Informazioni
Gruppo: Colossus
Titolo: Wake
Anno: 2013
Provenienza: Svezia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/colossusstockholm
Autore: Mourning
Tracklist
1. A Stir From Slumber
2. Traitors Gate
3. Reflections Of The Arcane
4. Ruinbuilder
5. Pillars Of Perennity
6. Suncarrier
7. Kingdoms
8. Cloudhead
9. Fungal Gardens
DURATA: 58:28
I Colossus provengono da Stoccolma e a quanto pare negli ultimi tre o quattro anni si sono dati un bel po' da fare, rilasciando il demo "The Mechanical Engineering Of Living Machines" (2010) e l'ep "Spiritual Myiasis" (2011), che hanno fatto da apripista al successivo e completo debutto intitolato "Wake" (2013). La formazione svedese rientra a pieno titolo in quel circolo di band dalla natura ibrida e moderna, realtà capaci di coniugare all'interno della propria proposta più stili, caratteristica che noterete ascoltando le nove tracce racchiuse nell'album. Un disco che palesando in più di una circostanza le sue influenze multi-sfaccettate, chiaramente riconducibili a nomi ben precisi, dimostra di essere in possesso delle qualità per far sì che il lato progressivo, il calore desertico e le atmosfere (divise emotivamente fra il post e lo sludge-doom), si shakerino assumendo una forma, seppur in minima parte, differente di brano in brano.
Il bello di "Wake" è che riesce tanto a scuotere violentemente quanto a condurti per mano attraverso territori in cui è piacevole perdersi: vuoi per l'appeal melodico che possiede, vuoi per la maniera quasi ambiziosa con cui tenta d'impadronirsi di un mondo che ancora non gli appartiene del tutto. Noterete infatti che pur trovando in scaletta una serie di episodi interessanti quali "Ruinbuilder", "Pillars Of Perennity" (con tanto di ospitata del signor Lars-Göran Petrov, l'altra è quella di Morgan Ågren in "Kingdoms"), "Suncarrier", "Traitors Gate" e "Fungal Gardens", emergono dei limiti in un paio di cambi di ambientazione non perfettamente inquadrati e nelle sezioni vocali dall'approccio maggiormente melodico, facendo intendere quanto si possano ancora limare gli spigoli di uno scenario sonoro in grado sin d'adesso di offrire risultati ben più che semplicemente sufficienti.
Questi scandinavi vanno decisamente tenuti d'occhio e mi auguro che "Wake", al momento da inserire nel filone degli album autoprodotti, riceva il supporto di un'etichetta che possa garantirgli una giusta visibilità. Se il buon giorno si vede dal mattino, le premesse consegnateci per affrontare un'assolata e godereccia giornata in compagnia del gruppo sono alquanto positive, non rimane che godersela.
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Gruppo: Parasol Caravan / Cachimbo De Paz
Titolo: Use The Fuzz
Anno: 2012
Provenienza: Austria
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/parasolcaravan - facebook.com/cachimbodepaz
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Parasol Caravan - The Barbers Snake
2. Parasol Caravan - Psychotic Fever
3. Parasol Caravan - Big Kahuna
4. Parasol Caravan - Chinese Eyes
5. Cachimbo de Paz - Stare Into The Sun
6. Cachimbo De Paz - Cachimbo
7. Cahcimbo De Paz - Lady
8. Cachimbo De Paz - Coyotes On Peyote
DURATA: 45:21
Due formazioni austriache di cui non avevo mai sentito parlare, i Parasol Caravan e i Cachimbo De Paz. Due formazioni che, tentando di uscire dal sottobosco musicale nazionale e internazionale, uniscono le forze in uno split autoprodotto il cui titolo, "Use The Fuzz", si configura come dichiarazione d'intenti e come manifesto.
La prima metà del lavoro è curata dai Parasol Caravan e parte con una "The Barbers Snake" che ci indica subito il sentiero percorso dal quartetto di Linz: un Southern Rock arrembante che riconduce a Black Label Society e Down, impastato con tratti puramente Stoner attingenti tanto dagli imprescindibili Kyuss (le prime battute di "Chinese Eyes" sono emblematiche a tal proposito) quanto da gente come Colour Haze e Truckfighters. "Psychotic Fever" e "Big Kahuna" sono invece intarsiate di piccole divagazioni vintage che rimandano immediatamente al decennio settantiano, all'eredità imperitura di band come Led Zeppelin e Deep Purple; tali tratti compositivi, immersi nel comunque sempre presente strato sudista della proposta, danno vita a episodi davvero bellissimi. I Parasol Caravan con i quattro brani presentati non pretendono di inventare nulla, ma dimostrano di essere pieni di genuina passione per un genere che sembra essere sempre più in forma.
L'altra faccia di "Use The Fuzz" è rappresentata dalla prova dei Cachimbo De Paz che, con "Stare Into The Sun" e "Cachimbo", dimostrano nei confronti dello stesso stile musicale una predisposizione più sporca e più scura rispetto ai colleghi che li hanno preceduti. Le armi utilizzate dai tre austriaci sono derivazioni discendenti da un indiscutibile retaggio Doom: un'esecuzione vocale più profonda del solito e una tendenza atmosferica che punta più a oscurare il sole che ad esaltarlo. Con "Lady" e con i tocchi funky di "Coyotes On Peyote" si torna su binari più movimentati e classici in virtù di una musicalità Stoner a grana molto ruvida, ma non pensiate di poter rivedere così facilmente la luce solare. I numerosi rallentamenti e le digressioni dalle sfumature vagamente psichedeliche o tendenti a una curvatura Blues, infatti, tengono la proposta saldamente ancorata alle radici scure da cui i Cachimbo De Paz ci hanno già ampiamente dimostrato di attingere.
Tirando le somme, dunque, "Use The Fuzz" si rivela un prodotto che non rivoluzionerà nulla nel campo a cui appartiene e che non diverrà indispensabile; ciononostante è comunque un lavoro indubbiamente valido, godibile e assolutamente interessante nell'ottica di osservare i passi futuri di due gruppi promettenti e capaci.
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Gruppo: Cosmic Despair
Titolo: Celebration Of The Wake
Anno: 2012
Provenienza: Internazionale
Etichetta: Marche Funebre Productions
Contatti: facebook.com/CosmicDespair
Autore: Mourning
Tracklist
1. Nox Initium
2. Chains Of Frost
3. Infinite Halls
4. Angel Of Desolation
5. Leviathan
6. Poseidon
7. Celebration Of The Wake
8. Sunrise
9. The Unknown Kadath In The Cold Waste [cover Thergothon]
DURATA: 43:36
I Cosmic Despair erano un trio norvegese-polacco composto da Azathoth alla chitarra e alla batteria (già nei Beyond Life, Czarna Rozpacz, Gurthang ed ex Azathoth), Sam alle tastiere (Ecliptic Dawn) e Stormalv a ricoprire il ruolo di bassista-cantante (Ecliptic Dawn, Gurthang, Mortiferia ed ex Dark Side Of The Spoon, Ørkenkjøtt e Thorvi). Nella loro brevissima unione durata all'incirca tre anni rilasciarono uno split con i Guterthang intitolato "Journey To The World Of Nether" nel 2010 e due anni più tardi l'unico disco "Celebration Of The Wake", quello di cui sto per scrivere. Qual era il genere in cui si cimentavano? Funeral Doom. Vi riuscivano? Non erano dei cavalli di razza, ma si può affermare che l'ascolto non dispiace.
I tre quarti d'ora che compongono l'album sono palesemente influenzati dalla natura incorruttibile dei Thergothon, che non a caso vengono omaggiati con la cover di "The Unknown Kadath In The Cold Waste", canzone estratta da quella indiscutibile pietra miliare del settore che porta il nome di "Stream From The Heavens". Abbiamo quindi a che fare con una prestazione che pedissequamente tenta di ripercorrere i sentieri oscuri e funerei di quei grandi maestri, provando in contemporanea a infilarci dentro l'appeal melodico e struggente di un'altra realtà ahimè recentemente scomparsa, parlo dei finnici Colosseum, gruppo scioltosi nel 2011 dopo aver subito la prematura dipartita del cantante Juhani Palomäki e avergli tributato l'ultimo saluto con il rilascio postumo dell'opera finale "Chapter 3: Parasomnia".
Di base il lavoro non possiede grossissime pecche, difatti rispetta le movenze pesanti e allentate, infarcendosi di atmosfera buia e malinconica grazie alla discreta vena melodica delle chitarre e all'altrettanto discreto operato svolto dalle tastiere. Quella che però viene a galla sul lungo corso, dopo aver inserito più volte nel lettore il cd, è una omogeneità quasi collassante che rende l'ascolto lievemente monotono. Pur considerando, come fanno molti, questa caratteristica distintiva dello stile, tuttavia in questa circostanza diviene un fattore penalizzante, anche se non in maniera così grave; le cause sono da ricercare nell'assenza di vere e proprie svolte ritmiche, con il comparto alquanto quadrato e compatto, alle volte anche esageratamente. "Celebration Of The Wake" è un mattone che vi si schianta contro, profondo e scuro, dalla prima traccia "Chains Of Frost" ("Nox Initium" è una sorta d'intro strumentale alla quale si accoppia l'outro "Sunrise", che precede la cover dei Thergothon) sino a quella che prende il nome del disco, verrete così risucchiati in un gorgo che vi trascinerà al proprio interno ruotando con andatura costante.
I Cosmic Despair attirano l'orecchio utilizzando abbastanza efficacemente gli elementi basilari del genere, purtroppo però non potremo sperare nel rilascio di un secondo capitolo o di una qualsiasi altra prova che ci possa fornire ulteriori dati sulla validità del progetto. Il loro album è e rimarrà figlio unico, un figlio che mi sento di consigliare, anche solo per conoscenza, agli sfegatati fruitori di uscite del panorama funereo: non vi cambierà la vita, ma nelle giornate più grigie potrebbe rivelarsi una piacevole compagnia in qualità di colonna sonora.
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Gruppo: Cathedral
Titolo: Forest Of Equilibrium
Anno: 1991
Provenienza: Regno Unito
Etichetta: Earache
Contatti: facebook.com/cathedral
Autore: Duca Strige
Tracklist
1. Picture Of Beauty & Innocence (Intro) / Commiserating The Celebration
2. Ebony Tears
3. Serpent Eve
4. Soul Sacrifice
5. A Funeral Request
6. Equilibrium
7. Reaching Happiness, Touching Pain
DURATA: 54:09
 Estate 1994: la noia che ti uccide. L'anno scolastico al Liceo Artistico di Novara è terminato e, nonostante le levatacce per raggiungere la scuola dal paesello in cui risiedo, devo ammettere che già mi mancano le amicizie metallare conosciute tra i banchi. I più canonici amici del paese, invece, hanno avuto la splendida idea di aderire a una gita organizzata dalla parrocchia. La meta? Assisi, con visite previste anche nei dintorni, tra le antiche colline umbre. Ci siamo aggregati pure io e il mio compare Luca, mica per motivi religiosi ovviamente. Per scacciare la monotonia piuttosto e, nel mio caso, per la curiosità di osservare dal vivo gli affreschi di Giotto e Cimabue visti sempre e solo sui libri di testo. Non ho alcuna intenzione di trascurare la musica, comunque. Ho richiesto dal catalogo di vendita per corrispondenza di Flying Records tre cassette che mi sono state recapitate proprio oggi, un giorno prima della partenza. Le porterò sicuramente con me. Si tratta del nuovo disco dei Napalm Death, "Fear, Emptiness, Despair", l'ultimo Bolt Thrower, "The IVth Crusade", e il primo album dei Cathedral, "Forest Of Equilibrium", che ho letto essere un capolavoro di lentissimo doom metal inglese. Sono parecchio curioso di scoprire di cosa si tratta, perché non ho proprio idea di come possa suonare un disco doom e sono rimasto subito attratto dal misterioso dipinto presente sulla copertina che, guarda un po', ricorda proprio lo stile figurativo dei maestri della pittura medievale come Giotto (con rimandi al fiammingo Hieronymus Bosh).
La mattina della partenza ci si alza molto presto. Il viaggio in pullman per raggiungere Assisi richiederà circa quattro ore e, terminati gli iniziali cazzeggi agitati con gli amici, tipici da gita, finalmente posso godermi un poco di pace. È giunto il momento di sfoderare il walkman. Le colline silenziose nella luce del mattino, che scorrono oltre il finestrino, mi spingono a scegliere "Forest Of Equilibrium", perché è il disco dei tre in mio possesso che sprigiona il fascino più antico. Ho già dato un'occhiata ai titoli dei brani e mi pare che si integrino perfettamente con le atmosfere oniriche della copertina. I Cathedral, fortunatamente, non sono uno di quei gruppi che utilizza dipinti fantasy e poi canta di donne e vita "on the road". Inserisco il nastro, schiaccio il tasto "play". Un dolce flauto bucolico accoglie le mie orecchie... Danza fatato e poi, piano piano, inizia a ingravidarsi di minacciosa elettricità: quando parte il riff di "Commiserating The Celebration" ho già capito che, sebbene le riviste metal indichino un certo Tony Iommi come il vero maestro della chitarra doom, per me il Dio del Riff Doom sarà per sempre il chitarrista dei Cathedral, Gary Jennings. I suoi accordi tremolano sinistri pur conservando un'indubbia carica rock, il suono della sua chitarra si sbriciola come alabastro e, grazie al pestare pachidermico della sezione ritmica, le note trovano il tempo di fluttuare, gocciolare e riempire lentamente i miei pensieri più ombrosi. Le melodie, poi, sembrano proprio una preghiera pagana, e quando il cantante Lee Dorrian intona i primi versi col suo tono stregonesco, che non è growl ma neppure vagamente limpido, so di essere già rapito per sempre dal sortilegio dei Cathedral. C'è sicuramente un enigma recondito in questa musica così pesante eppure spirituale ed eterea, e forse non lo afferrerò mai. Visito la basilica di San Francesco e, mentre mi perdo nella girandola di affreschi, sento risuonare la messa profana di "Serpent Eve", terzo splendido brano in scaletta. Sono sicuro che oggi Giotto canterebbe nei Cathedral, con Cimabue alla chitarra. Camminare tra i boschi del monte Subasio è proprio come percorrere la "Forest Of Equilibrium" ed infine, sulle note del flauto che ritorna per chiudere il disco nel brano "Reaching Happiness, Touching Pain", si conclude anche il mio viaggio in terra umbra. Questa particolare commistione di suoni e immagini lascerà in me un segno indelebile.
Per tutto il resto dell'estate la cassetta di "Forest Of Equilibrium" rimane sempre con me. La sera, dizionario di inglese alla mano, mi affanno a tradurre i testi e fantastico sulle parole di Lee Dorrian. Non vedo l'ora di tornare a Novara per procurarmi il disco successivo, "The Ethereal Mirror", e il nuovissimo ep "Statik Majik" che, ho letto sulla rivista "Rumore", aprono il suono dei Cathedral a mille nuove avventurose suggestioni. Sempre più spesso, svolgo la copertina della cassetta e vado alle note di ringraziamento, dove la band sciorina una miriade di influenze. Nomi esotici, mai sentiti: Black Widow, Mellow Candle, Forest, Pentagram, Solitude Aeturnus, Cirith Ungol, Paul Chain... Non so ancora come farò a recuperare tutto questo materiale, ma è ora di aggiornare la lista dischi e mettersi alla ricerca!
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Gruppo: Contorted
Titolo: Clinically Dead
Anno: 2012
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Thanatopsis Records
Contatti: facebook.com/contortedmetal
Autore: Mourning
Tracklist
1. Clinically Dead
2. The Chronicles Of Bundy
3. Detest At Leisure
4. Death Rides
5. Enshrouded In The Darkest Pain
6. Hated And Scorned
7. Retaliate
8. Defiled Existence
DURATA: 32:56
Il nome Contorted dirà poco a molti di voi, però ad alcuni veramente affamati di death metal e amanti dell'underground riporterà alla mente un bel disco rilasciato nel 2005 intitolato "Edge Of Darkness" e più facilmente ancora le figure di Jim Coker e Peter Sykes, rispettivamente batterista e chitarrista appartenenti al periodo di attività reale degli storicissimi Brutality (torneranno? Non torneranno? Chi lo sa? È un vero rebus questa band). I due musicisti pare abbiano trovato i compagni adatti a creare una formazione stabile e adeguata a proseguire il cammino intrapreso soltanto dopo parecchi anni dalla prima uscita, con l'entrata di Carlos Gonzalez (chitarra), Tim Wilson (basso) e Coby Koch (voce e autore di tutti i testi), e si è così dovuto attendere sino al 2012 prima che "Clinically Dead" fosse completato e rilasciato.
Che il modo di vivere e suonare il genere sia fedelmente e inossidabilmente rimasto ancorato ai primi anni Novanta, credo fosse il minimo che ci si potesse aspettare da questi deathster incalliti, non rimaneva quindi che sperare in un album quantomeno roccioso e cattivo, capace di sfoderare quel feeling brutale e malevolo che proprio i Brutality insieme a maestri quali Morbid Angel, Immolation, Malevolent Creation e Cannibal Corpse avevano instillato all'interno dei loro lavori. Fortunatamente anche sotto questo punto di vista posso affermare che l'operato del gruppo di Tampa soddisfa decisamente: "Clinically Dead" è una mazzata di trentadue minuti e poco più che ci ripaga della lunga attesa con grinta e pezzi da headbanging puro; l'esempio lampante è racchiuso nella stupenda "Enshrouded In The Darkest Pain", brano che incarna appieno l'essenza death e al cui interno si slancia l'ossessiva solistica di Pikes e Dave Orman (ormai un ex membro), mentre la seguente "Hated And Scorned" smonta letteralmente la testa dal collo.
In tutta onestà, almeno per il sottoscritto, una scaletta come quella confezionata dai Contorted è manna dal cielo, poiché si mantiene ben lontana dall'essere clinicamente sterile, né appare scontata, pretenziosa o forzatamente tecnica, piantando invece una mattonata dietro l'altra. Dall'apertura a opera di "Clinically Dead" si giunge a "Defiled Existence" con il collo ben caldo e già pronto a ripartire per la successiva sessione da "elica impazzita" grazie al salutare death metal proposto, suonato e prodotto (dietro la consolle ha operato Dana Walsh, un altro ex Brutality) con istintiva genuinità, dimostrando così che — come al tempo del debutto — di loro ci si può davvero fidare.
No alle smancerie, no alle iper-produzioni, sì alle bastonate e alle randellate in classico stile floridiano. Non posso esimermi quindi di consigliare l'ascolto di questo disco agli appassionati e dire al gruppo "bentornati ragazzi", augurandomi che non debbano trascorrere altri sette anni prima del terzo capitolo.
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Gruppo: Chton
Titolo: The Devil Builds
Anno: 2012
Provenienza: Norvegia
Etichetta: Godeater Records
Contatti: facebook.com/Chton666
Autore: Mourning
Tracklist
1. Faustian Resolve
2. Scavenger Of A Dead World
3. Gods Of The Flesh
4. Rise Black God
5. Death Awaits
6. Contagion (The Disease)
7. Lord And Master
8. Nithon Undertow
9. Ratbag [cover Abscess]
10. Babalon And The Beast Conjoined
DURATA: 42:08
I deathster norvegesi Chton si rifanno vivi sulla lunga distanza, non avveniva dai tempi del promo "Death Awaits" risalente al 2006, quindi sono dovuti trascorrere ben sei anni prima che venisse rilasciato il successore del debutto "Chtonian Lifecode" intitolato "The Devil Builds". Intanto la formazione non è stata rivoluzionata, pur se qualche cambio è avvenuto, mantenendo comunque integra l'attitudine death rocciosa, astiosa e martellante che sinora l'aveva caratterizzata: Espen Hektoen è entrato a far parte del gruppo nel 2008 nel ruolo di batterista, mentre dal 2012 Craig Furunes si è insediato dietro il microfono; anche se sul disco la prestazione vocale è affidata all'ex Terje Olsen.
La scena statunitense di Morbid Angel e signori del male affini e le realtà connazionali Zyklon e Blood Red Throne sono i possibili riferimenti con i quali orientarsi per farsi un'idea del sound proposto dalla band di Trondheim. Gli scandinavi sono una di quelle incarnazioni "operaie" che se la cava bene menando, la forza bruta vince nettamente sulla ricercatezza e sulle attenzioni dedicate agli aspetti atmosferici (quest'ultimi presenti soprattutto in un episodio come "Nithon Undertow"), scatenando perlopiù un turbinio continuo nel quale sono i mid-tempo a farla da padrone, con il growl profondo e a tratti un po' monotono nell'impostazione di Terje a scandirne le pulsioni cattive. Il riffato in alcune circostanze è capace di assumere un atteggiamento lievemente più melodico, cosa che avviene in "Lord And Master" e nella conclusiva "Babalon And The Beast Conjoined". Con questa formula semplice e nota ci vengono consegnati brani quali "Faustian Resolve", "Scavenger Of A Dead World", "Rise Of Black God" e "Contagion (The Disease)". La cover di "Ratbag" degli Abscess, pezzo incluso nel secondo disco della band ormai sciolta il cui titolo è "Tormented" (2000), è un piacevole diversivo, forse avrebbero potuto anche inserirla un po' prima in scaletta, dato che la pecca più grande insita in "The Devil Builds" è l'omogeneità nell'approccio e nell'evoluzione che alla lunga rende l'ascolto parecchio uniforme, insomma una bella mattonata per carità, che però avrebbe necessitato di un paio di sbocchi alternativi in più in ambito ritmico.
La produzione è leggermente più pulita rispetto a quella di "Chtonian Lifecode" e ciò ha dato vigore alle chitarre e alla voce, comunque senza esagerare, per fortuna siamo lontani da quei supporti asettici e freddi di stampo seriale che in tanti definiscono death metal mixato in maniera moderna (plastica in pratica). La morte qui è ancora attiva e non confezionata.
I Chton si confermano solidi e affidabili, non attendetevi rivoluzioni dal loro "The Devil Builds", ma del buon death metal proprio sì.
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Gruppo: Craniotomy
Titolo: Supply Of Flesh Came Just In Time
Anno: 2013
Provenienza: Slovacchia
Etichetta: Amputated Vein Records
Contatti: facebook.com/pages/CRANIOTOMY/109691269053162
Autore: Mourning
Tracklist
1. Mr. Butcher
2. Vomiting Bloody Pieces Of Undigested Body
3. Pathological Dependence On Autopsy Stench
4. Buried Alive
5. Endless Torture
6. Executioners Violation
7. Psychopats Apprentice
8. He Torture The Brain With A Drill
DURATA: 31:43
Chi di noi non ha un macellaio di fiducia? Volete mangiare carne al sangue, affogarvi nelle frattaglie e "spanzarvi" di fegato? Ognuno di noi si rivolgerà a quell'uomo che sapientemente porterà in tavola ciò che ci piace addentare. Questo discorso probabilmente non ha niente a che fare con la musica, parlando però degli slovacchi Craniotomy, band nella media ma alquanto affidabile e precisa, lo trovo calzante, dato che abbiamo a che fare con un quartetto di mattatori da macello sonoro che conoscono a mena dito il suono e le soluzioni adatti a inondarvi di una vomitante e sanguinolenta sensazione di carneficina in corso. La band proveniente da Hlohovec non è composta da novellini e, dopo aver visto i propri lavori prodotti da etichette est europee come la ceca Grodhaisn Productions e la connazionale Forensick Music, è entrata a far parte della truculenta famiglia della giapponese Amputated Vein che supporta la quarta uscita intitolata "Supply Of Flesh Came Just In Time" e che solo per il nome potrebbe finire fra le colonne sonore papabili per un film zombie ultra splatter.
Come suonano questi musicisti? È gente che sa quello che fa, il lavoro chitarristico di Roman Halmo — pur macinando a ripetizione e mantenendo l'atmosfera ossessivamente cupa e carica di groove — non disdegna l'espressione di una fruibilità accattivante. La sezione ritmica che vede Daniel Hanak al basso (e seconda voce) e Lukas Siska alla batteria infila una serie di randellate a spron battuto che non lasciano scampo, nessun secondo fine, l'attacco è pesante e battente; se non è il rullante a scatenarsi furiosamente, è la cassa a martoriare, con le corde di Hanak che per scelta di produzione vengono messe in rilievo. Questo aspetto non mi dispiace, peccato invece per il complesso, entrambi sono formalmente ineccepibili, si percepisce però l'assenza di quel cambio in corsa che avrebbe giovato per mutare un minimo l'andamento a tratti sin troppo lineare dei brani. Una linearità del resto è riscontrabile anche nella prestazione bestialmente profonda e in costante modalità "da rigurgito" di Rastislav "Pygo" Váry.
Nonostante tutto signori miei un disco come questo, una volta premuto il tasto "play", si mette completamente a disposizione dell'udito, scaraventandogli contro ciò che vuole, nulla più nulla meno. Magari sarà difficile scegliere quale sia il pezzo migliore dell'album (opterei per "Buried Alive", ma anche "Vomiting Bloody Pieces Of Undigested Body", "Psychopats Apprentice" e l'ultima "He Torture The Brain With A Drill" non mi dispiacciono affatto), dato che i valori sono abbastanza livellati, tuttavia mai insufficienti, è quindi preferibile goderne in soluzione unica, lasciandosi sfasciare senza ritegno da questo attacco sonoro e accantonare altre storie inutili. "Supply Of Flesh Came Just In Time" è probabilmente un album esclusivamente per ossessionati dal genere, se lo siete non mancate l'ascolto.
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Information
Band: Chthonic
Title: Bú-Tik
Year: 2013
From: Taiwan
Label: Spinefarm Records
Contacts: facebook.com/chthonictw
Author: Insanity
Translation: LordPist
Tracklist
1. Arising Armament
2. Supreme Pain For The Tyrant
3. Sail Into The Sunset's Fire
4. Next Republic
5. Rage Of My Sword
6. Between Silence And Death
7. Resurrection Pyre
8. Set Fire To The Island
9. Defenders Of Bú-Tik Palace
10. Undying Rearmament
RUNNING TIME: 40:40
Keep this as a reminder: never trust previews of upcoming albums. Not necessarily because bands pick the worst tracks: the actual reason is that an album often needs to be experienced from the beginning to the end, since all its parts have to fall in their right place in order to make sense. That's the lesson I've learned from "Bú-Tik", the seventh LP by Chthonic. The album is based on one of the darkest pages in Taiwan history, known as the 228 Incident. Are you wondering what makes this work so special, to the point that it has even taught me something? The answer will come soon, but let's give this some order and start from the preview tracks.
More than a month has passed since, on Spinefarm Records' Soundcloud page, a track called "Next Republic" appeared. After listening to it, my hopes about this work started to tremble: I'm not exaggerating in saying that for a couple of days I had insistently asked myself why in the world they decided to get close to the sound of bands like Children Of Bodom or Wintersun (I haven't gone over the pain caused by "Time I" yet), that sort of melodic death mixed with power metal getting more and more tedious and obvious in recent years. Not long after that, it was time for the first video – "Defenders Of Bú-Tik Palace" – which distances itself from the power-ish sound of "Next Republic", having somewhat of a relieving effect on my morale, despite it not being totally convincing. The third and last preview was "Sail Into The Sunset's Fire", following in the path of the second one, and actually contributing to get me even more worried.
And then there came the album release. After reading the above paragraphs you might expect me to suggest you ignore all I've written up to now: well, no. The whole "Bú-Tik" is actually built on this style, not introducing anything new on the path the Taiwanese band has been treading in the last few years (with "Mirror Of Retribution" and "Takasago Army"). Now it is time to ask what it is that makes this album so special. I don't want to keep you waiting any longer for the answer, or rather the three answers.
The first reason why "Bú-Tik" works is its atmosphere: if we stripped this work down of its oriental vibe, we would find ourselves with ten harmless tracks. On the contrary, the folk instruments have been integrated more into their sound: the erhu (an instrument similar to a violin, one of the band's trademarks) is the prominent part as usual, but you can't fail to notice the koto at the beginning of "Supreme Pain For The Tyrant" or the flute placed both at the beginning and the end. CJ Kao's keyboards contribute to creating even more epic and exotic atmospheres, this time feeling more genuine and becoming one of Chthonic's strong points once again. In addition, I suggest listening to the Taiwanese language version of this album: of course the lyrics might be less comprehensible this way, but this is one of those cases in which the effect conveyed by language may be more intense.
The second reason is variety, as I needed more than a couple of spins to get through it. Although it is not much more than a melodic death album, we can find some small detours here and there: not shifting towards a definite style, but taking the sound to different directions according to the band's needs. One of the main features is Jesse Liu's guitar, showcasing a vast array of influences, from power in "Next Republic" to groovy passages and even more classical metal in the solos. In "Between Silence And Death", the band's recognizable riffage alternates with the lead guitar which seems to be coming straight out of a romantic semi-ballad, definitely one of the top moments in the album. The performance on drums is very diverse as well, featuring many changes in rhythm, always suited to the atmosphere.
The third and final reason is the one that ultimately answers to the question posed at the beginning: the tracklist. After several listens I realized how much the track order contributes to the final effect: the fast-paced opener "Supreme Pain For The Tyrant", the epic choirs in the two following tracks, the alternation between aggressive and atmospheric sections after that, leading to "Defenders Of Bú-Tik Palace" finale — thus highlighting it the way it deserves — in my opinion one of the band's best tracks ever, which has now become a daily listen for me.
In conclusion, the album flows extremely well and this is also due to the musicians' individual performances: apart from the already-mentioned members, the vocals trio with Freddy as the leading and Jesse and Doris as backing is remarkable. This is perhaps the most mature Chthonic release since "Seediq Bale", although it would be a risk for them to just settle for this sound in the future. Nevertheless, let us just enjoy "Bú-Tik" for the time being and not complain about what's to come, as there is no reason to do that.
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Gruppo: Concrete Block
Titolo: Twilight Of The Gods
Anno: 2013
Provenienza: Torino, Piemonte, Italia
Etichetta: F.O.A.D. Records
Contatti: facebook.com/concreteblockofficial
Autore: Bosj
Tracklist
1. Through The Bars
2. Death Is The Only Law
3. Kill Me If You Love Me
4. The Good Fight
5. Die Alone
6. Trust No One
7. Cunt
8. Armageddon [cover Carnivore]
DURATA: 33:18
Agnostic Front, Sick Of It All, Biohazard, Madball, Merauder. Suppergiù il percorso del NYHC dalle contaminazioni metallare riassunto dai suoi pesi massimi. Da lì poi, oltre all'infinità di gruppi meno mediaticamente esposti (Leeway, All Out War, eccetera), le varie diramazioni in tutto il mondo si sono allontanate sempre più dalla strada maestra: divertenti "cagatelle" alla Hatebreed, metalcore insostenibile pressoché ovunque e via dicendo.
Dopo aver specificato che i Concrete Block sono parte del roster della nostrana F.O.A.D., dire che la cornice entro cui si inserisce la proposta di questo quintetto di Torino è quella dei primi anni '90 e assolutamente non oltre è quasi ridondante. Anzi, per gli standard F.O.A.D., solitamente orientati sugli '80, già stiamo parlando di "roba moderna". Eppure Saverio Sgaramella gli anni Ottanta li conosce bene. Attivo da un trentennio nella scena nostrana, ha dal 2007 trovato la propria espressione musicale con i Concrete Block, che con "Twilight Of The Gods" e una formazione completamente rinnovata proseguono il discorso interrotto con il primo album "Life Is Brutal" ormai quattro anni fa. E il discorso del quintetto torinese, anche grazie alla doppia chitarra, è di quelli grossi, grossissimi, enormi, spessi così. E un buon mantra per riassumerlo potrebbe benissimo essere: "La vita ti prende a calci in faccia? Tu prendila a calci in faccia più forte." Sette brani (più una cover dei Carnivore del compianto Peter Steele) di hardcore dalle fortissime inflessioni metallare, quelle inflessioni americane lente e pesantissime che una ventina di anni fa ti aspettavi dai dischi targati Roadrunner o dai Pantera, ci dicono oggi che l'hc è vivo e pulsante più che mai, quantomeno nelle vene di Saverio e compagni.
L'autocoerenza anti-sistema (quando non proprio anarcoide) senza compromessi e spesso autodistruttiva è il fondamento che tiene in piedi questo blocco di cemento. Siamo onesti: l'atteggiamento nell'hardcore è tutto, e l'atteggiamento è vero solo se certi contesti li si vive sulla propria pelle. "Die Alone" è una storia d'amore iniziata tra gli eccessi e finita male (a detta dello stesso Sgaramella), "Kill Me If You Love Me" un figlio di puttana in cerca di redenzione, "Cunt" una groupie che affoga la tristezza della sua vita nei backstage: ciascuna delle sette canzoni è un inno alla vita di strada gridato a squarciagola in un cantato molto più vicino al metal che all'hc e suonato in pressoché perenni mid-tempo che dire monolitici è eufemistico. I passaggi più veloci in realtà non mancano, specialmente in apertura con "Through The Bars", anzi i ritmi sono al fulmicotone, ma cazzo, quei rallentamenti...
Tutti questi sette pezzi hanno profonde radici nel nord ovest della Penisola, tanto che sia nella fotografia interna al digipak sia nel libretto di "Twilight Of The Gods" è ben visibile il logo dello United Club di Torino, storico locale "estremo" del capoluogo piemontese.
Walking straight I have failed
I feel far to be ashamed
Condemned to survive
Sweat my only tool to rise
Spitting blood collecting scars
Dreaming freedom through the bars.
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Informazioni
Gruppo: Conny Ochs
Titolo: Black Happy
Anno: 2013
Provenienza: Germania
Etichetta: Exile On Mainstream
Contatti: facebook.com/pages/Conny-Ochs/112536815501097
Autore: Mourning
Tracklist
1. Exile
2. No Sleep Tonight
3. Die In Your Arms
4. Faces In The Crowd
5. Stable Chaos
6. Trust In Love
7. Borderline
8. Phantom Pain
9. Lead-Out
10. Blues For My Baby
11. Mouth
DURATA: 27:23
Il cantautore tedesco Conny Ochs si era fatto notare nel recente passato per un intrigante debutto intitolato "Raw Love Songs" (2011) e per la collaborazione con lo storico Scott "Wino" Weinrich (nome che al solo pronunciarlo un amante del doom sobbalza) da cui scaturì il disco "Heavy Kingdom" nei primi mesi del 2012. Il 2013 è l'anno del ritorno in qualità di solista e la Exile On Mainstream, etichetta connazionale che lo aveva supportato per l'uscita d'esordio, ne pubblica il secondo lavoro "Black Happy".
Il sorriso amaro racchiuso nei pezzi non potrebbe identificare meglio ciò che il titolo dell'album sembra voler rappresentare: l'apprezzamento della malinconia di un vissuto nel cui grigiore risaltano sprazzi di lucentezza. È un contatto reale, ridotto all'osso, in cui sono chitarra e voce a dominare la scena; da questo connubio tanto elementare quanto affascinante, l'artista tedesco riesce a tirar fuori undici brani per neanche mezz'ora di musica complessiva che lasciano delle ferite emotive profonde. Non tanto dolorose, quanto significative del tentativo, andato a buon fine, di voler entrare in contatto con la parte più intima e introspettiva dell'essere.
Il minimalismo è desolante, l'angoscia e gli attimi di dolcezza si impastano smisuratamente: la straziante apertura di "No Sleep Tonight", il modo in cui l'anima da rocker sofferente affronta il proprio dolore in "Stable Chaos" e "Borderline" e la conclusiva "Mouth", che si concede l'intrusione dell'armonica a bocca a sostegno di quella perseverante sensazione di solitudine che in lungo e in largo attraversa il disco, sono lì a testimoniare che Conny in questo lavoro ha messo tutto se stesso.
La creatura di Ochs probabilmente dividerà le opinioni, venendo apprezzata in maniera viscerale da coloro i quali si nutrono di questa visione cantautorale semplice e alquanto "terrena", o massacrata da quelli che invece collegano a questo tipo di lavoro una mancanza di idee e una scelta "filo-intelletualoide" retrò ingiustificata (idea alquanto balzana, mi auguro poi che a muovere tale critica non siano le stesse persone capaci di alimentare miti di cartone come Il Teatro Degli Orrori, Baustelle e Le Luci Della Centrale Elettrica).
È inutile perdersi troppo in parole, è preferibile gettarsi nell'ascolto di "Black Happy". Il lavoro è una dedica appassionata rivolta a chiunque ami il rock, il blues e certe atmosfere della piovosa Seattle; dopo averlo incrociato, potrete raccontarvi e raccontare ciò che vi è stato donato, o meno, dalle sue note.
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Informazioni
Gruppo: Chthonic
Titolo: Bú-Tik
Anno: 2013
Provenienza: Taiwan
Etichetta: Spinefarm Records
Contatti: facebook.com/chthonictw
Autore: Insanity
Tracklist
1. Arising Armament
2. Supreme Pain For The Tyrant
3. Sail Into The Sunset's Fire
4. Next Republic
5. Rage Of My Sword
6. Between Silence And Death
7. Resurrection Pyre
8. Set Fire To The Island
9. Defenders Of Bú-Tik Palace
10. Undying Rearmament
DURATA: 40:40
Promemoria per il futuro: mai fidarsi dei brani che anticipano l'uscita di un album. Non perché le band scelgano sempre i pezzi peggiori: piuttosto il motivo è che spesso un disco va ascoltato dall'inizio alla fine, poiché i singoli tasselli di cui è composto hanno bisogno di essere inseriti all'interno del puzzle per assumere un senso. Questa è la lezione che ho imparato grazie a "Bú-Tik", settimo full dei Chthonic basato su una della pagine più nere della storia di Taiwan noto come 228 Incident. Vi state chiedendo cosa possa avere questo disco di così speciale da potermi addirittura insegnare qualcosa? La risposta arriverà presto, ma andiamo con ordine e partiamo proprio dai pezzi pubblicati in anteprima.
È passato oltre un mese da quando, sulla pagina Soundcloud della Spinefarm Records, apparve una traccia intitolata "Next Republic" e all'ascolto di questa le mie speranze per questo lavoro iniziarono a tremare: non esagero se dico che per almeno due giorni non feci altro che chiedermi perché si fossero avvicinati in quel modo al sound di band quali Children Of Bodom e Wintersun (ancora non ho assorbito del tutto la sofferenza provocata da "Time I"), quel Death melodico misto a Power che col tempo è diventato sempre più stucchevole e scontato. Non passa molto tempo e arriva finalmente il primo video, "Defenders Of Bú-Tik Palace" è un brano che risolleva relativamente il mio morale, allontanandosi dalle sonorità "powerose" di "Next Republic", anche se non riesce a convincermi del tutto. Il terzo e ultimo antipasto è "Sail Into The Sunset's Fire" che segue la scia del secondo arrivato, aumentando però la mia preoccupazione, non avendo ancora sentito ciò che mi aspettavo.
Arriviamo quindi all'uscita dell'album, e data la premessa vi aspetterete che vi dica di fare finta di non aver letto il precedente paragrafo: no, affatto. L'intero album è infatti basato su questo stile che ormai non propone nulla di nuovo da anni e segue la strada intrapresa dai taiwanesi in "Mirror Of Retribution" e "Takasago Army". Ora sì, è il caso di chiederselo: perché questo disco è così speciale? Non voglio farvi attendere oltre per la risposta, o meglio per le tre risposte.
Il primo motivo per cui "Bú-Tik" colpisce sono le atmosfere: togliete il feeling orientale a questo lavoro e avrete dieci tracce decisamente innocue. Al contrario, la strumentazione Folk è integrata maggiormente nel sound: spicca come al solito l'erhu (una sorta di violino diventato ormai marchio di fabbrica della band), ma è impossibile non notare il koto all'inizio di "Supreme Pain For The Tyrant" o il flauto che apre e chiude l'album. Le tastiere di CJ Kao contribuiscono alla creazione di queste sensazioni esotiche e più epiche che mai, inoltre grazie ai suoni meno "plasticosi" di quelli degli ultimi dischi tornano a essere uno dei punti di forza dei Chthonic. Consiglio, inoltre, di ascoltare la versione cantata in taiwanese dell'album: i testi saranno sicuramente meno comprensibili, tuttavia l'effetto donato dalla lingua è importante in casi come questo.
La seconda ragione è la varietà che, almeno a me, ha necessitato di alcuni ascolti per essere compresa. Se apparentemente e formalmente questo non è altro che un album Melodic Death, possiamo trovare piccole divagazioni di genere che — invece di modificare il sound verso uno stile ben preciso — preferiscono muovere piccoli passi in diverse direzioni a seconda dell'esigenza. Maggiore protagonista di ciò è la chitarra di Jesse Liu, capace di spaziare dalle le influenze Power di "Next Republic" ai numerosi passaggi carichi di groove, per non parlare degli assoli che sembrano trarre vagamente ispirazione dal Metal più classico e arrivando a una canzone come "Between Silence And Death" che alterna riff caratteristici della band a una chitarra solista che sembra uscita da una semi-ballata romantica, assolutamente uno degli episodi migliori. Anche la batteria offre una prestazione molto variegata, con tanti cambi di tempo repentini e sempre azzeccati seguendo l'atmosfera.
Il terzo e ultimo motivo è quello che in realtà risponde definitivamente alla domanda iniziale: la scaletta. Dopo non pochi ascolti ho realizzato quanto la disposizione dei brani contribuisca all'effetto complessivo: la partenza in quarta con "Supreme Pain For The Tyrant", l'epicità dei cori nell'accoppiata a seguire, l'alternanza tra parti aggressive e atmosferiche dei pezzi successivi che conducono al finale di "Defenders Of Bú-Tik Palace", che in questo modo viene valorizzata come merita; personalmente la considero uno dei brani migliori mai composti dalla band, è diventata un ascolto quotidiano ormai.
In definitiva l'album scorre che è una meraviglia, merito anche della prestazione dei singoli musicisti: oltre a quelli già citati, è degno di nota il trio di voci capitanato da Freddy e supportato in diverse occasioni da Jesse e Doris. Probabilmente questa è l'uscita più matura dei Chthonic dai tempi di "Seediq Bale", la speranza è che in futuro non si fossilizzino troppo su questo stile, poiché sarebbe rischioso. Per ora però godiamoci questo "Bú-Tik" e non lamentiamoci troppo, non ce ne è motivo.
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Informazioni
Gruppo: Calendula
Titolo: Aftermaths
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Lo-Fi Creatures
Contatti: facebook.com/calendulatheband
Autore: Leonard Z666.
Tracklist
1. Waking (Prologue)
2. Dunwich
3. Azathoth's Arrival
4. Octagona
5. You, The Living
6. Aftermaths
7. Misotheism
8. Muori Italia
9. Heat The Deep
10. Massevil
11. Waking (Epilogue)
Ecco il nuovo lavoro dei Calendula sotto Lo-Fi Creatures. Iniziamo col dire che, come sempre per questa etichetta, la componente grafica è di ottimo livello. Il corposo libretto è evocativo e contiene disegni e testi, tutti molto in linea col delirante e criptico percorso musicale del lavoro. La copertina è una sorta di visione sotto lsd del fiore della calendula, ed è un palese avvertimento di ciò che troverete ascoltando l'album.
La musica del gruppo è un ibrido lisergico tra influenze metalcore, soprattutto per la voce, e derive doom. Il risultato finale è di non semplice fruizione e dona soddisfazioni solo dopo ripetuti ascolti. La fa da padrona, su tutto, la batteria dell'ottimo M., con i suoi ritmi non scontati, che diventa la base per le linee di chitarra e basso.
In generale consiglio questo cd a chi vuole qualcosa di non immediato e di non facile lettura, né da un punto di vista musicale né di testi. I titoli dei brani sono un chiaro omaggio al solitario di Providence, cosa che sembra davvero un punto di principio per band della Lo-Fi Creatures, visti gli ultimi lavori di King Bong e Whiskey Ritual. In definitiva: un album che non vi farà pentire dell'acquisto.
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Gruppo: Coma
Titolo: Mindless
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Punishment 18
Contatti: facebook.com/coma.thrash
Autore: Mourning
Tracklist
1. Mindless
2. Full Of Nothing
3. Last Aim
4. Again
5. No Love...
6. ...Only Hate
7. My Venom Inside
8. Under Attack
9. Old Man
DURATA: 36:20
Se uno dovesse bollare ogni disco prima d'averlo ascoltato, esclusivamente per la classica e ormai scontata motivazione legata alle influenze del passato che spadroneggiano nella scena, un genere come il thrash oggigiorno non avrebbe proprio nessuna ragione d'esistere. È assurda e alle volte totalmente sterile la polemica mossa contro alcune giovani band; comprendo la passione per gli anni d'oro intoccabili, ma se li si omaggia, allora si parla solo di copie decenti di ciò che fu, altrimenti non si viene neanche presi in considerazione, in quanto inserire altro vorrebbe dire non essere più "thrash".
Perché tutta questa manfrina iniziale? Perché quando ti arriva fra le mani un disco come quello prodotto dai nostrani Coma, i primi pensieri di un amante del genere dovrebbero essere: "cazzo, suona bene, mi ci posso frantumare il collo a headbanging e stappare della buona birra in compagnia", non la solita serie di preconcetti tanto in voga e francamente inutili, su quali siano le band da cui traggono spunto e quanto siano poco innovativi. Mi spiegate come si fa a pretendere innovazione nel thrash? Ma stiamo scherzando? Ciò che ritengo fondamentale in questo genere è scatenare l'adrenalina, è giungere al cuore dell'ascoltatore, in maniera genuina e istintiva.
Non è certo disprezzabile tuttavia mettere in mostra anche una discreta dose di tecnica, e in questo la formazione sarda è decisamente brava: abbiamo a che fare con dei musicisti preparati e soprattutto appassionati. È ovvio poi che durante la sessione d'ascolto nomi quali Overkill (in primis), Exodus e Slayer (e mi fermo qui) siano riscontrabilissimi, è palese che le composizioni vogliano e ricerchino quel feeling ottantiano che tanto ci sta a cuore.
Pur essendo il 2013 il suo anno d'uscita, l'album sfodera una serie di brani che — vuoi per lo sballo offerto dalle più articolate ed elaborate "Last Aim" e "Again" (quest'ultima vanta la presenza al basso di Riccardo "Erik" Atzeni, già con Brian Maillard ed ex-Dominici e Solid Vision, e di Craig Locicero dei Forbidden e Demonica in veste di chitarrista solista), vuoi per le botte rifilate da cannonate quali "My Venom Inside" e "Under Attack", vuoi ancora per la stupenda apertura affidata a una titletrack che ti tiene incollato per tutti i suoi sei minuti di durata — fanno sì che "Mindless" porti a casa la pagnotta e con merito. I Coma avranno aspettato anche tanto prima di produrre la loro prima opera, se però i risultati sono di buon livello e avvalorati da una produzione a cura del già citato Atzeni, abile nell'evitare le scie odierne, puntando su scelte meno levigate, ma dinamicamente piacevoli all'orecchio, non si può che essere contenti.
Il complesso strumentale è dirompente: il lavoro dell'asse ritmico composto da Fabio Sinibaldi e Michele Sanna risulta volitivo e travolgente, le due asce Daniele Manca e Antonio Sanna infilano riff scatenati uno dietro l'altro; l'unica "pecca", se tale la si vuol considerare, potrebbe risiedere nella prestazione vocale di Antonio, meno convincente nelle fasi particolarmente incentrate sulle urla, tuttavia si tratta di un dettaglio che non incide decisivamente sul giudizio positivo che "Mindless" merita.
Una band da seguire? Sì, senza ombra di dubbio gli isolani rientrano in quel circolo di compagini da tenere d'occhio, supportare e che allo stato attuale può tranquillamente fare il didietro a strisce a nomi più blasonati e pubblicizzati circa i quali ci chiediamo come facciano a essere ancora in giro; personalizzate pure la vostra risposta inserendo una delle miriadi di band inutili, pseudo-revivalistiche e metalcore spacciate per thrash.
"Mindless" è dedicato a chiunque segua il genere con passione: lasciate da parte i pregiudizi, ascoltate, riascoltate e se poi non dovessero piacervi avrete di che lamentarvi e l'ennesima band di cui discutere con gli amici.
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Gruppo: Cult Of Erinyes / Zifir
Titolo: Split
Anno: 2012
Provenienza: Belgio / Turchia
Etichetta: Tanquam Aegri Somnia
Contatti: facebook.com/cult.erinyes - facebook.com/zifirband
Autore: Mourning
Tracklist
1. Cult Of Erinyes - Teutoburger Wald
2. Cult Of Erinyes - The Eschatologist
3. Cult Of Erinyes - Hermitry
4. Zifir - Kafir / Heathen
5. Zifir - War
6. Zifir - Sole Wrong
7. Zifir - Shroud
DURATA: 30:29
 Giovani band che continuano a crescere? I belgi Cult Of Erinyes sono uno degli esempi migliori da poter prendere in considerazione. Il trio di Bruxelles, dopo aver raccolto pareri notevolmente positivi con le uscite "Golgotha" e "A Place To Call My Unknown", mette a segno altri due colpi importanti per la propria maturazione: il primo è la creazione della propria etichetta discografica, la Tanquam Aegri Somnia, e il secondo è il rilascio tramite quest'ultima dello split con gli Zifir, band alla quale in passato il nostro M1 ha dedicato attenzione recensendo "Protest Against Humanity", iniziando così a renderla attiva sul fronte delle produzioni. Cosa ci hanno messo a disposizione? Sette pezzi per poco più di trenta minuti di musica.
I Cult Of Erinyes si presentano in una versione meno elaborata e complessa rispetto a ciò che hanno mostrato di saper fare nel debutto. La musica acquisisce una maggiore cattiveria a livello viscerale, approcciandosi in maniera più acida e diretta nelle due canzoni dall'atmosfera ortodossa poste in apertura, "Teutoburger Wald" e "The Eschatologist". Il gusto rituale di "Hermitry" invece, pur non mettendo in secondo piano l'aura malefica, favorisce una manifestazione sonora occulta e opprimente, nella quale lo scream maligno e provocatorio di Mastema s'infila come un coltello caldo nel burro. Alla prestazione dei belgi partecipano gli ospiti Sylvain Baron e Christophe Corneille (Algol), che in comune con questi tre musicisti hanno il coinvolgimento attivo e passato negli Psalm; i due si fanno vivi rispettivamente in chiave di solista nel secondo pezzo e in qualità d'autore e chitarrista del terzo episodio. Il primo round si è quindi concluso e per gli Zifir è arrivato il momento di dire la propria.
I turchi hanno due dischi all'attivo, "You Must Come With Us" del 2007 e "Protest Against Humanity" del 2011, e sin da subito l'orecchio si troverà ad affrontare un cambio di sonorità evidente: le ritmiche tendono a dilatarsi e c'è un'impronta generale diversa anche per quanto concerne l'aspetto umorale e ambientale. Il duo formato da Onur Önok e Nursuz è più canonico, crudo e ancorato a uno stile "old school" che non lascia nulla all'immaginazione. Le tracce si susseguono professando senza mezzi termini la fede del "sempre e comunque in mid-tempo", l'esecuzione è fredda, quasi meccanica nel suo incedere costantemente controllato, e i brani ascoltati di getto uno dietro l'altro formano un'unica cappa nera che adempie al compito assegnatole: trasmettere negatività.
Due realtà che si nutrono del male, utilizzando canali differenti e anche la produzione rispecchia tale fattore: quella dei Cult Of Erinyes è più sostanziosa e sferzante al cospetto della scelta cruda messa in atto dagli Zifir, quindi è un'accoppiata assortita in modo da non rendere omogeneo il trascorrere della mezz'ora. Si avrà un dovuto stacco emotivo nella fase di passaggio e si potranno notare a più riprese le caratteristiche che contraddistinguono l'una e l'altra band.
In linea di massima questo split è consigliabile soprattutto a coloro che hanno già avuto modo di approfondire il passato delle formazioni in questione e sono in attesa di gustarne i nuovi lavori in formato full; potrebbe però anche rivelarsi un invitante biglietto da visita per chi ancora, per un verso o per l'altro, non abbia avuto modo di incrociarle. In entrambi i casi di sicuro avere questo disco nello stereo non potrà dispiacervi.
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Gruppo: Corpus Mortale
Titolo: Fleshcraft
Anno: 2013
Provenienza: Danimarca
Etichetta: Deepsend Records
Contatti: facebook.com/corpusmortale
Autore: Mourning
Tracklist
1. Weakest Of The Weak
2. The Unwashed Horde
3. A Murderous Creed
4. Scorn Of The Earth
5. Love Lies Bleeding
6. Enthralled
7. Feasting Upon Souls
8. Crafted In Flesh
9. Tempt Not The Knife
10. Seize The Moment Of Murder
DURATA: 41:23
La Danimarca non è fra le nazioni più influenti nel mondo death metal, eppure possiamo citare buone band provenienti da là: chi non ricorda ad esempio Konkhra, Illdisposed, Exmortem e Panzerchrist? A queste è doveroso aggiungere i Corpus Mortale, anche se la creatura in questione è sempre stata più traballante del ponte di una nave in mezzo al mare in tempesta. Il nome gira ormai da vent'anni, il 1993 vide la loro nascita, il 1998 il debutto con "Spiritism" al quale — con scadenza quasi quinquennale — succedettero "With Lewd Demeanor" e "A New Species Of Deviant", tutti preceduti o intervallati da pubblicazioni demo ("Corpus Mortale" e "Sombre And Vile") ed ep ("Integration", "Succumb The Superior" e "Seize The Moment Of Murder").
Il numero di musicisti che ha preso parte alla maturazione di questo complesso a mo' di girandola è davvero elevato, la formazione del 2013 è così composta: Carlos Garcia Robles e Brian Eriksen alle sei corde (con il primo anche solista), Martin Rosendahl nel ruolo di bassista cantante e Danni Jelsgaard dietro le pelli. Gli artisti non hanno bisogno di grandi presentazioni, sono in giro ormai da tanto e hanno timbrato il cartellino in molteplici gruppi, passiamo quindi all'aspetto musicale, ciò che ci interessa di più.
"FleshCraft", il loro quarto episodio discografico, è uno di quei dischi che potresti descrivere utilizzando due parole: death metal. Perché farla così semplice? Perché i Corpus Mortale hanno puntato tutto su ciò che sanno fare meglio e quindi si sono rivolti alla sacrilega scuola floridiana di Morbid Angel, Deicide, Immolation e compagni di merende, dai quali sembrano avere ricevuto gli appunti di una vita, tirando fuori dieci tracce di monolitico, bastardo e cattivissimo death, che per corposità eccessiva e tendenza al non volere offrire attimi di tregua all'incauto ascoltatore rischia in qualche situazione di perdere il bandolo della matassa appiattendosi. Intendiamoci, la scaletta è talmente ricca di pugni in faccia che scegliere fra "Weakest Of The Weak", "Scorned Of The Earth" (del quale è stato realizzato anche un video ufficiale), "Love Lies Bleeding" o "Seize The Moment Of Murder" (brano ripescato dall'ep e che non comprendo per quale motivo non sia stato utilizzato nel precedente lavoro "A New Species Of Deviant") diviene complicato. Del resto il songwriting ha finalmente trovato quella consistenza e quell'efficacia che nel recente passato parevano latitare, con il growl potente di Martin a dare una mano alle canzoni per quanto concerne la profondità. Quello che manca è però la zampata vincente, quel pezzo, o per meglio dire pezzi, che elevano una buona prova a un livello superiore.
Si può considerare papabile l'acquisto di questo nuovo Corpus Mortale? Diamine sì! Se non ci fossero album come questi e stessimo in attesa dei soli capolavori, oggi elencabili a stento sulle dita di una mano, ci saremmo fermati a non so quanti anni fa. Invece è giusto avere in collezione dischi che rappresentano il genere puntando sulla sostanza solida come un mattone, e il detto "su i maccaruni ca inchiunu a panza" (sono i maccheroni che riempiono la pancia) pare adattarsi alla situazione che sta vivendo la realtà danese. Probabilmente non entrerà mai a far parte dei primi della classe, ma una volta chiamata in causa avrà sempre il suo bel che da dire.
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Gruppo: Church Of Disgust
Titolo: Invocation Of Putrid Worship
Anno: 2012
Provenienza: Stati Uniti
Etichetta: Filthy Cave Records
Contatti: churchofdisgust.bandcamp.com
Autore: ticino1
Tracklist
1. March The Horde
2. Cloud Of Rot
3. Death Fiend
4. Lead Coffin
5. Seven Sigils Of Infinite Void
DURATA: 15:32
Vado a postare in un forum le ultime informazioni riguardo il nostro sito, leggo un commento, clicco sulla firma e mi ritrovo sul sito dei Church Of Disgust. Ci si può pure far notare dalla nostra competente ed esperta redazione anche in questo modo. Il gruppo texano è attivo dall'inizio del decennio e ci presenta un attivo di due registrazioni, un demo e l'EP (digitale, per quanto ne sappia) discusso qui, entrambi datati 2012.
Alcuni di voi, dopo aver visto la copertina, saranno in grado di dirmi che genere e stile c'impiattano i Church Of Disgust... esatto, Death Metal classico puramente americano. Le influenze più evidenti sono sicuramente quelle degli Autopsy, ma le sfumature mostrano forse anche qualche tocco della zona nuovaiorchese. Ritmi roventi, ma anche più calmi, investono l'uditorio; scale grezze, pesanti e toste ci ricordano la bellezza degli anni in cui era necessario sudare per scoprire del metallo degno d'ascolto. Attenzione, questo non è però un prodotto solo per nostalgici o per utenti che credono d'avere scoperto la "Old Skull" come moda e col fine di un consumo sfrenato e superficiale. Ritengo che Joshua Bokemeyer e Dustin James sappiano il fatto loro e adorino questo tipo di sonorità sempre più popolari, tanto da potere infettare anche i più refrattari al "vecchio stile".
Il mio pezzo preferito, sfortunatamente il più corto, è indubbiamente "Death Fiend" che mi porta a scuotere il capo in maniera a dir poco oscena e, sì, bisogna ammetterlo, virile. Non solo l'inizio lento, quasi Doom, è stupendamente ammaliante, anche il passaggio veloce mette in moto il mio motore dell'headbanging.
Ite, ite. Sul Bandcamp dei texani potrete gustarvi il tutto e giudicare. Che fate ancora su Aristocrazia?
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Information
Band: 冷酷仙境 (Cold Fairyland)
Title: 2005 Live
Year: 2006
Origin: Shanghai, Cina
Label: Self-Released
Contact: coldfairyland.com
Author: LordPist
Tracklist
1.摹仿剧场 (Mirror Theater)
2.死在报纸上的孩子 (The Dead Children In The Newspapers)
3.摩苏尔 (Mula-Shabel War)
4.缭乱 (Puzzle)
5.诱惑之舞 (Dance Of Seduction)
6.洪水 (The Flood)
7.暗杀 (Assassination)
8.巴黎猫 (The Cat From Paris)
9.玻璃刀 (The Glass Cutter)
10.地上的种子 (Seeds Of Ground)
11.手心里绝望的花 (Holding The Flower Of Despair)
12. 等待告别 (Waiting For The Farewell)
RUNNING TIME: 60:48
There are not that many significant rock bands in the Shanghai area, as the scene itself is still expanding and searching for its own particular traits. Perhaps it is the mixture of foreign and Chinese elements that indeed makes Shanghainese rock what it is.
If we had to name a list of relevant bands from this area, 冷酷仙境 (Cold Fairyland is their name for the international audience) would definitely make it. When this album was recorded — at the ARK in Shanghai, 2005 — the quintet was composed of Chinese members (two women and three men) and featured, apart from the usual drums, bass and guitar, also keyboards, cello and especially pipa (琵琶, a traditional string instrument, similar to a lute). This progressive folk rock band formed in 2001 and has always displayed multiple influences, from Western prog rock (quite a rare characteristic for a Chinese band) to traditional music, at times even flirting with metal.
Front-woman Lin Di (lead vocalist, pipa player and at that time also on keyboards) is the centerpiece of this project, while drummer Li Jia provides a diverse and personal rhythm pattern (often playing odd time signatures). The live rendition is top-notch and works as a showcase for the many musical faces of the quintet (currently a sextet), focusing on more "live-friendly" tracks – starting with the powerful opener "模仿剧场". The set-list features songs from their first two albums, with a couple of dips into Lin Di's solo project ("诱惑之舞" and "洪水") and the then preview of "地上的种子", foreshadowing the more acoustic-oriented approach of their next phase. The crescendo of "等待告别" closes the performance; here the rock roots of the band clearly come out.
After that, Cold Fairyland welcomed keyboard player Xi Jin'e - in order to allow Lin Di to only take up lead vocals and pipa — and a new bassist, this time a foreigner (all but a rare feature in Shanghai). Their March the eighth gig at the Yuyintang (a small and somewhat historic venue in the city) confirmed the notion of listening to one of the most interesting Chinese rock acts, although they unfortunately gave away no clues about any upcoming releases (their latest album "地上的种子" came out in 2009). In conclusion, this band is highly recommended to anyone interested in knowing about a different take on progressive rock, to those who love female vocals or just to anyone looking for something new. You can buy their albums on the official website.
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Informazioni
Gruppo: 冷酷仙境 (Cold Fairyland)
Titolo: 2005 Live
Anno: 2006
Provenienza: Shanghai, Cina
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: coldfairyland.com
Autore: LordPist
Tracklist
1.摹仿剧场 (Mirror Theater)
2.死在报纸上的孩子 (The Dead Children In The Newspapers)
3.摩苏尔 (Mula-Shabel War)
4.缭乱 (Puzzle)
5.诱惑之舞 (Dance Of Seduction)
6.洪水 (The Flood)
7.暗杀 (Assassination)
8.巴黎猫 (The Cat From Paris)
9.玻璃刀 (The Glass Cutter)
10.地上的种子 (Seeds Of Ground)
11.手心里绝望的花 (Holding The Flower Of Despair)
12. 等待告别 (Waiting For The Farewell)
DURATA: 60:48

Non sono molti i gruppi rock originari dell'area di Shanghai che si possono definire "storici", la scena stessa è ancora in fase d'espansione e alla ricerca di suoni caratteristici. Probabilmente, è proprio la mescolanza di elementi stranieri e cinesi a delineare la peculiarità del rock shanghainese rispetto a quello di altre parti del paese.
In un'ipotetica lista di band di rilievo della zona, i 冷酷仙境 (Cold Fairyland è il nome che usano con l'estero) sarebbero decisamente da includere. All'epoca della registrazione di questo disco, nel 2005 allo ARK di Shanghai, il quintetto era composto da soli membri cinesi (due donne e tre uomini) e includeva, oltre ai canonici batteria, basso e chitarra, anche tastiera, violoncello e, soprattutto, pipa (琵琶, strumento tradizionale a corda, simile a un liuto). Questa band progressive folk rock si formò nel 2001 e ha da sempre incorporato le più varie influenze, dal prog rock occidentale (cosa molto rara per un gruppo cinese) alla musica tradizionale, a volte anche sconfinando nel metal.
La figura centrale è a mio avviso quella della voce solista/suonatrice di pipa Lin Di (all'epoca della registrazione anche tastierista), mentre il batterista Li Jia detta i tempi (spesso e volentieri anche dispari) con precisione e personalità. La resa dal vivo dei brani è assolutamente di livello ed è un ottimo biglietto da visita della proposta, mostrando le varie sonorità del quintetto (ora sestetto), con un accento sui pezzi più movimentati e "da concerto" a partire dalla potente apertura con "模仿剧场". La scaletta pesca infatti dai primi due album del complesso, con qualche incursione nel progetto solista di Lin Di ("诱惑之舞" e "洪水") e l'allora anteprima del brano "地上的种子", che preludeva alla natura più acustica e "rilassata" della loro fase successiva. La chiusura, in crescendo, è invece affidata a "等待告别", in cui viene fuori il lato più dichiaratamente rock della band.
Da allora, i Cold Fairyland hanno accolto la tastierista Xi Jin'e, in modo da permettere a Lin Di di occuparsi esclusivamente di voce e pipa, oltre che un nuovo bassista, stavolta straniero (cosa tutt'altro che rara a Shanghai). La loro data dell'otto marzo allo Yuyintang di Shanghai (piccolo locale, a suo modo storico, della città) non ha fatto altro che confermare la sensazione di trovarsi davanti a una delle realtà più interessanti del rock cinese, anche se purtroppo non ci sono stati indizi riguardo eventuali nuove uscite (l'ultimo album, "地上的种子", è infatti datato 2009).
In definitiva, band consigliatissima a chiunque fosse interessato a conoscere un approccio "diverso" al rock progressivo, ai fan delle voci femminili o a chi cerca semplicemente qualcosa di nuovo. È possibile acquistare i dischi dal loro sito ufficiale.
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Informazioni
Gruppo: Chains & Visions
Titolo: Night And Rage
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/Chains-Visions/261803417191687
Autore: Mourning
Tracklist
1. 1967
2. Go Away
3. Poisoned
4. Electric Blue Lights
5. Through The Devil
6. Jack The Fat
7. Instability
8. Tribute
9. Unchained By
10. Flower
11. Loneliness
12. War
13. Behind The Green...
DURATA: 58:39
Frizzante, energica e rock in tutte le salse, quando dopo un ascolto pensi questo di una band, vuol dire che qualcosa e più ti è rimasto. Bene, i nostrani Chains & Visions sono riusciti nell'intento, peccato che qualche ingenuità li penalizzi ancora.
La formazione sembra proprio divertirsi e riversare ogni granello del proprio entusiasmo nel debutto "Night And Rage", il disco si rivela essere un frullato emotivo e sonoro particolarmente eterogeneo, nel quale l'hard rock anni Settanta in salsa blues e funky incrocia correnti alternative, grunge e derive hard'n'heavy, dando vita a una produzione affascinante per esposizione e il più delle volte dotata anche di un buon piglio radiofonico; penso soprattutto a capitoli più orecchiabili grazie a ritornelli che ti si piantano in testa come "Jack The Fat" e "Lonelines", ma non per questo meno dotati strumentalmente o svenduti fiancheggiando scelte "pop". Non è proprio quello il difetto che si può additare all'operato della band, le canzoni al contrario sono di ottima compagnia e ricche di spunti notevoli sin dalle prime note di "1967", che dimostra una passione evidente per i Led Zeppelin e quanti altri nomi noti vi verranno in mente!
Ci si può fiondare su "Tribute" dotata di un effetto di chiaroscuro, divisa fra una natura placida molto floydiana e un'altra parte grintosamente heavy; ascoltare le vibrazioni scatenate dai lontani echi funky che si divincolano in "Go Away"; cullarsi con il vissuto perlopiù acustico di "Electric Blue Lights" e la delicatezza sprigionata da "Behind The Green", contrastate dalla dirompenza di "Instability" e dalla dura presa di posizione di una "War" che fa emergere le sfaccettature più scure del suono.
Il complesso regge veramente bene per l'intera durata e le prestazioni dei singoli non fanno che dare riprova dell'impegno e dello studio che ha condotto i Chains & Visions a dare alla luce un primp album convincente, con l'asse ritmico formato da Simone Paleari al basso e Andrea D'Angeli alla batteria abile nel fornire dinamismo e creare spazi adeguati alle fughe solistiche di un ispirato Gabriele Ghezzi. Il chitarrista tra le altre cose in più di una circostanza — sarà per il piacevolissimo uso che fa del "wah wah" o per le analogie in chiave ritmica nei frangenti più "duri" — sembra avere affinità stilistiche con la sei corde degli statunitensi Disturbed, parlo di Dan Donegan, magari non un genio, ma spesso anche sin troppo sottovalutato dai più, mentre per il sottoscritto ha sempre offerto prestazioni di buon valore. Al suo fianco potrei citare inoltre tanti chitarristi ultranoti e bravissimi come fonte d'ispirazione: Jimmy Page, Jerry Cantrell e Nuno Bettencourt.
Quali sono allora i limiti insiti della proposta? Pochi, sono davvero pochi e riconducibili in primis alla cantante Michela Di Mauro, croce e delizia allo stesso tempo. Non si tratta tanto della gestione in sé, difatti l'artista dimostra di essere brava nel dosarsi ed entrare a patti con il pezzo che interpreta vivendolo al meglio, quanto della pronuncia che non è il massimo e lo si sente chiaramente, pur trattandosi di un aspetto tranquillamente migliorabile nel tempo.
Sarebbe invece da rivedere l'eccessiva mole di materiale proposta. Se da un lato infatti abbiamo la possibilità di apprezzare le varie facce della realtà, dall'altro un'ora di musica può divenire poco agevole da gestire, soprattutto per chi non è abituato a convivere con ascolti così prolungati. Il rischio è quello di far divenire "Night And Rage" soltanto un bel sottofondo e personalmente lo reputerei un approccio svalutante in relazione alle qualità riposte nel disco.
La partenze è di quelle che lasciano il segno, vediamo in futuro come si muoveranno i Chains & Visions, continuassero su questa strada, partendo da un livello compositivo inalterato già dal secondo lavoro, si potrebbe discutere di una realtà che potenzialmente sarebbe in possesso di tutte le carte in regola per farsi largo fra la massa. È questo che auguro loro, consigliandovi ovviamente di dare un ascolto al disco.
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Informazioni
Gruppo: Church Of Disgust
Titolo: Church Of Disgust
Anno: 2012
Provenienza: San Marcos, Texas, USA
Etichetta: 23Tapes
Contatti: facebook.com/churchofdisgust
Autore: Bosj
Tracklist
1. March The Horde
2. Lead Coffin
3. Death Fiend
DURATA: 09:28
Arriva un pacchetto a casa, di dimensioni più piccole del solito. All'interno un paio di adesivi, una musicassetta e un post-it: "Scusa il ritardo! È grezzo, registrato nella nostra sala prove. Presto uscirà un'altra cassetta per la Filthy Cave dal titolo "Invocation Of Putrid Worship". Ciao, Dustin".
La fascetta è un cartoncino, fotocopia in b/n di un originale scritto a mano. Sul lato interno: "I Church Of Disgust furono fondati da Tim e Dustin nel 2010, con l'aggiunta di Nicole e Joshau, dopo numerose jam-session in parcheggi e magazzini e isolamento nei boschi, vennero create queste canzoni. NON ABBIAMO BISOGNO DI VOI O DELLE VOSTRE MODE, DEATH METAL O MUORI, OCCUPI DECISAMENTE TROPPO SPAZIO".
Sto un po' barando, non usando parole mie per la recensione, ma le frasi di Dustin James (chitarra e voce) erano troppo precise, adatte, perfette per non essere utilizzate. Non fosse che il post-it di cui sopra porta impresso il logo di Gears Of War 2 avrei creduto di trovarmi nel 1990, quando il tape-trading viveva il suo momento di maggior gloria nel "giro" del death metal. E invece no, il demo è dello scorso anno, anche se problemi logistici l'hanno portato nelle mie mani solo poco tempo fa (frattanto Nicole e Tim hanno lasciato la band nelle mani dei soli Dustin e Joshau, quest'ultimo qui alle prese con basso e batteria), dura nove minuti e poco più, è grezzo da far schifo e potrebbe essere studiato nei libri di scuola, capitolo "Death Metal: spiegare cosa significa per davvero agli sfigati con frangetta, dilatatori ai lobi e capelli stirati" (edizioni Morrisound, Tampa, 1991). Il suono è un unico pastone su cui Dustin vomita bestemmie incomprensibili, la chitarra è quanto di più marcio e ruvido possiate concepire, la sezione ritmica cerca di fare il più gran casino possibile alle velocità più alte consentite, con qualche sporadico mid-tempo. E basta. Non c'è davvero altro da dire, niente da aggiungere, citare anche solo una band sarebbe superfluo, perché la Lebbra che ha portato i Malati a essere Benedetti dopo il Deicidio è solo la punta di un iceberg, quello del death metal nordamericano della prima ora, che è più freddo e compatto che mai. Se avete bisogno di ulteriori spiegazioni, evidentemente questa non è roba che fa per voi, e me ne dispiaccio.
Di questa produzione esistono solo cinquanta copie, io la mia me la tengo stretta, ma "Invocation Of Putrid Worship" al momento in cui scrivo dovrebbe essere uscito da un pezzo e contenere, tra gli altri, i tre brani qui presenti. Andate a recuperare il mangianastri dalla naftalina e stappatevi una birra per festeggiare, ché sono tornati i primi '90.
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