lunedì 30 maggio 2011

SHINING - VII: Född Förlorare


Informazioni
Gruppo: Shining
Anno: 2011
Etichetta: Spinefarm
Contatti: www.myspace.com/shininghalmstad
Autore: Leonard Z

Tracklist
1. Förtvivlan, Min Arvedel
2. Tiden Läker Inga Sår
3. Människa O'Avskyvärda Människa
4. Tillsammans Är Vi Allt
5. I Nattens Timma (Landberk cover)
6. FFF

DURATA: 41:47

E dopo aver sparato a zero su quella schifezza atomica del capitolo VI (adesso anche Niklas ci viene a dire, nelle interviste, che, oibò, il precedente album fa schifo perché è un esperimento fatto in due giorni... se me lo dicevi prima di comprarlo magari mi risparmiavo i soldi, ma tranquillo, non commetto due volte lo stesso errore) eccoci a parlare del nuovo uscito: "VII, Nato Perdente" (nomen omen?). Posso dire con certezza che questo è l'album che porterà gli Shining al successo planetario. E' così bello, direte voi? No, assolutamente, fa pena. Ma fa ribrezzo in quella maniera ruffiana che è fatta apposta per l'ascoltatore metal moderno. Se non riuscite a immaginarvi questo cd vi dico una cosa: prendete i riff più brutti dei vecchi Shining (e ai bei tempi di riff orrendi ce n'erano davvero pochi), aggiungete gli assoli da Guitar Hero (non intendo Malmsteen, intendo proprio il videogioco!) e infine spruzzate tutto con una buona dose di Opeth e via! Servire caldo con un po' di finta autodistruzione. Ecco fatto! Le ragazzine ne andranno pazze. E pensare che un tempo, dal primo album fino al V, con picco sul III e IV, questa band sapeva davvero trasmettere una dose esagerata di angoscia e disperazione. Questo cd ci mostra un progetto musicale che non vive più per trasmettere un messaggio, ma che oramai si è incanalato sui binari "commerciali" della musica estrema. Sembra una frase fatta, ma è così: gli Shining si sono venduti, o meglio, forse Niklas ha perso interesse nel trasmettere dolore con la sua musica, o forse semplicemente gli psicofarmaci hanno fatto effetto e non ha più tutto questo dolore da trasmettere agli altri. Per lui è davvero un bene (e non scherzo), per noi ascoltatori no! Ah, potrei parlarvi dell'album brano per brano, ma vi assicuro che nessuno di voi vuole davvero che io vi nomini quelle chitarrine acustiche con i giri triti che aprono "Tiden Läker Inga Sår" e la voce pulita e anche leggermente stonaticcia (diomio) che fa capolino qua e là. Da evitare come la peste bubbonica. Comprate i vecchi album meritano, scordatevi questo e il precedente (che forse è anche peggiore! Tutto dire!).

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TRACKER - Now I Became An Alien

Informazioni
Gruppo: Tracker
Anno: 2010
Etichetta: Sulatron Records
Contatti: www.myspace.com/trackerband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Tight Fight
2. Recommended Fool
3. Blower
4. The Hypnotized
5. Impreganted Eye
6. Window Shopping
7. Deregulate
8. Below Radar
9. Blender

DURATA: 59:30

Formula semplice e collaudata quella che il debutto degli austriaci Tracker, "Now I Became An Alien", spiattella, è un album che vede al suo interno psichedelia, krautrock, stoner, surf e un tocco di dispersione noise e drone per fornire al sound quel quid alienante che fa sempre bene.
La versione che ho fra le mani è quella cd contenente tre tracce in più rispetto a quella in vinile (nella tiratura limitata sono comprese entrambe), un'ora di musica da trip perché è impossibile che la mente rimanga immobile, c'è uno spazio immenso di cui poter approfittare creato dalle emanazioni di una scaletta che regala emozioni su emozioni.
Il disco prende il via con il desert rock che sfuma sul finire di "Tight Fight", attrae con l'acustico ridondare di "Recommended Fool", s'impregna di sabbia ardente e onde da cavalcare nelle melodie di una "Blower" resa ancor più ricca di fascino dalle accelerazioni dietro le pelli di Daniel Walter e da una fase di mezzo dal rintocco marziale addolcita dal ricamo chitarristico del tutto inaspettata.
Son bastati solo i tre episodi in apertura per farmi capire che questi ragazzi hanno ben chiare le idee, vari nomi mi rimbalzano in testa fra cui due ex Kyuss, Joshua Homme e Brant Bjork, che con le loro formazioni odierne offrono parecchi spunti al combo di Innsbruck, l'anima rock genuina, ribelle che non ama gli schemi è libera di esprimersi così anche i momenti più "sgangherati" risultano perfettamente incastrati in un quadro generale dalla forma astratta e dal modellamento in pieno corso.
"The Hypnotized" e "Impregnated Eye" si nutrono l'una dell'altra, la prima ipnotica, fasciante col suo riffing ciclico e suadente che sfocerà sul finire in una presa di posizione stoneriana e la seconda che prosegue il percorso intrapreso addensando la massa psichedelica nebulosa e inebriante rivelandosi come la canzone regina della sezione "stoned and more stoned".
"Window Shopping" pronta a dissolvere i gas "drogaticci" per favorire l'ingresso di una corrente agitata decisa a scuotere la situazione in un fragoroso e selvaggio brano il cui drumming esprime il suo effettivo potenziale mostrando un'intensità bestiale che alimenta il feeling godereccio prodotto da "Now I Became An Alien" sinora, non contando il fatto che per alcuni versi questo pezzo sembra figlio di "Rated R" ed è una dote non da poco.
Sono giunto agli episodi non presenti nel vinile, tutto sommato i venti minuti aggiuntivi non donano spunti che diano quella marcia in più alla prestazione già in gran spolvero dei Tracker, "Deregulate" si fa notare per il groove corposo e le melodie vocali, "Below Radar" se la gioca alzando leggermente i ritmi e provando a sperimentare qualcosina nelle battute antecedendo l'intraprendente indie/rock di "Blender" che chiude definitivamente il platter.
Gli ingranaggi girano tutti nella direzione giusta, la produzione ci da la possibilità di godere in toto della strumentazione con il basso di Martin Fuchs in rilievo in più di una circostanza.
Decisamente indovinate poi le linee di voce di Max Mühlbacher anche se vi accorgerete come in certi frangenti la somiglianza con l'impostazione del citato Homme nei Q.O.T.S.A. sia tirata in causa, non è comunque imputabile come pecca, poggiano davvero bene sui pezzi e ancor più importanti risultano ai fini della riuscita del disco gli orpelli forniti dalla Fuzzbox, dal Kaossilator e a quanto pare dall'Iphone divenuto un lo-fi synth che particolareggiano il corso di "Now I Became An Alien", un disco che consiglio vivamente agli appassionati di questa marea spaziale che per nostra fortuna non stenta a diminuire di portata, grazie!!!

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GRABAK - Sin


Informazioni
Gruppo: Grabak
Anno: 2011
Etichetta: Twilight Vertrieb
Contatti: www.myspace.com/grabak
Autore: M1

Tracklist
1. Prologue - The Covenant
2. Wrath - Into A Mental Inferno
3. Envy - Beyond The Grace of God
4. Gluttony - The King's Jester
5. Sloth - The Echoes Of Babel
6. Lust - Of Masters and Servants
7. Greed - The Sign Of The Rope
8. Pride - The Black Mirror
9. Epilogue - The Lord Of Sin

DURATA: 42:28

Torna a farsi sentire uno dei gruppi su cui riponevo maggiori speranze all'interno del panorama black di matrice svedese: i tedeschi Grabak. In un periodo in cui Marduk e Dark Funeral non si esprimevano al meglio (purtroppo oggi solo Morgan e soci si sono ripresi alla grande con l'ottimo "Wormwood") questi fedeli adoratori della Nera Fiamma se ne uscirono con un "Agash Daeva" (2007) che mi impressionò parecchio e non solo per la presenza di due bassisti in formazione. Oggi "Sin" segna il rientro sulla scena, fatto di conferme e piccole novità.

Il marchio di fabbrica resta sempre quello di velocità sostenute, ritmiche martellanti ed assalto continuo, questa volta però piccoli elementi vanno a caratterizzare le singole tracce senza comunque inficiare l'omogeneità del tutto. E' il caso ad esempio della voce femminile che appare nell'introduttiva "Prologue - The Covenant" e in "Pride - The Black Mirror", dove l'atmosfera diventa addirittura un incrocio fra i toni apocalittici degli ultimi Anaal Nathrakh e il più "classico" symphonic black. Per il resto si rimane nei canoni del genere, sfruttando continue accelerazioni, stacchi e ripartenze (decisamente vorticosa quella di "Greed - The Sign Of The Rope"), oltre a chitarre che tessono melodie più presenti che in passato senza però far perdere un grammo di violenza al complesso. Significativi anche i rari innesti di death metal, componente che va ad appesantire e dotare di graniticità le asce. Un discorso a parte va fatto invece per "Sloth - The Echoes Of Babel", pezzo non veloce e che ricerca maggiormente il pathos (sarà forse per il fatto di trattare del peccato della "pigrizia"?).

"Sin" ci accompagna quindi in una narrazione dei sette vizi capitali sulle note di un black metal travolgente ma capace di variazioni e innesti che tengono viva l'attenzione e al tempo stesso confermano i Grabak "picchiatori" inesorabili. Nessuno stravolgimento o miracolo all'orizzonte per i ragazzi di Lipsia, bensì una conferma a livelli piuttosto alti di un combo che troverà estimatori fra gli incalliti dello swedish black come il sottoscritto: con loro si va sul sicuro.

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STENY LDA - Steny Lda

Informazioni
Gruppo: Steny Lda
Anno: 2010
Etichetta: Slow Burn
Contatti: www.myspace.com/stenyldamusic
Autore: Mourning

Tracklist
1. 1-0-2
2. O-M-G
3. 7-4-0
4. 0-5-7
5. H-M-T
6. S-M-D
7. C-O-W
8. 1-0

DURATA: 36:31

Gli Steny Lda ("muro di ghiaccio" in russo) sono uno degli ultimi prodotti finiti sotto l'ala della Slow Burn Records, la filiale post/psichedelica della Solitude Productions.
Il primo album intitolato omonimamente ci presenta una formazione che ha le idee ben chiare sul come giostrare musica che si divide fra una natura dolce adatta alla compagnia e un'altra decisamente più profonda fornita di solchi di derivazione post/core sludge.
Le tracce non sono molto lunghe ma ben articolate, le sezioni strumentali hanno il sopravvento tanto da ridurre la presenza vocale ai minimi sindacali, è la giostra a cui prendono parte l'umore variabile e le dense atmosfere ricreate a gestire i movimenti più o meno granitici.
Il riffato innalza dei discreti muri sonori, alternandoli a fraseggi giocosi o malinconici in cui l'acustica ha piena possibilità di esprimersi, le cadenze più aspre vengon fuori quando l'animo tendente a far galleggiae le influenze di formazioni come gli Isis e Pelican emergono in maniera dirompente, mentre una "0-5-7" si diversifica mettendo in risalto un lato tooliano d'ultima generazione, maggiormente riflessivo e avviluppato su se stesso.
In linea di massima "Steny Lda" è un album gradevole, maturo e che favorisce il fluire del tempo offrendo un gradevole intrattenimento, brani quali "O-M-G", "H-M-T", "C-O-W" e la già citata sono per il sottoscritto sotto tutti i punti di vista gli apici compositivi che i russi sinora sono stati abili a realizzare.
Sicuramente un disco che agli abituali acquirenti di platter affini risulterà piacevole all'ascolto, la produzione si comporta degnamente nei confronti della strumentazione tranne per la batteria che in alcuni frangenti fa davvero soffrire (il rullante è bruttarello da sentire), l'unico appunto vero e proprio lo rivolgo alla band chiedendo loro che senso abbia usare la voce in maniera così sporadica se quando mette becco è la cosa che si apprezza di meno in quanto a resa e innesto nelle composizioni, toglietela definitivamente e avrete risolto un piccolo problema.
Indovinata la scelta dell'artwork, il cielo velato, colmo di sfumature, le cime innevate sottostanti e quelle colorazioni grigio-verdi infondono un senso di quiete ma che sa di stasi solo apparente, potrebbe succedere qualsiasi cosa da un momento all'altro, tale concetto si sposa perfettamente con le dinamiche che gli Steny Lda hanno conferito al loro sound.

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EXES FOR EYES - The Amsler Grid



Informazioni
Gruppo: Exes For Eyes
Anno: 2011
Etichetta: Year Of The Sun
Contatti: www.myspace.com/exesforeyesmusic
Autore: Mourning

Tracklist
1. Feel Again
2. A Life So Unfulfilling
3. Exes For Eyes
4. Romanticize The Struggle
5. Stop Thinking, Start Feeling
6. Embrace The Fire
7. Chains
8. Dig For Higher Ground
9. A Horrible Mistake

DURATA: 47:40

Gli Exes For Eyes sono un combo canadese di recente formazione con in line up l'ex Annihilator Dave Sheldon, la band è un misto di metal melodico, catchy che miscela tinte rock e metalliche attingendo da band come Slipknot, Baptized In Blood e lievi quanto sparuti passaggi in cui si nota un feeling di stampo thrash miscelati con altrettanti richiami al groovy sound.
La proposta è di quelle moderne che giocano spesso su chitarre corpose, refrain alquanto semplici da memorizzare ("Embrace The Fire") non rinunciando all'ormai noto scambio di voci con la presenza di fraseggi sia in growl che in clean, soluzione ampiamente riscontrabile a esempio nella titletrack.
Il disco scorre fra alti e bassi mostrando delle discrete potenzialità anche per chi si muove in una foresta ormai fitta e priva di spunti degni di nota, il numero di act che tentano di miscelare più stili ha raggiunto quote inverosimili ed è quindi sempre più semplice trovarsi di fronte a buoni dischi ma che sembrano prodotti ed eseguiti con lo stampino.
Formalmente infatti è difficile negare la bontà della prova insita in "The Amsler Grid" che guadagna punti nei momenti più dilatati di una "Romanticize The Struggle" e nei frangenti in cui la solistica riesce a sgorgare con discreta padronanza della situazione, è comunque la parte conclusiva del platter che permette agli Exes For Eyes di metter la testa fuori dalla sabbia producendo i brani di maggior interesse per qualità delle composizioni e schemi che, pur non distaccandosi per più di un semplice momento dalla canonicità di una proposta conosciuta, possiedono le capacità adeguate per assestare dei buoni colpi ("Chains" e "Horrible Mistake").
Strumentalmente abbiamo fra le mani un "Amsler Grid" che urla, si dimena con forza ma non si schioda dal punto di partenza, manca sempre quel quid che porti i brani a un livello successivo, è gradevole, lo s'inserisce nelle stereo e lo si ascolta con la dovuta dose d'interesse solo che una volta finito non ti lascia quell'input che porti il dito a ripremere il tasto "play".
E' pur sempre una prima prova, una base da cui elaborare e accrescere la gamma di varianti da sfruttare e affinare le armi già in dotazione, molto valide sono quelle che fanno riferimento all'assetto ritmico ben incassato e alle dinamiche del riffing, ripartendo da tali punti e dando una registrata alle partiture di voce offrendo una vivacità più netta nei cambi d'impostazione dal growl al clean i risultati potranno di sicuro migliorare, nell'attesa concedete un po' del vostro tempo a "The Amsler Grid" e fatevi l'orecchio.

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ARENNA - Beats Of Olarizu

Informazioni
Gruppo: Arenna
Anno: 2011
Etichetta: Nasoni Records
Contatti: www.myspace.com/arennarock
Autore: Mourning

Tracklist
1. Morning Light
2. Receiving The Liquid Writings
3. Fall Of The Crosses
4. Eclipse
5. The Strangest Of Lives
6. Metamorphosis In Ic [0,9168 g/cm3]

DURATA: 1:08:15

A furia di ascoltare dischi stoner negli ultimi due anni sono anche arrivato a chiedermi: meglio un pomeriggio a base di sound desert e retrò seventies o una bella scopata? Beh vi posso dire che in certi momenti il risultato era in bilico (sì adesso non sparate le solite battutine, lo so che non siete tutti dei Rocco Siffredi pronti all'azione).
Ennesimo album nel lettore ed ennesimo orgasmo sonoro, è la Spagna nella figura degli Arenna a portare una dose estrema di godimento al sottoscritto con "Beats Of Olarizu".
Che vi devo dire, 'sti ragazzi son finiti sotto l'ala della Nasoni Records, non era già questo un motivo per dar loro un ascolto preventivo? Decisamente sì, se poi ti ritrovi fra le mani un platter che suona come una miscela altamente chimica di Black Sabbath e Kyuss, a cui potrete aggiungere una lista di nomi sconfinata ma che non vi annoierebbero neanche di striscio, l'unica cosa da fare è quella di alzare il volume talmente alto da far incazzare giustamente il vicino e accompagnare il tutto con un paio di drink per darti una sveglia completa.
Gli Arenna non inventano una emerita mazza ma sono davvero fantastici, si è assorbiti in un mondo che qualsiasi persona che si definisce amante appassionato delle sonorità stoner deve conoscere a menadito, le prime tre tracce, "Morning Light", "Receiving The Liquid Writing", "Fall Of The Crosses", e la quinta "The Strangest Of Lives" sviscerano ritmiche, soluzioni acide e piglio classico delle release del genere risultando però genuinamente fresche e intraprendenti, sono i capitoli in cui la durata diventa massiccia e maggiormente espansa a elevare di molto al di sopra della media "Beats Of Olarizu".
"Eclipse" è un sogno, la mente si distacca dal corpo fluttuando nel cosmo e cosa non è l'uso delle chitarre acustiche e dell'organo Hammond che ne estendono in maniera tentacolare le radiazioni sensoriali, pura magia contrapposta alla ciclicità ipnotica, incatenante di "Metamorphosis In Ic [0,9168 g/cm3]" che con i suoi echi e le sonorità viranti in zona drone apporta ulteriore varietà e adimensionalità a un lavoro capace di spostarsi su piani emotivi mutevoli ma sempre acchiappanti.
Cosa manca a "Beats Of Olarizu" per essere un discone? Nulla, l'originalità nel genere è difficile da riscontrare mentre le qualità compositive e la propensione a organizzare trip dal niente o le si hanno di natura o difficilmente le riscontri con una intensità così pulsante, il merito è da attribuire in parte anche a José Lopez Gil e Billy Anderson che hanno fornito produzione e master nitidi e strumentalmente delineanti che ne acuiscono l'espressività.
Il platter è distribuito in due versioni, digipak contenente le sei tracce qui sopra elencate oppure un doppio vinile in cui sono inseriti tre episodi bonus, "Pilgrimage" e "Yeahh Man!" rimasterizzate dal demo rilasciato nel 2007 e la traccia inedita "Pain Eraser", qualunque sia quella che vi fosse entrata in casa avreste fatto un gran acquisto, per chi deve ancora accaparrarseli, come avrete capito dai toni del testo, i soldi spesi per ciò che gli Arenna hanno inserito in questo disco vi saranno ripagati con musica che fa bene alle anime del deserto, spettacolo.

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YGGDRASIL - Irrbloss


Informazioni
Gruppo: Yggdrasil
Anno: 2011
Etichetta: Grand Master Music
Contatti: www.myspace.com/yggdrasilofficial
Autore: Mourning

Tracklist
1. Höstmörkrets Natt
2. Bergtagen
3. Skaldefader
4. Irrbloss
5. Tokikvad
6. Norrland
7. Uppåkra
8. Kungabål

DURATA: 42:54

La Svezia folk degli Yggdrasil è una realtà, una di quelle a cui si può affidare il proprio udito coscienti del fatto che sin dall'uscita del demo "Kvalling" la formazione scandinava non abbia mai prodotto lavori di poco conto.
E' passata una decade da quel primordiale approccio, hanno una discografia in espansione che nel 2011 vede aumentare il numero dei capitoli in proprio possesso con "Irrbloss" che come terza prova è quella che il più delle volte segnala la piena maturazione o meno di una band.
Cosa ci attende dopo l'immersione nello stupendo e silvestre "Vedergällning"? Ciò che mi ha colpito sin da subito è il modo in cui hanno snellito il sound, la semplicità delle linee di chitarra si pone del tutto a servizio di una musicalità dagli svariati volti.
C'è l'ancestrale viaggio a ritroso del tempo segnalato dalla presenza di aperture in stile viking ("Bergtagen", "Tokikvad" e "Uppåkra"), è papabile un climax che puro e schietto come il gelo invernale si staglia imponente, le prestazioni vocali arcaiche in "Skafalder" e quel crescendo emotivo che costringe gradevolmente l'ascoltatore a calarsi nella dimensione artistica/naturale presente in "Norrland" ma ancor più nella conclusiva "Kungabål" in cui la voce femminile si esprime mostrando il lato più sofferto.
Tutto ciò segna punti a favore di un album, "Irrbloss", che ha dalla sua parte una prestazione ritmica convincente sia per spessore che per dinamica.
E' giusto tenere in considerazione il fatto che gli Yggrdrasil non si perdano in chiacchiere, i pezzi tranne un paio di occasioni non eccedono in durata, il platter ha ricevuto cure adeguate sia per quanto concerne gli arrangiamenti, sia dal punto di vista della produzione che pur essendo bella piena e tintinnanti, non denota caratteri da prodotto in serie, la qualità del songwriting e lo spirito dei musicisti vengono sfoggiati al pari di un diamante che per taglio incanta e valore seduce.
I quarantatrè minuti che gli Yggdrasil hanno racchiuso in questo disco sono un gradito regalo, l'ennesimo che gli svedesi consegnano al genere.
Chi ha già avuto il piacere di poter ascoltare l'operato di questi musicisti non ci pensi due volte e vada ad accaparrarsi "Irrbloss", per gli altri vi bastino tre nomi: Bathory, Ulver, Vintersorg, se tali band risiedono fra i vostri "on air" quotidiani, dare una chance all'album in questione diviene un obbligo morale verso voi stessi.

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ZOMBI - Escape Velocity

Informazioni
Gruppo: Zombi
Anno: 2010
Etichetta: Relapse Records
Contatti: www.myspace.com/zombi
Autore: ticino1

Tracklist
1. Escape Velocity
2. Slow Oscillations
3. Shrunken Heads
4. DE3
5. Time Of Troubles

DURATA: 33:06

Vi avverto: il sottoscritto è avvezzo a molti stili musicali aberranti e diversi. Egli non ha mai osato sconfinare con la penna in campi a lui estranei e altrimenti ostici. Cosa ne sarà il risultato? Una ciofeca enorme o un timido assaggio di quello che potrebbe essere? La fine del Mondo, nel vero senso del termine?

Timido è l'inizio di questo disco. Mi ricorda essenzialmente Jean Michel Jarre in tutti i suoi ingredienti. Tutti gli ingredienti? Non proprio. Zombi vive anche di percussioni veramente umane... e non in senso fantozziano (scusate l'ironia, era più forte di me). Il contrasto fra modernismo e tradizionalismo è avvincente. Un momento però... le tastiere sono strumenti moderni. Com'è l'esecuzione? Questa è legata agli Anni Ottanta e ricorda un poco film dell'epoca grazie a un tocco d'epicità "vintage".

Le tracce suggeriscono pensieri di vacanze balneari, non quelle solite a Cesenatico, no; vi troverete a nuotare con delfini, sarete sul vostro asse a surfare le onde perfette di questo Mondo, le profondità astrali e misteriose dei nostri mari vi amalieranno con le loro creature strane e più bizzarre. Verde smeraldo e blu acquamarina sono le tonalità che più calzano a questo lavoro lontano dai campi che semino di solito.

Suggerimenti di Techno Trance potranno spaventare qualche ascoltatore estraneo agli stili più commerciali. Come detto all'inizio, le influenze classiche fanno da padrone in quest'opera "post-moderna". Alcune scale potranno sembrare alquanto ripetitive e monotone. Chi se ne frega? Complessivamente questo lavoro è vivace, poco pretenzioso e pieno di energia. Lasciate stare il commercio. Zombi vi riporterà sulla buona strada.

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NIGHT MISTRESS - The Back Of Beyond


Informazioni
Gruppo: Night Mistress
Anno: 2011
Etichetta: Hell Rider Records
Contatti: www.myspace.com/nightmistressband
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Memory
2. City Of Stone
3. Children Of Fire
4. Black And Night
5. Back For More
6. Alder King
7. Leaves Of September
8. 40
9. Escape

DURATA: 41:06

I Night Mistress sono una formazione heavy/power proveniente dalla Polonia, dopo due demo ("Promo" del 2005 e "In The Land Of The Freezing Sun") e l'aver fatto trascorrere un altro lustro in attesa del momento giusto, ecco finalmente che il quintetto pubblica il primo full intitolato "The Back Of Beyond".
E' un album di heavy metal puro, genuino, forse in qualche attimo pecca di una fase definiamola adolescenziale che ancora non gli permette di esprimere a pieno titolo le potenzialità di un combo che sembra più che preparato nella materia in cui si cimenta.
Sì, perché le nove tracce tranne qualche piccolo appannamento della magia classica degli anni Ottanta e Novanta (seppur lievemente più pulita e meno tagliente) smuovono il cuore degli appassionati del genere.
La band è rodata, gli ingranaggi girano ben oliati sia per quanto concerne il riffing ben costruito ed eseguito, sia per la sezione ritmica che come unico difetto che mi sento di segnalare presenta una monoliticità d'incedere che avrebbe potuto essere spezzata dall'uso di un'impostazione più spregiudicata o quantomeno di dinamiche più ficcanti che avrebbero fornito una spinta e propensione più accattivanti a brani quali "Back For More" e soprattutto "Alder King" che per quanto gradevole risulta essere l'anello debole della tracklist.
Di tutt'altra pasta sono gli episodi che da tempo girano su Youtube, "City Of Stone" e "Children Of Fire" che elettrizzano l'aria come si deve, il gusto e la semplicità riscontrabili nelle release prodotte sul finire degli eighties vengono ripresi dalla corposità delle due tracce, a queste vanno aggiunte l'orientaleggiante e ancestrale "40" e la ballad "Leaves Of September" che si è guadagnata non so quante volte il tasto "repeat" premuto, uno di quei "lenti" che ti rimane dentro perché pur emettendo uno strato di melancolia classico proprio del periodo autunnale, possiede una prova del combo vibrante, il cantante Chris Sokolowski, che durante l'arco di tutto "The Back Of Beyond" mantiene uno standard qualitatito ben al di sopra della media, in quel pezzo fa fuoriuscire anche la parte più riservata e intimista e il gioco è fatto, è un win.
Ciò che non comprendo è come questi ragazzi abbiano trovato un accordo per rilasciare il loro debutto negli States tramite la Hell Rider Records e non ci sia un pirla, dico un pirla che dia una possibilità a cinque musicisti a cui si può imputare quale grave mancanza? Non essere tedeschi? Non avere un parente che suonava nella NWOBHM? Non so quale possa essere la scusante per cui nessuno abbia messo sotto contratto i Night Mistress e poi mi trovo a costretto a trovare un "The Final Frontier" dei Maiden che neanche al mio peggior nemico consiglierei per farsi del male o quell'altro "capolavoro" (ma quando mai?) di "To The Metal" dei Gamma Ray e per fortuna che si dovrebbe dar spazio alle realtà più giovani...
Augurando loro in bocca al lupo, torno a rimetter su "The Back Of Beyond" perché ad avercene di lavori così!!!

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CAMION - A Serenade For Yokels

Informazioni
Gruppo: Camion
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/camionmusic - grandcamion@gmail.com
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Route 666
2. Here Comes The Cadillac
3. Here Comes The Harley
4. Cowbell From Hell
5. Beers On Wheels
6. Can A Truck Splat A Lollypop
7. A Serenade For Yokels

DURATA: 34:01

I Camion sono un trio romano che presenta quest'anno il suo debutto "A Serenade For Yokels".
Stoner metal duro e puro è ciò che ci viene presentato da questi ragazzi che pescano a piene mani dall'attitudine desertica di band come Kyuss e Orange Goblin unendola a influenze che sembrano provenire da un background quasi death'n'roll in stile Entombed.
E' tremendamente straripante e aggressivo il groove incanalato da tracce come "Here Comes The Cadillac", "Here Comes The Harley" (in cui è assolutamente orgasmica la presenza nel finale dell'organo Hammond) e "Can A Truck Splat A Lollypop".
Allo stesso modo è meravigliosa l'anima motorheadiana che emerge prepotentemente dalle più cadenzate e rockeggianti "Cowbell From Hell" e "Beers On Wheels".
Una nota di merito è doveroso tributarla anche alla voce roca e grezza di Federico che, ricordando quasi a tratti lo stile di Tom Angelripper, dona un apporto fondamentale alla parte strumentale, in cui i riff possenti e scatenati si appoggiano ad un drumming incalzante e preciso.
Il deserto e la potenza del metal scorrono con genuinità nel sistema circolatorio del gruppo che, con questo "A Serenade For Yokels", ha sfoderato una prova di forza che non può lasciare indifferente nessun amante del filone musicale in questione.
Tanta passione e tanta adrenalina sono una mistura semplice ma perfetta in una proposta che all'ascoltatore chiede soltanto di avere al proprio fianco un'ingente quantità di birra da scolare.
L'album verrà rilasciato soltanto in formato digitale e venduto ai concerti tramite delle download cards, ma ritengo che pezzi di questo calibro in sede live siano delle vere e proprie bombe.
I Camion si sono candidati ad avere un posto di riguardo nella scena italiana e mi aspetto grandissime cose in futuro.
"A Serenade For Yokels" è una piccola grande perla che nessun appassionato dello stoner dovrebbe lasciarsi sfuggire.
Buona la prima!!

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KAUAN - Kuu..


Informazioni
Gruppo: Kauan
Anno: 2011
Etichetta: Avantgarde Music
Contatti: www.myspace.com/kauanmusic
Autore: Bosj

Tracklist
1. Tähtien Hiljainen Laulu
2. Kauniin Kuun Sävelen
3. Ikuinen Junan Kulku
4. Suora Liila Sydänkäyrä

DURATA: 44:40

E' bello assistere alla maturazione di un artista, vederne, o meglio ascoltarne i progressi, i cambiamenti e le differenze rispetto agli esordi.
In questo caso, solo quattro anni sono passati dal più che buon debutto "Lumikuuro", ma di acqua sotto i ponti di casa Kauan ne è passata parecchia.
Creatura dell'ancora quasi imberbe Anton Belov, l'act russo giunge oggi al traguardo del quarto disco in cinque anni; niente male per un ventiduenne.
Definitivamente abbandonate le imperfezioni, e anche buona parte dei riferimenti musicali, degli inizi, in questo nuovo "Kuu.." ("Luna..") il giovane compositore è nuovamente affiancato dalla sola violinista Lubov Mushnikova. Insieme a questa, ha continuato a seguire il percorso evolutivo che aveva portato i Kauan ad allontanarsi del tutto dagli estremismi folk/black metal di derivazione Empyrium ed Agalloch già in precedenza, per concentrarsi ancora sulle rifiniture e sui sottili giochi acustici che legano insieme queste quattro lunghe tracce.
Le canzoni continuano ad essere titolate in lingua finnica, per motivi espressivi a detta della stessa band, ma è sparita qualunque parte vocale ad esclusione delle voci pulite, così come le distorsioni strumentali, appena accennate sul finale.
I nomi che oggi si possono affiancare alla produzione del duo russo sono molteplici, eppure nessuno di questi riesce a collimare perfettamente con le orchestrazioni, le aperture ambientali e le soffuse atmosfere di un disco come "Kuu..". I Tenhi continulano a rimanere il paragone più nobile e facile, a volte un po' troppo, tuttavia le sensazioni e gli umori che permeano le creazioni di Belov sono molto meno cupe, più ariose, più calde; diverse, insomma. Ancora, nelle soffuse ed eteree linee di "Suora Liila Sydänkäyrä", è innegabile un collegamento con certi Shape Of Despair di "Illusion's Play" (nei loro interludi più blandi), unitamente ad influenze dichiaratamente ambient ed elettroniche; evidentemente non è un caso che Magnus Birgersson e Keith Kenniff siano tra gli ascolti personali di Belov. Forse, anzi, proprio questa traccia lascia intravedere ancora più possibili sviluppi per futuri approcci musicali e nuove potenziali direzioni.
Non c'è più nulla di metal propriamente detto nell'essere chiamato Kauan, le sue punte più aguzze sono state smussate ed erose dal tempo, senza che questo comportasse uno svilimento della sua carica emozionale, ma anzi la raffinasse, parallelamente ad una crescita personale del suo autore, peraltro decisamente migliorato e compositivamente e strumentalmente, in particolar modo dietro al microfono. Come da scuola Empyrium, e non è cosa da poco.
Un lavoro che è dichiarazione di come la vena artistica di questo giovane russo non si sia ancora sopita, ma al contrario stia tuttora cercando una propria, forse definitiva, direzione.

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PROWLER - Demo 2011


Informazioni
Gruppo: Prowler
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/prowlerswe - www.facebook.com/pages/Prowler/324705887723
Autore: Akh.

Tracklist
1. Awaken
2. Global Nuclear War

DURATA: 8:59

I Prowler provengono dalla Svezia e con questo terzo demo vorrebbero farsi conoscere un po' nel variegato mondo metallico; questo è il vero senso dei demo, permettere ad un gruppo di potersi manifestare a fruitori e label ed i nostri lo fanno mostrandoci due pezzi di Thrash/Death tipicamente fine anni '80 e tipicamente americano (Slayer docet).

Il suono proposto dagli scandinavi quindi è di quelli che si esaltano nelle ritmiche sferzanti e nelle sue venature asciutte e coriacee, la produzione è valida, potente, aspra e decisamente ruvida in maniera che ben si accosti allo stile vocale, molto buono anche il suono della doppia cassa quando entra a martellare l'ascoltatore e a donare spessore all'impatto della band.
Come detto sopra il Thrash/Death è indubbiamente ben eseguito e assolutamente fruibile anche se lo spettro del combo di Araya (di cui le metriche vocali sono assolutamente distinguibili in questo lavoro) è fortissimo e si percepisce immediatamente nella seconda parte di "Awaken", come nella successiva "Global Nuclear War", ogni tanto mi riaffiorano alcuni frangenti cari ai brasiliani Sepultura epoca "Beaneath The Remains", quindi parti rallentate (poche) che inseriscono pesantezza ed oscurita' alle composizioni e lo scuotimento della testa è quasi automatico se siete veri amanti del genere.

Un demo che fara' sicuramente la felicita' di chi ha nelle vene la migliore scuola slayeriana, nel frattempo auguriamo ai Prowler di continuare a lavorare duro al nuovo materiale, chissa' che qualche label non si dimostri interessata.

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IPERYT - No State Of Grace


Informazioni
Gruppo: Iperyt
Anno: 2011
Etichetta: Witchinghour
Contatti: www.myspace.com/iperyt
Autore: Mourning

Tracklist
1. No State Of Grace
2. Scars Are Sexy
3. A Pocket Size Of Armageddon
4. Antihuman Hate Generator
5. Blades Of Malice & Scorn
6. The Antithesis
7. Keep Your Eyes Closed
8. Into The Mouth Of Madness
9. Nuclear Mornings
10. The Player
11. In Morbid Rapture

DURATA: 43:26

Il primo incrocio con i polacchi Iperyt mi annoiò dopo un paio di ascolti, "Totalitarian Love Pulse" era un buon album basato su di un impatto arrembante e "no compromise" che si estendeva per tutta la sua durata, certo era ed è talmente quadrato in alcuni frangenti da poter causare cali d'attenzione in chi non ama questa generale sfrontatezza esibita "in your face", col tempo l'ho rivalutato.
Sono passati cinque anni, è stato composto e rilasciato il secondo album "No State Of Grace", sarà cambiata l'aria? Ci saranno state rivoluzioni interne al sound? La risposta è no.
Li avevamo lasciati come bastardi cani da guerra pronti a travolgere tutto e tutti, li ritroviamo ancora fedeli a tale credo nei quasi quarantacinque minuti sviscerati negli undici episodi di questo come-back.
La prima parte della tracklist continua a far esplodere la vena slayeriana tanto cara alla band a cui si aggiungono la freddezza dei Dhg di "666 International" e una scia punk che compare in un paio d'occasioni intenta a donare un pizzico d'imprevedibilità alla monolitica e industrialoide rappresentazione della guerra made in Iperyt.
Batteria glaciale, marziale quanto battente, basso che scarnifica le carni colpendo come una frusta a ripetizione e allora via con "No State Of Grace", "Scars Are Sexy", "A Pocket Size Of Armageddon" e "Antihuman Hate Generator" che in sé racchiudono l'armamentario in possesso dei polacchi.
Leggermente diverse si presentano "Blades Of Malice & Scorn" e "Nuclear Mornings", granitiche, orecchiabili e in costante esplorazione si muovono su più fronti facendo sempre rapporto alla sezione industriale che perpetuamente macina crani senza pietà e anche quando si rimane fissi su coordinate conosciute come nei casi di "The Antithesis" e "Into The Mouth Of Madness" il risultato è di quelli che frantumano le ossa in più sezioni.
Il finale del platter mi ha leggermente stancato, "The Player" è uno di quei brani che ti tranciano il cervello, veramente distruttivo ma che purtroppo si dilunga in maniera esagerata mentre "Keep Your Eyes Closed", dotata di toni più scuri, e "In Morbid Rapture" non aggiungono né tolgono nulla ai valori espressi in precedenza non mutando di una virgola né tantomeno fornendo alcuna scappatoia all'ascoltatore.
L'allentare un attimo la presa della traccia conclusiva è solo una mera presa in giro per colpire in accelerazione devastando quel poco che era rimasto in piedi sino a quel momento.
L'unico modo per ascoltare e convivere con gli Iperyt è prenderli per ciò che sono: un inferno metallico che non ha intenzione di abbassare la testa dinanzi a niente e nessuno, se non riuscite a scendere a patti con una presa di posizione così ferrea è inutile perdiate tempo provando a farveli piacere.

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LENTO - Icon


Informazioni
Gruppo: Lento
Anno: 2011
Etichetta: Denovali
Contatti: www.myspace.com/lento
Autore: Mourning

Tracklist
1. Then
2. Hymn
3. Limb
4. Hymen
5. Still
6. Throne
7. Least
8. Dyad
9. Icon
10. Admission

DURATA: 37:07

I Lento sono una gloria nostrana, una di quelle band capaci realmente di fare la differenza e con gli Ufomammut, con cui al tempo pubblicarono il primo e improvvisato "Supernaturals: Record One", si inseriscono di diritto in quel circolo di formazioni che per valore e qualità musicale sono riuscite a ritagliarsi una bella fetta d'interesse ben oltre i confini della penisola italica.
A quattro anni dal gioiellino "Earthen" e con un deal siglato con la Denovali, è giunto il momento di ascoltare "Icon", nuovo capitolo che possiede fra i pregi fondamentali per la sua esplosione quello d'esser paragonabile a una galassia che si espande.
Non si limita alla sola compressione/decompressione causata dai movimenti che alternano le fasi grevi e profonde con le scanalature ambient, è arricchito e adornato da pregevoli micro soluzioni che ne personalizzano l'incedere quel tanto che basta per far sì che la natura dei Lento non venga totalmente inglobata nella gabbia d'influenze citabili (Neurosis, Isis, Mare, Swans, Cult Of Luna etc... etc..).
Se la pressione causata da "Hymen" e gli strati pesantemente dronici di "Throne" divengono una morsa che si accanisce sull'ascoltatore, con brani quali "Then" e "Admission", alpha et omega del platter, i toni risultano essere più leggeri e celestiali disegnando un percorso che con quest'ultima vi mostrerà l'ingresso di un circolo astrale seduttivo grazie ai suoi piccoli mutamenti sonori, le sue variazioni di umore vi faranno decidere di volta in volta se il rumore iniziale di "Limb" o il dispersivo vuoto che avvolge una "Icon" diverranno per voi componenti necessarie per entrare in contatto con il carattere del disco oppure le riterrete solamente un riciclo del passato venuto a presenziare.
Non c'è dubbio che con "Icon" i Lento non abbiano inventato nulla, è difficile davvero non immaginare i riff, le impostazioni strumentali dei brani e lo stesso impianto atmosferico affidato nelle mani di realtà già conclamate, c'è però da riconoscere la bontà della proposta dei ragazzi capitolini che giro dopo giro nello stereo confermano quanto conoscano, amino e sappiano gestire la miscela sonora di cui si fanno portatori, così com'è vero che un minimo della loro personalità riesca ad aprirsi una breccia fra i tanti nomi altisonanti e quindi un altro passo verso la maturità è stato compiuto.
Stanno procedendo nella direzione giusta e non resta che sperare che dopo un buonissimo "Earthen" e la riprova di validità di "Icon" in un futuro prossimo la terza prova sia quella della definitiva rivelazione.
Disco assolutamente consigliato agli sfegatati del genere e ovviamente dato che si parla di una realtà autoctona di merito, il supportarla non può che far del bene alla nostra scena musicale.

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AKEM MANAH - Horror In The Eyes


Informazioni
Gruppo: Akem Manah
Anno: 2011
Etichetta: Freak Metal
Contatti: www.myspace.com/officialakemmanah
Autore: Mourning

Tracklist
1. Black Magic (Punishment)
2. The Lurking Fear
3. Children Of Evil
4. Funeralopolis (Electric Wizard cover)
5. Creatures In The Walls

DURATA: 30:14

E' passato poco meno di un anno dall'uscita di "The Devil Is In All Of You", album di debutto degli statunitensi Akem Manah, sul finire del mese di marzo è stato rilasciato a prosieguo di quella strada nera come la pece e rituale e malefica l'ep "Horror In The Eyes".
Il bello della musica del trio proveniente da Portland risiede nella semplicità delle strutture, i ragazzi preferiscono spesso e volentieri usufruire di soluzioni anche elementari ma che forniscono continuità, efficacia e quell'imponente carattere oscuro alle composizioni.
Il doom/death primordiale classico degli anni Novanta, rinforzato dalla spirito "luciferino" che lo attraversa, diviene ossessivo e dominante, se con "Black Magic (Punishment)" e "The Lurking Fear" andiamo incontro a due brani monolitici e attanaglianti, è con "Children Of Evil" che la morsa viene stretta, diviene soffocante e le tastiere in sottofondo infilano al momento adeguato le note solenni e maligne decise a condurre a sè l'anima dell'ascoltatore.
L'ambiente in cui si muovono rifiuta la luce, il colore vivo che porta armonia, è il nero a regnare sovrano e quando questi decide di lasciare spazio al minore ma agonizzante compagno d'avventura grigio, ecco che prende il via la cover degli Electric Wizard, non una a caso, "Funeralopolis", seconda traccia di quel gioiello che ha per titolo "Dopethrone", pezzo non poteva esser più indovinato.
Trenta minuti lenti, trascinati, grevi che non arrestano la propria funerea marcia sino a quando le battute conclusive di "Creatures In The Walls" cantilenante, marcescente spengono le residue speranze di fuga dal claustrofobico stanzino in cui gli Akem Manah mi hanno rinchiuso.
Per chi ha avuto modo di sperimentare le sensazioni espresse dalla loro musica con il full, "Horror In The Eyes" sarà una conferma, la conferma che stanno crescendo nell'impostazione del songwriting mantenendo intatta la coerenza musicale che li ha caratterizzati sin dai demo, chi invece l'incrociasse con quest'ultimo per la prima volta potrebbe trarne spunto per ricercare e approfondire la conoscenza con "The Devil Is In All Of You", in entrambi i casi fatelo, sono puro e "genuino" male.
I lavori degli Akem Manah sono reperibili sia tramite le piattaforme digitali (Itunes, Amazon etc... etc...) sia su siti come Cdbaby (www.cdbaby.com/cd/akemmanah4), un acquisto che vi consiglio di fare.

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CULT OF ERINYES - A Place To Call My Unknown


Informazioni
Gruppo: Cult Of Erinyes
Anno: 2011
Etichetta: Les Acteurs De L'Ombre Productions
Contatti: www.myspace.com/cultoferinyes
Autore: Mourning

Tracklist
1. Call No Truce
2. Insignificant
3. Ísland
4. A Thousand Torments
5. Permafrost
6. Velvet Oppression
7. Black Eyelids
8. Thou Art Not
9. Last Light Fading

DURATA: 46:48

Venir sorpresi da ciò che non t'aspetti è sempre una bella sensazione, la presentazione cartacea riguardante il debutto dei belgi Cult Of Erinyes era di quelle esaltanti, "A Place To Call My Unkwnown" è raffigurato come un album capace di progressioni avanguardistiche e digressioni doomiche, impregnato d'oscurità battente e martellante interrotta da fasi ambient e con una gamma di melodie malsane a fare da malevolo contorno, cosa si può volere di più?
Un proverbio di quelli veramente saggi dice "fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare", mai parole furono più centrate e propiziatorie, la curiosità rivolta all'ascolto me lo fece inserire di getto nel lettore, il bello sta nel fatto che la formazione solca quello sterminato oceano del fondere più anime stilistiche con una grazia, dirompenza e personalità ben al di sopra di ogni più rosea previsione, demolisce lo scoglio del dubbio sin dalla sensazione che pervade e inebria in apertura con "Call No Truce".
E' una collisione di più pianeti, giganti e dall'importante peso musicale ciò di cui il nostro orecchio potrà godere, pensate di prendere act quali Alastis, Enslaved, Neurosis, Blood Of Kingu e un pizzico del flavour Emperor, shakerate il tutto e avrete le note, le atmosfere e l'emotività ritualistica che compongono "A Place To Call My Unknown" che, come accade in qualsiasi opera formata da più episodi, possiede dei picchi che ne elevano ancor più il livello di per sè già fantastico, in questo caso fra i titoli di riferimento c'è "Insignificant" favolosa nel suo intervallare intermezzi ambientalistici, cambi di tempo repentini e una ricerca che sfocerà nelle voci "sporcate" e negli effetti sonori particolarmente ricercati della successiva "Island".
Altro binomio letteralmente micidiale è quello che vede in rapida sequenza l'esplodere progressive/ambient di "Permafrost", che sembra sprigionare un sentore nostalgico dell'era nineties vivido, carnale, e la devastante "Velvet Oppression", in cui brilla la figura del batterista Baal, una vera macchina da guerra quando preme sull'acceleratore e un perfetto diversificatore d'incedere nei suoi dinamici e insistiti incastri.
Impossibile non nominare poi la conclusiva "Last Light Fading" dal mood cupo e avvolgente che sino alle battute finali mantiene fitto e comprimente l'alone nero che serpeggiando si è districato lussuregiante e diabolico di traccia in traccia.
"A Place To Call My Unknown" è un sole nero pronto a irradiarvi con i suoi raggi color pece, possiede una buonissima produzione che permette alle chitarre dovutamente sature di ritagliarsi un posto in prima fila senza spadroneggiare sul resto e con Mastema dietro al microfono che stride, graffia, macera l'ascoltatore con la sua malignità abbondante.
Per chi non avesse ancora compreso la sinfonia, i Cult Of Erinyes dopo un ep, "Golgotha", già più che apprezzabile, hanno deciso di fare davvero sul serio e con un pregevole, raffinato e annerito diamante come "A Place To Call My Unknown" si sono superati.
L'acquisto per un'opera simile è obbligatorio.

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UNBURIED - Slut Decapitator


Informazioni
Gruppo: Unburied
Anno: 2008
Etichetta: Metalbolic Rec.
Contatti: www.myspace.com/unburieddeathmetal
Autore: The Inexorable

Tracklist
1. The Putrid Stench Of Humanity
2. Slut Decapitator
3. Love For Dismemberment
4. End It With A Knife
5. Human Butchery
6. Tortured Remains
7. Domicile Of Flesh
8. Gore – Soaked Revenge
9. Evil Lurks Within
10. Stab Hate Mutilate

DURATA: 24:57

Chi conosce abbastanza i miei gusti dovrebbe sapere che io di solito evito come la peste gruppi Brutal/Slam/Gore e affini, soprattutto se moderni, dato che tendenzialmente ci si trova davanti a dischi tutti uguali fra loro, impersonali e con lo stesso suono finto e preconfezionato. Bene, ma questi Unburied (un trio proveniente da Herndon, Virginia) fortunatamente sono riusciti a creare una proposta tutta loro, che seppur con alti e bassi è riuscita a convincermi abbastanza da decidere di parlarvene. Ok, prima di andare ad analizzare questo lavoro, partiamo però con un po' di storia: la band nasce nel lontano 1994, ma è una di quelle tante che per un motivo o per l'altro non è mai riuscita ad emergere dal quel brodo primordiale che è quell'underground fatto di gavetta, sudore e concerti suonati davanti a dieci persone in pessimi locali di periferia; infatti tolti un demo ed uno split sino a questo "Slut Decapitator" non avevano mai prodotto altro.
Tornando all'album, dicevo che il trio si discosta un poco dai soliti canoni, e miscela alcuni passaggi tipici del New York Death Metal a momenti più veloci e brutali che, se vogliamo, possono ricordare band come gli Exhumed (con tutte le dovute proporzioni del caso), e quindi ritroviamo parti al fulmicotone, qualche riff rallentato, il cantato doppio, ed un sound granitico e massiccio che lascia spazio a tutti gli strumenti. E scendendo nel dettaglio, la batteria non perde un colpo, sia nelle parti più veloci che in quelle più cadenzate, dove il batterista riesce a suonare in modo più personale e interessante. Buonissimo il lavoro alla sei corde, il suono è graffiante ed affilato senza lasciar spazio a momenti morti, e mi piace molto il fatto che il pulsare del basso sia sempre presente, a differenza di quanto accade spesso in album del genere, dove viene penalizzato e coperto da batteria e chitarre. Per il resto, le canzoni sono corte e questo le rende ancora più incisive e d'impatto. Insomma, meglio un brano da due minuti che non uno da cinque dove magari si disperde l'atmosfera del pezzo, no?
Però, come dicevo all'inizio non è tutto da incensare e infatti la band accosta ottime idee ad inspiegabili cali di stile, come ad esempio la title track dell'album che si "siede" su di un riff che viene ripetuto ad oltranza.
Concludendo, se si lasciano da parte questi particolari, vi ricorderei che nonostante tutto ci troviamo di fronte ad un buonissimo debutto e che quindi il mio giudizio finale è sicuramente positivo.

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OMISSION - Merciless Jaws Of Hell


Informazioni
Gruppo: Omission
Anno: 2011
Etichetta: Xtreem Music
Contatti: www.myspace.com/omissionthrashmetal
Autore: Mourning

Tracklist
1. Erotic Nightmares
2. A Field Sowed Of Coffins
3. Northmen Wrath
4. We Are The Dead
5. Architects Of Fear
6. Fuckin' Alone
7. The Light In My Dark
8. Here We Stand
9. Day Of Your Death Arrives...
10. You Can't Hide
11. Ianus Rex Infernorum

DURATA: 41:00

Gli spagnoli Omission danno seguito al debutto "Thrash Metal Is Violence" partorito nel 2009, dopo una serie infinita di split, demo e best of è arrivato il momento che "Merciless Jaws Of Hell" giri nel vostro stereo.
La formazione iberica ha da sempre sofferto di una costante instabilità in line-up tanto che il batterista adibito a fornire le ritmiche in quest'album è un session, si tratta di Riky, drummer dei connazionali Avulsed.
La proposta è un thrash in versione "extreme", la percezione del sound di matrice teutonica è forte, gente come Sodom e Kreator confluiscono in un calderone d'influenze che oltre i classici Slayer potrebbe portare alla mente nomi quali Sadus, Inquisitor (olandesi), Cryptic Slaughter e S.O.D., queste ultime due per varianti quasi crust si fanno strada in maniera alquanto gradita.
Thrash che non ha attimi di respiro, i tempi mantengono con costanza i giri motore alti, la cassa è spesso e volentieri pressante, dietro il microfono Miguel "Patillas" Hernanz emette uno scream corrosivo, il platter è marcio, pungente, decisamente più completo e intrigante se messo a paragone al primo sforzo rilasciato, le canzoni godono di composizioni meglio orchestrate, di assoli di stampo classicheggiante, cambi in corsa della velocità per lo più "da vado già di quarta" a "corriamo".
Riescono quindi a dare quella marcia in più fornendo una massiccia prestanza, aggiungiamo un taglio scuro alle tracce ed ecco che canzoni quali "A Field Sowed Of Coffins", "We Are The Dead", "Fuckin' Alone","Here We Stand" e "Day Of Your Death Arrives..." vi sono servite su un piatto d 'argento, pronte a regalarvi quella iniezione di adrenalina che vi dia lo "start" adatto alla giornata.
Gli Omission sono maturati anche sotto l'aspetto della produzione lontana sì dall'esser pulita ma offrente una maggior delineazione degli strumenti e del complesso in genere, "Merciless Jaws From Hell" è un passo deciso in avanti.
Un secondo lavoro che dovrebbe attirare giustamente l'attenzione degli appassionati del thrash metal più estremo e ad essi consiglio vivamente di ascoltare questo nuovo Omission.
La band intanto non è rimasta con le mani in mano, ha già pubblicato uno split, "Unholy Thrashing Savage", in compagnia di Storming Steels, Dunkell Reiter e Revenge (Grc) perché chi si ferma a quanto pare è davvero perduto, so thrash on!

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HAGGATHA - Haggatha


Informazioni
Gruppo: Haggatha
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/haggathaband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Circle Of Salt
2. Hog Tied
3. These Grey Days
4. Eremozoic
5. Gulag
6. Acquiesce
7. An Old Way Begins Again

DURATA: 39:08

Il termine "mattone" di solito può esplicare due tipologie di pensiero quando si parla di musica: A) un album talmente palloso da crearti uno schiacciamento di palle tremendo o B) un lavoro così pesante da venir paragonato a un bel forato che ti viene tirato con violenza contro.
Nel caso dei canadesi Haggatha, ennesima realtà "zozza" (nel miglior significato di questo spregiativo termine), è un complimento non da poco.
Il disco omonimo di questo quartetto, che vede dietro le pelli l'ex 3 Inches Of Blood Matt Wood, è uno di quelli che pur non inventando nulla decide di sopprimere l'ascoltatore usando dei severi, sonori e poderosi colpi di mazza per donare forma al proprio sludge metal che si esprime in modo profondo, greve e perpetuato sin dalla ridondante opener "Circle Of Salt" che rappresenta la summa del sound degli Haggatha.
Non è un platter ultradinamico, le atmosfere si compattano, c'è la presenza netta di una omogeneità d'intento nelle sette tracce tanto da rendere i quaranta minuti un monolite spesso e fangoso da cui è difficile scostarsi se non grazie a brevi momenti nei quali decidono di offrire una scappatoia, fra questi si possono menzionare le chitarre pulite, quasi rilassanti che impreziosiscono lo strumentale "Eremozoic" e il riffato più classicamente doomy della conclusiva "An Old Way Begins Again".
Sono davvero pochi gli attimi che "Haggatha" concede al malcapitato ascoltatore, lo strangola, lo tortura avvinghiandolo con un suono che s'infittisce di passaggio in passaggio toccando in "Gulag", particolarmente tormentata, uno degli apici oppressivi dell'album.
Se da un lato si può imputare a questi ragazzi una dimostrazione quasi canonica delle potenzialità in possesso, dall'altro agli Haggatha non si può di certo negare di essere riusciti, attenendosi alle basi del genere, a creare un lavoro che qualsiasi appassionato fruitore dello sludge più acido e cattivo amerà dopo neanche mezzo giro nello stereo.
Comporre buona musica, avere una produzione che le renda giustizia è spesso più importante e gratificante di sperimentazioni che conducono al nulla solo per la ricerca di una personalità intrapresa in maniera poco ortodossa.
Volete affondare nel mare di fango che "Haggatha" nota dopo nota fa emergere? Non vi è altro da fare che metterlo su e perché no, acquistarlo.

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ASTREAS DOMAINS - Via Astralis


Informazioni
Gruppo: Astreas Domains
Anno: 2008
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/astreasdomains
Autore: Insanity

Tracklist
1. Intro
2. Darkness Blood
3. Legion
4. Holocaust
5. Dark Entity
6. Blackest Storm (2008)
7. The Shadows Attack
8. Final Ceremony
9. Ad Astrum Per Oscura

DURATA: 39:54

Se da un lato è vero che il Black sinfonico ultimamente ci ha regalato lavori di qualità non indifferente (Carach Angren e Unholy Ritual su tutti), dall'altro la scena è ancora satura di cloni e copie; alcuni di questi non sarebbero neanche così male, se non fosse che l'assenza di personalità li faccia risultare banali e già sentiti. È il caso dei colombiani Astreas Domains, band nata ben quattordici anni fa ma che per varie vicende ha pubblicato un solo full length nel 2008 intitolato "Via Astralis".
Il nome Dimmu Borgir affiora molto, forse troppo spesso durante l'ascolto del disco, già la seconda "Darkness Blood" ad esempio mi ha fatto venire in mente "Progenies Of The Great Apocalypse" dei norvegesi; In generale le parti di chitarra, così come le sinfonie create dalla tastiera prendono a piene mani dalla band di riferimento, fortunatamente almeno lo scream è diverso da quello stucchevole di Shagrath. Qualche idea interessante qua e là si trova, l'assolo e i passaggi successivi ad esso in "Dark Entity" sono decisamente gradevoli, l'album è senza dubbio ben composto e strutturato, ma ciò non basta a farlo risaltare in mezzo a tutte le uscite del genere. È un vero peccato, brani quali "Blackest Storm" e "Ad Astrum Per Oscura" sono certamente buoni e indicano che le capacità non mancano, c'è da lavorare invece sull'originalità della proposta per non essere considerati solo uno dei tanti tributi. Un altro appunto va fatto alla produzione, in alcuni passaggi il suono è troppo moscio e ciò penalizza il risultato finale; va anche detto che recensire mp3 a 128kbps non è esattamente il massimo a livello di suoni, a questo proposito consiglierei alla band di offrire ai recensori un prodotto confezionato meglio, il rischio è di non essere considerati a causa del modo in cui ci si presenta a prescindere dalla qualità della musica in sè.
Tirando le somme non mi sento di bocciare il disco, chi cerca un sound alla Dimmu Borgir troverà pane per i suoi denti; personalmente tra un "Abrahadabra" e un "Via Astralis" non avrei dubbi e sceglierei il secondo, questo però è solo il debutto e in futuro spero che ci regaleranno qualcosa di più sostanzioso.

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PLAKKAGGIO HC - Fronte Del Sacco

Informazioni
Gruppo: Plakkaggio HC
Anno: 2009
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/plakkaggiohc
Autore: Advent

Tracklist
1. Tempesta
2. Germe
3. Engage
4. Macigno
5. Granito
6. War Black Metal Edge
7. Fronte Del Sacco
8. Vendetta
9. No Rules
10. Padroni Delle Strade
11. B.P.D.

DURATA: 25:29

Se l'hardcore punk vi piace grezzo, marcio e amelodico i Plakkaggio HC non fanno per voi. Sembrano dei duri, dei "burini de Roma", ma hanno un cuore tenero oi! ed un look da skinhead. La voce molto roca è solo all'apparenza incazzata, così come l'attitudine da metallari è presto smentita dalla musica troppo morbida che fa da ponte tra il metal più leggero e l'oi! più intransigente per dare vita ad un hardcore melodico (niente voce pulita alla Finley eh) sullo stile di nomi come Discipline e Blood For Blood. "Fronte Del Sacco" è un album oggettivamente valido per essere oi! ma melodico da far schifo se chi lo ascolta è abituato a produzioni purulente. Di tutto il platter io riesco a reggere un po' "War Black Metal Edge" che anzi è la più dura fra tutte, i cori sono una costante di ogni pezzo (anche irriverenti che urlano "Porco Dio" in "B.P.D."), così come la struttura delle tracce più o meno è sempre uguale. I Plakkaggio HC per i più aperti saranno stupendi, io me li filerei ad un concerto dopo aver bevuto almeno un litro di birra, nostalgico come sono del graffiante hardcore torinese degli anni '80 di Declino e Negazione. Se siete per il metal/hardcore meno scherzoso non ci troverete molto di accattivante ma "Fronte Del Sacco" è un album fatto bene; poi nel finale di "B.P.D." merita mille punti grazie ad un omaggio ai Darkthrone più satanassi.

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AKENTRA - Asleep


Informazioni
Gruppo: Akentra
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/akentra
Autore: Mourning

Tracklist
1. Alive
2. Do My Best
3. Gimme Your Gun
4. Asleep
5. New Game
6. Alone
7. Daddy
8. Make Up
9. Just Close Your Eyes
10. Follow Me
11. My Left Foot
12. Twelve

DURATA: 50:50

I francesi Akentra sono la risposta transalpina a band quali Lacuna Coil, Delain e certe soluzioni degli americani Evanescence, è un goth/metal a tinte rock quello che domina "Asleep", che attinge spesso e volentieri dalla corrente nu metal, particolarmente nel riffing delle chitarre che in più di un'occasione rimanda a formazioni quali Disturbed, Drowning Pool, Alter Bridge (ma ve ne potrebbero venire in testa infiniti di nomi con accordature e stile similare) senza puntare il piede sull'acceleratore o assaltare l'ascoltatore come avveniva nei debut album di tali act.
Le chitarre a opera del duo Habib Mas/Thomas Boileux solcano territori conosciuti, già battuti sia per melodia che impostazioni ma sono comunque piacevoli d'ascoltare e si lasciano lo spazio per brevi divagazioni solistiche in episodi come la discreta ballad "Alone".
Il platter non regala sorprese particolari, è composto da canzoni piuttosto buone con un paio di picchi quali l'opener "Alive", il doscretp esempio di modern metal conclusivo "Twelve" con l'unica che si discosta lievemente dall'incedere standardizzato del complesso, "New Game", capace con uno pizzico d'elettronica di ravvivare la situazione.
Inoltre è supportato da una prestazione ritmica ben incassata, sia il bassista Stéphane Rayot che il batterista Steve Tilmant svolgono il compito assegnato loro senza sbavature, e con una Lucia Ferreira che non sfigura se paragonata alla nostrana Cristina Scabbia o a Charlotte Wessels (probabilmente verrò subissato d'insulti dai veri fanboy delle due ma chissene...).
"Asleep" non è di quegli album che segnino la storia di un genere, è però una gradevole compagnia per chi cerca internamente al mondo metallico musica che riesca a star in bilico col "popular" senza esserne del tutto una vittima, se ciò vi sta bene, una possibilità ai ragazzi transalpini degli Akentra dovreste offrirla.

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ZIPPO - Maktub

Informazioni
Gruppo: Zippo
Anno: 2011
Etichetta: SubSound Records
Contatti: www.zippomusic.it/
Autore: Fedaykin

Tracklist
1. The Personal Legend
2. The Omens
3. Caravan to Your Destiny
4. Man of Theory
5. We, People's Hearts
6. Simum
7. The Treasure

DURATA: 37.07

Ci sono artisti che, dopo aver dato alla luce dei dischi buoni o ottimi, si accontentano di quanto già fatto e si limitano a cambiare qualche dettaglio in una formula che si è già rivelata funzionante. Ci sono artisti che, consapevoli di saper costruire un prodotto facile da integrare nel loro ambito di riferimento, si fossilizzano su una sonorità semplice da apprezzare, diretta e costante. E poi ci sono artisti che non si accontentano di quanto già fatto, che vogliono andare oltre, che hanno altre ambizioni. Artisti che rischiano. Ed è proprio questo il caso dei nostrani Zippo, giunti con questo "Maktub" alla loro terza fatica, quella che qualcuno ama definire "della maturità". E bisogna proprio dirlo, il quintetto pescarese, qui, ha rischiato. E ha vinto.

Già sulla carta era facile intuire che "Maktub" fosse un progetto ambizioso: realizzato con la partecipazione di Ben Ward degli Orange Goblin, che ci regala una bella prestazione vocale nella parte finale di "Man Of Theory" e di Luca Mai degli Zu, affidato a gente del calibro di Victor Love e James Plotkin (Isis, Sunn 0))), Earth), rispettivamente alla registrazione e al mastering, e appoggiato subito dopo l’uscita da un ampio tour europeo. L’intenzione del gruppo era probabilmente quella di sfondare i confini e di imporsi come un nome in ambito internazionale. E’ presto per dire se ci siano riusciti, ma sicuramente, era molto difficile fare meglio di così.

"Maktub" è infatti un lavoro pregno di personalità e di difficile classificazione; è psichedelia, ragionamento, poca linearità e tanta cervelloticità nella musica, è poesia ed ecletticità nei testi. Già l’artwork e, successivamente, l’opener "“The Personal Legend" ci preannunciano ciò a cui ci stiamo avvicinando: un album che anche nei suoi momenti di più semplice comprensione, come la stessa o la splendida "We, People’s Hearts", non mancherà di stupirci e stordirci con intrecci di chitarra e basso, assolutamente impossibili da seguire ad un primo ascolto, e una linea vocale imprevedibile, che talvolta preferisce girare intorno alle note piuttosto che semplicemente adagiarvisi, e spesso è "doppia". Ma, come detto, la traccia d’apertura è solo l’inizio: i sette pezzi che compongono il disco sono molto differenti tra di loro, ma condividono, seppur in misure diverse, elementi quasi sempre comuni: le distorsioni e i muri sonori che riconducono alle loro origini stoner sono accompagnati da passaggi progressivi talvolta ispirati ai Tool, lievi spruzzate di post-rock e affini, continui cambi tematici e ritmici, atmosfere che spaziano dal sinistro al dolce o al mistico. Il mix che ne risulta lascia confusi ad un primo approccio, ma una volta afferrata la sua armonia, non delude mai, neanche per un attimo. Non c’è un vero e proprio picco più alto, o pezzo migliore: ogni composizione ha il suo perchè, alla psichedelia dilagante di "The Omens" e "The Treasure" si contrappongono la più pacata "Caravan To Your Destiny", la più distorta "Man Of Theory", la riflessiva "Simum" e le più dirette ed emotive "The Personal Legend" o "We, People's Hearts".

"Maktub" è curato in ogni minimo dettaglio: la durata è perfetta e la prestazione tecnica dei cinque ragazzi mastodontica: le chitarre rabbiose di Sergente e Franz, le preziosissime note di basso di Stonino e l’impeccabile comparto ritmico curato da Ferico non smetteranno mai di mescolarsi e ingarbugliarsi tra loro, a supporto della voce forte, carica di pathos e dal timbro inconfondibile dell’ottimo Dave, che saprà davvero dare un’interpretazione grandiosa alle splendide liriche.
E a proposito delle liriche, c’è da dire che anche da questo punto di vista "Maktub" è davvero portentoso: mi sono trovato personalmente quasi commosso davanti alla carica di pezzi come la già citata "We, People's Hearts", stanza molto intimista che trasmette un messaggio di vita davvero bello, e credo davvero che l’impegno compositivo che sta dietro ai testi meriti una menzione speciale: gli Zippo ispirati, pare, all’"Alchimista" di Coelho ci spingono a guardare dentro di noi, i nostri sogni, le nostre aspettative, a buttarci nella vita come trascinati dal vento, a migliorarci, a inseguire sempre le nostre aspettative, a non tirarci indietro; lo fanno a volte in modo diretto, a volte in modo oscuro, con l’ausilio di immagini e metafore, ma mai, in nessun'occasione, in modo banale.

Tutto questo può essere riassunto in un solo aggettivo: maturo. Gli Zippo, terzo album o no, hanno saputo dar vita ad un prodotto dalle caratteristiche uniche e inconfondibili, e credo proprio che questo possa essere considerato a tutti gli effetti il loro capolavoro. Unico difetto: non è un disco da ascoltare con distrazione, non è un disco "facile": chi vuole avvicinarsi a questo lavoro deve farlo con il preciso intento di capirlo. E non ne resterà scontento.

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MINCING FURY AND GUTTURAL CLAMOUR OF QUEER DECAY - Devolution


Informazioni
Gruppo: Mincing Fury And Guttural Clamour Of Queer Decay
Anno: 2010
Etichetta: United Guttural
Contatti: www.myspace.com/mincingfury
Autore: Mourning

Tracklist
1. Requiem For A Fury
2. Rumiste DC
3. Devolution
4. Guys Who Are Falling In The End
5. Machinka
6. Doctor From Mountains
7. Languish
8. Sea Of Weakness
9. Blind (Korn cover)
10. Drunken Mara
11. Kacenka
12. Shit Song
13. Lamentation
14. Heterosexual Testosterone Compressor (Cock And Ball Torture cover)

DURATA: 32:30

Dalla Repubblica Ceca una mattonata grind "no compromise", i Mincing Fury And Guttural Clamour Of Queer Decay è questo ciò che rappresentano, musicisti che non si curano per nulla del fronzolo, si dilettano nel tirare in velocità e nell'offrire una prestazione condita da "suinate" e bizzarie varie.
"Devolution" è la loro quarta fatica, quattordici brani che mettono in chiaro un particolare, l'ironia e il sarcasmo spesso utilizzati nel genere senza pezzi validi non servono a nulla, infatti è innegabile che la creatura proveniente da Brno sappia "scherzare" rompendo più volte gli schemi compositivi classici del grind infilando dentro hardcore/rap ("Rumiste Dc"), offrendo passaggi stranamente liscio/jazz di durata ultra-breve ("Shit Song"), dilettandosi nel reinventare il nome di una famosa canzone di Clint Mansell, "Lux Aeterna", facendola diventare "Requiem For A Fury", proponendo samples scratchati da dj in "Doctor For Mountains" e perché no, cimentandosi in una piacevole quanto alternativa versione di "Blind" dei Korn.
E' altrettanto vero però che quando serve il groove macinante più classico ecco che badilate quali "Languish", "Drunken Mara" e "Lamentation" calano gli assi adatti a intrigare i fan del genere (probabilmente più incline a quelli dell'ultima decade che agli iper-conservatori) e per non farsi mancare proprio nulla, a chiusura del platter viene posta una cover di "Heterosexual Testosterone Compressor" dei malvagi Cock And Ball Torture proposta con un'infiltrazione massiccia di personalità da parte dei Micing Fury.
Fra materiale ripescato dagli album passati e una vena compositiva che in molti casi può spiazzare l'ascoltatore, questo "Devolution" è uno di quegli album che un ascolto (e più) se lo merita, il punto da cui la formazione è ripartita per consolidare le basi passate e guardare al futuro, ben fatto ma non ancora del tutto convincente.

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CULT OF ERINYES


Informazioni
Autore: Mourning
Traduttore: Dope Fiend

Formazione
Mastema - Voce
Corvus - Chitarra, Basso, Tastiere
Baal - Batteria



E' dal Belgio che arriva il disco che non t'aspetti, "A Place To Call My Unknown", la band è quella dei Cult Of Erinyes già messasi in mostra con il precedente ep "Golgotha", vediamo di avere più notizie su di loro.

E' un piacere avervi qui su Aristocrazia Webzine, solitamente le battute iniziali vengono affidate alla presentazione della band, dei suoi componenti e a brevi accenni della propria storia musicale, com'è nata la realtà Cult Of Erinyes?

Cult Of Erinyes è un'entità estrema e punitiva e disposta ad evolversi nel regno del Black Metal. Noi apparteniamo a un'esperienza proibita, dove la musica è solo un sintomo di una verità superiore. Cult Of Erinyes è stato creato alla fine del 2009 come un progetto Black Metal/Ambient che è diventato finalmente una trinità più organica con l'aggiunta di Baal. Il suo drumming ha aggiunto qualcosa di rituale nelle ritmiche che definiscono oggi l'identità del CoE. Abbiamo registrato il nostro primo ep nel settembre 2010 e, solo pochi mesi dopo, abbiamo iniziato la registrazione del nostro primo full lenght "A Place To Call My Unknown", uscito il 23 aprile tramite Les Acteurs De L'Ombre Productions.


Come avete scelto il monicker che vi rappresenta? Qual è il feeling che accomuna la musica alla figura mitologica delle Erinni?

La società moderna è basata sul denaro, sull'ipocrisia e sulla codardia. Le Erinni, come le divinità della vendetta, punivano direttamente il responsabile di un peccato. Le religioni in genere vedono il giudizio come un elemento che arriva dopo la morte ed è per questo che quei dogmi nascono per fallire e schiavizzare l'umanità. Cult Of Erinyes prega i fatti ed è per coloro che credono che assumere la propria essenza e fronteggiarne conseguenze sia l'unico modo per scoprire chi sei veramente. Al giorno d'oggi le società preferiscono occultare l'essenza di ogni individuo, in modo che il mondo possa "girare". Questa però è solo un'illusione per imbecilli. Cult Of Erinyes mira a coloro che innalzano il proibito, l'occulto e che hanno il coraggio di guardarsi allo specchio senza aver paura di quello che vedranno.


Qual è stato il percorso che vi ha condotto all'evoluzione che da "Golgotha", veramente fantastico, ha fatto sì che il primo album avesse un'anima così devastante e ancor più varia?

"Golgotha" è crudo e aggressivo e ne sono molto orgoglioso, anche se ci sono un paio di errori qua e là. Non credo che ci sia una grande evoluzione tra l'ep e il full: ho scritto i brani nello stesso periodo, quindi avrai sicuramente notato un sacco di similitudini. La più grande differenza tra "Golgotha" e "A Place To Call My Unkwown" è il suono: "Golgotha" è stato registrato in poche ore, mentre per il full è occorso più tempo, soprattutto per il processo di missaggio. Ma l'anima è la stessa: Ritualistic Black Metal.


"A Place To Call My Unknown" è un'arma che tramite ritualità e prestanza è capace di travolgere e assoggettare l'ascoltatore, come nasce il sound? Ogni brano gode di sfaccettature diverse che lo caratterizzano, in che modo sviluppate il songwriting?

Il sound proviene dalla sovrapposizione di chitarre e bassi e il modo in cui sono miscelati. Ci sono un sacco di tracce di chitarra-basso in ogni canzone. In un pezzo come "Black Eyelids" si trovano tre tracce di basso diverse, per esempio. In "Call No Truce" ci sono qualcosa come sei o sette tracce di chitarra mescolate tra loro. Da quel caos apparirà l'ordine durante il processo di missaggio. Phorgath dei Blackout Studio ha rapidamente capito il nostro modo di pensare e ha fatto un lavoro straordinario per l'album. Ogni suono ha infatti una propria identità e non è stato facile creare lo stesso suono per ogni canzone, ma Phorgath ci è riuscito! Inoltre batteria e la voce non sono sempre così evidenti nel mix finale: OGNI singola nota deve essere una parte di un tutto. Cult Of Erinyes non è un grande chitarrista (che non sono), un batterista fantastico o un bravo cantante. E' energia, quando tutti gli elementi sono mescolati insieme.


La produzione da una bella frustata in più e la batteria di Baal tramortisce continuamente con i suoi cambi di tempo. Cos'è il black metal oggi? Molti guardano e ascoltano con diffidenza chi si pone al genere distaccandosi dai canoni primordi, com'è cambiato secondo voi lo stile, musicalmente e soprattutto ideologicamente? Quali sono i valichi che sono stati "giustamente oltrepassati"?

Ai miei occhi il Black Metal è coltivare la propria essenza. Quando inizi a preoccuparti di "cosa pensa la gente", bene, è meglio smettere di fare musica! Ideologicamente non credo che il Black Metal sia cambiato molto. Ciò che si è evoluto è l'accettazione di opinioni radicali nella società europea, e le band Black Metal (ideologicamente) radicali sono solo il riflesso di questa "evoluzione", non sono il problema principale (fatta eccezione per la mancanza di talento di quei gruppi radicali, anche se vi sono alcune eccezioni). D'altra parte, adesso ci sono band Black Metal con valori più "positivi", soprattutto in Canada e Stati Uniti. E' divertente vedere i tossicodipendenti del Black Metal radicale così incazzati per l'introduzione di tali messaggi nella scena Black Metal. Musicalmente lo stile si è evoluto molto, band come i Blut Aus Nord e Axis Of Perdition hanno spostato il limite ulteriormente con l'aggiunta di alcuni elementi elettronici ben distillati. La scena Avantgarde Black Metal, con band come DHG, Ved Buens Ende o Arcturus, è veramente interessante. Il Black Metal è diventato un genere e non un sottogenere del Metal, questo è sicuro!


Quanto può essere seducente affondare la propria mente in sentimenti come vendetta, odio, rivalsa verso le divinità cristiane? Cos'è che eleva un disco rendendolo un reale conduttore di feeling personale ma intriso di quell'oscurità che ha caratterizzato gli anni Novanta? E' anacronistico pensare che il black sia un modo di pensare e vivere ancora elitario?

Siamo nel 2011 e coloro che pensano di poter basare la propria vita sui "valori cristiani" stanno andando indietro nel tempo a quando la maggior parte della gente non era in grado di leggere e pensare per conto proprio. Io non penso di essere migliore di chiunque altro perché suono Black Metal. Non ho bisogno di essere meglio degli altri, ho bisogno di essere me stesso e sviluppare la mia essenza. Quindi la parte elitaria del Black Metal non fa per me. Quando pensi di essere meglio degli altri fermi la tua evoluzione. L'elite autoproclamata è per chi non ha nulla da proporre sul lato artistico. Ma questi sono solo i miei due cents...


La scena belga a cui appartenete vanta da sempre discrete band quali Enthroned, Huldrefolk, Berserk, Doodsdrek, Hellewacht, Trancelike Void, in che rapporti siete con altre realtà connazionali e come ritenete sia ora la situazione del movimento Black nella vostra nazione?

Ho imparato ad apprezzare Phorgath e Nerath degli Enthroned durante la registrazione di "A Place To Call My Unknown". Nerath ha registrato anche una parte molto breve di un riff nella canzone "Last Light Fading". Sono ottimi artisti e sicuramente il nostro prossimo album sarà registrato nei Blackout Studio! Con Hans dei Trancelike Void sono regolarmente in contatto via mail. Lui sembra apprezzare i Cult OF Erinyes e io ho grande rispetto per i Trancelike Void; hanno cambiato molto il loro sound ma la loro essenza è sempre la stessa. Il Black Metal è più che blastbeat e distorsione e mi piace quando le band si assumono rischi. Per quanto riguarda il movimento Black Metal in Belgio, ci sono buoni show, buoni gruppi (provate Gorath, Winterblind ecc.) e persone appassionate. Ma c'è anche il lato nazionalista del Black Metal, in cui non trovo alcun elemento interessante, nè musicalmente nè ideologicamente. Nel complesso però, considerando che siamo un paese piccolo, non possiamo lamentarci della qualità.


C'è una particolare scena con cui avete, musicalmente e mentalmente, un feeling e di cui apprezzate più band? Quali sono le formazioni che ritenete fra le più interessanti di quest'ultima ondata?

La gente ha bisogno di categorizzare tutto, ma a me non interessa. Ascolto un sacco di cose, quindi non ho la sensazione di appartenere a una scena in particolare. Oltre al metal estremo, posso ascoltare blues, jazz o musica classica. Io cerco musica estrema, qualunque sia lo stile. Fare una jam di venti minuti con i The Allman Brothers Band sarebbe più estremo (almeno ai miei occhi) di alcune band Black Metal, per esempio. Parlando di gruppi interessanti, ho scoperto di recente la band francese Celeste, roba intensa di sicuro! E gruppi come Dissection, Craft o Celtic Frost mi hanno sicuramente influenzato molto.


Se aveste la possibilità di produrre uno split album a breve, chi vorreste come compagni di viaggio in una simile avventura? E perché?

Questa è una bella domanda e in realtà stiamo pensando di fare uno split album prima di rilasciare un nuovo full (nel 2012-2013 suppongo). Ma nulla è certo. Non voglio dare un nome qualsiasi, ma la prima condizione quando si fa uno split è un rispetto reciproco tra le band. Il tempo ci dirà...


La Les Acteurs De L'Ombre è la stessa label che ha dato alle stampe i lavori dei Pensees Nocturnes, uno fra i più apprezzati avanguardisti degli ultimi due anni, com'è nato il contatto con questa piccola ma brillante etichetta? Cosa vi ha spinto ad affidarvi alle loro cure?

Sono in contatto con la Les Acteurs De L'Ombre Productions fin dall'inizio della band. Gérald, il proprietario dell'etichetta, ha mostrato interesse dopo aver ascoltato una versione di pre-produzione del brano "The Glowing Embers" su Myspace. Ho grande rispetto per i Pensees Nocturnes e il modo in cui l'etichetta ha promosso le loro uscite, quindi ero certo che la label fosse stata la scelta migliore per lanciare i Cult Of Erinyes. E devo dire che sono più che soddisfatto della collaborazione. Les Acteurs De L'Ombre Productions è una etichetta ottima!


C'è già stata occasione di portare in sede live i pezzi di "A Place To Call My Unknown"? Quali sono state le reazioni del pubblico?

Dovevamo apparire all'Open Your Mind Fest con i Bethlehem, ma il feastival è stato annullato a causa dei Bethlehem e di Kvarforth (che ha lasciato la band). Suoneremo probabilmente durante il periodo settembre-dicembre, ma nulla è certo. Troverete al più presto informazioni su qualche live sul nostro Facebook (so che fa schifo...) e Myspace (che fa ancora più schifo) e probabilmente su un sito web ufficiale (ancora da creare tra l'altro).


Riscontri da parte della critica e da chi ha ascoltato il disco e di getto si è lanciato in un commento? Girovagando su internet ho notato che avete provocato molte buone reazioni.

Girovagando su internet ho notato che ci sono state un sacco di buone reazioni. Per ora le recensioni sono molto buone. Abbiamo anche ottenuto un 14/15 su Legacy Magazine. Devo dire che la LADLO Productions sta facendo un'ottima promozione e questo aiuta sicuramente ad avere un sacco di esposizione. D'altra parte, non corro dietro alla fama e al riconoscimento, ma solo alla qualità e alla soddisfazione. Naturalmente sono felice che l'album sembri essere apprezzato, ma questo ci incoraggia solo a lavorare di più per il futuro.


Ho l'impressione che non siate una band di quelle che ama crogiolarsi sul lavoro già svolto, ci sono già progetti che girano in testa o tracce pronte per un possibile nuovo disco?

Ho già qualcosa come quattro o cinque brani quasi finiti. Quei pezzi però certamente si evolveranno, noi non entreremo in studio per un full prima (almeno) di metà del 2012. Inoltre, io non voglio ripetermi. Ho già avuto modo di scartare un po' di materiale perché suonava troppo simile a quello che abbiamo fatto prima. Sono sicuro che il futuro della band sarà musicalmente sorprendente, ma ancora estremo e intenso. D'altra parte faccio parte anche di una nuova band (come bassista); la line up è abbastanza improbabile, quindi sono sicuro che il risultato finale sarà sorprendente.


Avremo possibilità di vedere un vostro show nella nostra penisola?

Non abbiamo in programma di suonare in Italia al momento, magari in futuro...


Vi faccio ancora una volta i complimenti per "A Place To Call My Unknown", siamo giunti al termine della chiacchierata, non rimane che lasciare un ultimo messaggio indirizzato ai nostri lettori.

Grazie per l'intervista! Saluti a tutti coloro che continuano a credere che il Black Metal sia molto di più che musica.

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