lunedì 31 ottobre 2011

PATHS OF PRAKRITI - Axis Mundi

Informazioni
Gruppo: Paths Of Prakriti
Titolo: Axis Mundi
Anno: 2011
Provenienza: Norvegia
Etichetta: Merlin Nose Records
Contatti: www.myspace.com/pathsofprakriti
Autore: Mourning

Tracklist
1. Running Dry
2. There Is A Road
3. Outside Your Door
4. Dark Horse
5. In The Morning
6. Kingdome Come
7. Kali Has Woven
8. Devils Eye Demons Sigh
9. Unborn Seas
10. The Streets And The Deep Below
11. Oh Surrender
12. Heaven And Hell

DURATA: 45:50

Viaggiare a ritroso nel tempo pur rimanendo coscienti di vivere nel caotico 2011? E' assolutamente possibile.
La musica è un tramite, un mezzo importante in tal senso, è capace di proiettare il nostro spirito in qualsiasi posto e mondo vogliamo, basta solo volerlo.
Continua l'esplorazione del panorama acid/folk e psichedelico da parte della Merlins Nose Records e con mio gaudio posso godere di una release intima, elegante e splendidamente sixties/seventies come quella rilasciata dai Norvegesi di Trondheim Paths Of Prakriti intitolata "Axis Mundi".
Sono emozioni e atmosfere che quelli della mia generazione (i trentenni di oggi) non hanno purtroppo potuto assaporare, quel senso di libertà e misticismo naturalista che gente come John Lennon, Neil Young e Donovan esaltavano si congiunge con la quieta ribellione fatta di pensiero che il cantastorie Bob Dylan, Lou Reed e i Velvet Underground, Nick Drake e la versione allucinata malinconica di Syd Barett erano capaci d'infondere all'interno dei propri brani.
E' una visione continua e delicata quella che "Axis Mundi" nei suoi tre quarti d'ora di musica propaga come un'onda ellittica che tende ad allargare il diametro espandendosi e avvolgendoci, non c'è animosità, nessun segno di "lotta" stimolata da collera, le canzoni inneggiano a supporto di una dialettica distesa, rilassante e riflessiva, particolare già evidente nell' opener "Running Dry", rimarcata poi nelle divagazioni psych e acid di "Dark Horse" e "Kingdome Come".
E' difficile non rimanere estasiati da un disco colmo di sfaccettature, cambi di umore lievi, in alcuni attimi appena accennati ma che appieno si fanno percepire nel fluire di un corso privo di filler, di pause, come il battito del cuore quest'immaginaria sezione di Woodstock rivive nelle note di "Outside Your Door" quanto in quelle di "Kali Has Woven", di "Devil Eye Demon Sigh" quanto in "Unborn Seas" e "The Streets And The Deep Below" grazie a una strumentazione calda, vivida, pulsante nella quale trovano spazio l'organo, il sitar, le percussioni e un mood acustico più intenso e predominante rispetto alle "intrusioni" di chitarra elettrica.
Bella, significativa ed esplicativa di tale modo di porsi è l'accoppiata di canzoni finali: "Oh Surrender" una tavolozza in cui i colori si sparpagliano, è fantastica la maniera con la quale si fondono i vari fraseggi strumentali ognuno dei quali ricopre un ruolo preciso, definito senza invadere il territorio altrui, lo sfondo composto da organo e giri di chitarra trasmette una sensazione d'incanto rafforzata dai tratti orientaleggianti del sitar, è invece soft e scarno l'approccio di "Heaven And Hell" che ci conduce alla porta d'uscita di questo sogno in musica grazie a melodie aggraziate, voce carica di serenità e una propensione al positivo che fa spuntare con piacere un sorriso sul viso.
I Paths Of Prakriti e "Axis Mundi" sono distanti anni luce dalla superficialità materialistica del vissuto odierno, con la loro esposizione sonora ci permettono di rientrare in contatto con una parte dell'essere umano spesso accantonata a favore "del tutto e subito", quella spiritualità che in qualsiasi forma rappresenti ognuno di noi andrebbe comunque valorizzata, che sia un monito per non dimenticare?
Consiglio l'ascolto di questo piccolo gioiello a tutti coloro che amano realmente la buona musica, hippie, non hippie, poche storie, la qualità dell'arte non si discute, si adora e in questo caso si compra, supportateli.

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SINCERA - Cursed And Proud


Informazioni
Gruppo: Sincera
Titolo: Cursed And Proud
Anno: 2011
Provenienza: Norvegia
Etichetta: Abyss Records
Contatti: www.myspace.com/sinceranorway
Autore: Mourning

Tracklist
1. Tall And Proud
2. A Grievers Soul
3. Cursed (Could Have Been Such A Beautiful Word If Not Thrown Upon By Others)
4. Blinded
5. Die Like Jesus Christ (live)
6. Where Am I!?! (live)
7. Move (live)
8. Smell Of Fear (live)
9. Byron Lawless (bonus track)

DURATA: 38:08

Sincera è il monicker scelto per il progetto che vede coinvolti fra gli altri Tiger dei Fester e l'ex Algol Thomas Andresen, hanno firmato un deal con l'Abyss Records e rilasciato il disco di debutto "Cursed And Proud" a settembre del 2011.
Il prodotto è in linea col credo stilistico portato avanti dagli artisti coinvolti, un death molto orientato sulla scia della vecchia scuola con mid-tempo che vengono inframezzati da blastati, fraseggi al limite col thrash e una propensione al black scandito da gelide melodie tutt'altro che celata tanto da ricordare per certi aspetti i greci Rotting Christ e in parte i Dissection che di questa miscela in passato sono stati dei veri e propri maestri.
Il platter è di quelli che lasciano pochi dubbi, è reale, prodotto con buona cura ma evidentemente e volutamente genuino nel sound, il basso si ritaglia una sua dimensione piacevolmente palese all'orecchio, le composizioni fluiscono prive di fronzoli se non per qualche inserimento di synth che ne valorizza l'aspetto atmosferico, è come se i primi anni Novanta per questi musicisti non fossero mai trascorsi, ce li ripresentano vivendoli intensamente e con risultati graditi.
Il materiale recuperato, in parte (traccia 1-4) dal demo "Tall And Proud" a cui è stata data nuova vita, in parte dal "Live In The Essence" (tracce 5-8) a cui è stata aggiunta l'omonima entry song del wrestler norvegese Byron Lawless, è ancorato per desideri e passione al periodo in cui la scena scandinava sfornava lavori pregni di metallo dalle tinte oscure.
La voce di Andresen con il suo graffiare si presta a fornire un ulteriore carico blackeggiante alla base per lo più death oriented e brani quali "Tall And Proud", "Blinded" (breve ma indovinata la fase in cantato pulito), "Die Like Jesus Christ" e la divertente bonus track "Byron Lawless" spiccano all'interno di un platter livellato sì ma privo di passi falsi.
Dopo il ritorno in attività degli storici Fester, vederli affiancati dai Sincera fa intendere che il circolo di ragazzi ormai uomini che girava intorno a quella realtà non ha perso la voglia di suonare e donare la propria musica, come primo step "Cursed And Proud" è convincente e consigliato a chi (come me) è un nostalgico che non ne ha mai abbastanza di ascoltare un certo tipo di sound, i restanti diano comunque una chance al lavoro in attesa che ci diano la conferma ufficiale di non essere solamente un side-project ma una band a tutti gli effetti consegnandoci un successore che bissi le sensazioni positive fin qui ricevute.

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ABHORDIUM - When Depravity Incarnates


Informazioni
Gruppo: Abhordium
Titolo: When Depravity Incarnates
Anno: 2011
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/abhordium
Autore: Mourning

Tracklist
1. Cursed Phenomenon
2. Plague Upon Plague
3. Circulation of Stygian Wings
4. Depravity Withering
5. Shadow Of the Horns
6. Dormant Mind
7. Chaos Mantra
8. Like The Ruins Betokeneth
9. Abyss Portal

DURATA: 39:44

Ci dobbiamo decidere, è impossibile leggere in rete che se un album ha una produzione troppo densa o lo-fi allora fa schifo però si vuole ascoltare death metal old school suonato come vent'anni fa e con la stessa attitudine.
O uno si gode anche questo tipo di release o fa finta di volere quello stile prendendo però in considerazione solo quelle con un suono così nitido da far pensare a quintali di paccottiglia, vedasi quelle Nuclear Blast. C'è anche la via di mezzo ovvio però un po' di coerenza sarebbe cosa ben accetta.
Mi è capitato girovagando come di solito ancora faccio fra le desolate lande di Myspace, d'imbattermi nella pagina dei finnici Abhordium e per il sottoscritto è stato amore al primo ascolto.
Fetidi, marci, fottutamente brutali, è così che suona il combo di Salo, pensate di avere alle orecchie una versione odierna e altrettanto lercia dei Morbid Angel di "Altars Of Madness" e "Abomination Of Desolation" e degli Immolation (al solito qualche altro nome salterà fuori), inserite qua e là un tocco di brutallo annerito e la risultante è una carneficina sonora di quasi quaranta minuti che ha come unico scopo quello di mietere vittime a più non posso, tale mazzata ha titolo "When Depravity Incarnates".
Le canzoni sono un circolo vizioso e caotico in cui il puzzo di morte si espande, è il riffing di Jarkko Neuvonen a disintegrare crani, una raffica di suoni blasfemi che attendono solo il momento in cui il growl/scream di Kari Laakson esploda con rabbia e una massicia dose d'acidità, è probabilmente una pecca il fatto che la sezione ritmica sia leggermente sommessa rispetto al resto, c'è però da dire che Arttu Aalto dietro le pelli si fa sentire colpendo senza mezzi termini, è il basso quello che viene maggiormente penalizzato.
E' difficile resistere alla cattiveria primordiale che brani quali "Circulation Of Stygian Wings", "Shadow Of The Horns", "Dormant Mind" (un immenso e prominente scarico d'odio) e la malevola "Abyss Portal", posta a chiudere il cerchio della morte, fanno fluire in un mare sonoro di un unico colore impossibile da mutare: NERO!
Un disco come "Graves Of The Archangels" dei Dead Congregation è una gioia per le orecchie regalataci dall'ondata death che ha rafforzato l'esercito della "Cupa Mietitrice" negli ultimi anni, gli Abhordium con "When Depravity Incarnates" rimpolpano le file e v'invitano decisamente all'acquisto, si pongono con fermezza e chiarezza asserendo "ci siamo anche noi", sfoderando una prestazione d'altri tempi.
La domanda da farsi adesso è: è questo il death metal che amo?
Se la risposta fosse sì, comprare l'album dei finnici vi verrà automatico perché certe perle non si possono lasciare ai porci, vanno custodite e bene.

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AMBER - Pearls Of Amber

Informazioni
Gruppo: Amber
Titolo: Pearls Of Amber
Anno: 2011
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: Merlin Nose Record
Contatti: www.merlins-nose.com/index_1.htm
Autore: Mourning

Tracklist
1. Sea Shell Rock Me
2. White Angel
3. Swan In The Evening
4. Sing On The Sunlight
5. Sea Shell Rock Me (alternative version)
6. Earlie In The Morning

DURATA: 23:56

Se non fosse per la passione quanti dischi del passato rimarrebbero in uno stato di "dimenticanza" perenne? Quante piccole perle obliate dal tempo potrebbero essere ascoltate da pochissimi o da chi per sua fortuna ha vissuto il periodo d'uscita del materiale? Se c'è un motivo per ringraziare un certo tipo di label è proprio il fatto di riportare a galla in alcune occasioni dei gran bei lavori totalmente irreperibili sino a quel momento e la Merlin Nose è sicuramente una di quelle che si sta applicando non poco.
Il settore in cui l'etichetta si muove è quello del rock psichedelico e dell'acid folk, il periodo compreso fra gli anni Sessanta e Settanta è il riferimento essenziale per quanto riguarda le release curate e fra le sue prime uscite troviamo una raccolta delle studio session degli Amber, formazione britannica autrice di soli sei brani pubblicati per la prima volta unicamente in versione vinilica nel 2000 tramite una piccolissima label che secondo le mie informazioni dovrebbe chiamarsi Shagrat.
"Pearls Of Amber", questo è il titolo del platter, vede adesso la possibilità di una distribuzione anche sotto formato cd, la sua durata è minima, si parla di neanche venticinque minuti di musica d'altri tempi, legata a un naturalismo spirituale e fortemente influenzata dalla natura bluesy che in quel periodo portava in auge artisti come Donovan.
Lo stile del duo composto da Keith "Mac" Macleod (chitarra, tabla, sita, percussioni e cori) e Julian McAllister (voce e chitarra) accompagnato nell'occasione da Ray Cooper in veste di guestmusician (tabla) è ricollegabile per più di un punto a quello di un'altra band loro conterannea dell'epoca, i The Incredible String Band.
Si è avvolti da atmosfere soft e sognanti, dal suono del sitar (un po' troppo basso nel mix) pronto ad adornare con i suoi tratti orientali un'aria che fa percepire la febbricitante voglia di psichedelia.
"Pearls Of Amber" regala emozioni soprattutto con le due versioni di "Sea Shell Rock Me" dall'incantato velo romantico e con la sommessa vivacità di una carezzevole "Earlie In The Morning", pur lasciandosi ascoltare per intero con una semplicità disarmante dato l'appeal dolciastro e di compagnia che il sound acustico e la vocalità in alcuni frangenti suadente di McAllister riescono a far brillare.
Un piccolo gioiello dedicato ai fan dei già citati The Incredible String Band, dei più odierni Kula Shaker aggiungendo, perché no, coloro che hanno da sempre apprezzato la componente di tale tipo in un pezzo di storia intramontabile che come monicker ha Led Zeppelin, se siete fra questi "Pearls Of Amber" dovreste di sicuro acquistarlo.

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BARNUM FREAK SHOW - Carne | Circuiti | Metallo

Informazioni
Gruppo: Barnum Freak Show
Titolo: Carne | Circuiti | Metallo
Anno: 2011
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/barnumfreakshow
Autore: Mourning

Tracklist
1. Terror Manifesto Atto I
2. Anguis Lapsus Volvitur
3. Diva
4. Fuori Produzione
5. Terror Manifesto Atto II
6. Gravità Zero
7. Dolce Delitto
8. Matrice Industriale [Revisione]
9. Terror Manifesto Atto III

DURATA: 45:05

Il quintetto romano dei Barnum Freak Show s'inserisce nel filone degli ibridi metal/rock, sono dotati di un sound non innovativo ma alquanto particolare, le ingerenti dosi di matrice rock vengono imbastardite da frequenti divagazioni in campo noise ed elettronico industriale.
Provate a immaginare una fusione di Marylin Manson, N.I.N., Rammstein, Nu Metal e alcuni momenti deliranti ma lucidi simil Dog Fashion Disco, gruppo adesso rinato, e di cui ho scritto di recente, con il nuovo monicker Polkadot Cadaver.
"Circuiti | Carne | Metallo" è quello che senza dubbio si può definire un album "crossover", un passaggio sempre aperto e in bilico fra un genere e l'altro in cui è presenza ricca di fervore la parte lirica pregna d'amarezza e di sentimenti il più delle volte contrastanti che gioco-forza si legano a doppio filo con l'incedere sonoro.
Non è solo la componente riflessiva e intensa delle parole insita in "Anguis Lapsus Volvitur" ad attrarre, il platter regala emozioni forti nell'attimo in cui le due voci, quella maschile di Enrico H.Di Lorenzo e quella femminile di Emma Luce Scali, quest'ultima autrice in collaborazione con Stefano Tucci di una buonissima prestazione in sede di rifinitura con i synth, s'incrociano e alternano donando a un brano come "Diva" leggedria e vivacità.
E' un album che mantiene per lo più tonalità scure e aggressive, che possiede più di un pezzo da pista, quelli che ti portano a scatenare durante un buon dj set rock (qualcuno ricorda l'Area 1 a Catania? Sì, erano bei tempi, di sicuro qualche traccia avrebbe fatto un buon effetto anche in quegli anni) vedasi "Fuori Produzione" e "Gravità Zero", così come è piacevole ascoltare le venefiche parole contenute in "Dolce Delitto" pari a un cuscino nero su cui poggiarsi "riposando" sì ma facendo sogni tutt'altro che colorati, sostituite repentinamente dalla solidità arcigna, pesante e elettronicamente distorta di "Matrice Industriale [Revisione]".
I tre atti in cui è suddiviso "Terror Manifesto", funzionali e coerenti nel ricreare mentalmente un unico percorso dissestato e impervio, possiedono peculiarità lievemente differenti: il primo spicca per atmosfere inquietanti e irrequiete, il secondo per i synth che si ritagliano una dimensione eterea incastonandosi in un panorama di adrenalina crescente devastante e rabbioso, in cui il riffing in un certo frangente quasi d'estrazione Pantera sembra confermare la sensazione, il terzo si affida a un approccio diluito e intimo in più tratti che conduce alla conclusione accompagnandosi con un dolce velo di "rammarico".
I Barnum Freak Show hanno parecchio potenziale ancora da poter esprimere, "Circuiti | Carne | Metallo" sembra essere il disco d'avanscoperta, la freccia che ha centrato la direzione da seguire, non manca davvero nulla, ci sono groove, potenza, ricerca ma non cervellotico incasinamento, è una proposta in piena evoluzione che probabilmente avrebbe goduto però di una produzione più lucida, anche se il fascino di un sound "sporcato" e irriverente non guasta, come al solito in certi casi è solo il proprio gusto a comandare.
Consiglio l'ascolto di questi ragazzi a chiunque segua il panorma alternativo, sia rock o metal fa poca differenza dato che in entrambi i casi si difendono molto più che bene, a voi adesso dare responso.

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TORINO BLACK METAL pt. I


Informazioni
Data: 22/10/2011
Luogo: Taurus, Ciriè (TO)
Autore: Dope Fiend

Scaletta
Black Flame
Adversam
Mor Dagor

Da queste parti sono troppo rare le occasioni di vedere qualche buon gruppo live, quindi le poche che ci sono sarebbe un crimine lasciarsele scappare.

L'evento è la prima parte del Torino Black Metal e fortunatamente, per una volta, a me e all'amico che mi accompagna bastano una trentina di chilometri per raggiungere la location della serata. L'entrata prevede soltanto il pagamento della sottoscrizione di cinque euro e questa è la prima buona notizia. Il locale è seminterrato ma spazioso e questa è la seconda buona notizia. La birra è buona e questa è la terza buona notizia.

Ovviamente al nostro arrivo è ancora presto e la gente pochissima, quindi, dopo una prima bevuta, usciamo nel freddo a fumare una sigaretta. Come accade ad ogni concerto, attacchiamo velocemente bottone con tre metallari valdostani. Chiacchierando dei vari gruppi e delle recenti uscite (a quanto pare sono l'unico che ancora non è riuscito a digerire l'ultimo Peste Noire) passa il tempo e si avvicina l'ora di inizio del concerto.

Scendiamo nel locale e sul palco sono già sistemati i Black Flame, un gruppo attivo dal 1998 e ormai piuttosto conosciuto all'interno della scena italica. Da poco più di un mese è uscito il loro ultimo album "Septem", da poco più di una settimana l'ho comprato e quindi ero piuttosto curioso di godermeli in sede live. Il loro Black Metal è furioso, incestuato con il Death e non passa molto tempo prima che le vocals ruvide di Cardinale Italo Martire inizino a inondare di odio la folla sottostante.

Sugli scudi sale anche, in maniera meritatissima, M:A Fog che, là dietro le pelli, sembra avere il fuoco nelle vene. Il pubblico è in numero ristretto (durante la serata varierà a flussi alterni tra le cinquanta e le settanta persone), ma le prime file non si fanno ripetere più di una volta l'incitazione del frontman, prima delle due canzoni di chiusura, a fare casino. L'ottima esibizione dei torinesi si chiude quindi con ondate di chiome roteanti e qualche metallaro più esile che si estrania dal pogo per non venirne triturato.

Il sipario viene chiuso, ci avviciniamo al banchetto del marchandise e la maglietta dei Black Flame è mia per un deca.

Usciamo per incatramarci un po' i polmoni in attesa del cambio sul palco.

Il secondo gruppo a salire sul palco sono gli Adversam, altra realtà torinese piuttosto apprezzata dal sottoscritto. Purtroppo le prime battute di questa esibizione vengono funestate da qualche volume calibrato non ottimamente ma, per fortuna, il problema viene risolto quasi subito. La band è in forma e la funerea presenza scenica del cantante Katharos è un buon complemento all'esecuzione strumentale.

Vengono eseguiti brani estratti sia da "Animadverte" che da "Proclama" e questo fa assai piacere al pubblico. C'è da dire che per l'occasione la formazione mette un po' in disparte l'aspetto più melodico del loro repertorio in favore di brani più diretti e incisivi. Particolarmente interessanti sono state le esecuzioni di "Miasma Demou" e "Unfairy Tales". Nonostante l'ottima prestazione la risposta degli spettatori non è sempre attivissima e qualcuno bisbiglia del poco coinvolgimento dei musicisti. Onestamente non ho riscontrato questo aspetto come una mancanza, quanto più mi è parso assolutamente consono a ciò che veniva suonato. Poco male, dal canto nostro noi non ci siamo fatti pregare per sbatacchiare un po' il capoccione. In aggiunta il gruppo presenta anche due brani nuovi, il secondo dei quali (che chiuderà anche l'esibizione) molto bellico e feroce, come non sentivo da un po' di tempo a questa parte. A questo punto è forse lecito sperare in un disco nuovo in tempi non così lunghi.

I tendoni si chiudono ancora una volta per dare modo all'ultima band di prepararsi all'esibizione. Non c'è nulla di meglio di una bionda alla spina per ingannare l'attesa.


Le luci dietro al palco si animano e quindi capiamo che è giunta l'ora del terzo e ultimo gruppo, i tedeschi Mor Dagor. Conoscevo molto poco questa realtà, in quanto avevo ascoltato soltanto l'album "Human Execution". Tuttavia questa mia mancanza non mi ha precluso la possibilità di godermi uno spettacolo davvero devastante; appena usciti dal backstage i musicisti non si perdono in convenevoli e iniziano subito a spargere sferzate Black Metal. Il vero mattatore della serata è però il frontman Tyr: la sua presenza scenica è realmente immensa, la corporatura massiccia, l'abbigliamento e l'energia con cui tiene il palco lo fanno assomigliare ad un qualche demone terrificante uscito dall'Inferno per sbraitare a squarciagola le proprie maledizioni contro il creato e per sbranare chiunque gli si pari di fronte.

Il quintetto germanico assume così le sembianze di una legione oscura che non fa prigionieri e devasta tutto ciò che ha intorno. I due chitarristi, Impaler e Lykanthrop, sono irrequieti e non rimangono fermi per più di un minuto, mentre Torturer dietro le pelli non fa economia di granate. Non conoscendo approfonditamente la band riesco a riconoscere soltanto un paio di pezzi, "Voice Of Hell" e "Sky Turns Black", estratti da "Human Execution", ma nonostante questo non posso fare a meno di devastare comunque il mio collo. I pezzi sono dinamici, battaglieri e dannatamente coinvolgenti, il pubblico si scatena e le corna levate al cielo non si contano più.

Una volta spente le luci sui Mor Dagor sono sudato e assetato, quindi gli ultimi spiccioli se ne vanno per un'altra birra e per "Mk. IV", l'ultimo disco dei tedeschi. Usciamo all'aria aperta, facciamo un saluto e i complimenti al cantante dei Black Flame, quattro chiacchiere con qualche metallaro trovato fuori e ci avviamo verso casa. Sono le 2 del mattino, siamo stanchi e provati, ma perchè non fermarci ancora in birreria? Semplicemente perchè, quando ci passiamo davanti, la birreria è chiusa. Pazienza, il bilancio della serata per il sottoscritto è ottimo, anche se guidando verso casa non riesco a fare a meno di pensare a quanto mi farà penare la cervicale il giorno dopo... ma il giorno dopo è ancora lontano (in realtà meno di quanto sembri).

Ci avevo visto giusto: l'indomani faccio fatica a muovere il collo ma non me ne frega un beneamato cazzo, tanto mica si campa in eterno. Non mi resta che attendere la seconda parte del Torino Black Metal...

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NOCTURNAL DEPRESSION - The Cult Of Negation


Informazioni
Gruppo: Nocturnal Depression
Titolo: The Cult Of Negation
Anno: 2010
Provenienza: Francia
Etichetta: Avantgarde Music
Contatti: nocturnaldepression.free.fr
Autore: M1

Tracklist
1. Credo Negativo
2. They
3. We're All Better Off Dead
4. Home Asylum
5. Dead Children
6. The Cult Of Negation

DURATA: 43:43

Il nome Nocturnal Depression da qualche tempo è abbastanza noto in ambito underground, si tratta di una formazione francese che suona depressive/suicidal black metal. "The Cult Of Negation" è il loro ultimo studio album, uscito un anno fa sotto Avantgarde Music. Ho deciso di proporvene un'analisi in quanto apprezzo praticamente tutta la discografia di Herr Suizid e Lord Lokhraed (gruppo che ho scoperto solamente perchè ha partecipato a uno split coi nostrani Kaiserreich) ma questo quarto disco si differenzia per molti versi dalla produzione precedente.

Personalmente li ritengo una band che pur muovendosi in un ambito piuttosto angusto, nel quale è terribilmente facile proporre materiale banale o peggio ancora patetico, possiede ottimi spunti ed idee che però spesso in passato sono stati forse eccessivamente "diluiti" all'interno di composizioni di lunga durata ma poco continue. Penso ad esempio a brani quali "And Fall The February Snow" o "Fading Away In The Fog": io li ascolto sempre con piacere, riconoscendo però al tempo stesso che possano risultare alla lunga "pesanti" ed eccessivamente ripetitivi a molti.

Passiamo ora a trattare nel dettaglio "The Cult Of Negation", l'album si presenta in un digipak dai toni funebri, dove dominano il grigio e il nero, sullo scenario di un centro abitato probabilmente distrutto da un bombardamento o comunque da una guerra. Il booklet è di otto pagine e i testi sono accompagnati da immagini esplicite relative al suicidio; le altre informazioni sono ridotte davvero ai minimi termini.

L'apertura è affidata a "Credo Negativo" e, a conferma del fatto che abbiamo a che fare un disco diverso dal passato, si tratta di uno dei brani più brevi mai composti dal combo transalpino: poco più di tre minuti e mezzo, con un finale quasi troncato. È pressochè inutile sottolineare come un forte senso di tedio e tristezza permei l'aria, che però in questa occasione si fa di impronta meno "raw" rispetto al passato, questo sia che si abbia a che fare con i passaggi più "mesti", sia con quelli "energici" (vedi l'incipit di "They"). Non potrei definire in altro modo se non splendida la straziante melodia di "We're All Better Off Dead", uno degli apici dell'album, pezzo bilanciato e completo. "Home Asylum" e "Dead Children" invece mettono in mostra una band che sa essere dinamica senza perdere un briciolo di emotività, fattore fondamentale di questo genere al di là di tutto.

Ricapitolando, i Nocturnal Depression hanno scritto un album più accessibile e dinamico a confronto dei vari "Nostalgia - Fragments Of A Broken Past", "Soundtrack For A Suicide - Opus II" e "Refleciotn Of A Sad Soul", ma comunque sempre lontanao dal mainstream: scelta consapevole? Evoluzione? Disco di passaggio? Chi lo sa... Ad ogni modo "The Cult Of Negation" è un album piacevole e che smuove qualcosa. Chi ama queste sonorità potrebbe prenderlo in considerazione.

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KHAOS AEON - Exitus


Informazioni
Gruppo: Khaos Aeon
Titolo: Exitus
Anno: 2011
Provenienza: Germania
Etichetta: Fog Of The Apocalypse
Contatti: www.myspace.com/khaosaeon
Autore: Mourning

Tracklist
1. Exitus
2. Demonic Fire
3. The One Who Spoke The Hidden Name
4. Path Of The Razing
5. Burning Horizon
6. Apocalyptical Coalescence
7. Night's Womb of Darkest Dreams
8. Ha-Ilan Ha-Hizon
9. Frozen (Dissection cover)

DURATA: 46:54

Il problema nel "subire" l'influenza di grandi act è per lo più legato al fatto che molte volte ci capita di ascoltare platter privi totalmente di personalità.
In questo periodo vanno parecchio di moda i Thulcandra, una cover band dei Dissection, così conosciuti soprattutto perché la formazione è guidata da Steffen Kummerer, cantante e chitarrista degli Obscura e chissà come mai dal nulla capaci di trovare subito casa sotto la Napalm Records, va beh solita storia.
Cosa dovrebbero però dire i Khaos Aeon? I ragazzi sono teutonici come i prima citati, si sono autoprodotti "Exitus", loro primo album nel 2009, e in questo 2011 distribuito tramite la Fog The Apocalypse, anch'essi fautori di un sound di netta derivazione dalla scuola Noidtveidt non rinunciando però alla primordialità dello stile melodico degli svedesi e soprattutto alla ritualità concettuale che ne portava avanti l'essenza, cosa del tutto assente nel progetto Thulcandra.
Perché mettere a paragone le due realtà è semplice, lo svolgere genuino e grettamente legato alle origini di "Exitus" scandito per lo più da una serie di mid-tempo robusti come avviene a esempio in "Demonic Fire" e "Burning Horizon", le melodie che si annidano in testa, alle volte talmente oscure da ricordare scenari vicini anche al territorio doom epicamente decadente, una serie di brani dal piglio possente, vedasi "Path Of The Razing" e "Ha-Ilan Ha-Hizon" e soprattutto una produzione lontana dagli standard sin troppo alti e puliti di cui si fregiano i colleghi dalla più conosciuta nomea, fanno risaltare in primis la prestazione dietro il microfono di Isaz che impone con il proprio carattere una forma di cattiveria capace di sedurre e secondo, una prova strumentale che pur non essendo perfetta esprime non solo rispetto per le creature che in antecedenza hanno scavato i solchi fondamentali nel passato del genere, ma che si promette anche nel bene quanto nel male di dare una propria, seppur ancora lontana dal definirsi matura e personale, interpretazione dello stesso.
La cover dei Dissection, "Frozen", sesto pezzo di quello che è uno dei due capolavori degli scandinavi, "The Somberlain", è posta in chiusura confermando il peso storico e l'importanza nelle scelte stilistiche di tale act per i Khaos Aeon, non si discosta da quanto presentato sino a quel momento divenendone invece parte integrante e lieto finale.
"Exitus" è un debutto che artigianalmente ci riporta nel periodo nineties, vive di quel black senza artefatti, senza esposizioni tecniche sopraffine e pur possedendo dietro un budget elevato a propria disposizione suona decisamente più "vero" e "sincero" dei signori tirati in causa in antecedenza.
Non è forse il caso che il metal si guardi attorno realmente prendendo le band dall'underground che si muove con i propri mezzi e produce album degni di valore al posto di affidare contratti ai soliti noti? Non si è già troppo imborghesito e orientato in direzione di una mentalità "popular" controproducente?
Date una possibilità ai Khaos Aeon, fateli girare un paio di volte nello stereo e vedrete che se avete amato quel sound riusciranno a entrare nelle vostre grazie, sperando che già dal prossimo lavoro la componente personale divenga più consistente ed evidente, promossi in attesa di conferma.

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SHADED ENMITY - Hijo Perdido


Informazioni
Gruppo: Shaded Enmity
Titolo: Hijo Perdido
Anno: 2011
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/shadedenmity
Autore: Mourning

Tracklist
1 .One Way Out
2. Man At The Edge Of The World
3. Hijo Perdido
4. The Botanist
5. A Crystal For Your Life
6. Nothing Left To Give
7. Black Diamond
8. Bury Me On A Hill

DURATA: 41:13

Lo dico incazzato come non mai: con tutta la merda melodic death o pseudo tale che gira nel mondo metallico, mi spiegate com'è possibile che gli Shaded Enmity non abbiano un cazzo di contratto decente?
Sì, ho bisogno di sfogarmi, ritengo a dir poco inaudito che si offrano deal a raffica a band metalcore, death melodico che suona power da far schifo e questi ragazzi, giunti quest'anno al terzo disco con "Hijo Perdido", debbano ancora una volta autoprodursi e farsi un mazzo di portata colossale per far conoscere la loro valida e decisamente pesante proposta.
Chi segue il nostro blog si ricorderà della recensione che io stesso scrissi per descrivere la buonissima prestazione del precedente "Like Prayers On Deaf Ears", se c'è una cosa di cui ero praticamente sicuro, è che la formazione di Joe Nurre e Simon Dorfman mantenesse le aspettative, volevo un altro lavoro di quel livello, mi è stato consegnato nelle mani un album che ne consacra definitivamente la maturità raggiunta e una conoscenza del genere che farebbe invidia a tanti segoni sotto Metalblade, Roadrunner, Century Media ed è inutile continuare tanti i soliti noti sono.
Siete stanchi degli In Flames che giocano a fare gli alternativi riuscendoci malissimo? Dei Dark Tranquillity che clonano "Damage Done" all'infinito o degli Insomnium dimenticatisi di come sia unire atmosfere e death metal melodico? Bene, inserite "Hijo Perdido" e lasciate che il retro-sound degli Shaded Enmity faccia il suo corso.
Verrete investiti da ricordi che, oltre ad andare a pescare dalle prime due formazioni citate, tirano in causa sia gli At The Gates che gli eredi naturali del combo di Tompa, i Sacrilege e se far nomi vi verrà troppo semplice fregatevene, quello che è fondamentale nell'ascolto di un platter simile è la genuinità con cui il suono di Gothenburg riprende vita grazie a un soundwriting snello e avvolgente, ritmiche dinamicamente orchestrate in modo da risultare pungenti e accattivanti nei momenti dediti alla flessibilità compositiva, veloci e dirompenti in quelli nei quali è richiesta una dose massiccia d'irruenza e sfogo.
Piacevole l'intermezzo di chitarra pulita che caratterizza "Man At The Edge Of The World", adrenalinici gli assoli che si stagliano internamente alla titletrack, le mazzate armoniose a titolo "One Way Out", "The Botanist", "Crystal For Your Life", la freschezza e l'efficacia del riffato pulsante in "Nothing Left To Give" e la dose ambientale fortemente incline alla malinconia delle conclusive "Black Diamond" e "Bury Me On A Hill".
Gli Shaded Enmity sono ciò che uno vorrebbe ascoltare quando ha intenzione di metter su del death melodico, zero compromessi, nessuna vocina pulita in clean, no al progressive in stile Opeth che francamente ha rotto le palle e non poco, solo tracce che rispecchino per quanto ammodernate l'essenza più vicina a quello che fu lo stato primorde di un genere ormai decaduto, svenduto e rottamato da parte delle label e da act degni di portare live al massimo i pezzi di Cristiano Malgioglio.
In definitiva non posso far altro che consigliare l'acquisto di quest'album a chiunque sia un nostalgico adoratore del sound di Gothenburg ma al tempo stesso continua odiernamente a fruire anche delle proposte lievemente più moderne, "Hijo Perdido" deve entrare a far parte della vostra collezione.
Data la scarsa sensibilità manageriale del mondo della musica, rivolgetevi ad Amazon.com oppure contattate direttamente gli Shaded Enmity per acquisirne una copia, ci ritroviamo con il cambio a nostro favore e il costo dovrebbe aggirarsi intorno agli 8 € più le spese di spedizione, suppongo che a un prezzo simile sia doveroso possederlo originale non credete?

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PAESAGGI SONORI 2011 - Cronaca Per Frammenti Non Cronologicamente Ordinati


Informazioni
Data: 16-18/09/2011
Luogo: Cardano al Campo, Varese
Autore: 7.5-M

Paesaggi Sonori 2011, Cardano al Campo, Varese. Festival organizzato da due associazioni culturali del varesotto, 26per1 e Frohike. Tre giorni, 16, 17 e 18 settembre, abbastanza eterogenei, tante iniziative all'interno del campo d'azione del festival.
La mia presenza è triplice, perciò la mia visione dell'evento non può che essere altalenante e poco equilibrata. Poco chiara. E questo forse è un bene.
Dicevo, sono stato lì tre volte contemporaneamente: come spettatore, come etichetta, come musicista. Ho ricoperto tutti questi ruoli, senza distinzione. Non credo sia economico per trarre un bilancio finale, ma poco m'importa.
Siamo arrivati sabato, secondo giorno del festival, perciò non parlerò del primo giorno, il quale, mi riferiscono, è stato un gran successo, causa splendido tempo estivo. Io, Elisa ed Alessandro, dopo una lungo viaggio in automobile, circa quattro ore, grazie a fatidiche code sulle autostrade, approdiamo al parco nel quale si svolgerà tutto. Siamo accolti da un pioggia di nocciole che cadono dagli alberi, mossi da un vento abbastanza sostenuto. Nessuna previsione luminosa in vista.

Siamo stati invitati a Paesaggi Sonori, all'ultimo momento, per suonare, in quanto Frohike ha prodotto un nostro lavoro e per promuoverne l'uscita ha proposto un live di presentazione. Abbiamo accettato, abbiamo caricato e riempito il nostro piccolo veicolo con tutta l'attrezzatura necessaria. Arrivati abbiamo scaricato tutto, ed ha cominciato a piovere. I piani degli organizzatori sono saltati ed è stato necessario arrangiarsi di necessità, rifugiando ogni cosa sotto una tettoia attigua alla cucina, spaziosa, ma non quanto il parco intorno, per poter proseguire anche sotto il diluvio. Ovviamente questo ha fatto calare drasticamente le presenze ma tutto il programma viene comunque salvato in extremis. Tranne noi. Infatti, causa problemi logistici, siamo costretti a spostare il concerto al giorno dopo. Nessun problema, in fondo siamo abbastanza versatili da non preoccuparci, avendo già impostato il nostro lavoro sull'improvvisazione completa, non solo musicale. Gli eventi ci seguono senza che noi chiediamo loro di farlo.
Mi occupo perciò del banchetto con le uscite della mia etichetta, nell'area distro, un tavolo addossato ai teli che chiudono fuori il maltempo dal chiosco. Mi piove sulla schiena, perché c'è uno spiraglio tra i teli dove sono seduto io. C'è poca gente, non molti si fermano ad osservare. È una delusione per me, forse un po' puerile, ma giusta e impossibile da rifiutare. È naturale, c'è poco da fare, quindi mi annoio e presto decido di assumere il semplice ruolo di spettatore.
Tra le molte iniziative nel festival, dedicato all'autoproduzione ed alla musica indipendente, c'è un'intervista ad uno scrittore (?), in occasione dell'uscita del suo libro ("Milano Horror", il titolo, per onor di cronaca e per assumermi l'onere di farvelo conoscere per evitarlo). Decisamente imbarazzante, non aggiungo altro. Passiamo alla parte musicale, con curiosità, non conoscendo nessun gruppo in programma.
Osservo i gruppi suonare, i primi, i Downhead, non mi convincono con il loro metal abbastanza stanco. Problemi tecnici a parte, è esplosa la cassa del basso, dolori economici a non finire per il service, la performance si snoda tra momenti melodici ed heavy e momenti più thrash oriented, tutto molto piatto ed omogeneo. Non sono stato catturato dal loro lavoro sonoro.
Il secondo gruppo sono gli Orbe, post-rock di matrice hardcore, tecnicamente dotati, attenti e di qualità, ma anche qui l'omogeneità appiattisce un po' tutto (non per motivi tecnici), e sembra di sentire il gruppo precedente, con le dovute differenze, e poi addirittura le band successive, in un'altra sfumatura. In crescendo comunque, il lavoro degli Orbe, più interessante, ma prevedibile. Fin qui la serata non mi ha affascinato molto. L'ambiente comincia a muoversi, ma tutto è molto umido, statico, l'interesse cala inesorabilmente.
Il terzo gruppo è in realtà una donna sola, sotto lo pseudonimo di Bemydelay: suona la chitarra, canta brani che definirei blues-pop, usa molti loop per riempire e saturare l'assenza di qualcun altro sul palco. I brani sono abbastanza personali e sentiti, ma la loro forma è fissa, non c'è vera evoluzione, manca il confronto con l'altro, che non c'è. Passa una mezz'ora (o tre quarti d'ora, non so quantificare) interminabile. Se all'inizio c'è vivo interesse, dopo pochi minuti tutto svapora. Peccato, perché cominciava a delinearsi qualcosa che poteva catturarmi, ma non è stato in grado di farlo.
Il gruppo successivo, dopo aver impacchettato definitivamente i dischi sul banchetto distro ed aver lasciato solo qualche volantino per qualche curioso, sono i Last Minute To Jafnna. La miscela di questo trio è un black metal con fortissime tinte post rock. Il suono è compatto e massiccio, la prestazione è di qualità, ma mi sembra di trovare gli stessi Orbe, in versione più succinta, con meno strumentazione, questa volta coadiuvati da una voce in growl. Ormai dispero, passo di continuo alla cucina ad ordinare da mangiare per riempire il tempo. Fin qui non ho accennato che ero pure in tensione in quanto, dopo l'inizio della pioggia, gli organizzatori c'avevano proposto di suonare a fine serata, dopo l'ultimo gruppo. Perciò il cibo nello stomaco doveva farsi spazio a fatica, tra qualche contrazione d'adrenalina.
Finita quest'esibizione si giunge sul termine della serata. Tiro un sospiro di sollievo, sono bagnato, l'aria è umida, sono vestito poco, tira vento, anche se ha smesso di piovere, gocciola solo un po'.
L'ultimo gruppo, che poi era quello che tutti aspettavano (ne è una prova tangibile la massiccia presenza di pubblico di fronte al palco, presenza prima quasi assente) sono gli Zeus!. Il duo, batteria e basso, propone un lavoro ritmico spaventoso, tecnicamente mostruoso, ironico e violento. Grind all'osso, grind fino al midollo. Il suono non è di due strumenti, ma di duecentoventi. Ritmi spezzati, una totale ironia, un'intenzione dissacratoria. Finalmente un'ancora di salvezza, e che ancora. Mi godo la performance. I due sudano come bestie, tanto che il bassista, già in infradito, si toglie la maglia fine e rimane a petto nudo, amplificando il senso di sudore, di umido, nell'aria. Questa volta però è un umido caldo, non freddo, come quello di tutta la giornata. Il pubblico s'accorge di questa differenza e reagisce in modo attivo.
Qui si conclude la serata. Ci viene proposto di aprire la giornata successiva. Sono stanco, infreddolito, bagnato.
Siamo ospitati, per la notte, da uno degli organizzatori, membro di 26per1. Gentilissimo, è stato davvero un piacere conoscerlo. Ho passato una notte serena dormendo su un materasso a terra nel mezzo di uno splendido salotto, con balcone e vetrate, libri sui muri, bassi mobili. Ringrazio ancora adesso quel nostro benefattore. Il sonno in quel luogo così accogliente, ve lo posso assicurare, mi ha ristorato da tutte le stanchezze della giornata trascorsa.
Si riparte domenica a mezzogiorno (eravamo veramente stanchi), con la ricerca di un posto dove mangiare. Abbiamo girato per un'oretta buona, passando per ristoranti chiusi per ferie, per malattia, per giorno obbligato di chiusura, fino ad approdare ad un kebab, dove abbiamo optato per una pizza. Torniamo sul luogo del festival, oggi tocca a noi aprire la serata musicale, verso le 8. Abbandono completamente l'idea del banchetto distro dopo il fallimento della sera prima, decido di occuparmi d'una cosa e di farla bene. Durante il pomeriggio ci sono due reading ed una performance. La prima lettura parte da un libro sugli eventi di Genova, 2001: la creazione di quest'opera è stata promossa dall'associazione 26per1, che ha raccolto, dieci anni dopo, le testimonianze di chi ha vissuto, o non ha vissuto, gli scontri durante il G8 famigerato. Il reading non mi piace molto, è un po' retorico, ma in fondo non mi tocca gran che. La seconda lettura è tratta da un libro di un giovane autore. L'attrice è essenziale, l'aria è leggera, mi diverte, il testo è ironico ed intelligente, la musica poi è favolosa: lo stesso autore è uno dei musicisti e suona il clarinetto, in coppia con un contrabbassista. I brani jazz suonati durante la lettura s'adeguano perfettamente, si sente che chi scrive, scrive come suona. Infine la performance è una pittura ex tempore d'un quadro da parte d'un artista-vignettista, che per tutta la giornata lavorerà su questo dipinto. Anche qui retorica, forse erano più carini i fumetti, dandoci un'occhiata.
Ceniamo prima del concerto, abbiamo fame, sempre. Ci chiamano per il soundcheck, ci prepariamo, prepariamo il resto. Qui sono costretto a spostare la vostra attenzione, a posticipare, spezzarvi il ritmo.
Dopo la nostra esibizione, decidiamo di non fare troppo tardi, considerando che c'aspettano altre tre ore e mezza di autostrada la notte stessa. Mangiamo ancora un po'. Facciamo in tempo a sentire due altri gruppi: il primo sono i Soviet Malpensa, gruppo di ragazzi molto giovani che propongono un rock con testi in italiano. Molto giovanili, molto rockettari, sembrano quasi liceali.
Purtroppo gli Hardcore Tamburo hanno, per problemi tecnici (causa pioggia), declinato. Peccato, la proposta era veramente interessante e fuori contesto, e questo mi intrigava molto. Ah, dimenticavo, pioveva pure domenica, da quando ci siamo alzati a quando ci siamo diretti verso casa.
Il secondo gruppo sono i Bob Corn, duo cantautoriale, di cui facciamo in tempo ad ascoltare le prime note, ma non oltre. Cerchiamo tutti quelli che c'hanno accolto e salutiamo riconoscenti. Carichiamo il nostro materiale e ripartiamo.

Riprendo il ritmo spezzato. Parlo ora della nostra performance. Descrivervi il momento esecutivo dal mio punto di vista è didascalico. Invece ho deciso di assumere un ruolo fuori di me per parlare di quel momento e di me, di noi. Qualche giorno dopo il concerto, mi sono reso conto che era stato girato un video del live. Ho richiesto perciò il materiale agli organizzatori. Mi è giunto qualche giorno dopo. L'esibizione dei Cenere Muto era assolutamente fuori contesto. Innanzitutto nessuno s'aspettava nulla da questo gruppo (che non era nemmeno nominato nel bill, ma compreso sotto un'enigmatica etichetta: "anteprime e presentazioni"), nessuno, tantomeno gli organizzatori, sapevano cosa aspettarsi. Il brano proposto dai Cenere Muto è un singolo pezzo da quindici minuti, completamente improvvisato e basato su tre fasi: la prima è una lunga introduzione noise, costruita attraverso una radio e degli effetti. Dal video non è facilissimo comprendere il suono, date le frequenze estreme, anche per l'orecchio umano, non solo per il microfono d'una telecamera. Ho raccolto voci, subito dopo il live, che descrivevano un po' sconcertate il volume avvolgente e a tratti fastidioso, che non traspare dalle registrazioni. La seconda parte del brano è basata su un giro blues di chitarra elettrica pulita, accompagnata da un sax contralto microfonato e filtrato con pedali effetto. L'ultima parte consiste nella scomparsa della chitarra e in un lungo assolo di sax, trasformato dagli altri due componenti del gruppo al mixer ed agli effetti. Tutto molto fluido, teso, nervoso. Inaspettato. Altre voci raccolte in loco parlano di contesto non adatto, i tecnici audio hanno lamentato l'impossibilità d'agire sulle frequenze più ardite, perché il gruppo gestiva tutto il suono dal suo mixer sul palco. Infine qualcuno s'è complimentato.

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SEVEN DAILY SINS - Say Yes To Discomfort


Informazioni
Gruppo: Seven Daily Sins
Titolo: Say Yes To Discomfort
Anno: 2011
Provenienza: Francia / Bielorussia
Etichetta: Soulflesh Collector Records
Contatti: www.myspace.com/sevendailysins
Autore: Mourning

Tracklist
1. Ego, Revisited
2. Aura Breach
3. Sculpturing Void
4. The Glorious Backstab
5. Hell Sweet Home
6. Ghostalgy
7. To Enter And Survive
8. Drown

DURATA: 36:59

Il panorama death metal si è evoluto, ha aumentato spesso esageratamente il tasso tecnico utilizzato per dar vita alle proprie release e non ha rinunciato a un imbastardimento che non sempre ha portato risultati memorabili.
Detto ciò, è vero che non si può ascoltare il genere muovendosi all'interno dei canoni stilistici definiti in passato, come si potrebbe altresì valutare un lavoro dei Grave e uno degli Augury?
I Seven Daily Sins sono membri della corrente più moderna, tecnico/melodica e "impura" dello stile, la formazione suona come se avessimo a che fare con gente quali i The Faceless e i già citati Augury miscelati però con una vena dedita a portare a galla, alle volte forzatamente, una volontà "core" che per quanto robusta non sempre rema a loro favore.
La band mostra di essere tecnicamente preparata, sfrutta la strumentazione con perizia tanto da poter scomodare in certi frangenti addiritura i Cynic o gli Atheist, infila anche assoli esaltanti, è però la struttura dei brani a lasciare un po' a desiderare, in certi momenti si ha un senso di "scollegamento" fra un riff e un altro come se non fosse chiara quale direzione si debba prendere e si sfruttasse la capacità nel suonare per tappare quel buco.
Del resto non si può negare che per impatto, numero di cambi di tempo e una serie di soluzioni adeguate, belli a esempio gli stacchi di basso e gli attimi in guitar clean, un platter come "Say Yes To Discomfort" si lasci ascoltare trovando in un paio di episodi come "Ego, Revisited", "Sculpturing Void" e "Hell Sweet Home" valida rappresentanza.
Ha i suoi pro e contro questo debutto, del resto non capita di frequente d'avere una prima prova che giri nello stereo e faccia gridare al miracolo soprattutto quando si parla di album che si alimentano grazie alla commistione di più flussi sonori.
C'è da migliorare il growl, più incisivo quando tende allo scream che nella fase gutturale poco convincente e dare una registrata al complesso, d'altro canto sono giovani e hanno davanti a loro il tempo per aggiustare la mira dato che almeno dal punto di vista della produzione le cose sembrano girare per il verso giusto.
I Seven Daily Sins possiedono le carte in regola per apportare le dovute migliorie al sound e dare alla luce un successore maturo e completo a questo disco, prendete quindi "Say Yes To Discomfort" per ciò che è, il platter di una formazione in crescita che cerca la propria maturità augurando loro non sia poi così lontana.

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IT CAME FROM OUTER SPACE #5

JETHRO TULL - Minstrell In The Gallery

Informazioni
Gruppo: Jethro Tull
Titolo: Minstrell In The Gallery
Anno: 1975
Etichetta: Five Star Record Ltd.
Autore: Akh.

In qualsiasi forma una persona ami il Rock, non può non conoscere (almeno per sentito dire) il geniale folletto Ian Anderson e le sue acrobatiche scorribande musicali realizzate attravero il complice flauto traverso. Ecco, fra tutti i grandiosi album concepiti dai J.T., il mio cuore da sempre batte per quel gioiello dal tipico sapore folk-blues che è "Minstrell In The Gallery", dove i brani si susseguono passionali e toccanti, irriverenti e scalmanati, melodiosi e sentiti, ma sempre sempre pregni di atmosfere superbe. Inutile fare una graduatoria, questo è per me il disco perfetto, uno dei monumenti della musica che a prescindere dalle inclinazioni o preferenze rimangono e rimarranno picchi inarrivabili, a cui volgo lo sguardo come esempio. Semplicemente un MUST EVERGREEN!




ANTI-FLAG - Die For The Government


Informazioni
Gruppo: Anti-Flag
Titolo: Die For The Government
Anno: 1996
Etichetta: New Red Archives
Autore: Dope Fiend


"Die For The Government" è un disco del 1996, debutto degli statunitensi Anti-Flag. Il gruppo negli anni fu pesantemente criticato e tacciato di incoerenza, fatti più o meno verificabili. Ciò che è sicuro è che in questo album si può trovare una dose di Punk di altissima qualità, lievissime spruzzate Hardcore, irriverenza, protesta, dinamismo e coinvolgimento. Le virtù di brani come la title-track, "Rotten Future", "Red, White And Brainwashed", "Fuck Police Brutality" e "Confused Youth" sono incontrovertibili, a prescindere dal colore delle idee dell'ascoltatore. Non manca nemmeno la classica smorfia all'inno americano di "I'm Being Watched By The CIA". Francamente non vedo nessun motivo valido per cui un amante del Punk dovrebbe evitare "Die For The Government".

Die for your country? That's shit!


FABRIZIO DE ANDRÈ - Fabrizio De Andrè

Informazioni
Gruppo: Fabrizio De Andrè
Titolo: Anime Salve
Anno: 1996
Etichetta: BMG Ricordi
Autore: 7.5-M<


Ogni frammento un intero. Ogni morso contiene tutto il gusto del mondo. Impossibile non commuoversi al sollievo di lacrime di Mirka, impossibile non percepire la calura soffocante della Sardegna presa nella disamistade, impossibile non sbarrare gli occhi di fronte a Dolcenera che passa per strada. Un album impossibile, completo, maturo, sfaccettato ed evocativo. Impossibile.







SILVERCHAIR - Frogstomp

Informazioni
Gruppo: Silverchair
Titolo: Frogstomp
Anno: 1995
Etichetta: Murmur Sony / Epic Records
Autore: Mourning

Daniel Johns (voce, chitarra), Chris Joannou (basso), Ben Gillies (batteria), tre ragazzini quindicenni che nel 1995 pubblicano il disco post-grunge che cambierà loro la vita: "Frogstomp". L'album è un collage di sensazioni estratte dalla scena di Seattle, non privo di citazioni al limite (anche oltrepassato) proprio col plagio, sia di gente come i Pearl Jam che degli Alice In Chains. Eppure non si può non amare un disco che esprime rabbioso una voglia di ribellarsi ancora non domata dal conformismo di un panorama, quello rock, che di lì a poco sarebbe tornato a uniformarsi, lasciando ancora una volta l'underground e la passione miseramente di lato. Purtroppo i giovani australiani non riusciranno a ripetersi, se non in parte con "Freakshow" e "Neon Ballroom", il resto tenderà a divenire sempre più smielato, sempre più pop, sino a scomparire. "Frogstomp" è e rimarrà comunque una delle piccole gemme regalateci dagli anni Novanta, un periodo contraddittorio e sofferto che ha dato alla musica che amiamo più e più soddisfazioni.


THE OWL SERVICE - A Garland Of Songs

Informazioni
Gruppo: The Owl Service
Titolo: A Garland Of Songs
Anno: 2007
Etichetta: Southern Records
Autore: Bosj

Non è facile descrivere una proposta come quella degli Owl Service: sì, è folk acustico e non, ma c'è tanto altro. C'è passione, c'è nostalgia, c'è riflessione, c'è consapevolezza, ci sono tanti piccoli anfratti celati all'ascolto superficiale, che si rivelano in modo diverso a ogni passaggio. I brani sono vari e quasi tutte reinterpretazioni di componimenti tradizionali, parte del folklore e della vitalità pulsante di un Paese: lunghi, corti, strumentali, cantati, non ha importanza. Ciò che conta è la sensazione di essere protagonisti di una storia nuova e diversa a ogni brano, lasciandosi cullare dalla straordinaria delicatezza di questa ghirlanda di canzoni.



ADRIANNO CELENTANO - Azzurro

Informazioni
Gruppo: Adriano Celentano
Titolo: Azzurro
Anno: 1968
Etichetta: Clan Celentano S.r.l.
Autore: ticino1

Il 1968 è oramai lontanissimo, Celentano non è più il giovanotto aitante di allora. "Azzurro", con il suo ritornello mitico, non lascia neppure oggi dubbi sul perché ai tempi fu il 7" più venduto dell'anno. Chi di noi non cerca ancora l'estate tutto l'anno per trovarla d'improvviso? Quante volte abbiamo sentito degli aerei e abbiamo pensato così all'azzurro del cielo nella canzone? Magari per sbaglio siamo pure saliti su un treno, un treno dei desideri forse? "Una Carezza In Un Pugno", con il suo testo d'amore, è lontana dall'essere la solita solfa amorosa e chiude la storia contenuta su questo pezzetto di vinile. W la varietà, /\/\ la banalità!




PRODIGY - The Fat Of The Land

Informazioni
Gruppo: Prodigy
Titolo: The Fat Of The Land
Anno: 1997
Etichetta: XL Recordings
Autore: M1

I Prodigy, il singolone con annesso video "scandaloso" "Smack My Bitch Up" e "The Fat Of The Land" li conoscono più o meno tutti, non mi soffermerò quindi a raccontare come suonino brani del calibro di "Breathe" o "Firestarter", piuttosto vi dirò che questo disco per anni fu l'unico esempio di elettronica che le mie orecchie riuscirono ad ascoltare. Il motivo forse stava nelle ritmiche coinvolgenti o piuttosto nell'attitudine da vera band estrema che mi trasmettavano Flint e soci, li sentivo vicini a un gruppo tradizionale piuttosto agli inutili dj che molti miei amici spaccia(va)no per artisti. Insomma non erano un'accozzaglia di suoni fatti per ballare, o meglio, non solo. E tutto questo in musicassetta!

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I WILL KILL YOU - Plastination


Informazioni
Gruppo: I Will Kill You
Titolo: Plastination
Anno: 2011
Provenienza: Sicilia, Italia
Etichetta: autoprodotto
Contatti: Myspace - Facebook
Autore: Bosj

Tracklist
1. Plastination (Intro)
2. Embalming The Human Corpse
3. Dissemble The Faults
4. Senza Respiro (To Ophelia D.)
5. Mirrors
6. Black Vendetta

DURATA: 22:34

Sempre pronti a supportare la scena nostrana, parliamo questa volta dei neonati I Will Kill You, progetto inaugurato dal chitarrista siculo L.M. nel passato 2010 ed oggi band a tutto tondo, da poche settimane presentatisi in veste definitiva con questo primo demo/ep "Plastination".
Sei tracce e una durata contenuta per affacciarsi sul mondo con la propria proposta death/thrash dalle coordinate moderne per il gruppo composto dal suddetto L.M., Andrea al basso, Peppe alla batteria e Klaudia dietro al microfono, che fortunatamente non tenta un poco probabile growl come certe bionde teutoniche (quindi niente facili paragoni con la band di Michael Amott, qui siamo su lidi molto più groovosi, piuttosto lontani dal melodeath svedese), ma alla gutturalità preferisce un'interpretazione più sporca e grezza, decisamente adatta.
Dal punto di vista strumentale, niente da eccepire: i ragazzi con gli strumenti se la cavano bene e senza sbavature e le strutture dei brani sono varie nonostante l'approccio piuttosto classico, con tanto di interludio strumentale ("Senza Respiro", forse il pezzo più debole del lotto, un po' troppo monocorde) per spezzare un po' il ritmo.
Tolto il suddetto interludio e l'introduzione i pezzi, in virtù dell'approccio classico di cui sopra, si concentrano su tematiche oscure e disperate, di morte e di sofferenza, che si muovono su un riffing solido e non particolarmente orientato verso la solistica (il che va a tutto vantaggio della resa finale dei brani, che come accennato sono decisamente "groovy") e una ritmica indubbiamente protagonista (sono molto alti, infatti, i volumi del basso).
Ancora, altra nota a favore di questo debutto è la perizia impiegata nelle fasi di registrazione e produzione: ben tre sono gli studi in cui la band si è recata per giungere ad un risultato soddisfacente, che è indubbiamente arrivato. Suonassero tutti così professionali, precisi e puliti i demo autoprodotti, il mondo sarebbe un posto migliore.
La critica però che mi sento di muovere è relativa alla stesura dei testi, piuttosto confusionari e un po' troppo "italiani" e forzati nella resa in lingua d'Albione. Forse una maggior cura in questo frangente darebbe ancora maggior profondità alla proposta del gruppo, tanto più in un periodo in cui molte formazioni stanno riscoprendo e rivalutando la propria lingua d'origine all'interno delle proprie composizioni.
Per qualunque altro giudizio è ancora troppo presto, mi limito ora a sperare che gli I Will Kill You riescano a raggiungere quanto prima la tappa del full lenght d'esordio, dato che le premesse per un album di caratura ci sono tutte.

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BRENVOLIZNEPR / WITCHBREW - Animal Sacrifice / Pouring Ancient Evil



Informazioni
Gruppi: Brenvoliznepr / Witchbrew
Titolo: Animal Sacrifice / Pouring Ancient Evil
Anno: 2011
Provenienza: Italia
Etichetta: Baphomet In Steel
Contatti: mort_suizid[at]virgilio.it - www.myspace.com/witchbrewitaly
Autore: Akh.

Tracklist
1. Brenvoliznepr - Pentecost (Intro) / Animal Sacrifice
2. Brenvoliznepr - Devil's Virgin
3. Brenvoliznepr - Messe Noir - Rites Of The Black Mass
4. Witchbrew - Zombification
5. Witchbrew - Slutbag
6. Witchbrew - Nuclear Screams
7. Witchbrew - Cauldron Of Black Vomit

DURATA: 31:52

La Baphomet In Steel esordisce alla produzione mettendo sotto contratto due gruppi provenienti entrambi da Cittadella che fanno dell’attaccamento alle radici metallicamente nere la loro spinta primaria, ed infatti ogni particolare del cd ci riporta indietro di almeno venti anni, quando i compact disc erano argentati con il nome del gruppo e titolo dell’album, niente serigrafia, niente ninnoli e niente manfrine e questo la B.I.S. ci propone, donando una scossa nostalgica ad un vecchietto come il sottoscritto.

Arrivano all’esordio dopo vari demos e la presenza in compilation pure i Brenvoliznepr, ogni riferimento musicale pare richiamare i padri assoluti del metallo estremo ovvero i maestri Venom.
I tre pezzi esposti sono un puro omaggio a Cronos e soci nella loro epoca d’oro, la voce di Seven Churches pare sia stata strappata a forza dal singer d’Albione per esser immessa in un contesto ancor piu’ marcio e putrefatto e francamente seppur derivativi la prova proposta è di gran lunga migliore degli attuali originali, sia per vibrazioni maligne che per attitudine e "Devil’s Virgin" non potrà che conquistare i vostri cuori corrotti .
Il tutto suona coinvolgente e datato anche grazie alla registrazione in presa diretta che rende l’atmosfera infernale e pregna di umori densi, anche quando il riffing sfiora sonorità "rockeggianti" come in apertura di "Messe Noir – Rites Of The Black Mass", ma il coinvolgimento è totale, l’aria è satura e l’headbanging prende il posto ai ricordi; i ragionamenti o le inflessioni post ottantiane non esistono nel loro dna, regalandoci una prestazione sudata, maleodorante e assolutamente devota al puro metallo nero, quando borchie, chiodo, birra e bestemmie random erano l’ABC del metallaro d.o.c.

Giungono alla prima prova professionale anche i Witchbrew, se è possibile la situazione diviene ancor più catacombale e foriera di violenza; la sporcizia sonora viene aumentata e la dimensione live della registrazione balza immediatamente all’orecchio, risultando ruvida e abrasiva, ma anche sulfurea e nera come la pece grazie al suono impastato del basso che ben evidenzia lo spirito del gruppo.
Anche qui non si parla in nessuna maniera di modernismi e cazzate del genere, gli anni ’80 (evidenti in "Nuclear Screams" in cui appare qualche influenza dei Celtic Frost) ed inizio ’90 sono il verbo a cui i nostri si ispirano e sicuramente gli amanti di Beherit et similia troveranno musica per il loro palato (come si nota in "Zombification"), nessuna concessione alla melodia, oscurità a tonnellate come se danzassero al centro del sabba, ed istinto selvaggio sono le coordinate sui cui Sonnenrad e Pentagrammation sfogano i le loro pulsioni bestiali.
Il riffing è mortifero, le vocals gutturali e belluine, la batteria è battente, le chitarre aspre e taglienti, il basso corposo e nero; le composizioni sono omogenee grazie all'utilizzo delle varie ritmiche (rimarchevole il cambio posto in chiusura di "Slutbag" dove si ode inaspettatamente una chiusura arpeggiata dal sapore di zolfo), pur rispettando la tradizione sonora, richiamando a loro i demoni dell'estremismo e dei vari gironi maledetti.
Musica che si ama o si odia quella proposta, volutamente intransigente e ignorante delle esigenze dei palati più raffinati.
Sicuramente musica suonata dal profondo dell’anima, con coinvolgimento e devozione, questa è l’arma in più, perchè se è vero che tanti possono suonare old style, in pochi riescono a suonare anche convincentemente.

Due gruppi che si prendono o si lasciano, indubbiamente non per tutti, ma ogni affezionato alla vecchia bandiera nera avrà modo di poterli apprezzare, sia musicalmente che attitudinalmente; volente metallo marcio, cadente, sporco e maligno?
Prendetevi una buona dose di birra doppio malto e lasciate aprire le porte all’entropia!

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FREITOD / UNHUMAN DISEASE - Split



Informazioni
Artista: Freitod / Unhuman Disease
Titolo: Split
Anno: 2011
Provenienza: Svizzera - USA
Etichetta: Bergstolz
Contatti: www.bergstolz.ch - www.blackhate.de
Autore: ticino1

Tracklist
1. Freitod - To The Eternal Kingdom Of Darkness
2. Unhuman Disease - The Serpents Eyes

DURATA: 14:54

Le uscite black non sembrano diminuire. La Bergstolz ci invita all’ascolto di un vinile sette pollici split con gruppi che vivono quasi ai due opposti del globo. Mentre i Freitod, di cui avrete già letto qualche mia recensione, sono svizzeri, di Zurigo per essere precisi, gli Unhuman Disease abitano nello stato americano dell’Oklahoma.

Il lato degli elvetici investe l’ascoltatore con un black classico composto di ritmiche variate che rinunciano al pedale del gas costantemente pigiato. I passaggi veloci alternati a quelli medio-rapidi e medî riescono a mantenere attento l’ascoltatore, incitandolo così a scuotere la testa al ritmo. La tavola non offre un filetto ma pur sempre un bel piatto di pasta al nero di seppia fatto da mamma con tanto amore per il dettaglio.

Unhuman Disease? Mai sentiti prima. Credevo si trattasse nuovamente di un progetto nato nella città di Ulrico Zwingli, invece scopro che è un americano. L’intro è molto classico, una campana suona cupamente a morto. Mi aspetto parecchio... le prime note non sono veramente quelle che rispecchiano le mie attese. È un black abbastanza scontato. Questo mi ricorda un poco i nostrani Wacht, con la differenza che la voce, strumento molto marcante dei grigionesi, mostra meno carattere ed è molto meno straziata. La ritmica è sostenuta ma non presenta dei punti emergenti dal mare di note. Se non avete troppe pretese, potrete senza dubbio godervi questa pista che è pur sempre ben suonata.

I vincitori sono senza dubbio gli svizzeri Freitod che mostrano più volontà nell’arruvidire la superficie del black classico e standard. Non lasciatevi influenzare troppo dai miei giudizî e date comunque una possibilità ai gruppi che con duro lavoro e grande sacrificio tentano di allietare le nostre orecchie.

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HEIDEN - Dolores


Informazioni
Gruppo: Heiden
Titolo: Dolores
Anno: 2011
Provenienza: Repubblica Ceca
Etichetta: Naga Productions
Contatti: http://heidenhorde.com
Autore: 7.5-M

Tracklist
1. Tmáø / The Obscurantist
2. Pábení / Palaver
3. Na Bøehu / On The Shore
4. Dnení Noc Je Ena / Tonight Is For Her
5. Má Euforie / My Euphoria
6. Antisentiment
7. Dolores
8. Ivý? / Alive?

DURATA: 38:59

Gli Heiden sono un gruppo ceco attivo da molti anni, dal 2003, che nel tempo ha cambiato il suo stile: partendo da una base black-pagan, spostandosi poi su lidi più doom-black, il progetto ha infine assunto, con l'ultimo lavoro, quella forma di black-rock, figlia degli ormai svaniti Lifelover.
Il nuovo lavoro degli Heiden, "Dolores", si articola su otto tracce, tutte accomunate da una ricerca della melodia malinconica. Peccato non conoscere il ceco per tradurre i testi, sembrano essere articolati, non solo accessori (tanto che la voce iniziale ricompare nel finale, a chiudere una narrazione, forse).
L'album si mantiene su livelli costanti dall'inizio alla fine, non c'è alcun picco né caduta di stile. La formula è quella collaudata dai Lifelover, chitarre, batteria (qui però reale), qualche tastiera, qualche sample (suoni naturali per lo più), tutto in viaggio sui quattro quarti standard del rock, con poche variazioni strumentali, qualche frammento in chitarre pulite o acustiche, e altrettanto poche variazioni vocali, a volte c'è del growl, a volte del cantato, per la maggior parte però rimane tutto stabile sul recitativo.
Forse è proprio questo l'aspetto che penalizza il lavoro degli Heiden: l'eccessiva staticità e la troppa aderenza allo stile dei Lifelover, senza però quella freschezza che contraddistingueva il gruppo norvegese, senza quell'ironia perversa, quella leggerezza anche adolescenziale. Gli Heiden hanno fatto un gran lavoro sul suono, caldo ed avvolgente, molto più curato di quello dei loro padri spirituali. Le melodie sono orecchiabili, malinconiche. Troppo. La voce tenta addirittura di imitare, come è evidentissimo nell'ultimo brano, il modello.
Un album piacevole all'ascolto, curato e anche sentito, ma che poco lascia dopo la sua conclusione, poco sorprende, o vuole sorprendere. Un gruppo che deve cercare la sua strada, pur avendo anni di attività alle spalle. Cambiare stile non significa, necessariamente, cercare la propria strada. Non significa, tanto meno, trovarla. Non significa, necessariamente, avere uno stile proprio.

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EQUINOXIO - By The Serpent And The Will


Informazioni
Gruppo: Equinoxio
Titolo: By The Serpent And The Will
Anno: 2011
Provenienza: Panama / Porsgrunn, Norvegia
Etichetta: Autoprodotto / Guttural Records
Contatti: non disponibili
Autore: Bosj

Tracklist:
1. Raise The Furious Hunt
2. Break Their Bones
3. Pride Of Satan
4. Iron Forest
5. Thanatotic Twilight
6. Death To All
7. Doctrines Of Discipline
8. Master And God
9. Beyond The Rotten Flesh

DURATA: 36:12

Li avevamo lasciati nella loro terra natale, Panama, dopo il debutto "Punishment Of Souls" e li ritroviamo, quattro anni dopo (non considerando lo split di un paio d'anni fa con i tedeschi Capitis Damnare), a Porsgrunn, in terra norvegese. Forse per cause contingenti, forse per ricercare una consapevole maturazione artistica, fatto sta che i tre centroamericani risiedono oggi nella patria indiscussa del black metal, ed è da lì che il loro nuovo lavoro, "By The Serpent And The Will - For Those Who Care Not To Serve But To Rule And Conquer", ci è arrivato. Tuttavia, è bene precisare che tutto il materiale contenuto in questo album è stato registrato ben prima dello spostamento: le sessioni in studio risalgono infatti addirittura a dicembre 2009, a San Paolo (presumo che di questo 2011 sia invece la riedizione sotto Guttural Records).
Quale che sia la sua genesi geografica, la nuova fatica del trio è, ovviamente, un nuovo disco di puro black metal di matrice sudamericana. Per quanto il contenuto sia simile, però, altrettanto netti sono i miglioramenti rispetto al debutto: in primis da parte di Grief dietro al microfono, ma non indifferente è anche la maggior cura posta in sede di registrazione e produzione, oggi molto meno marcia e "do it yourself" che in passato, così come più personale è il ruolo della chitarra, non più solo base distorta e zanzarosa per le urla dello stesso Grief (che ricopre entrambi i ruoli, oltre a quello di cantante anche quello di chitarrista).
La proposta a conti fatti non cambia, certo: sempre di black velocissimo, violentissimo e dalla furia incontenibile si tratta, ma oggi l'aria che si respira è meno marcia, più solida e compatta, forte di un approccio decisamente più professionale e maturo alla musica del Diavolo. Addirittura, di quando in quando, ci scappa pure l'assolo, come nella monolitica "Death To All".
L'aspetto lirico, che non ho avuto modo di approfondire nel primo full lenght (ma che, in tutta onestà, ritengo fosse poco distante da quanto stampato sul booklet di "By The Serpent..."), è ben poco innovativo, ma molto programmatico, esemplifico a rischio di banalizzare: Satana è la forza ("Pride Of Satan"), il mondo è pregno di arti oscure ("Iron Forest"), l'uomo è debole e merita la distruzione ("Raise The Furious Hunt") sono solo alcuni dei ben noti concetti su cui si basa l'ideologia blackster e che, chiaramente, permeano le composizioni degli Equinoxio.
La durata non eccessiva del platter permette poi di poterne godere senza cadere preda di facile noia, sempre in agguato quando si tratta di dischi molto compatti e poco variegati, in cui fin dal primo momento è chiaro cosa ci si possa aspettare dai brani successivi e cosa no. Fortunatamente non è questo il caso, e la mancanza di sorprese non va di pari passo con la mancanza di intrattenimento.
Un black metal per gli amanti della velocità e delle cavalcate al fulmicotone, un po' meno dedicato a coloro che intendono questo genere come catalizzatore per l'interiorizzazione, la riflessione e la meditabonda ricerca. Cadaver, Grief e A. Predator non hanno dubbi e non si aspettano che ne abbiate nemmeno voi. La scelta è molto semplice: unirsi all'orda o perire al suo passaggio.

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