lunedì 28 giugno 2010

NEOLITH - Individual Infernal Idimmu


Informazioni
Gruppo: Neolith
Anno: 2010
Etichetta: Psycho Records
Autore: Mourning

Tracklist
1. Thus I Fulfillled His Will (Intro)
2. The Dark and Light In One
3. A Prayer
4. Fright Emblazoned On Faces
5. Limes Inferior
6. That Sorrowful Feast Of The Damned
7. Asar Un-Nefer
8. Idimmu Expecting
9. The Most Excellent Charm Against The Son Of Liar
10. Hallowed Be The Signs!

DURATA: 50:32

La formazione polacca dei Neolith è una delle tante che ha vissuto una carriera alquanto altalenante, seppur attiva da quasi un ventennio infatti ha subito davvero tanti cambi in line-up, il ricordo più triste è legato al batterista Tomasz "Fil" Górawski morto in un incidente stradale nel 2008 a cui in ricordo viene dedicato il nuovo platter "Individual Infernal Idimmu" tanto che nel booklet vi è inserita tale frase:

"We Want This Album To Be "An Epitaph" For Fil (R.I.P.) Brother".

Il disco è una ennesima evoluzione anche per quanto riguarda il suono, la band infatti ha negli anni cambiato più volte direzione partendo da una base doom/death poi death/black ora legata al secondo stile con un approccio influenzato dall'atmosferico.
Non ci troviamo davanti a un capolavoro ma a un album onesto, molti dei brani potevano esser elaborati meglio, si notano le influenze classiche della scuola polacca di matrice Vaderiana così come altre band in mente vi verranno senza però raggiungere i picchi ottenuti da molti degli act che potrete accomunare nel corso delle loro carriere.
Le divagazioni thrash in "Prayer" o il bel solo in "Fright Emblazoned On Faces" confezionato da Vogg dei Decapitated in uno dei pezzi che pulsano e trasmettono le vibrazioni più inclini alla tipologia di musicale che si sono proposti di presentare, unito a buoni spunti sparsi in "Limes Inferior", "Asar Un-Nefer" e "That Sorrowful Feast Of The Damned" dove Taff dei Black River presta voce e vi è una sezione tribale con aggiunta di flauto più che interessante, oltre questo non c'è molto altro d'ascoltare che non sia conosciuto.
Una prova standard per i canoni della scena nazionale, una buona dose di melodia, l'innesto dei synth per infondere profondità e quel tocco d'atmosfera in più che purtroppo incidono poco sul discernere di un album che ha fasi di stanca nette come si può percepire in una "Idimmu Expecting" che pur riproponendo sul finire la soluzione già antecedentemente chiamata in causa in "That Sorrowful Feast Of The Damned" non ne possiede la stessa efficacia e una "The Most Excellent Charm Against The Son Of Liar" quasi tunzettona che poco s'incastra col resto del composto.
Non è neanche una mancanza d'idee quanto un'assenza di sviluppo d'esse, "Individual Infernal Idimmu" è allo stato embrionale, semplice o troppo istintivo, in certi casi forse troppo per quel che vuole rappresentare.
Se la prova strumentale come esecuzione ha poco di cui farsi rimpiangere, non è lì la pecca, la produzione pulitina non ha aiutato a dare quella spinta a un prodotto così rudimentale nell'animo.
I Neolith possiedono tutte le carte in regola per creare un disco di valore, il passato lo testimonia, il presente è un nuovo punto di partenza, tocca adesso darsi un futuro ripartendo da quel che c'è di buono in "Individual Infernal Idimmu", se vogliono ritagliarsi un piccolo spazio nella folta schiera di formazioni valide che danno vita a una fra le meglio assortite fucine metal europee e non solo, devono andare oltre a ciò che hanno sinora dato.

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COPROLITH - Cold Grief Relief


Informazioni
Gruppo: Coprolith
Anno: 2010
Etichetta: Violent Journey Records
Autore: Mourning

Tracklist
1. Intro - All Life Gone
2. Losing It
3. Drowned
4. Dead Endless
5. Hate Rapture
6. Flammable Soul
7. Point Zero
8. Dream Within Dream
9. Cold Grief Relief
10. Freezing Moon (Mayhem cover)

DURATA: 44:47

Avevamo già incontrato i finlandesi Coprolith col promo del 2009 "Other Me" di cui troverete la recensione a cura di Advent nel nostro sito, i brani composti godevano di una discreta composizione ma mancavano ancora di collante fra la parte melodica black e quella col death e la produzione era carente.
Arrivato il momento di rilasciare il debutto per Violent Journey, "Cold Grief Relief" riparte comunque da quanto di buono avevano fatto tanto da inserire subito l'"Intro - All Life Gone" cioè la già conosciuta "Losing It" adesso più concreta e meglio coordinata.
Le influenze passate di Abhorrence loro connazionali e dei Repulsion nelle parti più maceranti sono un bene per una formazione che punta sul tiro e averne centrato il raggio ha permesso loro di dar sfoggio di sana violenza quanto di una tecnica affinata rispetto al passato prossimo.
In canzoni come "Drowned", "Flammable Soul", e "Point Zero" aggiustando e calibrando anche se ancora non perfettamente la convivenza dei due generi, in "Dead Endless" anch'essa già contenuta nel promo dell'anno passato tale animo gelido e combattivo vien fuori prepotente.
Lo sforzo imponente è stato concretizzato nel realizzare la titletrack che da sola vanta quasi undici minuti di durata caratterizzati da blast beat rapidi in sequenza occasionale che le forniscono un'aggressività elevata rispetto alle altre canzoni del disco.
Posta alla fine la cover di "Freezing Moon" classico indiscusso dei Mayhem nulla aggiunge o toglie a un album che mette in evidenza il passo in avanti fatto dai Coprolith, ora supportati da una produzione decisamente più adeguata rispetto alla precedenti ma ancora non capace però di farli spiccare, gli equilibri per quanto non ancora assestati al 100% rendono maggiormente sia come salutare sfogo sia come qualità ridistribuita nel platter.
"Cold Grief Relief" non inventa nulla, si pone come una release che sa badilare come e quando vuole, se poi amate la scena finnica è un disco che può entrare in casa vostra senza alcun problema, la vena dolciastra melodica al suo interno è marchio di fabbrica e chi segue la suddetta scena sa cosa io intenda, un' altra buona band che va in crescendo.

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MARA - Inner Ugliness


Informazioni
Gruppo: Mara
Anno: 2010
Etichetta: Damned Productions
Autore: Mourning

Tracklist
1. IN
2. Inner Ugliness
3. May My Nightmares Become Yours
4. Mental Torment
5. Poisoned Thoughts Of The Mind
6. Disorientation
7. Nightmare Theme
8. There is Nothing Quite Like My Own Hell
9. Death Theme
10. OUT

DURATA: 01:00:42

Il progetto Mara pubblica nel 2010 l'ennesimo demo: "Inner Ugliness", se la discografia vi pare folta di lavori per una one man band che ha iniziato a produrre solo nel 2008 e vanta già otto lavori, c'è da dire che in ognuno di essi si è percepita come costante la voglia di migliorare e centrare l'obbiettivo da parte del mastermind.
Quest'ultimo non so se posso definirlo il più bello perché il gusto è cosa personale ma è sicuramente il più evoluto, l'artista ha calibrato in maniera ottimale le peculiarità che avevano dato vita al primo "Sanity Collapsing", abbiamo quindi una mistura di atmosfere claustrofobiche, ridondanze drone, riffing spesso statico e teso a creare trame semplicemente decadenti e l'ambient a diluire la proposta creando un mare dove perdersi.
Si nota sin dall'intro strumentale "In" che le dosi del composto siano state misurate con cura, tanto da elevare un brano lungo e tortuoso nell'animo come "May My Nightmare Become Yours" e rendere ancor più gelida "Poisoned Thoughts Of The Mind".
"Mental Torment", "Nightmare Theme" e "Death Theme" titoli che risultano alquanto indovinati correlati alle scelte di sound intraprese da Mara, l'uomo viene racchiuso in un habitat a lui innaturale, una cattività che la musica esalta facendone sprofondare l'io e la volontà oppositoria, un lento quanto logorante obliarsi.
Non è tutto rose e fiori purtroppo, qualche pecca qua e là c'è, la cosa che reca danni seppur lievi al demo è la produzione, i volumi non sono regolati al meglio, la voce è quella che ne risente di più, spesso viene inghiottita dal resto limitandosi a uno stridulo gracchiare, inoltre un pelo in più di pulizia avrebbe inspessito il suono già cupo e in alcuni casi ciclico acuendo quell'asettica freddezza che "Inner Ugliness" possiede caratterialmente.
La strada che si sta percorrendo sembra ormai delinearsi sempre più a ogni nuova prestazione e i risultati danno ragione a Mara, se ciò che cercate nel black si rispecchia nelle caratteristiche del suo lavoro non fatevi sfuggire l'occasione d'ascoltarlo.

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DIASCORIUM - Abstractions Of The Absolute


Informazioni
Gruppo: Diascorium
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1. Requirement For Our Dream
2. The Blood Shall Spoil
3. Self Modifying Game
4. Cnidaria

DURATA: 15:23

I Diascorium si rivelano come una di quelle realtà che amano non dar punti di riferimento fissi, evitano un modo certo con cui poterli catalogare ma quello che conta è che la musica del loro "Abstractions Of The Absolute" è fantastica.
Un po' il discorso che si potrebbe fare con gente schizoide come gli Anaal Nathrakh o i Cephalic Carnage di "Lucid Interval": o si amano o si odiano.
La formazione britannica miscela al grind folle che fa da base più o meno costante, variazioni di tema che vanno da passaggi più doomy a concentrazioni in massa di groove a richiami sinfonici (sul finire di "Cnidaria"), vien da dire che non si fanno mancare proprio nulla.
Una volta che la declamante e atmosferica "Requirement For Our Dream" ci ha spalancato le porte attraverso le quali interagire con il loro mondo, tocca a "The Blood Shall Spoil" accoglierci violentemente.
L'attacco è sparato, il riffing veloce e tecnico, lo screaming urlato a perdifiato, sanno spingere e lo fanno con una ferocia impressionante trovando quando uno meno se l'aspetta la via funebre che ne allenta mortalmente l'incedere e poi... che il massacro riprenda il proprio corso.
"Self Modifying Game" è un technical death/grind devastante, riffing arzigogolato, batteria con cassa in tiro, cambi di tempo continui in un neanche due minuti di musica con Bernard dietro il microfono che alterna growl, scream e nelle ultime note rilasciate infila una botta di pig-squeal che non guasta, è però con "Cnidaria" che la band fa bingo nel vero senso della parola producendo un groove Gore degno delle miglior produzioni di casa Relapse, il che rende la canzone di una efferatezza sovraumana.
Certo qualche pecca la si riscontra in alcune scelte un po' "immature" e forse frettolose o nella ricerca ossessiva da parte della sei corde di trovare sempre più spazi ma con un drumming bombardante, un basso che partecipa incalzando a più riprese e un cantante in forma c'è poco da criticare e tanto da godersi.
Sì è un primo passo ma mettono in mostra una tecnica e per certi versi delle capacità che sono riscontrabili in formazioni di lungo corso, non vi resta altro da fare che scaricare "Abstractions Of The Absolute" dal loro sito e tenere a mente il monicker Diascorium, attendo al più presto notizie sull'uscita di un'opera full.

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(PSYCHOPARALYSIS) - Deligion


Informazioni
Gruppo: (Psychoparalysis)
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Spiral
2. Dance Among The Serpents
3. Deligion Part I
4. Deligion Part II

DURATA: 18:11

Quando si parla solo di progressive death o prog death in genere si finisce spesso col fissare il termine accomunandolo a gente che masturba violentemente lo strumento, lo fanno per quale motivo? Divenire dei Malmsteen in versione brutale?
Il risultato è spesso quello di fracassare letteralmente le scatole di chi ascolta o di ridurre il tutto a una misera prova scolastica del: suono bene, sono figo e va bene così.
Non va bene così per un cazzo sottolineerei, una dimostrazione positiva in quest'ambito ce la regalano gli (Psychoparalysis) con il loro primo demo "Deligion" che, pur seguendo alcuni dettami dello stile, non si limita a un puro esercizio ginnico sulla strumentazione.
I quattro brani proposti miscelano atmosfere che riportano alla mente gli Amorphis del periodo primorde con l'apertura che diede vita al loro profondo cambiamento "Elegy", possiedono l'irruenza virile dei Bolt Thrower della svolta che ha preso vita con "Mercenary" ed evocano in alcuni frangenti i Death di Schuldiner.
Il paragone con queste tre gigantesche realtà metal non vi spaventi, i ragazzi, anche se ancora immaturi e non privi del fattore deja vù, hanno le carte in regola sia per quanto riguarda l'ambito compositivo sia per quello riguardante l'aspetto personale decisivo per spiccare, i brani dotati di un'efficacia notevole ne sono la riprova più certa, con in testa "Dance Among The Serpens", chicca di questo vagito iniziatico seguita dalla visione catchy melodica di "Deligion Part II" più che gradevole.
Un buon primo passo verso una crescita che si prospetta interessante quella dei (Psychoparalisis), attendendo nuovi sviluppi non vi resta che ascoltare "Deligion" e sperare in notizie al più presto.

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GALAR - Til Alle Heimsens Endar


Informazioni
Gruppo: Galar
Anno: 2010
Etichetta: Dark Essence Records
Autore: Mourning

Tracklist
1. Forspill
2. Ván
3. Paa Frossen Mark
4. Grámr
5. Det Graa Riket
6. Ingen Siger Vart Vunnin
7. Til Alle Heimsens Endar
8. Etterspill

DURATA: 42:42

Come spesso accade quando ci si confronta con certi dischi, il punto di vista tecnico non è la via più giusta per dare un giudizio che si possa definire consono, i Galar dalle varie voci contrastanti che avevo ascoltato fra amici e conoscenti venivano percepiti da alcuni in fase calante o di evoluzione se si vuol intenderla così, oppure venendo esaltati a dismisura.
Quando ho avuto quindi la possibilità d'inserire nel lettore "Til Alle Heimsens Endar", conscio del fatto che "Skogskvad" al tempo mi aveva impressionato positivamente, ero ansioso di capire cosa mi attendesse.
Il viking folk del duo composto da Slagmark e Fornjot, supportato per l'occasione dal drumming di Phobos (Aeternus, Gravdal), continua il percorso intrapreso con il debut, le influenze Enslaved, Windir, le memorie bathoriane quanto la classe innata di chi è capace (seppur solo in parte) di ridar vita ai fasti Ulver non può essere categoricamente definita come delusione o album di semplice passaggio.
Ciò che caratterizza le composizioni di questo nuovo lavoro, oltre uno schema probabilmente ciclico nelle soluzioni scelte ma alquanto indovinate, sono la personalità che pur alimentandosi come detto dell'esperienza di act noti ci mette la faccia, e una propensione a ricreare atmosfere naturalistiche intense.
L'intro e outro strumentali "Forspill" e "Etterspill" con l'uso d'archi sinistro e di un piano di semplice compagnia rappresentano l'alpha e l'omega di una release che al proprio interno si scatena in velocità, ci offre passaggi grondanti di melodie, tratti acustici e un alternarsi e intrecciarsi di voci che innalzano l'evocatività e la pulsante voglia di arrivare dritti al bersaglio in maniera eccelsa.
"Vàn" dopo l'essersi slanciata rude gode di una spinta ritmica considerevole, sono però i fraseggi melodici della chitarra solista che ne abbelliscono l'incedere minaccioso, quando la vocalità pulita prende piede l'odierno scompare immergendosi in un mondo passato che rivive nelle note emesse come provenissero da chissà quale tempo ormai obliato.
Si percepisce già da questo primo episodio come i Galar abbiano affinato le qualità per quanto riguarda la composizione, gli elementi di classica ora più che mai non sono membri a solo ma vengono inseriti nel giusto modo nelle intelaiature create, ne vengono così fuori piccole gemme come "Paa Frossen Mark" che con la precedente traccia condivide il volo delle ugole e una propensione similare nel tema anche se con modo tendente più al groove in quest'ultima e "Grámr" il colosso del disco.
La canzone di oltre nove minuti che da un animo battagliero vede fiorire uno stacco acustico dominante per la semplicità e bellezza con cui carezzevolmente si dipana, avverrà la comparsa della dolce voce femminile di Cecilie Langlie prima che l'arcigno piglio torni a riprendere il ruolo di linea guida.
La titletrack mantiene questa prerogative, è robusta, del lotto quella più minacciosa per quanto i toni melodici vibranti sembrano una vera e propria cura naturale alle ferite che uno scontro efferato può infliggere.
A parte è da considerarsi la strumentale "Det Graa Riket", una sonata intima, dall'anima notturna come la foresta che si accinge al sonno accompagna l'uomo nelle ore di buio, gli strumenti tessono una trama incantevole, suadente che s'addice alle movenze bucoliche di "Til Alle Heimsens Endar".
I Norvegesi hanno confermato e per quanto mi riguarda esaltato il lavoro fatto in antecedenza con una prova maiuscola, è un album che richiede una giusta dose di empatia dall'ascoltatore, se si è quindi superficiali o fruitori abitualmente ed esclusivamente del "tupa tupa" sarà una vera impresa cingersi e trovare feeling con un platter simile.
Consiglio quindi l'approccio alla nuova creatura dei Galar agli appassionati dello stile, per chi ha voglia d'andare oltre i soliti confini potrebbero rivelarsi come una piacevole sorpresa.

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IMPALED BITCH - Primordial Blasfemus Regurgitation


Informazioni
Gruppo: Impaled Bitch
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1.Cu La Testa Mpacchiata Aru Muru
2.Santità Fasulle
3.Ignorant Of Faith
4.Kill The Prophet
5.The Dreamer
6.Vomiting Jesus
7.Evangelista Morto
8.Bastard Destiny
9.Primordial Blasfemus Regurgitation

DURATA: 24:47

La creatura di Soso, gli Impaled Bitch, torna alla carica con l'ennesima uscita sulla breve distanza, nuovo full dal titolo blasfemo con un netto cambio di rotta riguardante soprattutto le tematiche.
"Primordial Blasfemus Regurgitation" infatti si nutre di una collera anticlericale che sembra essere figlia dei primi anni Novanta anche se la proposta rimane ancorata a un death fortemente intriso dal grind, growling distorto e sparute inserzioni di pig squeal si riscontrano durante i quasi venticinque minuti della sua durata, ristretta e in parte efficace.
La volontà al calabrese non manca di sicuro né una discreta ispirazione, il riffing continua come già nel precedente "Mutation" a trovare spunti interessanti ma alcune imprecisioni e una produzione carente tagliano le gambe a dei pezzi che potevano avere vita migliore.
Ci sono un paio di episodi divertenti che tengono il disco a galla: "Santità Fasulle", "Kill The Prophet", "Evangelista Morto" e una "Bastard Destiny" che mette da parte l'attitudine grind per far spazio a ritmiche thrashy con l'aggiunta della vocalità femminile della guest Roberta Saullo sono una base solida da cui ripartire per mettere in atto lo step successivo.
La coerenza è l'arma di Soso, se continua di questo passo la discografia degli Impaled Bitch diverrà corposa di uscite, conoscendo la sua simpatia come personaggio e il modo genuino di far musica gli auguro anche una crescita che dia al progetto una forma ancor più importante.
Consiglio quindi di prendersi un po' di tempo in più per affinare la brutalità del grind disgorgiano per regalarci una chicca, i presupposti ci sono e la scena regionale da cui proviene ci ha ben abituato.
"Primordial Blasfemus Regurgitation" è un disco piacevole con cui sbatacchiare la testa, gli amanti del genere ci si accostino tranquillamente, si troveranno in terreni conosciuti e su cui non avranno difficoltà a muoversi.

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OBSYDIAN (CAN) - The Grotesque Presage


Informazioni
Gruppo: Obsydian
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1. Blastocyst Assassination
2. Indoctrinated
3. The Apocrypha
4. Seeds Of Desecration
5. Divine Sedition
6. The Rebirth
7. Poison Of The Pious
8. Apologue Of The Wicked
9. The Grotesque Presage
10. Slaves To The Resistance

DURATA: 01:06:33

Il Canada continua ad alimentare il metal estremo immettendo giovani realtà dalle più che discrete potenzialità, ennesima band da tenere sott'occhio è quella degli Obsydian.
I ragazzi provenienti dalla Nuova Scozia hanno rilasciato l'album di debutto "The Grotesque Presage" sul finire del mese d'aprile, la formula su cui si basano è abbastanza semplice, puntano su un death/thrash veloce, compatto che in alcuni frangenti gioca con la melodia.
Dotati di buon gusto e di una tecnica più che sufficiente, riescono a più riprese a inserire anche movenze groove per assestare dei colpi diretti, lo scream del vocalist e qualche fraseggio più spinto di matrice blackish variegano ancor più un sound derivativo ma che fa più volte centro come nel caso di una spacca collo "Indoctrinated" dove appare, anche se a sprazzi, un growl profondo e secco, la scia musicale di gente come Behemoth e Belphegor sembra far capolino più volte nel lavoro della formazione canadese, violenza che attinge delle sonorità tendenti al black anche per la successiva "The Apocrypha" inizialmente ma che, internamente, rivela passaggi richiamanti anche lo stile dei cannibali più famosi del death, variazioni ancora legate alla scuola estrema polacca e ai Kreator.
E' un calderone ampio e non semplice da gestire quello in cui gli Obsydian si sono incastrati, si barcamenano alternando e cercando di creare un equilibrio fra questa molteplicità di influenze, in linea di massima regge ma al tempo stesso la troppa carne al fuoco appesantisce in alcuni casi il trascorrere del brano.
Mettiamo in conto anche che c'è più di un'ora di musica a nostra disposizione, lo sforzo messo in atto è di quelli massicci, non hanno paura di ingigantire il suono imbastardendolo (sempre rimanendo internamente ai confini dell'estremo), e spingono dannatamente come succede a esempio con l'assalto proposto da "Seeds Of Desecration", un vero martello pneumatico in azione.
Imperterriti bastonano con le successive "Divine Sedition" che si conclude in crescendo con un assolo melodico ben eseguito e travolgente, "The Rebirth" ennesima clavata a capocollo che si diletta fra accelerazioni pulsanti, terremotanti e fasi allentate dove il riffing ridondante e ossessivo colpisce in pieno, si prosegue su tali direttive e tocca anche alla titletrack fornire l'apporto richiesto alla prova.
"The Grotesque Presage", dopo un inizio parlato con vocalità distorta, lascia alla chitarra solista un lungo spazio in cui poter esibire le sue doti di dinamismo e freschezza compositiva per poi lanciarsi in una folle corsa frenata bruscamente dal comparire improvviso di un inserto pianistico accostato dall'acustica.
Lo strumentale mostra i due volti, quello spietato e quello intimo, di una formazione che nel riprendere il suo corso abituale adesso sembra chiamare in causa l'epicità di certe scelte Amon Amarth dando per l'ennesima volta libertà di sfogo alle sei corde che non se lo fanno ripetere due volte.
Il disco di questi ragazzi spicca per un songwriting come già accennato sì saturo d'influenze ma che evidenzia una capacità compositiva notevole, il farle convivere è merito assegnabile in parte alle due asce Mitchell Dragatis e Marc Mackenzie esecutivamente perfette ed equilibrate nonché solisticamente dotate, in altra parte al batterista Justin Marshall che fa la differenza con i suoi cambi di tempo e le impostazioni di pattern ficcanti e incassati a dovere nella rete formata dai riff.
Il basso di Ian Seurattan funge da vero e proprio collante fra i reparti, non brilla per originalità e non si complica la vita puntando al sodo, Marc si occupa anche del cantato e si assesta su livelli più che buoni sia nello scream sia nel growl, la bocca spara fuoco adatta a dar voce nel vero senso della parola alla musica degli Obsydian.
Un altro punto importante per la resa delle canzoni è la produzione curata agli Echo Chamber studio, pulita quanto basta a delineare chiaramente il sound e a imprimere lo spessore e la spinta adatte a una prova che per quanto violenta ha dei risvolti tecnici non male.
Come tanti act anche gki Obsydian vengono assorbiti nella marea delle auto produzioni e ci si continua a chiedere dove guardino e cosa cerchino realmente le label... un punto interrogativo che rimarrà senza risposta se non quella più prevedibile legata non all'arte ma al becero ma fondamentale riscontro monetario.
"The Grotesque Presage" è ordinabile direttamente presso la band, se la proposta rientra nei vostri canoni d'ascolto un pensiero su questa giovane promessa fatelo, soldi spesi bene.

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GORPHYRYAC - Shark Warfare


Informazioni
Gruppo: Gorphyryac
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1. Water Zombies
2. Eaten
3. Shark Trauma
4. Trenchkill
5. Gut Dumpster
6. Bloodlust (Venom cover)

DURATA: 19:42

Gli americani Gorphyryac sono una di quelle appassionate band che adorando il sound dei primi anni Ottanta e Novanta si lancia nel produrre musica che non inventa nulla ma si presta a sfogo libero e scapocciamento continuato.
L'ep "Shark Warfare" rilasciato in sole cinquanta copie ha al suo interno sei brani che ricalcano le sonorità grezze e totalmente estranee alla ricerca sonora di act quali Venom, Hellhammer, Impetigo rilasciando a più riprese passaggi primordiali dediti al puro impatto.
Venti minuti che faranno piacere ai fan più accaniti dell'integralismo metal, canzoni come "Gut Dumpster", "Shark Trauma" e "Water Zombies" escono da uno scantinato colmo di poster eighties con annesso frigo carico di birra e capelli che roteano vorticosamente impazziti.
Immancabile la cover come tributo ai maestri, in questo caso è toccato ai Venom veder ridata forma per l'ennesima volta a "Bloodlust" contenuta nel singolo omonimo del 1982, la loro versione è decisamente più caciarona ma rende bene l'idea.
E' roba sincera, priva di sovracostruzioni o altro è quello che ci si attende quando uno vuole ascoltare metal che non abbia altri interessi che suonare per quello che è.
Sono già al lavoro su nuove canzoni e quindi ci si attende un successore di "Shark Warfare", fatevi un giro sul myspace e se vi piace la musica nuda e cruda concedete loro una chance.

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DEMONIC DEATH JUDGE - Kneel


Informazioni
Gruppo: Demonic Death Judge
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1. Kneel
2. Beneath The Monument
3. Feast
4. Spiral
5. Fire In The Eyes
6. Carlyle

DURATA: 45:28

Nuovo lavoro per i finlandesi Demonic Death Judge, "Kneel", sei pezzi per ben quarantacinque minuti di musica.
Il sound è legato al movimento stoner/sludge, pesante, scuro, forte di scelte tese a non complicarne l'andare quanto a renderlo più diretto possibile, un pugno in faccia che non si risparmia assoli corposi, ritmi sostenuti sfondacranio e passaggi fangosi resi ancor più arcigni dalla vocalità tendente allo scream del singer.
I brani, per quanto siano tutti di più che discreta durata, non soffrono cali di tensione grazie a varianti non continue ma puntanti a snellire la mole massiccia, le melodie che s'intrecciano internamente a "Beneath The Monument" a esempio donano un che di onirico così come il suo finire quasi drone dalle movenze cupe ci trasporterà mentalmente in altra dimensione.
Atmosfera celestiale decadente si crea nella parte iniziale di "Feast", la canzone diventa dopo poco un muro alto e possente, il cantato continua nel tessere linee nervose e arrabbiate acquisendo vitalità dal muddy style da cui i riff traggono linfa.
La natura musicale di gente come Ufomammut, Iron Monkey, Sourvein, Reverend Bizzare o Elictric Wizard, è riscontrabile a più riprese nello stile dei Demonic Death Judge intriso di una consistente acidità di fondo, flavour settantiano e psichedelia statico/ipnotica che in certi attimi vien fuori improvvisa come un fungo ricreata da una ridondanza continua che attrae come in alcuni frangenti riscontrabili in "Spiral".
Molto bella la conclusione acustica di "Fire In The Eyes" dal tocco naturalistico che precede il colosso e conclusiva traccia "Carlyle", strumentale libero di dar sfogo alla chitarra solista che si esibisce in un lungo e carismatico sodalizio solistico con la base pachidermica lì a sostenerne l'incedere voluttuoso.
Intorno al settimo minuto s'inserisce il suono di una sirena in un primo tempo alla ribalta per poi venire inglobato dalla musica che riprende il suo corso per poi scemare improvvisamente e far conclude proprio al suono ospite la canzone.
C'è anche una sorpresa nel suo finire ma non vi svelo qual'è, lasciamo un po' di suspense.
"Kneel" ha tutte le caratteristiche per essere apprezzato dagli adoratori dello stoner/sludge, non vi è nulla che non sia stato sviscerato anche se tratti personali verranno fuori ogni tanto, la band sta maturando e segue un percorso evolutivo naturale che sta dando i propri frutti.
Seguite il genere? Compratelo avrete una chicca in più in casa, male non può farvi.

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HELLRAZER - Prisoner Of The Mind


Informazioni
Gruppo: Hellrazer
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Death March Of Bataan
2. Nailed To The Cross
3. Vendetta
4. Metal Alliance
5. Prisoner Of The Mind
6. Futile Rebellion
7. Going For Glory
8. Ghost Rider
9. Raining Fire
10. Warlord

DURATA 55:03

Vengono dal Canada e amano l'heavy metal degli anni d'oro gli Hellrazer, dopo un passato come cover band con il nome One-Eyed Snake nel 2006 cambiano nome nell'odierno incidendo il primo demo succeduto l'anno successivo dall'omonimo full.
Sono trascorsi tre anni da quel lavoro ed eccoli di nuovo pronti a mettersi in gioco con "Prisoner Of The Mind", le coordinate sonore prendono spunto da gente come Maiden e Priest in primis anche se di nomi in mente ve ne verranno altri, a me a esempio in certi frangenti hanno ricordato gli Iced Earth più old, in altri i Winters Bane.
I brani sono semplici e accattivanti, non si perdono dietro insensati tecnicismi puntando su uno stile retrò dedito più a un impatto diretto, cavalcate e pezzi da cantare con i pugni alzati come accade con i refrain di "Vendetta" e "Metal Alliance".
Le chitarre lavorano bene in fase di riffing sia nei momenti serrati sia quando puntano ad aperture melodiche con assoli annessi, ci si trova dinanzi a episodi come "Futile Rebellion" di painkilleriana devozione in cui fa la sua prima comparsa Julia Badescu esibendosi in un chorus che ne alleggerisce la presa rendendola notevolmente più catchy.
Le cose migliori gli Hellrazer comunque le tirano fuori quando si spinge sul pedale dell'acceleratore vedasi l'accoppiata composta da "Going For Glory" e "Ghost Rider", naturali esempi di heavy/power metal dove ancora la vena di Halford e soci accompagna la formazione (il primo citato) offrendo al contempo anche spunti personali più che apprezzabili (nel secondo).
Con "Raining Fire" si discostano dai territori già battuti puntando sulla voce calda di Julia, la traccia è lenta, una ballad malinconica che spezza i ritmi, un respiro profondo, prolungato e suadente, questo prima che "Warlord" decisamente più scura e dall'attitudine Metallica porti a conclusione il platter e in questo caso non si tratta di solo una influenza, c'è tanto dei Four Horsemen, forse troppo.
"Prisoner Of The Mind" si rivela per quello che è: una prova genuina con l'unica pretesa di farvi ascoltare buona musica, alti e bassi mostrano quanto la band sia comunque fedele al credo che porta avanti non tentando forzature o soluzioni estreme per rendersi personale, la produzione poteva essere più definita soprattutto per quanto riguarda la voce ma in fin dei conti l'album on air è divertente da far girare.
L'underground è vivo, gli Hellrazer ne sono dei buoni rappresentanti, se è qualcosa di "vero" quello che state cercando un passaggio nel vostro stereo "Prisoner Of The Mind" dovrebbe aggiudicarselo.

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IVS PRIMAE NOCTIS - Giorno Di Dolore


Informazioni
Gruppo: Ivs Primae Noctis
Anno: 2009
Etichetta: Trips Und Traume
Autore: Leonard Z

Tracklist
1. Any Pain Anymore
2. Nacht Gekommen
3. The Chimp And The Bell
4. Giorno Di Dolore

DURATA: non disponibile

Veramente un lavoro di impatto questo 10 pollici del collettivo romano conosciuto col nome di Ivs Primae Noctis. Quello che mi trovo davanti è un vinile molto ben curato, che contiene quattro pezzi in cui si mischiano black metal, industrial, ambient e power electronic. I brani riescono nel loro intento di disturbare l'ascoltatore, colpendolo in faccia con le urla di dolore di Miss Violetta (che potrei indicarvi come un Landfermann dei Bethlehem al femminile). Se il lato A del vinile è più orientato verso pezzi d'assalto, con chitarre distorte e blast beats, il lato B è più meditativo. Il pezzo “The Chimp And The Bell” ricorda le musiche di autori quali Ritz Ortolani e Fabio Frizzi, in una sorta di citazione delle colonne sonore dei capolavori del cinema italiano anni '70. Il pezzo in questione non stonerebbe come versione “industrial” di una ipotetica nuova colonna sonora di “La Casa Dalle Finestre Che Ridono” di Pupi Avati. “Giorno di Dolore”, la title-track, è l'unico pezzo senza vocals, in cui le percussioni e i sintetizzatori la fanno da padrona, portandoci verso lidi ambient. In definitiva un ottimo prodotto che consiglio a tutti coloro che ricercano musica lontana dai soliti cliché. Affrettatevi perché il vinile è limitato a 200 copie.

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AMMONAL - Beginning The End Of Everything


Informazioni
Gruppo: Ammonal
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1. Beginning The End Of Everything
2. Final War
3. Doctrine Of Submission
4. I Bleed
5. Fuckin' Blues
6. You'll Never See, You'll Never Know

DURATA: 34:56

Il mare del death metal melodico è sempre più intasato, il numero degli act che si cimentano è in vertiginoso aumento e il ritagliarsi un posto anche piccolo non è più cosa così semplice.
Servono qualità, una resa sonora importante e seppur l'ispirazione è ormai una dote quasi del tutto scomparsa almeno si richiede di ripercorrere le orme già segnate in maniera consona, in tanti ci provano e in troppi deludono.
I nostrani Ammonal si sono imbarcati in quest'avventura e i buoni propositi non mancano, le influenze sono molteplici: In Flames, Dark Tranquillity, accenni dei Children Of Bodom, sinfonicità rievocante i Zonaria e in parte ricordano band sottovalutate e non più in attività come i tedeschi Fall Of Serenity e gli olandesi Callenish Circle.
Un bel miscuglio direte voi? Direi proprio di sì, e per quanto le realtà abbiano in comune l'appartenenza al filone melodico non si possono definire similari ma decisamente non uguali, il che è già un problema ricollegarne i pezzi.
I sei brani che formano "Beginning The End Of Everything" mostrano da parte degli Ammonal una conoscenza approfondita del genere così come il puntare sul lato più catchy e fruibile dello stile, i ragazzi ci sanno decisamente fare con gli strumenti e, fra cambi di tempo e sfuriate vere e proprie, trovano pure come inserire una sessione di ska in "Doctrine Of Submission" e un'impronta rock/blues seventies in "Fuck'n'Blues".
Le cose migliori le hanno fatte nella fase di composizione/strutturazione dei pezzi che scivolano via bene, senza intoppi conditi da assoli ben congeniati ed eseguiti, il suono pulito e frizzante poi, è l'arma in più in seno al lavoro, forse un po' troppo frizzante, però, anche quando avrebbe bisogno di toni più grevi soprattutto in quelle parti dove la band innesta dei solchi profondi che andrebbero acuite con un inasprimento netto risulta dolciastro.
La premessa iniziale non vi porti fuori strada, la formazione è sì altamente derivativa ma riesce al tempo stesso a imporsi con scelte rischiose ma inquadrate come quelle citate antecedentemente che caratterizzano la proposta.
Vi sono quindi logica e follia dedite a regolare le azioni che danno vita a "Beginning The End Of Everything".
I quasi trentacinque minuti scorrono divertenti, esagitati, incazzati come nell'occasione della conclusiva "You'll Never See, You'll Never Know" che ci regala una buona dose di violenza inframezzata da un chorus catchy e fanno sperare più che positivamente per le sorti future del combo.
Attendendo il primo full della band v'invito a visitare lo space www.myspace.com/ammonalmetal e a far la loro conoscenza, segnatevi questo nome e se tutto va come deve andare (e glielo auguro vivamente) ne sentiremo parlare!

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RENCOR - Rencor

Informazioni
Gruppo: Rencor
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore : Mourning

Tracklist
1. Disembodied
2. 588968
3. Dig It All
4. Barkodas
5. Genocide Of Sins
6. Copros
7. Mes Begam Kur Nereikia
8. Odio
9. Sabachtani
10.Rancor
11.Outro

DURATA: 21:02

Formazione giovane e molto motivata quella dei lituani Rencor, formatisi nel 2009 hanno dato luce al loro primo full omonimo quest'anno.
Pur suonando insieme da poco, si nota sin dalle prime battute che vi è una più che discreta coesione musicale, le tracce, tutte di durata minima (l'album nella sua interezza conta soli ventuno minuti), sono ben assemblate puntando sia su una buona dose di aggressività sia su scelte strettamente legate al gusto e al potenziale tecnico che può ancora essere sviluppato.
Piacevole l'ascolto di un brano rockeggiante come "Mes Begam Kur Nereikia" o "Genocide Of Sins" dove fasi velocizzate ne brutalizzano il sound, così come vi sono tracce spiccatamente death come "Disembodied", "Copros", "Odio" o la titletrack che per quanto violente non rifiutano quelle aperture jazzy o emotive delicate che offrono attimi ricercati e ben fatti perché non tesi a strafare, si presentano essenziali e melodicamente accattivanti.
Il riffing di Paulius è intrigante, immaturamente istintivo, spontaneo e alquanto personale, intreccia vari stili dando il giusto peso a ognuno di essi, Donatas e il suo basso risultano presenti e fondamentali per l'evoluzione delle canzoni vista la dinamica e il suono curato con cui si pone a servizio del drumming irruento di Justinas.
Il cantante Edma è quello che si rifà marcatamente all'old school con un growl cupo e incisivo che sembra uscire da registrazioni dei primi anni Novanta, la stessa produzione per quanto scarna e in alcuni tratti eccessivamente ridondante rende alquanto chiara l'idea della proposta dei Rencor. Il sound in genere è definito con una resa strumentale apprezzabile e facilmente godibile.
Sono decisamente da tenere sott'occhio, chissà che qualche label con un po' di vista lunga non dia loro la possibilità di lavorare con mezzi adeguati, visto il risultato ottenuto con questa auto-produzione con un supporto come si deve potrebbe scappar fuori un che di non poco interessante.
Il platter omonimo è in free download, troverete il link presso il myspace della band: www.myspace.com/rencorlt
A voi dar loro una possibilità.

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STONE OAK COSMONAUT - Into The Multiverse


Informazioni
Gruppo: Stone Oak Cosmonaut
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1. She Is My Interstellar Cow
2. Cosmonaut No. 6 (Valentina Tereshkova)
3. Fly Into The Light
4. Starman
5. Under A Dead Moon
6. The White Sun Of The Desert
7. The Vessel
8. Captain's Seat
9. No One Here Will Die
10. The Multiverse
11. Telescope

DURATA: 57:22

Band proveniente dall'Olanda gli Stone Oak Cosmonaut, gente che con gli anni Settanta, stoner e lo space sound si danno del tu come fossero figli della stesso tempo.
Se il primo disco "Out Of Orbit" aveva già impressionato per una qualità compositiva e atmosfere stupende, con il nuovo "Into The Multiverse" rilasciato quest'anno sempre tramite la via dell'autoproduzione sono riusciti non solo a bissare ma a offrire anche qualcosa in più.
L'album infatti è una perla, cos'è lo spazio se non un infinito deserto? E' questo che sembrano voler dire, i brani suonano come un connubio fra la parte più acida della Palm Desert Scene dopo che gli stessi si son fatti non so quale viaggione a base di Pink Floyd e Hawkwind.
Alcuni passaggi hanno un fattore dispersione mentale così elevato da riportare alla mente i trip che solo i Tangerine Dream del periodo che va da "Green Desert" a "Stratosfear" sapevano evocare, si parla di capolavori.
Altra cosa che spicca è come una vena Motorhead attraversi alcune tracce come "Fly Into The Light" invitando pure alla scapocciata libera, per non parlare della titletrack "Into The Multiverse" suddivisa in sette capitoli che vedono inizio con "Starman" e si concludono con "The Multiverse", un'esplosione galattica, le varie influenze in seno alla band prendono corpo e forma propria alimentate dalla prova strumentale che dimostra una classe innata e dalla vocalità del cantante assolutamente fantastica nell'evocare quel senso d'infinito che pulsante si espande all'interno dei brani.
Bellissime le accelerate che portano i ritmi e le emozioni in altra dimensione, cosa ci sarà d'attendersi un buco nero che ci inghiottirà da un momento all'altro?
Gli echi spaziali inseriti a più riprese vi faranno sentire come un astronauta in orbita, lì sospeso, galleggiante in quel mare sconfinato.
Sarà forse per questo che è venuto loro in mente di dedicare a Valentina Tereshkova, la prima donna che orbitò a bordo del veicolo russo Vostok il 6 giugno del 1963, il pezzo "Cosmonaut No.6" uno degli episodi più interessanti di questo "Into The Multiverse".
Se amate lo stoner spacey e il rock psych non ci sono scuse che possano evitarvi di venir incontro a braccia aperte verso un lavoro simile, supportate gli Stone Oak Cosmonaut in cambio avrete tanto ma tanto piacere musicale.
Contattateli e fatelo vostro senza indugi.

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xBARNEYx / WHORIFIK / VOMITOUS DISCHARGE - Split Album


Informazioni
Gruppo: xBarneyx / Whorifik / Vomitous Discharge
Anno: 2007
Etichetta: Vomit Bucket Productions
Autore: Advent

Tracklist
xBarneyx
1. Hardcore Dancing
2. Condol
3. A Vida Na Terra Chora!
4. Squeezed Cephalus
5. The Pain That Cause Panic
6. You Suffer
7. Atheroscelerosis
8. Thoughts of the Beyond
9. In Cum We Trust
10. The Origin Of This Slaughter
11. Shut The Fuck Up Kids
12. Into The Grind
13. Wrgggggggrkyyyyyyyyy!!!
Whorifik
14. As You Enter
15. Marching
16. Atrocious Noise 'n' Roll
17. Maniac Aliendolls Invasion
18. Analrapecore
19. Back Home
Vomitous Discharge
20. Self-Control
21. Peace
22. Kindness
23. Joy
24. Faith
25. Meekness
26. Goodness
27. Long-Suffering
28. Love
29. The Vomitous Discharge Pt. IV
30. Holy Hypocrisy

DURATA: 36:10

Split a tre, trentasei minuti formati da chiasso, chiasso e grindcore decente, un'altra produzione della Vomit Bucket Productions, annata 2007.
Il primo progetto si chiama xBarneyx, è l'esempio di uno schifoso cybergrind, ridicolo quanto pessimo, fin dalle prime "canzoni" viene da chiedersi innanzitutto perchè ancora si suoni questa merda e soprattutto perchè si decida di rilasciare uno split con band del genere. Non rovinerebbe tutto? Non c'è nemmeno da stare a descrivere le porcate affiancate a stupidi breakdowns, un'accozzaglia di cacofonie uscite indovinate da dove.
Dopo questa incursione cyber ne arriva un'altra di harsh noise fusa ad altro noisegrind, i Whorifik, una band che molti troveranno ripugnante ma che in realtà per cosa dichiara di proporre è coerente. L'ascolto delle prime due band è stancante e si fa trascinare con parecchia difficoltà, causa un song-writing acerbo ai limiti dell'ignoranza che disgusta soporificamente l'ascoltatore. Un gas che sarebbe stato meglio non respirare.
Fortuna che c'è Gag (membro dei Pesticides) con il suo progetto Vomitous Discharge che solleva un po' la situazione. Abbiamo già discusso di questo musicista/produttore in altri pezzi della webzine, in sintesi il suo è un goregrind valido quanto rozzo, influenzato alla radice da band note ad ogni grinder che si rispetti come Rot, Warsore, God e Ulcerrhoea.
Il tutto viene suonato con aggressività e marciume adeguato, anche se a tratti l'ascolto risente di una produzione mediocre e un po' scadente. Titoli come "Faith", "Joy", "Godness", e "Love" lasciano intuire una vena cristiana stranamente conciliata con un genere solito al fetidume. Sicuramente questa terza parte dello split risulta la più ascoltabile, tuttavia raggiunge una sufficienza esigente di miglioramenti consistenti.

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M.I. RAILWAYS COMPANY - Untitled


Informazioni
Gruppo: M.I. Railways Company
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning

Tracklist
1.Killing Joy
2.Freezing Moon (Mayhem cover)
3.Bugs
4.Organs
5.The Blue Shoes Of The Muse
6.I Was Not (With) Them
7.A Wooden Child
8.Alone
9.Chamber Orchid-Stra

DURATA: 40:37

Film, follia, ossessione o solo un pensiero che rimbalza impazzito nella testa conducendovi chissà dove? Ho ascoltato tante volte "Untitled", ultimo (purtroppo) lavoro della band M.I.Railways Company e a ogni passaggio nel mio stereo le idee che precedentemente avevano balenato nel mio cervello venivano cancellate da altre nuove e tendenti in altra direzione.
Come una psicosi musicale infatti le tracce che ne formano il corpo s'impossessano di chi lascia loro libero passaggio addentrandosi e andando oltre quelle note alle volte solo pizzicate, altre accentuate con maggiore impatto.
Una schematica priva di logica che s'inquadra per decostruirsi l'attimo dopo e ricomporsi in maniera diversa ma sempre affascinante dopo ancora, i brani totalmente strumentali attingono da più generi, jazz, blues, qualche divagazione dal mood ambient, un tocco country/folk "The Blue Shoes Of The Muse" e una cover black metal "Freezing Moon" dei Mayhem inquietante quanto l'originale.
Ogni singolo rumore, ogni attimo in cui gli strumenti vengono strimpellati viene incasellato per creare un feeling unico, non credo possano esistere due persone che trovino un comune accordo sull'operato di questa formazione.
"I Was Not (With) Them" a esempio potrebbe rientrare piacevolmente nei canoni degli appassionati dello stile drone dove ridondanze continue supportate da un fruscio di base più o meno intenso s'impadroniscono della scena e anche in tal frangente la realtà possiede comunque due facce dato che la stessa canzone ha un lato quasi romantico che vien fuori prorompente dopo la sua metà grazie all'inserimento d'archi, d'armonica e organo che ne affievoliscono la durezza scompattandola e rendendola fortemente malinconica.
Quanto fa godere il basso iniziale di "Killing Joy", unica in cui è presenta una batteria elettronica caoticamente impazzante o quanto una celebrativa e settantiana "Alone" col suo organo dedito a un oscurantismo collassante può far riflettere nei momenti in cui si ha bisogno di incontrare se stessi? Tanto signori miei, davvero tanto.
In definitiva "Untitled" è un libro senza testo o uno spartito senza note che ha bisogno di essere assorbito pienamente per rimodellarsi al vostro interno, vi fornisce ciò che vi serve per oltrepassare la semplice normalità quotidiana, l'arte ha questo potere e qui ci troviamo di fronte a una piccola opera d'arte, è molto più difficile tentare ostinatamente di comprenderla dandole per forza un significato univoco che semplicemente viverla.
Lasciate quindi che i vari episodi facciano il loro corso e il resto verrà da sé.

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DISPHERE - Shinra Tensei


Informazioni
Gruppo: Disphere
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Advent

Tracklist
1. Prologue
2. The Real One Isn't With'em
3. As Leaves Fall, This Autumn Shall Bleed
4. Behind Red Eyes
5. 9TailedBeast
6. The Night When Demons Devoured Us
7. Cold, Still Beating
8. He, Who Created The Sand
9. H.M.C.
10. Devotion Deforms

DURATA: 39:10

La presentazione di "Shinra Tensei" dei Disphere ad opera della Karmic Agency è spaventosa.
Tanta carne al fuoco. Post core e death metal in un'unica forma, all'interno della quale si intrecciano tra pattern aggressivi e dure melodie legati ad una difficile struttura.
Tra l'altro sconosciutissimi, nonostante abbiano un altro full-lenght alle spalle, da quest'ultimo hanno estratto quattro pezzi riadattandoli ad arte per essere aggiunti agli altri cinque di questa nuova release dal nome orientaleggiante. La band ha dichiarato sullo space che si tratta di un concept basato sul manga giapponese Naruto. Death metal, progressivo, così fresco da riferirsi a creature amate dai giovani come quello a nove code. E' proprio "9TailedBeast" un bell'esempio di un brutal moderno con stacchi veloci ma leggeri, ottimamente retti da un drummer che, non si direbbe, è da poco patentato. Il tocco del basso si sente molto piacevolmente in "The Night When Demons Devoured Us", dove si avvertono i notevoli influssi della bravura di band come Cynic che permeano tutto il prodotto in discussione, il bassista anche cantante da prova di adeguata ferocia in ogni traccia, lasciandosi distinguere perfettamente.
A metà album si è consapevoli di star ascoltando un prodotto al passo con i tempi, fedelmente legato a band anche meno ortodosse come i Sikth o spesso si possono udire validi tentativi di violenza alla Cephalic Carnage. Sebbene i Disphere non raggiungano la stessa inaudita bravura tecnica delle ultime tre band citate, essi mostrano un ammirabile compromesso tra le loro effettive (e non mediocri) capacità e la loro voglia di suonare.
"Cold, Still Beating." è il perfetto connubio dei generi musicali che amano, inoltre è uno dei pezzi ripresi, tuttavia si lascia ascoltare stupendamente grazie al lavoro fatto di riscrittura.
Altre tracce come "H.M.C." e "Devotion Deforms" sono l'onesta continuazione del technical death proposto, con l'aggiunta che quest'ultima canzone si rivela come "the very last one", una conclusione complessa ma efficacemente diretta, con un bel "solo" melodico e costituito da una durezza che non viene mai meno, una consacrazione che li inserisce comodamente tra le migliori band emergenti italiane.
Ora se avete letto questa recensione su Shinra Tensei dei Disphere e vi siete interessati la cosa da fare è una: supportare!

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BESTIA (EST) - Ronkade Parved


Informazioni
Gruppo: Bestia
Anno: 2009
Etichetta: Hexenreich Records / Evil Production
Autore: Mourning

Tracklist
1. Ronkade Parved
2. F.S.
3. Mälestus Kustutab Leegi
4. Verine Koidik
5. Silmis Härmatis
6. Taeva Tõurastaja
7. Arg Sõdalane
8. Tasumise Päev
9. Õiglaste Tulek
10. Viimne Lahing

DURATA: 42:00

La band estone Bestia pubblica nel 2009 il secondo album "Ronkade Parved", un mix di black metal dalle influenze raw e pagan con l'alternativa aggiunta di strumenti atipici quali il sassofono.
Per lo più ci troviamo di fronte a un album che gioca con la scuola primorde derivante da richiami Darkthrone e Satyricon.
L'amatoriale cover rappresentante un cavaliere in assetto da combattimento unita alle parti musicali tendenti al naturalistico e alla visione del folklore nordico radicata nella formazione inquadra le realtà tematiche che danno vita ai loro testi esclusivamente scritti e interpretati in lingua madre.
L'album è un andirivieni di alti e bassi, se un brano come "F.S." risulta piacevole all'ascolto per la semplicità con cui si accanisce così come la seguente "Mälestus Kustutab Leegi" dove il sax s'infiltra con piglio, sul lungo corso però si rivela una sorta sì di solidità compositiva ma assente di quel qualcosa in più che la faccia spiccare.
Si è cercato di ovviare all'assenza di un'ispirazione forte con cambi di tempo o altre soluzioni non sempre azzeccate, una di queste è forse quella vena melodica dolciastra che si presenta spiazzante in un ascolto che segue spesso e volentieri canonicamente lo stile black.
Il platter contiente altre due o tre tracce come "Verine Koidik" o "Taeva Tõurastaja" che si rivelano candidamente accattivanti e vanta una discreta produzione anche se il drumming leggermente più in risalto avrebbe contribuito a una maggiore spinta complessiva.
"Ronkade Parved" è una produzione gradevole, uno di quei dischi che fa il proprio mestiere senza dover inventare nulla ma offrendo una più che discreta prova.
Uscito in più edizioni sia come digipack in formato A5 limitato a 99 copie per Hexenreich Records sia in altro formato digipack limitato a 300 copie distribuito dalla lettone Evil Production, se vi piace il loro stile potrebbe essere un acquisto non indispensabile su cui fare un pensierino.

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ECLECTIKA - Dazzling Dawn


Informazioni
Gruppo: Eclectika
Titolo: Dazzling Dawn
Anno: 2010
Etichetta: Asylum Ruins
Autore: Akh.

Tracklist
1. The End
2. Dazzling Dawn
3. Sophist Revenge
4. Les Démons Obsédants Du Regret
5. There Is No Daylight In The Darkest Paradise
6. Experience 835
7. The Next Blue Exoplanet
8. Marble Altar
9. Stockholm Syndrome
10. Corps Décharnés

DURATA: 49:00

I francesi Eclectika escono nuovamente tramite la Asylum Ruins con questo "Dazzling Dawn", si presentano come Avantgarde Black Metal, e bisogna dire che di influenze ne hanno molte.

Il brano iniziale è in pratica un'introduzione di stampo sinfonico veramente ben congeniato in cui la fanno da padrone archi e fiati per un'atmosfera che riesce ad ottenere un buon respiro.

Il registro cambia abbastanza repentinamente con la seguente titletrack e con "Sophist Revenge", in cui ci imbattiamo in un BM battagliero e ruvido (la ruvidità della produzione, soprattutto delle chitarre ritmiche, mi ha spiazzato, poiché non sempre a mio avviso ha saputo cogliere nel segno) che sa trasformarsi grazie all'innesto di venature più melodiche ed elaborate, in cui affiora sovente la voce pulita di Alexandra dalla timbrica curata ma a tratti particolare e che ben si amalgama alla voce aspra di Aurelien. È forse in queste occasioni che la voglia di creare qualcosa di differente esce fuori nel gruppo, miscelando varie tonalità e sensazioni in contesti certamente più standard, comunque i brani hanno buone strutture e tendono a non annoiare.

Ecco però che i nostri ricambiano le carte in tavola con "Les Démons Obsédants Du Regret", fuoriescono esperienze seventies con chitarre acustiche e tastiere ad ampio respiro che per certi giri mi fanno tornare in mente i Faith No More più tranquilli, mentre la presente voce femminile tesse la sua scena ammaliatrice. Eccellente "Experience 835", sonorità Dark Ambient prendono vita in forma pura realizzando un ottimo pezzo, probabilmente il mio preferito assieme a "11 Corps Décharnés", altro brano veramente intenso di chiaro stampo Dark Ambient; a mio avviso ben ci starebbe in un contesto come il finale di "Blade Runner" a livello visivo.

In "The Next Blue Exoplanet" esce fuori con prepotenza una forte influenza degli Alphaville che porta nuove dimensioni al gruppo e dimostra come gli Eclectika non abbiano il minimo timore a mostrarci tutto il proprio bagaglio di esperienze musicali. Con "Marble Altar" e la seguente "Stockholm Syndrome" invece si torna ad assaporare suoni più BM dal classico sapore melodico ma irruento, in maniera da non ammorbidire troppo il lavoro e terminare con un assalto sonoro prima della già menzionata "11 Corps Décharnés" che chiude l'album.

In definitiva, non saprei indicare gli Eclectika come gruppo avantgarde, ma sicuramente per le influenze e per certa sfrontatezza nel cambiare repentinamente i vari registri fra le canzoni, a volte spiazzando l'ascoltatore poco attento, hanno le possibilità di diventarlo, sempre che sappiano in futuro miscelare meglio le loro molte influenze in un corpus unico e migliorando certe asperità in fase di produzione. Gruppo da rivedere alle prossime uscite, per adesso teniamoci alcuni buoni spunti.

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OBIAT - Eye Tree Pi


Informazioni
Gruppo: Obiat
Anno: 2009
Etichetta: Small Stone Records
Autore: Mourning

Tracklist
1. Poison Thy Honey
2. Delights
3. Serpent's Rites
4. NoMad NoMind
5. Passive Attack
6. AA54089
7. House of the Forgotten Sins

DURATA: 57:39

La formazione stoner/doom degli Obiat nasce in Polonia per poi trasferirsi successivamente sul suolo inglese e arriva nel 2009 a produrre il terzo disco dal titolo "Eye Tree Pi".
Messi sotto contratto dalla Small Stone Records, label che ha nel suo roster cavalli di razza quali Dozer, Los Natas e Acid King, la tipologia di musica proposta dai ragazzi è probabilmente la più alternativa all'interno di un circolo amante del deserto e della psichedelia, negli Obiat in più si denota anche una componente post metal tesa ad arricchire un sound già di per se vivacemente scuro.
Se la matrice anni Settanta come di regola è la base del sound che mischia caldo afoso e sensazioni da viaggio ultra dimensionale chiamando in causa Black Sabbath quanto Hawkwind, la ridondanza di alcune scelte non può non riportare alla mente act quali Isis e Mouth Of The Architect.
Un disco nel quale i sensi dell'ascoltatore vengono più volte sollecitati dai solchi e dalle ampie ellissi che la musica crea come un vortice invitante dal quale è semplice farsi inghiottire come accade nell'ampia divagazione sonora che condurrà al finire della seconda traccia "Delights".
L'accoppiata centrale composta da "Serpent's Rites" e "NoMad NoMind" è il piatto clou del platter, le canzoni estremamente diverse l'una dall'altra esprimono in pieno il potenziale in seno alla band.
La prima con un quieto e ipnotico incedere interrotto bruscamente dall'inalberarsi del drumming, dall'entrare di un riffing distorto diretto incalzato da una chitarra pulita che
inanella brevi ma importanti inserimenti che la pongono come reattiva e robusta, condita da una dose atmosferica apocalittica pressante che si acuirà sino a esaurirsi in un vuoto colmato da gemiti trascinati.
Gli ultimi minuti della traccia esterneranno una sensazione di tristezza e malinconia struggente forte tramite note che sembrano rappresentare su tela una giornata uggiosa.
La seconda invece parte in quarta con un bel riff di testa a far intendere che il brano si prospetta già dai suoi istanti iniziali vivo, lo evidenziano le chitarre ruggenti e la vocalità di un Laz Pallagi che rimembra alla lontana in certe linee l'Ozzy più evocativo.
"NoMad NoMind" è comunque nella parte centrale e finale che da il meglio passando da un sabbatico e rilassante periodo quasi naturalistico a uno sfrenato assalto hardrockeggiante sino a quando il trascinare doom riprende in mano le redini della situazione chiudendone il percorso.
Gli Obiat hanno nel reparto strumentale l'arma più convincente, Neil il batterista si esprime con una precisione e una sicurezza invidiabili puntando a un dinamismo istintivo privo di eccessiva complessità ma efficace al 100%, le chiatarre di Raf inanellano riff e note una più indovinata dell'altra soprattutto per quanto riguarda le tonalità spesso e volentieri cupe, fanno coppia con il lavoro di basso svolto da Alex di scelta altrettanto ombrosa alimentando insieme la fase atmosferica che si viene a ricreare.
La voce di Laz è la ciliegina sulla torta, la scelta di puntare sul pulito fa scivolare gli episodi ancor più liberamente e nelle brevi ma importanti parti in cui forza dimostra di farlo con cognizione di causa, alle volte sembra agire da bastone e carota, alternanza che fa bene al trascorrere di "Eye Tree Pi".
Un platter solido e che ha qualità da vendere, non è un caso che la Small Stone abbia puntato su di loro, come molti album del genere ha bisogno di più ascolti per essere sviscerato e assorbito, vale la pena metterlo su molte volte e farsi trasportare dal sound di casa Obiat, visti i risultati ottenuti negli anni non sono da ritenersi ancora una sorpresa bensì una solida realtà.

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FINNR'S CANE - Wanderlust


Informazioni
Gruppo: Finnr's Cane
Anno: 2010
Etichetta: Frostskald Record.
Autore: Akh.

Tracklist
1. The Healer
2. Snowfall
3. A Winter For Shut-ins
4. The Lost Traveller
5. Glassice
6. The Hope For Spring
7. Eternal
8. House Of Memory

DURATA: 47:36

Esordiscono con questo "Warderlust" i canadesi Finnr's Cane, la loro proposta verte sul ricercare varie tipologie di suono che passano incontrovertibilmente per certa Norvegia nel suo lato piu sensibile e "sperimentalmente" progressivo; infatti sovente mi sono tornati a mente gli ottimi In The Woods..., come nel caso della delicata "Glassice" in cui la chitarra acustica la fa da padrone assieme ad altri strumenti non convenzionali del BM come il violoncello (ad opera della tastierista The Slave), in altri frangenti appaiono micro influenze degli Emperor come in "Snowfall" ed "Eternal" in cui la vena progressiva si fa' ben manifesta dopo certi camei e riporta le ambientazioni su altre sonorita'.
Un lavoro a tratti ruvido e con un certo spirito selvaggio (vedete l'esempio di "A Winter For Shut-ins"), ma con un mood generale assolutamente suadente, specialmente nelle sue parti piu' acustiche ed introverse basti ascoltare iniziale "The Healer" per sedare ogni dubbio in tal senso.
La prova vocale di The Bard è lieve, sia nelle parte pulite, sia nelle parti piu screaming, tanto da creare aloni e colori che adombrano i pezzi, piu' che incidere direttamente, tanto che a volte ho avuto quasi l'impressione di trovarmi di fronte ad un album strumentale, per quanto è soffuso l'impatto delle vocals, "Snowfall" è solo il primo degli esempi.
Degni di menzione anche certi arrangiamenti, semplici ma che hanno la caratteristica di rendere particolari le parti senza essere in primo piano, il che incide ulteriormente sul trovarmi di fronte ad un lavoro intimo e realizzato con passione.
A volte affiorano parti piu' propriamente epiche e vibranti in cui riecheggiano i Bathory di "Hammerheart" come nel caso del finele della buona "The Lost Traveller".
L'incedere che si svolge nei vari pezzi non privilegia certamente l'assalto sonoro, ma comunque una forza ammaliante i Finnr's Cane la posseggono e la sfruttano pienamente, regalandoci fotografie sonore in bianco e nero che colpiscono e si stampano nella memoria.
Un bell'esordio, disco consigliato a chi non ha il timore di ascoltare un BM particolare e dai tratti silvani e dalle influenze variegate, mi auguro che non si disperdano come spesso gruppi del genere fanno; comunque per adesso mi godo pienamente questo "Warderlust".

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FROZEN (ESP) - The Unborn


Informazioni
Gruppo: Frozen
Anno: 2009
Etichetta: Downfall Records
Autore: Mourning

Tracklist
1. Endless Circles Of Blood
2. The Unborn
3. Fallen Through The Spheres
4. My Soul Was Reaped - Enchanted Part II
5. Far Away From The Dawn
6. And Thus The Tyranny

DURATA: 34:42

La band spagnola Frozen dopo un periodo di stop riparte con il piede giusto nel 2009 firmando prima un contratto con la svedese Downfall Records che darà loro la possibilità di far uscire il full "The Unborn".
In realtà il materiale all'interno del disco viene ripreso dall'ep omonimo del 2007 con l'aggiunta delle due tracce inserite nel singolo dello stesso anno intitolato "Evoking Shadows Past".
Il tutto viene rimasterizzato e quindi nuova vita a un prodotto che già nella sua passata uscita aveva comunque lasciato indicazioni più che positive, il sound con cui si presentano è di stampo palesemente svedese, prende a piene mani dall'accoppiata Dissection e Naglfar con la formazione di Nodtveidt a farla da padrone come influenza principale.
I trentacinque minuti scorrono ripercorrendo le strade battute negli anni Novanta dai due act citati sfoderando un riffing gelido, ricco di sfuriate feroci che rimandano al periodo "Storm Of The Light's Bane" e anche se non vi è ancora un brano che raggiunga in pieno il valore della prestazione dei nordici, i Frozen si difendono più che bene mostrando d'avere piena conoscenza dello stile e di saperlo riproporre con grinta e piglio.
Le canzoni hanno comunque acquisito un maggiore spessore grazie al nuovo master, il basso ha finalmente valenza e la vocalità di Carnage non soffre più della copertura esagerata che i volumi sballati della produzione passata possedeva e che diminuivano l'affinità della voce con i brani, altro elemento che riacquista sostanza è la batteria ora prestante, incisiva e ben assestata.
Questi punti han fatto sì che episodi già validi come la titletrack "The Unborn" o l'opener "Endless Circless Of Blood" godessero di questa fresca e affilata rinascita, la più groovy "My Souls Was Raped - Enchanted Part II" e la corposa epicità di "Far Away From The Dawn" si fanno ascoltare adesso più che piacevolmente.
I Frozen si rivelano musicalmente come un nulla di nuovo all'orizzonte ma che ha le potenzialità e la voglia di guardare oltre i confini tracciati, a patto che gli spagnoli riescano a liberarsi dalle influenze gabbia che li rinchiudono all'interno di un calderone colmo di act possessori di discrete qualità ma nulla più.
Attendendo quindi una maturazione caratteriale, consiglio l'on air di "The Unborn" ai fanatici del sound made in Sweden, un ripasso non guasta mai.

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PHASED - A Sort Of Spastic Phlegm Induced By Leaden Fumes Of Pleasure

Informazioni
Gruppo: Phased
Anno: 2009
Etichetta: Elektrohasch Records
Autore: Mourning

Tracklist
1.A Surreal Deal
2.The Osteopath
3.Tip Of The Sky
4.Rim Shot To Infinity
5.Maelstrom
6.I Come Toulouse
7.Nachspiel Revisited I & II
8.The Need

DURATA: 45:59

Il trio stoner/doom dei Phased pubblica nel 2009 sotto l'etichetta tedesca Elektrohasch Records l'ultimo nato dal titolo "A Sort Of Spastic Phlegm Induced By Leaden Fumes Of Pleasure", la band oltre ad avere già una valida discografia alle spalle, ha già avuto il piacere di condividere il palco con act del calibro dei Nebula, Grief, High On Fire e Orange Goblin.
Non ci troviamo dinanzi a dei novellini ma un terzetto che sa bene come muoversi in territori sia desertici, sia legati alla visione space psichedelica permettendosi di divagare spesso e volentieri attingendo da altre correnti musicali.
Che nel genere ormai ci sia poco o nulla da poter inventare è cosa nota, le influenze chiave anni Settanta di Black Sabbath e per chi inserisce lo psych anche Hawkwind sono le basi, si deve possedere però la capacità di saper sfruttare tali punti di riferimento mettendo a frutto anche gli ascolti delle evoluzioni dei primi che negli anni gente come Kyuss e la già citata formazione che ha come leader Eddie Glass a esempio hanno fornito come apripista, tesa a creare una nuova era dedita a questo sound.
I Phased non solo la lezione l'hanno imparata ma si dimostrano alquanto ricettivi e propositivi, l'album nelle sue otto tracce si mostra variegato e colmo di soluzioni che esaltano la natura volitiva dello stile sin dalla canzone inziale "A Surreal Deal", un bel mix californiano che vede al proprio interno un riff che sembra uscito dalla chitarra hardrockeggiante di Tom Morello dei R.A.T.M. e un passaggio Fu Manchu con quella ridondanza drone e l'aggiunta di bonghi tribali: il risultato è da trip e stiamo solo scaldando i motori.
Il numero tre porterà fortuna alla band, la pancia del disco infatti è da esaltazione continua, "Tip Of The Sky" un fuzzy rock orecchiabile dai tratti ossessivi è quella che per prima arriverà a contatto col nostro orecchio seguita da "Rim Shot To Infinity" un classico pezzo di matrice psych, la componente atmosferica è ampia e come nell'episodio d'apertura si notano inserimenti tribali e drone improntati ad aumentarne l'impatto sensoriale.
Il ritmo prende forma man mano che i secondi passano divenendo sempre più corposo, le scale di chitarra e basso si irrobustiscono continuando però nella loro ciclica opera psicotica supportatati da un drumming crescente, la mente si rilassa e si perde all'interno di uno spazio che si espande senza mostrare fine.
Tocca quindi a "Maelstrom" e qui i Nebula han fatto scuola, la canzone è figlia dello stile Glass, peccato che lui stesso da un po' non riesca a imbeccarne una che sia così bella, ancora una volta la psichedelia ridondante convogliata all'interno di un riffato mulinello che ha dei momenti di maniacale ripetitività è strabordantemente eccitante.
Si è da poco superata la metà del lavoro ma i Phased non hanno ancora finito, non vi sono attimi stanchi o cali, la forza di "A Sort Of Spastic Phlegm Induced By Leaden Fumes Of Pleasure" è la sua facile fruibilità, continuare quindi il percorso gettandosi all'ascolto di "I Come Toulouse", "Nachspiel Revisited I & II" e " The Need" verrà alquanto naturale e privo di complicazioni.
Chris Sigdell (chitarra e voce), Marko Lehtinen (batteria), Chris Walt (basso), uno svedese, un finlandese e uno svizzero ci hanno confermato con questo album quanto la solidità del progetto Phased sia una realtà, non hanno nulla da farsi perdonare, sono canzoni scritte per gli amanti dello stoner/doom che vogliono stoner/doom e in casa di questi ragazzi la genuinità del genere per come lo si deve fare non si è mai neanche lontanamente discostata dalla visione integralista, il che lo ammetto mi fa semplicemente felice.
E' questo ciò che desiderate ascoltare? Allora l'acquisto del disco è un obbligo verso chi ci da la possibilità di godere di certe perle.

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SORG INNKALLELSE - ...Night Black


Informazioni
Gruppo: Sorg Innkallelse
Anno: 2008
Etichetta: Hexenreich
Autore: Mourning

Tracklist
1. From The Wolves Den
2. Captive In Hell
3. Sundown, Fall Into Oblivion
4. Bloody Share Of Heaven
5. Defunct
6. Solitude Vortex
7. Murderers Come Around
8. ...Deep Silence (The Last Symphony)

DURATA: 37:05

Per quanto il nome Sorg Inkallelse rievochi lande nordiche, il duo in questione proveniva da una terra che di certo non è conosciuta per le sue produzioni metal, anzi è una di quelle nazioni che ha un odio profondo verso chi è incline a questa musica: l'Iran.
Il progetto nato come one man band vide al suo interno sino allo split up Murkmyth e Sadsoul, il loro black metal è di stampo scandinavo, ferale o come si usa da un po' definirlo raw con un discreto spazio per melodie cattive, grondanti d'odio e brevi aperture pagan ed epiche che ne differenziano leggermente il sound.
Ci troviamo di fronte a un album, "...Night Black" che, pur essendo una prova standard, ha in sé una buona dose di riff piacevoli e un cantato che graffia e macera a dovere, i problemi sorgono soprattutto per quanto riguarda la staticità ossessiva del drumming e per l'apporto sonoro dello stesso che sul lungo andare potrebbe infastidire.
Ora la situazione dei paesi del Medio Oriente non credo sia la più agevole per trovare musicisti metal, è già un problema cercare un batterista qui in Italia e quindi questo peccato lo si potrebbe anche perdonare.
Se la band avesse avuto ancora vita chissà, magari le cose si sarebbe evolute in maniera diversa?
Il trittico di episodi che attrae è composto da: "Captive Hell", "Sundown, Fall Into Oblivion", "Bloody Share Of Heaven", sono queste le tracce che meglio rappresentavano la loro espressione musicale, toccherà attendere sino alla conclusiva "...Deep Silence (The Last Symphony)" per far sì che il nostro orecchio abbia una variazione considerabile tale e che possa creare un interesse andante oltre il semplice ascolto passivo.
Prodotto in sole 299 copie nel 2008 dalla estone Hexenreich Records, l'ultimo lavoro dei Sorg Innkallelse era un buon apripista per ciò che dopo sarebbe potuto arrivare, purtroppo rimarrà l'acerbo vagito di una band incompiuta.
Se aveste la curiosità di venire a contatto con il loro modo semplice e sincero di fare black passate sul myspace: www.myspace.com/sorginnkallelse e traete le vostre conclusioni.

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