ciuffi e breakdown inseriti alla cazzo) in una prova che pur usufrendo di riff orecchiabili e che si fregiano di un'alta fruibilità difficilmente molla la presa.
Parto dall'unico vero difetto che ho riscontrato in quest'album: la durata, sì perché un cd per quanto sia ben costruito e assimilabile come nel suddetto caso, in più di un'ora di musica melodica, dotata anche della dovuta carica, tende a diventare lievemente pesante da digerire.
Ecco tolto il neo da una superficie liscia, gradevole su cui lasciarsi andare per una scapocciata intensa, ovviamente noterete che i brani a cui è stata donata una minor estensione, "Lost Soul" e "The Tomb", siano quelli che fanno il botto, diretti, prestanti e misurati, seguiti a ruota libera da altre due tracce che metteno in mostra la scia di death melodico come avviene in "Voices From Beyond" e una brutale quanto convincente "Hunters For Hunters".
Se "The Tomb" con le sue aperture acustiche e le atmosfere darkeggianti al limite con l'ambient viene impalmata come traccia alternativa della tracklist, con "Neverending Winter" è il recente passato dei Barbarian Prophecies a tenderci le braccia, la canzone era stata inserita nel precedente lavoro, "Condemned Land... The War Begins", la ripresentazione non ne consegna una versione particolarmente innovata o dal forte restyling ma una che non trova problemi nell'incastrarsi e filare alla grande nel complesso di "Remember The Fallen".
La band ha fatto una scelta, ha intrapreso una strada e probabilmente ha anche indovinato le soluzioni con cui arrivare a un risultato che ci regala un album ben suonato e prodotto che segna una crescita notevole anche nella fase di songwriting, reparto che già in passato aveva dato frutti soddisfacenti grazie a una personalità presente ma che al tempo era ancora immatura.
Non so se questo "Remember The Fallen" sarà la vetta compositiva dei Barbarian Prophecies, so per certo che è un disco che merita d'essere ascoltato, speriamo continuino così, in gamba ragazzi!

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TSORER - Return To Sodom


Informazioni
Gruppo: Tsorer
Anno: 2010
Etichetta: Black Hate
Contatti: www.myspace.com/thosewhowalkthepath
Autore: Leonard Z

Tracklist
1. Misanthrope
2. Sodom
3. Again
4. Gifts
5. Old
6. Messiah
7. Dreamer
8. Pnetration Skills
9. End

DURATA: 40:02

Mamma mia che botta 'sti Tsorer. Un dischetto che più spartano non si può, senza informazioni sulla band o testi, ma solo un disegno (lo stesso) che campeggia sulle due facciate interne e esterne. Dentro il cd nove brani che sono una raffica di proiettili di grosso calibro che hanno come bersaglio la vostra testa. Un pezzo più marcio dell'altro nel nome del black metal più blasfemo e diretto, nello stile di band quali Tangorodrim e Hell Darkness. brani sono validissimi: registrazione verace (con un basso udibile!), ma non inascoltabile, struttura dei brani semplice ma non banale. Se cercate un album di black metal sincero al 100%, suonato bene, con un sound ancorato al thrash, allora questo è il lavoro della vostra vita. Per quanto mi riguarda questo "Return To Sodom" era proprio il disco che aspettavo. Vi ritroverete ad ascoltare pezzi come "Sodom" e "Dreamer" fino all'ossesione. Ah, cosa non da poco: nove tracce e nessun fottuto riempitivo. Mica poco, visto i tempi che corrono. Gli Tsorer iniziano davvero col piede giusto con questo debut! Lunga vita agli Tsorer!

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STORMHUNTER - Crime And Punishment


Informazioni
Gruppo: Stormhunter
Anno: 2011
Etichetta: Emanes Metal Records
Contatti: www.facebook.com/group.php?gid=342931530275
Autore: Mourning

Tracklist
1. Last Words
2. Perfect World
3. Condemned Stranger
4. Knights Of Metal (Part 1)
5. Reality, Fatality
6. Robot Age
7. Unholy Seed
8. Inner Demon
9. The Final Battle
10. Crime And Punishment

DURATA: 46:52

Sono tornati, due anni ed ecco che mi trovo fra le mani il nuovo lavoro dei power-metaller tedeschi Stormhunter intitolato "Crime And Punishment".
La formazione dopo aver rilasciato il debutto come autoproduzione ha adesso il sostegno dell'etichetta francese Emanes Metal.
Coerenza e passione, due aggettivi forse sin troppo spesso chiamati in causa ma che inequivocabilmente identificano l'aspetto musicale e compositivo che fa degli Stormhunter ciò che sono, il loro è uno stile che paga dazio senza alcun dubbio alla storica scena teutonica a cavallo fra gli anni Ottanta e primi anni Novanta con tre nomi che palesi salteranno al vostro orecchio: Helloween, Running Wild e Gamma Ray.
Sì, figure portanti quali sono tuttora Kai Hansen e Rock'n'Rolf influenzano non poco la stesura dei brani, in alcuni frangenti talmente piacevoli all'ascolto che pensare a quest'album come un'uscita del 2011 sembra a dir poco strano.
La velocità frequentemente battuta, la maniera in cui le chitarre accelerano improvvise inanellando melodie grondanti note e i ritornelli da intonare a gran voce, già le due canzoni d'apertura "Last Words" e "Perfect World" palesano quale sia la direzione mantenuta saldamente dalla band che con "Condemned Stranger" innalza nel vero senso della parola la bandiera pirata e "Pile Of Skulls" diverrà più di un elementare punto di riferimento.
Per chi avesse memoria del capitolo precedente "Stormhunter", ricordare fra le hit di quel platter "Knights Of Metal (Part II)" non sarà cosa complicata, il pezzo era di quelli trascinanti, stranamente la cronologia non deve essere il loro forte dato che in "Crime And Punishment" vi troviamo la prima parte, il risultato è ciò che conta, la sua cavalcata conquista, voluttuosa e possente.
Di lì in poi si susseguono brani che fra un paio di alti e bassi infilano comunque delle belle "steccate", "Reality Fatality", "Robot Age" e "Unholy Seed" infatti pur non avendo carenze particolari non godono dello stesso stato di grazia di altri episodi, vedasi la successiva "Inner Demon" che inviterà più volte a scuotere con velocità e ritmo la testa, headbanging continuato!!!
Gli Stormhunter non si schiodano dal rimembrarci ciò che di buono ha prodotto la scena teutonica in passato e con l'ennesima doppietta indovinata posta in chiusura che vede avvicendarsi "The Final Battle", traccia storica del combo risalente all'uscita del demo "The First Battle" datato 2001 a cui è stata data nuova vita, e "Crime And Punishment", decise, esaltanti e fiere, il finale acquista un inaspettato crescendo che valorizza ulteriormente la prestazione.
E' un disco che si può amare e odiare, è impossibile non innamorarsi della capacità con cui i ragazzi tedeschi propongono il sound degli anni d'oro, è altrettanto vero che alcuni potranno pensare che sempre di "pasta e cocuzza" si tratta.
Se vi preme ascoltare buona musica e non avete voglia di farvi troppe seghe mentali su chi, come e perché si possa ricavare una derivazione da questo o quello, gli Stormhunter e "Crime And Punishment" dovrebbero entrare nella vostra collezione senza troppi problemi.

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HEADLESS BEAST - Forced To Kill


Informazioni
Gruppo: Headless Beast
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/headlessbeast
Autore: Mourning

Tracklist
1. Black Rider
2. Riding With The Deadman
3. Deny The System
4. Burning Cross
5. Maniac
6. Dying Day
7. Mortal Fear
8. Evil Rules
9. Forbidden Intentions
10. Forced To Kill
11. Run For Your Life
12. Headless Beast

DURATA: 52:02

La tradizione heavy metal in Germania è di quelle che hanno lasciato il segno, inutile dire che da gente come gli Scorpions passando ai Running Wild arrivando sino ai mai troppo osannati Heavens Gate, la terra d'Alemannia di gioie ne ha sempre regalate parecchie non arrestandosi mai.
Sarà che soprattutto nell'ultima decade il revivalismo eighties è divenuto di portata colossale, sarà la voglia di mantenere le radici di un genere vive e vegete dato che i ragazzi che si avvicinano al mondo metal troppo spesso le saltano a piè pari (e c'è da fermarsi un attimo e chiedersi decisamente, perché?), scegliete voi quale sia il motivo che possa aver scatenato tale fenomeno, fatto sta che Stati Uniti ed Europa sembrano aver tacitamente firmato un accordo per ridare splendore all'heavy, fra le miriadi di label e di band che danno il loro contributo a tale opera ci sono anche gli Headless Beast.
Il combo proveniente da Ulm è attivo ormai da oltre una decade e dopo aver rilasciato un ep nel 2004 ("Never Too late") è solo in questo 2011 che giunge al debutto ufficiale con il full intitolato "Forced To Kill".
Quello che mi ritrovo fra le mani è un disco totalmente autoprodotto, curato in tutti i dettagli, con il booklet corposo in cui oltre ai testi incrocerete un'immagine per pagine ricostruente la storia del "Cavaliere Senza Testa" (chi non ricorda la leggenda di "Sleepy Hollow" cinematograficamente prodotta da Tim Burton?), l'atmosfera tetra delle facciate verrà riversata interamente nelle note che da lì a poco farò girare nello stereo.
"Forced To Kill" è un cd bastardo, un incrocio fra la NWOBHM di gente come Priest e Saxon, l'intraprendenza dei Running Wild e il taglio nel riffing degli Scorpions, con questa premessa potete tranquillamente arrivare alla conclusione che all'interno del platter di fughe power oriented o soluzioni catchy moderne non ne troverete, sarete proiettati in una dimensione affine al modo d'impostare e vivere l'heavy di una trentina d'anni fa.
Il platter è una roccia con una durata di cinquanta e rotti minuti, è dotato di una muscolarità trainante che già delle prime pulsioni espresse nell'opener "Black Rider", possedente un paio di riff che affettano, vi diverrà familiare.
Ogni brano presente in tracklist ha il suo perché e avrà quindi modo di attirare la vostra attenzione, "Riding With The Deadman" dal ritornello che t'invita a cantare con sè, "Burning Cross" che pone l'accento sui crimini commessi dal Ku Klux Klan, il mid tempo possente dall'incipit acustico di "Dying Day", l'accoppiata melodica e dal forte carisma composta da "Maniac" e "Evil Rules" e potrei continuare sino a giungere all'ultima in ordine di ascolto "Headless Beast" dove l'hard rock e i suoi anthem ci fanno visita.
La produzione è ben delineata, il suono della strumentazione si equilibra alla grande con l'impatto vocale del cantante Christian Bonacker autore di una prova quasi da incorniciare.
Se per avere fra le mani lavori come "Forced To Kill" si deve pazientare una decade ben venga, è una botta di vita che sale ascolto dopo ascolto e che consiglio di far propria agli amanti delle sonorità più classiche, augurandomi non passino altri dieci lunghi anni prima di vedere un successore.

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BLUEVILLE - Butterfly Blues


Informazioni
Gruppo: Blueville
Anno: 2011
Etichetta: Tanzan Music
Contatti: www.myspace.com/bluevillemusic
Autore: Mourning

Tracklist
1. When I Ring The Bell
2. Love Letters In My Guitar Case
3. Misery
4. The Blues Is Mine
5. Rosemary Lane
6. Indian Road
7. Every Year Of Your Life
8. Little Town Man
9. Blues From The Edge Of Town
10. Sorry Baby
11. Low And Slow
12. Turning Blue
13. Talking' Bout My Baby
14. Blues Generation
15. Butterfly Blues

DURATA: 1:13:20

Marco Tansini e Mario Percudani disconoscono l'affermazione "prendersi una pausa", i due artisti nostrani trovano sempre il modo di sfruttare le loro abilità, è il debutto dei Blueville, formazione di stampo blues, a vederli stavolta coinvolti.
"Butterfly Blues" è un piacevolissimo album da club, un disco che sembra volere un piccolo locale con i tavoli adiacenti al palco e attendendo che la band inizi a suonare l'assunzione di una dose inebriante d'alcol per mettersi a proprio agio e quella nuvola grigia sottile di fumo che crea atmosfera e poi lei, la musica che si fa strada fatta di note frequentemente dolciastre e melancoliche, velate di tristezza ma che al tempo stesso possono rivelare una gioia candidamente nascosta.
La proposta è di quelle che pur acquisendo la linfa vitale dal carattere artistico degli autori rimane ancorata alla tradizione del sound che dagli anni Sessanta a oggi ha accompagnato e tenuto per mano migliaia (o forse sarebbe più adatto dire milioni) di ascoltatori, il cantato emotivo che vede coinvolto la voce primaria di Percudani, di volta in volta coadiuvato da una guest femminile e da Tansini in "Butterfly Blues" o da una corale come avviene in "Every Year Of Our Life" nella quale vi è la partecipazione oltre che di Sherrita Duran anche del New Sisters Choir, è di sicuro una delle cose che al primissimo "on air" rimangono dentro.
C'è una varietà espressiva che permette a ogni brano di risultare differente e personale, l'impronta da chi accorre in supporto è utile e lascia il segno.
Con l'aumentare dei giri nello stereo si può poi decidere quali siano le movenze più adatte alla vostra persona, se sia più adeguato al vostro modo d'intendere lo stile la felina e felpata "Rosemary Lane" che mentalmente mi ha ricordato qualcosa di Sergio Cammariere, desiderare di riprendere più volte i capitoli lievemente più vivaci quali potrebbero essere "When I Ring The Bell", "Little Town Man" e Talking 'Bout My Baby" o intraprendere un viaggio solitario sulla "Indian Road" (in cui echi dei Dire Straits mi hanno sfiorato l'orecchio e quanto ho goduto con l'assolo con quel wah wah così ben presente).
E' un lavoro che seduce con naturalezza, che pur estendendosi oltre l'ora complessiva di durata risulta altamente fruibile e alla portata anche di chi non è un abituè di tale sound, una compagnia che rilassa, accarezza e rifocilla a esempio dopo una giornata di stress e che potrebbe essere utile in qualsiasi caso abbiate bisogno di scaricare le tensioni legate alla routine.
Si potrebbe parlare di tanti altri punti, dilungarsi sul perché la produzione manchi forse di quel graffio un po' più sporco che avrebbe intensificato quella sensazione retrò che magari avrebbe potuto incidere piacevolmente sui pezzi ma onestamente lo ritengo poco utile.
"Butterfly Blues" nel momento in cui è chiamato in causa ti entra dentro, si fa un bel giro sino ad arrivarti al "motore" e lo mette in moto, non c'è nulla di più che si possa richiedere a un album e non c'è tecnica o soluzione artificiosa che possa sostituire la capacità di far vibrare l'anima, in più frangenti il combo vi riesce, se non è una vittoria questa?
Consigliato a chiunque voglia ascoltare della buona musica.

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HOUSTON! - Mechanical Sunshine

Informazioni
Gruppo: Houston!
Anno: 2011
Etichetta: Tanzan Music
Contatti: www.myspace.com/houstonband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Shine Of The Rusty Gear
2. Planet Terror
3. Anghell Clown
4. Let Me Shout
5. Mechanical Breath
6. Black Rose
7. One Day
8. Generation '09
9. Velvet Pressure
10. Truth About Me
11. Sick Sex Six
12. Swedish Baby Looks Like A Star
13. Cold
14. Dragula

DURATA: 46:50

Si può dare in pasto ai leoni famelici di musica da classifica musica buona che non faccia loro collassare quei pochi neuroni che hanno nel cervello? La risposta è sì.
Esistono delle band che pur muovendosi in ambito rock/alternative/metal riescono a convogliare nella loro proposta una gran quantità di soluzioni dal piglio estremamente catchy e da sbattimento non caricando di una muscolarità sin troppo spessa il sound, questo da loro il vantaggio di avere un ventaglio in più d'ascoltatori a cui potersi rivolgere.
Non conosco il primo album dei nostrani Houston!, ho però avuto occasione tramite la Tanzan Music, attiva come sempre e più che mai, d'ascoltare il secondo capitolo prodotto in questo 2011 intitolato "Mechanical Sunshine", un lavoro ben riuscito, capace di shakerare soluzioni rock, mansoniane, un pizzico di elettronica, atmosfere a tratti gotiche e una devozione ma non sottomissione per l'attitudine al ritornello da canticchiare che lo rende apprezzabile e affrontabile anche da chi non è abituato a sonorità che non vadano oltre il "bubblegum pop" o il tunz tunz della "disco" odierna.
Il territorio solcato dai brani ha un occhio di riguardo per le melodie, il riffing inanella passaggi mai troppo complicati basandosi sulla sicura presa di un complesso strumentale che si sorregge grazie alla coesione delle basi e allo sviluppo delle scelte opzionali varianti di canzone in canzone che forniscono quella dinamica incostante e intrigante che permette a "Mechanical Sunshine" di non appiattirsi fluendo vivacemente sia nei momenti in cui è a esempio il nu metal a reggere le sorti del platter ("Planet Terror"), quando l'ambientazione nervosa si pennella di tonalità più dure e ingrigite ("Black Rose"), quando accenna a fare il verso a certe soluzioni industrialoidi ("Generation '09") più leggere decisamente ma che potrebbero comunque portare alla mente i Deathstars, nell'attimo in cui è l'additivo groovy a guadagnare punti ("Sick Sex Six" e "Swedish Baby Looks Like A Star") o nel decidere di inserire la ballad che rilassa gli animi ("Cold") prima del tributo a chiusura del disco.
Il platter si snoda, si anima, agita e scuote concludendosi con un omaggio a un artista stravagante e rispettato dal mondo "nerd" (lo ripeto per la millionesima volta, tale termine è per alcuni un vanto, ce ne fossero di nerd come quelli che hanno dato vita alle opera musicali, fumettistiche e cinematografiche che amiamo), parlo di quel Rob Zombie che conosciamo non solo in veste di musicista.
Con "Dragula", uno dei brani più celebri e contenuto nel debutto da solista, "Hellbilly Deluxe", gli Houston! pongono la parola fine su "Mechanical Sunshine".
Non so quante e quali direzioni vogliano ancora esplorare questi ragazzi, so per certo che in Italia gruppi come Rammstein, lo stesso Rob Zombie e creature nu- metal che vanno dagli Evanescence ad artisti più controversi e che hanno mutato nel corso degli anni il loro approccio sonoro come Korn e Manson hanno da sempre avuto dei buonissimi riscontri dall'unica critica che conta realmente, quella di chi compra i dischi, non vedo quindi il motivo per cui gli Houston! debbano passare inosservati alle vostre orecchie.
Che questo "Mechanical Sunshine" sia solo il crocevia per un'ulteriore evoluzione? Vedremo.

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POLKADOT CADAVER - Sex Offender


Informazioni
Gruppo: Polkadot Cadaver
Anno: 2011
Etichetta: Rotten Records
Contatti: www.myspace.com/polkadotcadaver
Autore: Mourning

Tracklist
1. Opus Dei
2. Seagrave
3. Bloodsucker
4. Starlight Requiem
5. Stronger Than Weak
6. Slaughterhouse Striptease
7. Sex Offender
8. Cake & Eat It Too
9. Mongoloid
10. Forever And A Day

DURATA: 41:56

Non so in quanti ricordino i Dog Fashion Disco eppure la band era una di quelle che nel panorama alternative riusciva per molti (compreso il sottoscritto) a tenere testa in più di un'occasione a molti grazie alla bravura di un cantante capace di sfiorare le vette raggiunte da un genio assoluto, parlo di quel Mike Patton che farebbe diventare oro anche una misera canzonetta pop.
I Polkadot Cadaver sono in pratica la reincarnazione di quel progetto, due/terzi della formazione sono infatti provenienti da lì, vi sono all'interno l'eclettico e sballato singer Todd Smith e il chitarrista maniaco dell'elettronica Jasan Stepp a cui si è unito il bassista Dave Cullen (Army Of Me).
Con il primo album "Purgatory Dance Party" avevamo ritrovato una creatura esaltata, folle nell'esporre e nel contaminare le proprie basi con qualsiasi cosa le passasse per la testa, sono passati quasi quattro anni, sapranno bissare quella buonissima prestazione? Anche stavolta purtroppo la risposta è un nì.
Partiamo dal fatto che non è cosa semplice convivere con una visione così sfaccettata e malata del mondo musicale riuscendo costantemente a immetterle nuova linfa vitale, certo che se le composizioni pur mantenendo un'alta qualità espessiva e sfruttando una fruibilità in alcuni passaggi tendente al "popular", che dovrebbero aumentarne il piglio in termini di approcciabilità (usare il termine commerciale striderebbe con tutte le visioni possibili di tale parola collegata alla loro musica) senza per questo svendersi, perdono un po' di quell'appeal istintivo e schizoide che le rendeva maggiormente intriganti, forse la maturità non è il traguardo adatto a gente come loro, meglio tornare un po' fottutamente disinquadrati.
Con questo non posso assolutamente dire che "Sex Offender" sia un disco da sottovalutare, sarebbe stupido anche il solo pensarlo, il trio è di quelli che di assi nella manica ne possiede tanti e li sa sfruttare, si nota però come la tracklist sembri essere divisa in tronconi lasciando alcune canzoni libere.
Volete la zona più rock e dolciastra allora "Seagrave" e "Bloodsucker" ve la servono su un piatto d'argento, l'angolo della nostalgia è rappresentato da "Starlight Reguiem" e "Slaughterbox Striptease", belle, si lasciano ascoltare ma rimane l'amaro in bocca, cosa manca? Quel quid, quella trovata inaspettata che ti spiazza, con quella sarebbero state degne magari di entrare a far parte del debutto.
Non so quale sia stato il motivo che li abbia portati a ritrarre gli artigli, fatto sta che "Sex Offender" e "Cake & Eat It Too", quest'ultima forse sin troppo melodica anche se la botta riesce a sferrarla comunque, portano punti a casa e ciò che rimane è un lieve retrogusto amaro in bocca che ti fa pensare "potevano fare sicuramente di più".
L'acustica apertura di "Opus Dei", una "Mongoloid" che colpisce e una "Forever And Day" conclusiva che a dirla tutta è sin troppo Faith No More tanto che in alcuni punti sembrerebbe proprio uscita da un album come "King For A Day" non bastano a colmare tale seppur piccolo senso di mancante.
I Polkadot Cadaver si confermano come una band di buonissimo livello, in tanti ci aspettavamo la staccata successiva con il "gioiello" definitivo e magari siam rimasti un po' così, frastornati da un leggero passo indietro (fossero tutti così i dischi che scendono lievemente di livello, avrei bisogno di dodici garage per contenerli) che spiazza.
L'unico dubbio reale che mi è continuato a rimbalzare ascolto dopo ascolto è legato a questa strada intrapresa che vede una minor presenza della componente elettronica ed effettistica quasi relegata in un cantuccio rispetto al recente passato, mi auguro sia solo una fase di passaggio e che il futuro ci regali nuovamente picchi di genialità schizoide anche sotto tale aspetto.
Non posso comunque esimermi dal consigliare l'ascolto di "Sex Offender" a chi ha amato il primo album, in fin dei conti sono sempre loro e troveranno la maniera adeguata per sedurvi e compiacervi.

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SAMAVAYO - Cosmic Knockout


Informazioni
Gruppo: Samavayo
Anno: 2011
Etichetta: Setalight
Contatti: www.myspace.com/samavayo
Autore: Mourning

Tracklist
1. Cosmic Storm
2. Payback
3. Turnin’ / Burnin'
4. Jam I
5. Give A Fuck
6. Insanity
7. Jam II
8. Pillow On My Face
9. Count 2 3
10. Universe
11. Jam III
12. A Song For No One
13. In The End We Fall
14. Jam IV
15. Alive
16. My Only Friend

DURATA: 54:11

I Samavayo sono una band matura, i Samavayo sono in attività da oltre una decade, hanno suonato live un gran numero di date, sono giunti al terzo disco e hanno in discografia anche quattro ep, i Samavayo possono davvero fare il botto e sfondare.
Perché questa introduzione? I berlinesi sono una di quelle formazioni che c'hanno abituato bene sin dagli inizi, il loro è un rock di estrazione seventies contaminato dalle correnti più moderne anni Novanta (grunge) e rifiniture e qualcosa in più ricollegabili ad act quali Queens Of The Stone Age (Homme è un maestro del creare musica di qualità che venda) e Foo Fighters (sperando invece non prendano la piega moscissima di quest'ultimi).
Con il terzo album "Cosmic Knock Out" mi hanno trasmesso chiaramente l'idea di esser giunti a un bivio che rappresenta da un lato la maturità acquisita e la possibilità di continuare a perseguire la strada alternative che ha sinora regalato loro più di una soddisfazione o dall'altro l'occasione di farsi condurre per mano verso le classifiche con in futuro un ennesimo snellimento e alleggerimento del sound, cosa che personalmente mi fa un po' preoccupare.
Le sedici tracce del platter sono stratificate in modo da accontentare un po' tutti, sì perché pur essendo un lavoro ricco di hit altamente radiofoniche sin dall'accoppiata posta in apertura che vede susseguirsi "Cosmic Storm" (che cita le Hole di "Celebrity Skin"?) e "Payback", che piazzerà altri papabili singoli quali "Give A Fuck" e la melodica "Count 23", li preferisco onestamente in brani più spiazzanti come "Turnin’ / Burnin’", che accelerano in stile "Pillow On My Face", che rilasciano insieme a una dose di psichedelia anche una discreta adrenalina vedasi "Universe" o puntanti sull'intimità apparente alla maniera di "Song For No One" pronta a esplodere quando meno uno se l'aspetti riquietandosi nell'attimo a seguire.
E' una prova che mostra le facce di una realtà che ha capito come si possa dare sfogo alla propria vena artistica stando all'interno dei due territori (alternativo e commerciale) senza sputtanarsi (almeno per ora e mi auguro non lo facciano in futuro).
Consiglio l'ascolto di "Cosmic Knockout" sia ai navigati fruitori del mondo rock, sia a chi non è avvezzo a tali sonorità in quanto la raccolta di atmosfere e sensazioni garantite dai Samavayo potrebbe aggradare l'udito di entrambe le schiere di amanti della musica, l'importante in ogni caso è farlo, c'è di che nutrire le vostre orecchie.

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VULTURE INDUSTRIES - The Dystopia Journals


Informazioni
Gruppo: Vulture Industries
Anno: 2007
Etichetta: Dark Essence Records
Contatti: www.myspace.com/vultureindustries
Autore: Advent

Tracklist
1. Pills Of Conformity
2. Blood Don't Flow Streamlined
3. A Path Of Infamy
4. Soulcage
5. The Benevolent Pawn
6. The Crumbling Realm
7. To Sever The Hand Of Corruption
8. Grim Apparitions

DURATA: 44:04

Questa volta non proponiamo una recente uscita, i Vulture Industries hanno rilasciato un album l’anno scorso ma parleremo del loro precedente full-lenght "The Dystopia Journals". Le cose che vengono in mente dopo avere messo nel lettore questa produzione sono tutte positive, si tratta di puro avant-garde metal, teatrale, armonioso, pieno di vita. I norvegesi non sono musicisti che dedicano anima e corpo solo al black metal, niente Emperor, Mayhem o Immortal, siamo lontani anche dallo sperimentalismo degli Ulver. Si nota piuttosto una certa continuità con lo stile degli Arcturus (da poco resuscitati, ndr) e dei Borknagar, band che hanno in comune il competente cantante e musicista ICS Vortex, nome d’arte di Simen Hestnæs. Molte altre analogie si sentono con gli Age Of Silence, ma i Vulture Industries non sono assolutamente una band clone di altre, dimostrano una creatività immensa, davvero. L’abilità con la quale passano da un tempo all’altro, in totale sicurezza, senza il benché minimo difetto, tenendo l’atmosfera in una costante mutazione, è straordinaria. Parti pulite e sporche della voce rendono in maniera spettacolare un comparto strumentale eccellente, sempre versatile. "The Dystopia Journals" è un'ottima prova per dei coscienziosi musicisti che hanno capito al meglio il modo in cui vogliono suonare metal. Il mio consiglio è questo: godeteveli se siete appassionati del genere, anche se credete di non esserlo ascoltateli. Le sorprese sono sempre gradite, giusto?

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CHTHONIC - Takasago Army


Informazioni
Gruppo: Chthonic
Anno: 2011
Etichetta: Spinefarm Records
Contatti: www.myspace.com/chthonictw
Autore: Insanity

Tracklist
1. The Island
2. Legacy Of The Seediq
3. Takao
4. Oceanquake
5. Southern Cross
6. Kaoru
7. Broken Jade
8. Root Regeneration
9. Mahakala
10. Quell The Souls In Sing Ling Temple

DURATA: 40:37

Si sono guadagnati ormai una certa fama i Chthonic, la band di Taiwan è arrivata al sesto album e questo "Takasago Army" chiude la trilogia iniziata con "Seediq Bale" e proseguita con "Mirror Of Retribution". Il disco ha come tematica portante l'esercito di volontari provenienti dall'isola che nella Seconda Guerra Mondiale si schierò a fianco del Giappone.
È ormai chiaro che il combo asiatico abbia abbandonato il Black Metal per passare ad un Death melodico catchy ma non troppo originale, già dal disco precedente ce ne eravamo accorti; la differenza in questo lavoro è che la dose di folklore è aumentata, si sentono spesso strumenti quali il koto ed ovviamente l'erhu, mentre i riff saltano continuamente dall'oriente (il finale di "Quell The Souls In Sing Ling Temple" sembra uscito da una band J-Rock) all'occidente (l'assolo di "Oceanquake"). Si sente una maggiore epicità nel sound: la seconda parte della già citata "Takao" con quel canto tipico e il finale di "Broken Jade" ne sono ottimi esempi; i riff in generale insieme alle tastiere danno questa sensazione, come in "Kaoru" che vede tra l'altro la partecipazione di Chan Yia Wen. A livello compositivo lo stile è riconoscibilissimo, alcune melodie sembrano uscite da "9th Empyrean" e adattate al nuovo stile e il lato Folk è perfettamente integrato con quello prettamente Metal.
Non nego che per i miei gusti si avvicini di molto alla perfezione, erano anni che cercavo un album del genere, ma dato che questa dovrebbe essere una recensione e non un temino di seconda elementare è inutile negare che qualche difettuccio qua e là si trovi. La performance del vocalist non è certamente la migliore che abbia sentito, il singolo "Takao" mostra come lo scream sia indebolito rispetto al passato mentre il growl è più che buono. Scordiamoci anche le tastiere che fecero grande "Seediq Bale", come nel disco precedente non hanno suoni particolarmente esaltanti, è davvero un peccato dato che CJ ci sa fare e a livello esecutivo non c'è nulla da rimproverare; stesso discorso per la voce di Doris, non è più usata come una volta: non che questo sia per forza un difetto, ma chi ha amato il passato della band per questo elemento probabilmente ne rimarrà deluso.
L'album in sè è buono, superiore al precedente che soffriva di un cambiamento troppo frettoloso; ormai hanno aggiustato il tiro da questo punto di vista, rimane ancora una certa derivatività che penalizza il risultato ma c'è anche da dire che il Death Melodico ultimamente non sia proprio saturo di band originali, in questo caso le parti Folk potrebbero fare la differenza. Chi è alla ricerca di Metal estremo unito al folklore orientale potrebbe trovare qualcosa di molto gradevole in "Takasago Army", per il resto non è un disco fondamentale ma un ascolto non glielo si nega.

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KOZA NOZTRA - Tragedia Della Follia In Un Supermercato Dell'Hinterland [rough mix]


Informazioni
Gruppo: Koza Noztra
Titolo: Tragedia Della Follia In Un Supermercato Dell'Hinterland [rough mix]
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: kozanoztra.net - facebook.com/pages/Koza-Noztra/131492624607
Autore: M1

Tracklist
1. Prologo: Alba Del Nuovo Giorno
2. Hercules
3. L'Angelo Vendicatore
4. Cemento Armato
5. L'Inferno Verrà
6. Non Sono Cazzi Miei
7. Gli Affari Sono Affari
8. Arrivano Gli Sciacalli
9. L'Onorevole
10. Sabato Pomeriggio 17:45 / Nero
11: Epilogo: Tragedia Della Follia In Un Supermercato Dell'Hinterland

DURATA: 41:42

A distanza di qualche tempo torno a parlarvi degli irriverenti Koza Noztra col loro carico di heavy metal trascinante e linguaggio sboccato. Il promo digitale in mio possesso è un'anteprima, una versione grezza di quello che sarà il mix finale del secondo album per cui mi è impossibile esprimere un giudizio sulla qualità dei suoni e sulle scelte relative.

Rispetto al disco precedente "Tragedia Della Follia In Un Supermercato Dell'Hinterland" presenta la novità di una intro ed una outro che delineano una sorta di concept, anzi più precisamente di cornice narrativa, dal finale tutt'altro che lieto. La musica si è fatta leggermente più elaborata e meno diretta, è necessario qualche ascolto in più per metabolizzare dei pezzi che godono di una prova strumentale migliorata.

Per il resto abbiamo ancora brani serratissimi e che trascinano come "Hercules", metriche che si abbinano perfettamente al comparto sonoro ("Cemento Armato"), quel contrasto tra tragicità degli eventi narrati e tono "scanzonato" dell'Onorevole e un omaggio alle radici rock della band ("Gli Affari Sono Affari"). Due pezzi infine riprendono il mood a metà fra malinconico e "schizzato" di "Noia Da Morire" (sesta in scaletta di "Koza Noztra") nonchè la struttura elaborata: "L'Inferno Che Verrà" e "Sabato Pomeriggio 17.45".

Le tematiche invece affrontano temi quali le droghe "di stato", la cementificazione, lo sciacallaggio durante le tragedie e il malaffare politico. Il tono utilizzato è sempre fortemente sarcastico.

Che altro aggiungere, i Koza Noztra proseguono dritti per la loro strada senza utilizzare scorciatoie o aiuti di sorta, restando la stessa band "scomoda" e "improponibile" di sempre... per fortuna!

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THE GRAND TRICK - Reminence Boulevard

Informazioni
Gruppo: The Grand Trick
Anno: 2011
Etichetta: Transubstans Records
Contatti: www.myspace.com/thegrandtrick
Autore: Mourning

Tracklist
1. Hitman Blues
2. Frequent Flyer
3. Face In The Moon
4. Rollercoaster Ride
5. Eraserhead
6. Daddy Mc The Knife
7. The River Queen
8. When Is Your Hell
9. Dog On A Leash
10. Reminence Boulevard

DURATA: 57:30

Il rock non muore mai, continuo a chiedermi ancora dopo una vita che ascolto musica come certi metallari riescano a non apprezzare le radici del proprio sound, è un mistero senza soluzione e in cui l'apertura mentale o meno c'entra davvero poco.
Fatto sta che le lande scandinave, zone conosciutissime proprio per le loro legioni metalliche, siano da sempre anche ottime fornitrici di band rock, stoner e chi più ne ha ne metta.
Ultimo in ordine di tempo, fra i miei "on air" sono inciampato sul disco dei The Grand Trick intitolato "Reminence Boulevard", un lavoro vintage nell'animo quanto nell'impostazione di un sound che se non sapessi con certezza che siamo nel 2011 indicherei come prodotto sul finire degli anni Sessanta, inizio Settanta.
Artisti del calibro di Deep Purple, Grandfunk Railrod, ZZ Top, The Allman Brothers si fondono, le note, i ritmi, il modo in cui l'organo, che se non erro è un Hammond, trova gli spazi per presenziare non solo in fase d'accompagnamento riportano a galla emozioni e vissuto d'altra epoca.
Il blues più accattivante e sfrontato si scontra con le classiche atmosfere tinte di southern e brani quali l'opener "Hitman Blues", "Rollercoaster Ride" e "When Is Your Hell" sciolgono i ghiacci delle terre del nord portando con sè un bel retrogusto di whisky e calura del sud.
Per il groove possiamo tranquillamente spostarci e metter su un'altra buona manciata di tracce che lo assorbono, masticano e rigettano sull'ascoltatore con il dovuto piglio e carattere, di sicuro "Face In The Moon", "Eraserhead" e "The River Queen" sotto questo punto di vista se la giocano alla grande.
Un disco onesto, genuino, senza troppi grilli per la testa quello dei The Gran Trick, la voce del cantante Robert Cunningham (ormai ex singer sostituito da Johan Hallendorff) in più di una variante assume forma tendente alla citazione Motorhead, sì il vecchio e inimitabile Lemmy viene a farci visita anche in quest'occasione, insieme alle canzoni che ti fanno sognare d'essere su una bella autostrada deserta sulla quale poter sfrecciare libero.
I ragazzi non hanno nè sentono il bisogno d'inventare alcunché per svolgere e fornire l'apporto richiesto per dare alla luce il "compito": portare in casa vostra buona musica.
Vi troviate quindi in Alabama, Tennessee, Louisiana o come in questo caso in compagnia di un'allegra band di svedesi, poco cambia, se ciò che andate cercando rientra nelle coordinate sonore descritte in "Reminence Boulevard", un paio e più di giri nel lettore non glieli toglie proprio nessuno.

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SOUTHELL - Alcohol Fueled, Weed Inspired


Informazioni
Gruppo: Southell
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/southellband - www.reverbnation.com/southell
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Weedlust
2. Overtaken
3. Drowned
4. Straight On
5. Mind Trip
6. The Lie

DURATA: 40:01

I Southell sono un gruppo di Ancona che giunge quest'anno al proprio debutto con l'EP "Alcohol Fueled, Weed Inspired".
Il sound proposto dal combo è la più chiara rappresentazione di ciò che viene denominato Southern Metal. L'influenza preponderante è senza dubbio quella di band come Alabama Thunderpussy e Down; gli ultimi citati, in particolar modo, vengono evocati prepotentemente in "Weedlust" e "Drowned", complice anche l'ottima voce di Strona che non nasconde di certo una ripresa dello stile più grezzo del buon vecchio Phil Anselmo.
Anche in "Overtaken" è presente senza dubbio il marchio dei Down, ma questo pezzo viene altresì condito da momenti più cadenzati costruiti su divagazioni dai piacevolissimi risvolti bluesy. E a questo proposito non può non essere citata la trascinante e scanzonata "Straight On" in cui si insinua una fortissima influenza Blues assolutamente meravigliosa e coniugata ad una personalità Southern Rock che si manifesta in tutto il suo splendore grazie all'inaspettato intervento dell'armonica.
Evidentemete la pulsione sudista è ben radicata nel cuore e nelle passioni di questi ragazzi, i quali dimostrano, con "Mind Trip", di aver assimilato la lezione dei Lynyrd Skynyrd nonostante essa venga sapientemente appesantita dal lato puramente metallico del genere.
Ai Southell però non piace essere statici: per chiudere il platter si avvalgono quindi di "The Lie", una lunga composizione il cui finale non è null'altro che una notevole digressione psichedelica in cui il basso si eleva a protagonista, lasciando che l'album sfumi così e dando il colpo di grazia finale alle poche speranze che le nostre cellule cerebrali avevano di rimanere incolumi.
Il quintetto marchigiano ha sfoderato un disco solido e compatto, tanto dal punto di vista della mera preparazione tecnica quanto sotto l'aspetto della trasmissione di feeling.
Non posso fare altro che complimentarmi con i Southell e sperare di poter sentire nel prossimo futuro una prova full che, se seguirà le medesime coordinate di "Alcohol Fueled, Weed Inspired", non potrà che essere una bomba.
Nel frattempo consiglio a chiunque possa averne l'opportunità di vederseli dal vivo perchè se sul palco la grinta trasmessa è la stessa dispensata su disco, lo spettacolo è garantito. Allo stesso modo consiglio a chi ama il genere di entrare in contatto con la proposta dei Southell, non ve ne pentirete!

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PHARAOH - Ten Years


Informazioni
Gruppo: Pharaoh
Anno: 2011
Etichetta: Cruz Del Sur
Contatti: www.myspace.com/pharaohmetal
Autore: Mourning

Tracklist
1. Ten Years
2. When We Fly
3. White Light
4. Reflection And The Inevitable Future
5. Nothing I Can Say
6. Tormentor

DURATA: 26:00

I Pharaoh sono una di quelle creature bistrattate dalla masse e il perché sono anni che cerco di spiegarmelo.
La formazione di Philadelphia che vede Tim Aymar dietro al microfono (per chi non lo sapesse è il singer dei Control Denied di "The Fragile Art Of Existence"), accompagnato in quest'avventura ormai da anni da musicisti di tutto rispetto vedasi Chris Black e Matt Johnsen conosciuti con i Dawnbringer, e il primo citato anche in quanto ex Nachtmystium, e dal bassista Chris Kerns, vanta tre dischi di buonissima fattura e ha ormai oltre una decade di prolifica attività anche live.
Con "Ten Years", ep rilasciato tramite la nostrana Cruz Del Sur, ci offre un mini composto di ricordi e svago.
Le sei tracce in esso contenute sono infatti materiale non rilasciato del periodo "Be Gone" (2008), "Reflection And The Inevitable Future" e "Nothing I Can Say", due brani che vennero inseriti unicamente in un 7'', "Ten Years" e "When We Fly", e altrettante cover, "White Light" degli inglesi New Model Army e il classico metal degli Slayer "Tormentor", che sono state assorbite e rimodellate con l'animo e le venature più inclini allo sviluppo sonoro che meglio si addice ad Aymar e soci.
Il pregio di questo gruppo di musicisti è sempre stato quello di non seguire le linee guida che tanto fanno da traino nel mercato, la presenza di personaggi come Iron Maiden e Judas Priest è praticamente ridotta all'osso, il sound è sempre stato più moderno rispetto a molti loro colleghi sin dall' esordio avvenuto con "After The Fire" nel 2003, stesso discorso vale per il mood interno dei brani spesso e volentieri caratterizzato da una forma più scura e minacciosa in cui spicca l'operato in chiave di costruzione del riffing di Johnsen.
"Ten Years" non è sicuramente uno di quei prodotti che si possono ritenere fondamentali da possedere, è anche vero che se vi capitasse fra le mani un ascolto potreste darlo, se non conosceste i Pharaoh potrebbe scattare quella molla che vi permetterebbe di andare a ritroso scoprendo e godendo dei full sinora prodotti, coglietene l'occasione.

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MAJOR KONG - Orogenesis


Informazioni
Gruppo: Major Kong
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/majorkong666
Autore: Mourning

Tracklist
1. Witches On My Land
2. In For The Kong!
3. The Swamp Altar
4. Orogenesis

DURATA: 23:59

I Major Kong vengono da Lublino e in pratica sono la versione annerita della band madre, i Fifty Foot Woman.
La band polacca composta da Dominik Stachyra (basso), Pawel Zmarlak (batteria) e Michal Skula (chitarre) si allontana dai territori prettamente space e psichedelici dell'album "Fifty Foot Woman" che vedeva la presenza dell'ormai ex singer Grzegorz Tarnowski per rifugiarsi in un progetto decisamente più greve, ossessivo ed elementare nello sviluppo a titolo "Orogenesis" il cui animo è univocamente legato alla componente strumentale, zero linee vocali, tanta pressione e riff scuri da vendere.
Il sound è paludoso, fangoso, pensate alle formazioni più classicamente sludgy della zona sud degli States, di riferimenti e act da citare a collegamento con il sound proposto dai Major Kong ne troverete molti.
C'è da dire che i ventiquattro minuti volano scanditi da un pezzo classico che più classico non si può, lo stile doom che tanto ci piace assume forma in "Witches On My Land", cadenze severe e annerite vanno a scandire il dominio di "In For The Kong!, giri di stampo southern caratterizzano la rurale "The Swamp Altar" affidando alla titletrack il compito di portare a termine con il suo vortice nero un "Orogenesis" che piazza delle solide e fortificate basi per il futuro di questa nuova realtà.
Ben curato anche dal punto di vista della produzione, il lavoro dei Major Kong è una prestazione che potremmo definire ortodossa, si nutre con semplicità dei cardini esecutivi del doom/stoner/sludge riuscendo a non cadere nel riciclo di cliché suonati e incollati tanto per.
Non porterà linfa fresca a un mondo musicale ormai saturo ma qualitativamente fra i migliori in assoluto per il rapporto che segna un "più" costante fra release prodotte e qualità, è però un ascolto che chiunque segua la suddetta corrente non dovrebbe farsi scappare, indi teneteli d'occhio.
"Orogenesis" lo potete scaricare gratuitamente dal sito bandcamp dei Major Kong: http://majorkong.bandcamp.com/album/orogenesis

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MASTIPHAL - Parvzya


Informazioni
Gruppo: Mastiphal
Anno: 2011
Etichetta: Witching Hour Records
Contatti: www.myspace.com/mastiphalofficial
Autore: Mourning

Tracklist
1. Intro
2. The Wall Of Phantom
3. Under The Sign Of The Morning Star
4. May He Rot In Hell
5. Sovereign’s Return
6. Man Strikes God Falls
7. Nihil Esse
8. Parvzya
9. Chosen Obituaries
10. Triumph Of Destruction

DURATA: 38:23

E per la serie a volte ritornano anche i Mastiphal son stati riesumati. Ok di sicuro la band polacca non è di quelle fra le più conosciute, appartiene a una scena in continuo fermento e che la vide protagonista per un brevissimo periodo grazie all'uscita di un album, "For A Glory Of All Evil Spirits, Rise For Victory", che oltre alla classica feralità del black est-europeo metteva in risalto l'uso dei synth in maniera prominente per poi inabissarsi dal 1998 al 2009, anno in cui decisero di tornare in vita.
Della line-up che diede via nel 1992 al progetto sono rimasti in due, il cantante e bassista Flauros che molti ricorderanno anche nei Darzamat e Cymeris il chitarrista che più di uno ricorderà con lo pseudonimo di Hellbound usato nell'altro act in cui è protagonista, anch'esso tornato alla carica da poco, gli Iperyt.
La formazione si completa con le figure di Daamr alla chitarra, Opressor alla chitarra e al basso e Senator dietro le pelli.
Dopo la celebrazione tenutasi tramite la solita compilation per risvegliare l'interesse intorno alla realtà rilasciata nel 2009, "Damnatio Memoriae", è il turno adesso di un disco nuovo di pacca "Parvyza".
Immaginavo che i Mastiphal si adattassero alla corrente moderna del black che gode di buone produzioni e d'impatto a go go, quello che mi spiace è il fatto che ne siano rimasti assorbiti, si siano fatti inglobare da un processo evolutivo che con troppa velocità ha preso il sopravvento annullando quasi in toto la componente atmosferica che il lavoro dei synth produceva a valanga nel debutto riducendola a un mero orpello relegato nelle retrovie.
Il platter come ormai di frequente avviene offre momenti sparati in velocità ("The Wall Of Phantom" e "Man Strikes God Falls"), si diletta col groove ("Parvyza"), ci mostra con le dissonanze di provare a tirar fuori dal cilindro un piatto condito da un mood evocativo che è gustoso solo in parte ("Under The Sign Of The Morning Star") consegnandoci infine una restante schiera di canzoni gregarie pronte a immolarsi per portare l'ascoltatore dalla propria parte ma che in fin dei conti più di una stiracchiata sufficienza con tutto il buon cuore non se la meritano ad eccezione di una "May He Rot In Hell" che mi fa anche divertire sul momento.
I Necromorbus Studio la loro parte l'han fatta e si sente anche troppo, l'avevo accennato prima e lo ripeto adesso, non dico che le produzioni debbano essere lo-fi ma neanche asettiche.
Se voleste quindi una botta d'adrenalina che duri il tempo del giro nello stereo, "Parvyza" potrebbe anche smuovere il vostro interesse, potreste provare a rimetterlo su ogni sei mesi perché purtroppo due ascolti consecutivi già evidenzierebbero tutte le magagne che lo limitano riducendolo al ruolo di semplice prestazione comprimaria, peccato occasione buttata al vento.

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HRIZG - Inferno


Informazioni
Gruppo: Hrizg
Anno: 2011
Etichetta: Moribund Records
Contatti: www.myspace.com/hrizg
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Inferno I - The Awakening
2. Inferno II - To Yield Below The Frozen Sky
3. Inferno III - Shadowshield
4. Inferno IV - Ars Goetia
5. Inferno V - Conqueror Of This Wooden Abyss

DURATA: 27:35

La one-man band spagnola Hrizg è stata ospite sulle pagine del nostro sito nemmeno due mesi fa con il full "Anthems To Decrepitude. La creatività e l'ispirazione dell'omonimo mastermind del progetto sembrano essere in gran fermento in quanto, a brevissima distanza dal sopracitato album, viene rilasciato, sempre tramite la Moribund Records, l'Ep intitolato "Inferno".
Il nuovo capitolo di casa Hrizg presenta un sound più arricchito rispetto alla precedente uscita, un sound in cui la matrice arcana e rituale è stata notevolmente amplificata, merito anche di maggiori inserti melodici dai rimandi tipicamente svedesi.
Assolutamente contagiosa è la fierezza di pezzi come "The Awakening" e "To Yield Below The Frozen Sky", infarciti di arrangiamenti cupi e momenti atmosferici volutamente criptici ed evocativi. Questa forma sicuramente meno "raw" non va a discapito del fluire di sensazioni oscure; "Shadowshield" si avvale infatti di una malvagità primordiale e feroce fino al punto di conformarsi quasi come una vera e propria invocazione alle forze delle Tenebre, mentre la bellissima e doomica "Ars Goetia" acquisisce le sembianze di un'occulta forma liturgica, la più naturale espressione di un'anima nera.
La conclusiva "Conqueror Of This Wooden Abyss" è, come spesso accade, la summa di ciò che è stato presentato fino a quel momento. La venatura pagana è innalzata a vera e propria protagonista di una composizione intima ed evocativa, a tratti malinconica, un epilogo perfetto al viaggio infernale che Hrizg ha voluto farci vivere.
"Inferno" si colloca molto bene all'interno di un panorama Black Metal che, pur suonando inevitabilmente derivativo, vuole offrire violenza e atmosfere autentiche senza snaturare l'essenza intrinseca alla proposta nè tantomeno risultare forzato o artificioso.
Un Ep che è senza dubbio un prodotto valido per chiunque ami le sensazioni catacombali e oscure unite ad un efficace gusto melodico.
Sarete pronti a rispondere celermente alla chiamata dell'Abisso?

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