Informazioni
Gruppo: Khuda
Anno: 2011
Etichetta: Field Records (cd) \ Pruegelprinz Records (vinile)
Contatti: www.myspace.com/khudamusic
Autore: Fedaykin
Tracklist
1. Seia
2. Boreas
3. Luka Mesto
4. Iecava
5. Haikyo
6. Marchmen
7. Don Benito
8. Tyche
DURATA: 35:41
I Khuda, in attività dal 2007, sono un duo proveniente da Leeds, nel Regno Unito: le chitarre di Tom Brooke e la batteria di Steve Myles si uniscono in un progetto di post-rock con qualche venatura metal, dalle sonorità essenziali ma molto particolari. Seguo il gruppo già dal 2010, quando il loro debutto "Palingenesia" mi colpì molto positivamente per l'enorme talento che i due ragazzi dimostravano nel produrre una tipologia di musica molto personale, atmosferica e intima nel modo giusto, che strizzava l'occhio qua e là a quella corrente post-metal in larga espansione negli ultimi anni mantenendo sempre, tuttavia, una linea non eccessivamente pesante, ma anzi, raffinata ed elaborata con un certo gusto. A distanza di un anno quell'ottimo debutto lascia spazio a "Iecava", prodotto da Ross Halden ai Ghosttown Studios di Leeds e del cui mastering si è occupato Carl Saff, della Saff Mastering di Chicago, in uscita agli inizi di giugno nella sua versione su supporto ottico (mentre l'edizione, limitata, in vinile, è uscita intorno al 20 di maggio sotto un'altra etichetta).
Ad un primo ascolto, devo ammettere di non aver compreso del tutto questo nuovo lavoro dei Khuda, che si sviluppa su otto tracce per una durata complessiva di appena trentacinque minuti; si tratta di un bel lavoro di post-rock esclusivamente strumentale, in cui chitarre e batteria si intrecciano in un alternarsi di sezioni prevalentemente lente e ad ampio respiro e altre in cui il continuo cambio tematico e ritmico difficilmente darà dei punti di riferimento precisi all'ascoltatore. Ci sono due elementi che in un primo momento possono risultare poco chiari; in primo luogo la scelta del gruppo di concentrarsi su tracce molto brevi, che solo in due casi superano i cinque minuti di durata, ma che tuttavia sono, proprio in virtù del loro stile, articolate e quasi sempre eterogenee, raramente ripetitive; in secondo luogo, i nostri hanno preferito, in questo disco, intraprendere una linea decisamente più soft e rock-oriented, a tratti pesantemente atmosferica, evitando spesso quelle sonorità metalliche presenti in modo più continuo nel loro precedente "Palingenesia", o interpretandole in modo molto più sbrigativo. Sin dal primo pezzo "Seia" si ha un esempio lampante di queste caratteristiche; laddove infatti sarebbe lecito aspettarsi un'evoluzione della splendida trama iniziale, essa viene bruscamente interrotta per lasciare spazio alla successiva "Boreas", peraltro ascoltabile gratuitamente in anteprima sul loro sito. Stesso discorso per la bella "Haikyo", una delle tracce più lunghe dell'album: il pezzo, piuttosto dilatato e dai toni bassi, pone con una certa ridondanza le basi per un crescendo finale che, però, al momento topico, non arriva, si perde all'orizzonte. E' come se, nel comporre i pezzi, gli Inglesi abbiano deciso di dare un assaggio di ogni tema, passando più o meno repentinamente al successivo nel momento in cui, forse, l'ascoltatore si aspettava uno sfogo, una sottolineatura o un'uscita meno disinvolta.
L'incedere che ne deriva è quindi, molte volte, frammentario, dispersivo, manca spesso di continuità, ma non per questo risulta meno intrigante; ad ogni ascolto successivo, infatti, l'album sa regalare degli spunti nuovi, sempre più coinvolgenti, e man mano che l'orecchio si adatterà al suo ritmo e sarà in grado di cogliere le sfumature più intime dei suoi passaggi, il disco saprà esprimersi in una vastissima gamma di sensazioni, da quelle calme di "Haikyo" e "Don Benito", composizioni più ripetitive e d’ambiente, a quelle sinistre e riflessive di "Iecava", a quelle più confusionarie di "Tyche", “Marchman” e “Luka Mesto”, dove i cambiamenti tematici repentini sono sostenuti da una base di batteria a tratti quasi progressiva, e le chitarre passano spesso dal distorto al pulito; se è vero che l'album, come detto, possiede una scarsa integrità, si può considerare ogni singolo pezzo come una storia a sè, autoconclusiva, e molto spesso ci sarà bisogno di più di un ascolto per comprenderne appieno il significato, o per poter godere delle sue tinte, siano esse omogenee o contrastate; la differenziazione che c'è tra una traccia e l'altra diventa, in questo modo, un pregio, da longevità all'intero prodotto, crea un interesse che sfuma molto più difficilmente.
"Iecava" è un viaggio tortuoso che attraversa fasi molto diverse, ma che, alla fine, non può lasciar delusi; la confusione di cui si può avere esperienza ad un primo approccio all'album, sottolineata e forse incoraggiata dal bel lavoro grafico presente sulla copertina, è parte dell'album stesso, e in fondo lo rende ancora più particolare. Personalmente credo che i Khuda stiano facendo un gran lavoro: hanno la capacità di produrre della buona musica, non necessariamente classificabile in un genere predefinito, e lo fanno rendendola, sì, abbastanza intellettuale da necessitare un'analisi approfondita, ma anche abbastanza accessibile da poter essere apprezzata da chiunque. Sicuramente il loro nome è in ascesa, come denota d’altra parte la produzione di due album nel giro di un anno e mezzo e la loro impegnativa attività on stage; non si può che sperare il meglio per questi due ragazzi, che sembrano mettere davvero una grande passione nella loro ricerca musicale.
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lunedì 23 maggio 2011KHUDA - Iecava |
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