Informazioni
Gruppo: Grandine
Titolo: Accendi La Miccia Dei Tuoi Pensieri
Anno: 2001
Etichetta: Autoprodotto
Provenienza: Trento, Italia
Autore: Istrice
Tracklist
1. Intro
2. .../...
3. Dolore
4. Opposizione
5. Noi
6. Ribelle
7. Cancro
8. Curia
9. Outro
DURATA: 13:03
La durata di un disco non è generalmente il primo aspetto a cui si presta attenzione, è banalmente vero che un disco prog duri mediamente più di un disco heavy che a sua volta sarà mediamente più lungo di un disco punk. La riflessione diventa rilevante quando ci si trova a recensire un album che supera appena i dieci minuti, ed ancor più rilevante quando questo si rivela un'opera destinata a marcare indelebilmente un'intera scena musicale.
Il progetto Grandine nasce a Trento, capoluogo di una regione da sempre terreno fertile per l'HC più underground, ad inizio millennio, il quintetto, i cui membri già erano reduci da altre esperienze nel medesimo ambito, apprende e metabolizza gli insegnamenti di due decenni di HC italiano (Sottopressione e Skruigners gli ultimi in ordine cronologico) per poi offrirne una rilettura personale e moderna.
Pochi secondi di intro e la chitarra si inserisce come un rasoio, il basso ruvido dà ufficialmente il via alle danze.
Le ritmiche si fanno serrate, mentre Moggio urla con voce graffiante tutto il suo rancore verso il sistema. I testi sono naturalmente portatori di messaggi di denuncia sociale, contro la società che disumanizza, contro l'industria che distrugge il pianeta, contro la Chiesa che schiavizza, temi sicuramente non “originali”, ma trattati in modo non banale nè stucchevole, tenendo anzi sempre pulsante la vena dell'introspezione.
Il sound complessivo è tagliente, penetrante e distorto, merito della registrazione in presa diretta.
Per fare un paragone con l'ambito metal, visto che sul nostro sito si parla principalmente di questo, sembra di essere di fronte ad un piccolo "Nattens Madrigal" versione HC, con le dovute proporzioni si intende.
La tensione musicale e lirica non viene mai meno per tutta la breve durata del disco, i brani restano stampati a fuoco nella mente dell'ascoltatore, come “Dolore”, che mette in scena tutta la rabbia ed il disagio di un intero movimento additato dai potenti come quelli "da eliminare", ma che lottando riesce a trasformare questa debolezza in un punto di forza ("Il dolore che mi accompagna, la sua lama è la mia arma"), o come "Cancro", brano a sfondo ecologista, uno degli episodi più violenti che l'hc italiano abbia mai sfornato.
Resta un briciolo di rammarico per il repentino scioglimento della band (solo uno split ed un EP all'attivo oltre al full di cui stiamo parlando, quattordici brani totali in circa tre anni di attività), ma ciò non fa che aumentare l'impressione che "Accendi La Miccia" sia davvero un unicum, una piccola perla da custodire gelosamente.
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Gruppo: Breach
Titolo: Venom / Kollapse
Anno: 1999 - 2001
Provenienza: Svezia
Etichetta: Burning Heart Records
Contatti: www.burningheart.com/discography/index.php?bid=29
Autore: Advent
Tracklist "Venom"
1. Helldrivers
2. Murder
3. Gheeá
4. Heroine
5. Diablo
6. Common Day
7. Path Of Conscience
8. Game In Vain
9. Pleasuredome
10. Black Sabbath
11. Hell Is My Witness
12. Penetration
DURATA: 44:27
Tracklist "Kollapse"
1. Big Strong Boss
2. Old Ass Player
3. Sphincter Ani
4. Alarma
5. Lost Crew
6. Teeth Out
7. Breathing Dust
8. Mr. Marshall
9. Seven
10. Murder Kings And Killer Queens
11. Kollapse
DURATA: 48:08
Quando Freud chiese ad un bambino se preferisse il cioccolato o i giocattoli il furbetto gli rispose "Cioccolattoli!". Chiedermi di scegliere tra "Venom" e "Kollapse" è da persone sadiche, non risponderei A o B, farei il furbo. "Vellapse!".
 I Breach suonavano in una maniera tutta loro, è riduttivo dire che facessero post-hardcore, sludge metal. Prima che il post-hardcore fosse un genere con mille band di froci con i capelli piastrati cresciuti a pane, metalcore ed Alesana, scusate lo sfogo. Qualunque cosa fosse la loro musica è stata sempre di una durezza agghiacciante, ora alcuni ex membri hanno sviluppato sotto il monicker di Terra Tenebrosa il potenziale più claustrofobico prendendo tutta la pece nera e appiccicosa di "Venom" e "Kollapse" per incendiarla con una dose abbondante di napalm. Ma il fuoco era già divampato in "Diablo" ed "Hell Is My Witness"! Un fluire di tutti gli strumenti verso il pozzo incandescente che è "Venom", un album diretto che prende il lato violento dell’hardcore e sparato in faccia con un cannone, disperato, a senso unico, buono per allenarsi a ritmo di oscillazioni sludge. E’ un diamante grezzo ed episodi come "Black Sabbath" e "Game In Vein" fanno capire quanto sia spontaneo e genuino, crea emozioni trascinanti che i pochi fortunati che hanno la gioia di conoscere i Breach non vorrebbero mai abbandonare. Kollapse è meno oppressivo ma comunque una botta di devastazione, nemmeno la folle demenza vocale in "Mr. Marshall" solleva i toni malinconici della pesante strumentalità con la quale i Breach hanno avuto sempre un rapporto caldo ma buio. Un album dove viene dato respiro agli strumenti, mettendo la voce un po’ in secondo piano per far entrare tanto post-rock e un pizzico di psichedelia. I riff ancora duri ma è impiegata anche l’elettronica per creare una continuità tra l’atmosfera cupa e soffocante di "Venom" e "Kollapse". Una musica che continua a strisciare come un verme che buca la frutta e la sciupa, che in fondo diventa una crisalide e si trasforma in farfalla. Questa ascesa, metamorfosi verso la perfezione, ha inizio in "Venom" e si realizza al termine di "Kollapse". L’album TOTALE dei Breach, pieno, veramente maturo, con una produzione spettacolare che seppellisce Neurosis, Today Is The Day e quant’altro. "Kollapse" è la farfalla per intenderci. Perché quando vuole sa essere più sporco del predecessore ("Breathing Dust", "Old Ass Player") ma in fondo è riflessivo ("Seven", "Teeth Out").
La traccia "Kollapse" si tramuta in vera e propria esperienza. "Kollapse" è la vita all’interno di una bolla, una sala d’attesa dove mascheriamo le nostre paure con un’ostentata serenità anche se siamo colmi di ananke. E’ l’atmosfera tiepida e sconcertante del finale de "L’Aldilà" di Lucio Fulci. I giri di chitarra quando arrivano le ritmiche post-rock diventano cristallini, oscillano con una strana gaiezza che poi diverrà la norma per tutto il post-hardcore che andrà a nascere in quegli anni. I riff sdoppiati grattano leggeri un tappeto intessuto dal "Glockenspiel" (strumento che avreste dovuto già sentire ne "Il Flauto Magico" di Mozart o in "Little Wing" di Jimi Hendrix ) e si spengono nella pace.
Entrambi gli album nei rispettivi finali hanno stampate delle tracce di pura emotività. "Penetration" di Venom crea un’atmosfera da intima confessione per scaricare tutta la rabbia che possiede, "Kollapse" assume una linea più morbida che meglio si addice ad un album che prende molto post-rock e lo ingloba nel post-hardcore più personale del terzo millennio.
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Gruppo: Diabolicum
Titolo: The Dark Blood Rising (The Hatecrowned Retaliation)
Anno: 2001
Provenienza: Svezia
Etichetta: Code666
Contatti: www.myspace.com/diabolicumofficial
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. March Of The Misanthrophe
2. Heavens Die
3. ...
4. The Hatecrowned Retaliation
5. The War Tide (All Out Genocide)
6. The Dark Blood Rising
7. Sound The Horns Of Reprisal
8. Bloodspawn
9. The Song Of Suffering (Eleven Blades Of Darkness)
10. Into The Dementia
11. The Nemesis Speaks...
DURATA: 44:50
 Quando sento discutere e sproloquiare sull'interrogativo se il Male esista veramente oppure no, ciò che mi viene in mente all'istante è un nome: Diabolicum. La creatura svedese guidata principalmente da Sasrof è probabilmente ciò che farebbe ricredere chiunque fosse scettico sull'esistenza del Male vero e proprio.
A distanza di due anni dal devastante debutto "The Grandeur Of Hell (Soli Satanae Gloriam)" prende vita "The Dark Blood Rising (The Hatecrowned Retaliation)".
Il cammino di distruzione intrapreso da questa formazione non presenta un solo attimo di cedimento, ecco quindi che "March Of The Misanthrophe" non si perde in convenevoli e, grazie alla sua marzialità, risuona come un richiamo alle armi, il ventre della Terra si è squarciato, i vapori dell'Inferno iniziano a filtrare, la battaglia finale sta per cominciare.
Il compito di dare principio all'annientamento è affidato a "The Hatecrowned Retaliation"; la drum machine e le sfuriate elettroniche scandiscono il tempo di un assalto irresistibile alle fondamenta stesse del Cielo, assalto propiziato da "Heavens Die", un'invocazione a Moloch e Pazuzu, coloro che saranno i condottieri della suprema campagna contro tutto ciò che si fregia dell'aggettivo "sacro".
Le voci si fanno portatrici di un messaggio di morte e di sterminio, il riffing è una blasfemia ininterrotta, per usare le parole degli stessi Diabolicum: "a plutonium fist in the face of God".
"The War Tide (All Out Genocide)" e "The Dark Blood Rising" si qualificano come gli episodi più devastanti del platter, il culmine indiscusso in cui la potenza degli Inferi si scatena senza freni, l'elettronica (unita alle grida di terrore e agli assoli inaspettati che sembrano quasi improvvisati) è un incubo foriero di distruzione e le chitarre riversano sul campo di battaglia un quantitativo inimmaginabile di odio nero e caustico.
Vi sono momenti come "Bloodspawn" e "The Song Of Suffering (Eleven Blades Of Darkness)" in cui si manifesta maggiormente il carico evocativo che le venature Ambient e quasi avanguardistiche del gruppo portano sulle spalle... dimenticate però passaggi malinconici o intimi, qui c'è spazio soltanto per l'esaltazione e la devozione incondizionata nei confronti delle divinità che dominano la parte più oscura e fiammeggiante dell'Universo.
La caduta dell'ultima roccaforte celeste è celebrata da "Into The Dementia" in cui il sapore della vittoria sgorga incontrastato attraverso melodie sulfuree che infondono forza vitale all'odio e alla vendetta che permeano i cuori di chi si è schierato dalla parte di questi fedeli emissari del Diavolo.
La Geenna è stata finalmente riconquistata, il Caos e l'Inferno hanno posto il proprio sigillo su un mondo ormai completamente purgato e il tempio di Jahvé è un cumulo di macerie fumanti.
"The Dark Blood Rising (The Hatecrowned Retaliation)" è un album lacerante, oscuro e dall'anima totalmente maligna, probabilmente il punto più alto raggiunto dall'Industrial Black Metal.
Questo disco è Arte che brilla di luce propria, che innalza e glorifica il Verbo da cui è stato concepito.
Se ancora ci fosse chi si ostina a non riconoscere l'enorme potenziale che una proposta di questo tipo porta in grembo arroccandosi sulle proprie posizioni di insensata (e fasulla) intransigenza, beh... non posso che provare tanta pena.
Per chiunque invece sia in grado di andare oltre una visione ottusa e stereotipata e per chiunque sia alla ricerca di sonorità violente e talentuose a cui inginocchiarsi, l'acquisto di questo capolavoro è un obbligo.
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Gruppo: Gronibard
Anno: 2001
Etichetta: Bones Brigade
Contatti: www.myspace.com/gronibard
Autore: Leonard Z
Tracklist non disponibile
DURATA: 35:00
 Attenzione, se pensate che i Manowar siano dei grandi e non quattro pagliacci che vanno in giro vestiti con le mutande di pelo e pretendono di essere seri, non andate avanti nella lettura. Questa band non fa per voi.
"Questo cd contiene trentatré tracce di grindcore che ti spiegheranno come il vero amore salverà il nostro mondo"... e con queste parole, prese dal retro del cd dei Gronibard, vi vado a parlare di questa band di "happy grindcore" proveniente dalla Francia e autrice di trentacinque minuti di puro e semplice delirio sonoro.
Chiariamoci subito: anche qui, come con i nostrani Muculords, non aspettatevi testi seri e impegnati, tutt'altro, ma ugualmente non pensiate di trovarvi davanti uno dei centomila progettini porno-grind fatti in casa con la drum machine e la voce tipo scarico del cesso. Qui la band sa il fatto suo, i brani sono ben registrati in studio e le chitarre sono granitiche e incazzate. E' proprio il “tiro” il pezzo forte di questi francesi, che sparano pezzi da puro mosh condendoli con coretti con voce in falsetto, scambio di battute tra una voce growl ai limiti dell'inudibile e una che sembra quella di Pikachu, stacchetti con la chitarra acustica sorretta dalla batteria in blast beat. I testi? Premesso che non conosco il francese, credo non ci sia bisogno di tradurre cose come: "Pomme D'Anus", "Pacifuck (Force Anus)" e "Hemorroides Bucco-Dentaires". Sapete cosa aspettarvi: ironia a palate. In definitiva acquisto super consigliato se amate il grindcore e sapete che i validi musicisti possono nascondersi anche dietro a testi ridicoli e autoironici. Per tutti gli altri c'è l'ultimo dei Dimmu Borgir (con la solita copertina, le solite sparate sataniche finte fatte tanto per vendere ai ragazzini, i soliti trucchi ridicoli ma con loro assolutamente seri...).
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 Gruppo: Thorns Anno: 2001 Etichetta: Moonfog Productions Autore: Akh.
Tracklist 1. Existence 2. World Playground Deceit 3. Shifting Channels 4. Stellar Master Elite 5. Underneath The Universe I 6. Underneath The Universe II 7. Interface To God 8. Vortex
DURATA: 48:03
Tornano i Thorns, o meglio torna Snorre W. Ruch (alias Blackthorn), dato che ad eccezione di due super guest alle vocals come Satyr e Aldrahn, il nostro fa tutto da solo. Se avete a mente la sfortuna di Snorre e quanto la sua genialita' sia stata reclusa per punire una scena che oramai infuriava in Norvegia, potrete capire che la prima uscita ufficiale di questo personaggio era attesa con una certa aspettativa. Se lo split con gli Emperor ci consegnava un gruppo in piena sperimentazione, in questo full ci viene dato uno schiaffo in pieno viso, ritmiche spezzate e melodie contorte che non lesinano violenza cinica e fredda, vocals abrasive e indemoniate a tratti marziali che ben si amalgamano alla furia dei pezzi che vengono comunque straniti da samples dal gusto futurista e cosmico in cui la programmazione di una drum machine rende ancora piu' asettica, alienante e ferale la proposta musicale. Otto pezzi di una bellezza unica, in quanto qua si va oltre il BM, si va oltre tutto, qua si è in piena esplorazione musicale, si sfondano nuove frontiere, ponendo l'asta dell'estremismo sonoro qualche chilomentro piu' avanti. Un Aldrahn e un Satyr in grandissimo spolvero fanno vibrare i pezzi con un'anima nera, che ricollegata l'acidita' del riffing scuote l'ascoltatore che non puo' rimanere impassibile di fronte ad attacchi come "Stellar Master Elite" oppure all'iniziale "Existence" ma ogni traccia è indiscutibile, illuminandoci con cosmica ferocia e gelo. Anche nella conclusiva "Vortex", dove i ritmi rallentano e l'atmosfera diviene avvolgente, complice la prestazione vocale del superlativo Ruch, il disco continua ad affascinare aprendo ulteriori lidi ai Thorns per sperimentare in futuro.
Non un semplice disco, un Monolito a cui noi miseri scimmioni non possiamo che sottostare; volente o nolente il Genio è avanti anni luce! Capolavoro Assoluto!!!
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Informazioni
Gruppo: Isengard
Anno: 2001
Etichetta: Hemisphere Entertainment
Autore: Mourning
Tracklist
1. Dreamland
2. Coming Home
3. Legends
4. The Winds Of War
5. Stormcrow
6. Dragon Empire
7. Shadows Of Light
8. The Crownless Majesty
9. Armour Of Gods
10. Poltava
11. Eye Of The Storm
12. The Empire
DURATA: 47:26
Seppur il monicker potrebbe trarre in inganno non è di Fenriz e soci che si parla, i ragazzi in questione infatti sono svedesi e contemporanei alla realtà black norvegese.
E’ un power/speed dal tratto fortemente epico la proposta che ci troveremo ad ascoltare, richiami al primo periodo dei Blind Guardian e ai nostrani Rhapsody, parliamo non di un debut ma bensì di un album maturo, una terza prova che vede sostituire Linus Melchiorsen con Morgan J.Johansson dietro il microfono, cambio che gioverà non poco all’incisività dei brani.
Costruzioni robuste e veloci come “Dreamland” e “Dragon Empire” vengono contrapposte ad altre che vedono nella loro anima inserti riflessivi e dilatati n’è esempio lampante il binomio “Shadows Of The Light”, “The Crownless Majesty”
(titletrack del disco), vi è spazio per creare atmosfere ancestrali, legate a tempi che furono sfruttando sapientemente un quartetto d’archi, l’uso del fagotto (strumento poco usuale nel metal) e un coro gospel che nelle brevi incursioni ne acuisce il potenziale epico.
Di per sè nello sviluppo delle song non si ha nulla di realmente innovativo, il nostro orecchio si troverà ad ascoltare partiture che si baseranno sui classici tempi in quattro quarti che variano in velocità ed ogni tanto verranno inframezzati da cambi improvvisi senza mai però avere un eccessivo o forzato dinamismo.
Ogni membro della line up svolge il suo degno compito, gli assoli in perfetto stile non brilleranno per inventiva ma calzano a pennello, è l’esecuzione di Johansson a fare la reale differenza rispetto ai due capitoli antecedenti (”Feel No Fear”, “Enter The Dragon Empire”).
La voce suadente e nel contempo decisa imprime quella spinta finale a dei brani che probabilmente col predecessore sarebbero risultati alquanto smorti, il dono risiede nella timbrica e nell’impostazione meglio affinata di un Morgan evidentemente più adatto e calato nel genere di Linus.
Se amate il power epico vi risulterà scontato ma piacevole come ascolto.
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Informazioni Anno: 2001 Autore: Bosj Etichetta: Rage Of Achilles Records Gruppo: Forest Of Shadows Tracklist 1. Eternal Autumn 2. Wish 3. Of Sorrow Blue DURATA: 29:14  Come la miglior tradizione doom nordeuropea insegna, non è necessario spezzare le proprie composizioni per ottenere brani fruibili e pregni d’emozione. Tre soli pezzi compongono infatti questo EP, che di poco non raggiunge la mezz’ora di durata, ma mai si viene presi dalla noia, mai si manifesta l’impressione di trovarsi davanti a componimenti esageratamente dilungati e fini a loro stessi. Un ottimo amalgama di strumentazione classica e programmazione digitale, interamente ad opera dell’unico sviluppatore del progetto Niclas Frohagen trasporta l’ascoltatore attraverso un dipanarsi di emozioni struggenti, dove a farla da padroni sono lo sconforto e il desiderio di qualcosa di irraggiungibile, quasi una sehnsucht di estrazione romantica, che si espleta compiutamente nella centrale Wish, dove un’ottima interpretazione vocale, sempre in bilico tra un leggero e disperato growl e delle linee pulite e profonde, narra di un amore impossibile e dell’ineluttabile solitudine di un animo in pena. L’ispirazione, la varietà e la passione che pregnano questa relativamente breve prova del musicista svedese fanno di Where Dreams Turn To Dust un punto di riferimento in questo genere di nicchia che nemmeno il successivo full-length Departure, per quanto riuscito, anche se in molte soluzioni differente, è stato in grado di surclassare. Data la minima diffusione di questo genere di prodotti, la Firedoom Music, attuale etichetta di Frohagen, nel 2005 ha provveduto alla ristampa dell’EP in questione.
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