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lunedì 16 settembre 2013

RINGBEARER - The Dark Side Of The Mountain


Informazioni
Gruppo: Ringbearer
Titolo: The Dark Side Of The Mountain
Anno: 2013
Provenienza: Vancouver, Canada
Etichetta: Acephale Winter Productions
Contatti: facebook.com/Ringbearermusic
Autore: Bosj

Tracklist
1. The Second Age
2. The Secret Stairs
3. Nine Riders
4. Kings Of Old
5. The Dead Marshes
6. Nightfall In Mordor
7. Horse Lords Of Rohan
8. Gollum's Song

DURATA: 51:42

Nel giro di poche settimane ho fatto conoscenza con il progetto Noldor e con il progetto Ringbearer in modo del tutto slegato. Ascoltando l'uno e l'altro, tuttavia, non ho potuto fare a meno di notare diversi punti di contatto, tanto che non mi sono affatto stupito quando ho scoperto che i due autori si sono resi protagonisti di uno split, ma sto divagando.

Ringbearer è nientemeno che un progetto dark ambient ispirato agli scritti di Tolkien (nel caso il nome vi avesse lasciato dei dubbi), ed è la creatura del solo Vultyrous, di stanza a Vancouver, Canada, al secolo Jaron Good, noto per essere la mente (sola ed unica, di nuovo) dietro al più datato progetto Funeral Fornication. One-man band nata all'incirca l'anno scorso, non ho dettagli precisi riguardo la sua discografia: di certo conosco solamente il suddetto split con Noldor (cd-r limitato a trentatré copie) e questa tape, di cui esistono cinquanta esemplari.

Se i suoni di Funeral Fornication si sono contraddistinti in quest'ultimo lustro per fare particolarmente schifo (sottoproduzione, mala equalizzazione, registrazione in cantina e tutto il resto del repertorio), già un primo ascolto di "The Dark Side Of The Mountain" sorprende gradevolmente: i suoni sono caldi, lavorati e variegati, sintetizzatori e campionature non sono mai "di plastica" e in generale l'atmosfera creata è godibile ed accattivante. Pur non trovandoci di fronte a un capolavoro, questa cassetta racchiude una sobria interpretazione in chiave dark ambient del contesto tolkeniano, e già questo non è affatto scontato, anzi, dovrebbe far drizzare le antenne a tutti i possibili interessati. Sul lato A, il più variegato dei due, è poi registrato il brano migliore del lotto, "Nine Riders": oltre a essere l'unico pezzo con espliciti rimandi black metal, è un ottimo esempio della naturalezza con cui Vultyrous sia a suo agio mischiando diversi registri all'interno del proprio operato, senza snaturarne le caratteristiche principali (l'essenza di "musica d'ambiente") o ancor peggio rendere l'album un collage di suoni e linguaggi musicali del tutto slegati tra loro. Un'introduzione leggera e ariosa porta a un repentino cambio di marcia, all'unica traccia di voce umana all'interno del lotto, a una drum machine che scandisce il tempo in lontananza.

Uno standard compositivo decisamente sopra la media, una prova versatile e accessibile, confezionata con cura sia nei suoni che nel packaging (apprezzabile la grafica, così come la cassettina blu in cui la musica è contenuta); peccato solo in giro ce ne siano solo cinquanta copie.

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lunedì 9 settembre 2013

ROCKRACE - Valkirja

Informazioni
Gruppo: Rockrace
Titolo: Valkirja
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto / Necrotorture Agency
Contatti: facebook.com/rockraceband
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Beginning
2. Best Love
3. I Hate The World
4. To Love And Hate
5. Too Bad
6. Hole In My Soul
7. Valkirja
8. Uprising
9. Walk On By Myself
10. Wide Hips 69

DURATA: 42:52

I Rockrace sono una realtà nostrana, frizzante e preparata, composta da Rudy Baiocchi (voce), Antonio Gambacorta (chitarra), Tommaso Paolone (basso) e Glauco Di Sabatino (batteria). I teramani sono profondamente innamorati del suono hard rock degli anni Settanta e lo dimostrano distanziandosi volutamente da scelte di produzione che si possano anche solo accostare a quelle tanto in voga odiernamente. Il complesso strumentale è infatti coeso e la chitarra caldamente distorta di Gambacorta ne guida le sorti, sia in chiave ritmica che prendendo possesso della scena con esecuzioni solistiche espressive e spontanee, come quella che va ad adornare la melodica e accattivante "To Love And Hate".

"Valkirja" è un disco in cui regnano la passione e la devozione nei confronti di un passato storico ricollegabile a band quali Whitesnake, Bad Company, Led Zeppelin, Def Leppard, Aerosmith e la lista si potrebbe allungare a dismisura. Certo, potreste interpretare tale modo di omaggiare come una mancanza di personalità che punta su direttive note per non rischiare più di quel che serve a portare a casa una comoda sufficienza; la scaletta invece ci dimostra che per fortuna si è andati un po' oltre la ricerca di quel risultato basilare. I momenti migliori dell'album sono contenuti nella sanguigna "Best Love", nel romantico e accattivante "rockeggiare" disseminato nel D.N.A. di "I Hate The World" e "Too Bad", nel gradevole infierire emotivo della ballata "Hole In My Soul" e nel vigore racchiuso nella traccia che da il titolo all'album. Bastano questi brani per fare in modo che la compagnia dei Rockrace divenga lieta e degna d'ascolto.

Ci sono tuttavia un paio di situazioni in cui qualche piccola pecca, più a livello atmosferico che compositivo, viene a galla: ad esempio, non convince del tutto l'impegno vocale un po' troppo melodico di Rudy in "The Beginning". Il cantante comunque si riscatta alla grande in "I Hate The World" e in "Hole In My Soul", ma quest'ultima traccia, come anche "Walk On By Myself", manca di quell'emozione dominante che l'avrebbe posta in maggior risalto. Sarebbero necessari un paio di piccoli accorgimenti e in certi casi un approccio più sfrontato per fare la differenza, però in futuro si potranno attuare tranquillamente. I Rockrace sono in possesso del potenziale per un eventuale salto di qualità e "Valkirja", seppur con qualche difetto, ne è la prova. Se volete quindi del buon rock ad accompagnarvi durante la giornata, adesso avrete a disposizione un nome in più al quale poter affidare il vostro udito.

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lunedì 22 luglio 2013

RAEDON KONG - Raedon Kong

Informazioni
Gruppo: Raedon Kong
Titolo: Raedong Kong
Anno: 2013
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/RAEDON-KONG/130017550342150
Autore: Mourning

Tracklist
1. Heavy Lite
2. End Of Days
3. Forgotten Son
4. Ash Is The Omen

DURATA: 30:39

L'underground pullula di band che possono attrarre, affascinare e permettere all'ascoltatore di affrontare dei viaggi particolari e indefiniti: non hanno nessun bisogno di usare chissà quale artificio, ma la spiccata capacità di elaborare le influenze che ne hanno segnato il nascere diviene il mattone fondamentale per l'esplorazione e la crescita. Di certo gli statunitensi Raedon Kong fanno parte di questa schiera d'indomiti ricognitori sonori.

Il duo composto da Stephen Sheppert (chitarra, sintetizzatori e voce) e David Leonard (batteria e voce) da vita a una serie di scelte musicali che si contorcono ed espandono, avvalendosi di una gamma d'influenze a dir poco mastodontica: nel loro sound sono infatti riscontrabili particelle psichedeliche - sci-fi del periodo legato agli Anni Sessanta e Settanta che convivono con le più recenti ondate progressive / post. A queste due già di per sé grandi muraglie di suono tocca aggiungere delle levigature di stampo death-rock: in pratica, pensate a un enorme minestrone nel quale potreste imbattervi in pezzi di Voivod, Mastodon, King Crimson, Neurosis, Black Sabbath, Mahavishnu Orchestra, Killing Joke, Zeni Geva e chi più ne ha ne metta. C'è da confondersi o inebriarsi? Capirete sin da subito quale delle due sensazioni prenderà in voi il sopravvento una volta che avrete inserito nel lettore l'ep.

Il lavoro contiene quattro pezzi che cambiano continuamente: si passa da schitarrate energiche e stridenti a partiture acustiche seducenti e malinconiche, attraverso atmosfere vaneggianti e altre totalmente rilassanti nelle quali abbandonarsi. I brani vivono e si alimentano di contrasti e la band sa come crearli: la dimostrazione di ciò ci viene fornita dalla compulsiva, umoralmente alterata e nevrotica "Heavy Lite" e dal conclusivo inebriante girovagare acido di "Ash Is The Omen", episodi che raffigurano a pieno titolo le due facce della medaglia dei Raedon Kong.

La musica contenuta in "Raedon Kong" è allucinatoria, elimina i freni inibitori, assecondando la mente nell'intraprendere un vero e proprio "trip" fatto di progressioni, melodie e sentieri siderali nel quale galleggiare. Se aveste quindi la necessità di disperdere il vostro essere nello spazio che ci circonda, gli americani vi offrono un modo salutare per farlo. A mio avviso l'occasione è di quelle da non farsi sfuggire.

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lunedì 15 luglio 2013

REPLICA - The Bright Side Of Death


Informazioni
Gruppo: Replica
Titolo: The Bright Side Of Death
Anno: 2013
Provenienza: Austria
Etichetta: Noisehead Records
Contatti: facebook.com/soundofreplica
Autore: Mourning

Tracklist
1. Fate Of Gods
2. Living In Bondage
3. Nothing As Emptiness
4. Death By Command
5. True Terror
6. One Mile Down
7. Throatcut With A Butter Knife
8. Reason To Resist
9. The Curse Of Evil
10. The Funeral

DURATA: 36:34

Il nome Replica non mi diceva davvero nulla, almeno sino a quando non ho avuto modo di ascoltare "The Bright Side Of Death", il terzo capitolo discografico di questa realtà austriaca. Dalla biografia vengo a conoscenza del fatto che il quintetto in passato suonava un thrash ruvido e d'assalto, ma col tempo ha virato in zona metalcore, gli album pubblicati rifletterebbero quindi un'evoluzione avvenuta all'interno di un territorio musicale ormai saturo. Questa terza prova perciò dovrebbe garantire loro, grazie alla maturità acquisita e a una più che discreta composizione, una qualità tale da mantenerli al di fuori delle sabbie mobili della sufficienza risicata, valutazione che con assidua frequenza si abbatte come una mannaia sulle uscite del genere.

Il disco riflette la vitalità di un panorama che si è adagiato da tempo e che continua a produrre musica alle volte trita e ritrita, la fortuna di questi musicisti sta nell'evitare gli "escamotage" pop e le inflessioni al limite con la colonna sonora da cartone animato che hanno reso questo mondo più simile a un circo che a una scena musicale. L'assenza di coretti stupidi e soluzioni spudoratamente melodiche permette di ascoltare con piacere i richiami (seppur lontani) al sound Slayer in "Fate Of Gods" e gli apprezzamenti (non così celati) rivolti ai Destruction del periodo "Eternal Devastation", con gli echi di "Curse The Gods" che si ripercuotono gradevolmente in più tracce, fra le quali spicca "Reason To Resist", mentre soluzioni care alla Svezia di In Flames e Dark Tranquillity prendono consistenza in "Death By Command".

È palese che i vari cliché dello stile vengano proposti e rispettati, proprio le melodie infatti risultano essere una presenza costante, ma non gambizzante e l'aspetto vocale a cura del cantante Alexander Krumenacker è ciò a cui siamo ormai abituati da tempo, con l'alternarsi di growl profondi e duri per impatto con lo scream acido.

"The Bright Side Of Death" è un buon disco, svolge il suo compito senza stentare, tuttavia nel suo rappresentare la forma più convincente fornita da questo panorama non è comunque capace di liberarsi dagli schemi incatenanti che lo recintano e quindi, pur superando pienamente la sufficienza, lo consiglio esclusivamente a coloro che con dedizione perseverano nell'ascolto di tale tipologia di album. I restanti potranno trovare soddisfazione in altro luogo.

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lunedì 1 luglio 2013

RAVEN BLACK NIGHT - Barbarian Winter


Informazioni
Gruppo: Raven Black Night
Titolo: Barbarian Winter
Anno: 2013
Provenienza: Australia
Etichetta: Metal Blade Records
Contatti: facebook.com/ravenblacknightofficial
Autore: Mourning

Tracklist
1. Fire In Your Eyes
2. Morbid Gladiator
3. Mystery Woman
4. Fallen Angel
5. Black Queen
6. If You Choose The Dark
7. Warriors Call
8. Barbarian Winter
9. Changes [cover Black Sabbath]
10. Lips Of Desire
11. Nocturnal Birth
12. Angel with A Broken Wing

DURATA: 59:08

La formazione australiana dei Raven Black Night era apparsa sul nostro sito nel 2011, anno in cui il sottoscritto scrisse di "Choose The Dark". L'album, primo e unico rilasciato dal 2005 a questa parte, ci aveva presentato una band fedelissima al suono classico epico, ora — dopo tanta attesa e la firma del contratto con la prestigiosa Metal Blade Records — è finalmente uscito il loro secondo capitolo "Barbarian Winter".

Sono trascorsi ben otto anni, sarà cambiato qualcosa? Assolutamente no, sembra proprio che la natura retrò della band sia incorruttibile e così la volontà rassicurante e alquanto efficace di mantenere vivo il metal primordiale, in questo specifico caso quell'heavy scuro e leggendario che abbraccia nomi quali Black Sabbath, Manilla Road, Cirith Ungol e a tratti anche i Candlemass. Diciamocela tutta: la vena doom insita in questi Raven Black Night ha bisogno di un po' di ascolti per far presa sull'orecchio, poi però dimostra di possedere il suo perché.

Premuto il tasto "play", l'impostazione verace e priva di fronzoli degli australiani raccoglie sin da subito riscontri positivi, sono "Morbid Gladiator" e "If You Choose The Dark" (episodi contenuti nel precedente sforzo discografico) a far segnare i picchi in positivo, seguiti a ruota da "Mystery Woman" nel quale è possibile apprezzare le buone doti delle due asce (Jim "The White Night" Petkoff, anche alla voce, e Rino "The Raven" Amorino), "Fallen Angel" che insieme alla già citata "If You Choose The Dark" presenta escursioni melodiche di maggior interesse e "Nocturnal Birth" (quarta delle cinque tracce nominate a essere in "comproprietà" con "Choose The Dark") dai chiari rimandi settantiani di stampo Black Sabbath. Lo scrissi e lo ripeto: essa si potrebbe intendere come una delle tante figlie generate da quella meraviglia che ha per titolo "Planet Caravan". Il tributo a Tony Iommi e compagnia bella, oltre a essere celebrato in più occasioni all'interno dei vari brani, raggiunge il suo apice con l'omaggio reso a "Changes", storico pezzo racchiuso in "Vol. 4", la prestazione è di quelle che dividono, ascoltandola con alcuni amici i riscontri sono stati controversi. La stessa sensazione di incertezza è scaturita durante "Barbarian Winter", imbastardita e resa più malevola dall'uso di linee vocali in growl, soluzione peraltro usata in passato in "Gothic Black". Il risultato — come per il capitolo precedente — finisce per spaccare a metà la platea, sintomo di una non totale riuscita. La sola "Black Queen" fa di peggio, essendo il riempitivo del disco.

"Barbarian Winter" è un buon disco, forse la produzione avrebbe potuto premiare di più l'operato delle chitarre, ma in fin dei conti il salto in avanti rispetto ai suoni ottenuti in passato si percepisce e si pone a loro favore. I Raven Black Night sono un "prendere o lasciare", sono questo, non mettono una virgola in meno né un punto in più, sono dei "defender" e come tali professano la fede in cui credono in maniera rispettosa, rivolgendosi alle orecchie dei loro simili. Se siete fra questi, una chance all'album dovreste darla.

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lunedì 24 giugno 2013

ROTORVATOR - I Vivi E I Morti


Gruppo: Rotorvator
Titolo: I Vivi E I Morti
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Crucial Blast
Contatti: rotorvatorblack.blogspot.it
Autore: 7.5-M

Tracklist
1. Ad Sanctos
2. Domenica
3. L'Eternità
4. I Morti
5. In Limine
6. Facing West
7. Humming Bones

DURATA: 34:04

Si aspettava da molto il primo disco completo dei Rotorvator, quello dove ci sia il tempo necessario per accorgersi di tutto ciò che fanno, suonano, incarnano, nel bene e nel male. Questo momento è arrivato e tratta de "I Vivi E I Morti". Nelle parole c'è sempre un senso, un riferimento a qualcosa di reale. I vivi ed i morti sono un'opposizione che comprende tutto e tutti: i passati, i presenti, i futuri. I Rotorvator vogliono comprendersi tutti in questo titolo, riassumersi sia come passati, presenti vivi e futuri morti.

Nonostante l'apparenza sperimentale il risultato creativo dei Rotorvator conserva ancora le caratteristiche fondamentali d'un lavoro classico. Classico perché composto d'ogni elemento che classico ci pare: una composizione mai slegata dal black, dall'elettronica, dal down-tuning, dalle tastiere, dagli arpeggi, dallo scream, dai filtri e dagli organi. Ma la questione veramente interessante è un'altra e si potrebbe sentire esplicitamente in un punto preciso di questo lavoro, dopo circa due minuti e mezzo di una "Domenica": la questione è d'essere disposti a gettare tutti questi elementi classici in pasto ad un corpo uniforme che può fare a meno di tutti i suoi arti, parti costitutive ed appendici. Rigettare tutto se stesso. Nella sostanza tutto quello a cui i Rotorvator si riferiscono, quello a cui si rifanno, il luogo della loro origine, ci sfuggono. Ci sfugge tutto dei Rotorvator. La cosa che non ci può sfuggire e che non dobbiamo farci sfuggire: è unica sia la loro libertà nel trattare la loro tradizione, sia il loro legame indissolubile con questa stessa tradizione. Non possiamo leggere i Rotorvator senza la loro origine e dobbiamo leggerli indipendentemente da essa.

Sono degli outsider, dei marginali. Sono quelli che stanno nelle periferie, quelli che trattano tutto con le loro mani, senza farsi dire come trattare la realtà che gli arriva dal centro. Il loro centro di irradiazione sono loro stessi. Si scompongono, come dei veri marginali, si ricompongono nell'affrontare, senza arti né parti, la realtà che ingoiano solo con i denti ben aperti ad afferrare tutto. I Rotorvator hanno dei denti marci e saldissimi, vivi e morti insieme!

Dalle periferie scaturiscono le trasformazioni vere, come le ingenuità più sincere. I Rotorvator sanno che tutto questo è parte del loro stile. Ed allora possiamo dire senza orrore, con l'estremo piacere della sorpresa: "Splendido POP quel "Facing West"! Che bello quell'affacciarsi all'occidente!". Tutto il rock, il pop anni '90, l'elettronica Kraftwerk-Ciber-Daft-Punk, l'heavy metal, il trip-hop, l'et cetera d'un occidente musicale d'un ventesimo e unesimo secolo. Tutto questo ingurgitato dalle chitarre, dai lap-top, dalle voci distorte, da quella sincerità senza fronzoli, ruvida, che dice le cose come stanno per la bocca che le dice.

Ne "I Vivi E I Morti" i Rotorvator arrivano dove devono arrivare: riempire uno spazio che nessuno, tranne loro, sarebbe stato in grado di riempire in un mondo musicale limitato. Lo spazio che sta fuori dal centro dell'attenzione, dell'approvazione, della onni-comprensione di tutto quello che si uniforma ad un modello. Loro vengono dall'esterno, dai margini, conoscono tutti i vizi, le virtù dell'occidente, dei modelli, dei centri e ne fanno benissimo a meno, ma con più forza, perché vi si oppongono: divorandoli! Storpiandoli con la loro stessa lingua!

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lunedì 10 giugno 2013

REGARDE LES HOMMES TOMBER - Regarde Les Hommes Tomber


Informazioni
Gruppo: Regarde Les Hommes Tomber
Titolo: Regarde Les Hommes Tomber
Anno: 2013
Provenienza: Francia
Etichetta: Les Acteurs De L'Ombre Productions
Contatti: facebook.com/rlhtband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Prelude
2. Wanderer Of Eternity
3. Ov Flames, Flesh And Sins
4. Sweet Thoughts And Visions
5. Regarde Les Hommes Tomber
6. A Thousand Years Of Servitude
7. The Fall

DURATA: 39:00

La Francia continua a gettare nella mischia band nuove di pacca e dalle indubbie qualità, e la Les Acteurs De L'Ombre Productions è di sicuro fra le etichette che meglio si sta muovendo in ambito estremo, soprattutto se non si è alla ricerca di prove dal sound univocamente "classico". Fra le ultime formazioni entrate a far parte del loro roster vi è anche il quartetto proveniente da Nantes che s'identifica col nome di Regarde Les Homme Tomber, del quale hanno rilasciato il debutto omonimo.

Il gruppo è composto da J.J.S e A.M alle sei corde, A.B al basso e R.R. dietro le pelli e U.W. al microfono. I ragazzi s'infilano senza mezzi termini in quella folta selva di compagini che imbastardiscono la propria natura dando vita a ibridi estremi che attingono dal panorama sludge / doom / core e da quello black, infatti nella loro prova è possibile riconoscere tratti riconducibili a colleghi quali Cowards, Celeste, Deathspell Omega (per rimanere in territorio transalpino), ma anche qualcosa dei tedeschi Secrets Of The Moon.

Se è musica gelida e nordica che andate cercando, allora siete finiti proprio fuori zona: le atmosfere e il modo di affrontare e di convivere con la parte emotiva incattivita e rabbiosa nei confronti della figura demiurgica vengono sviscerati attraverso lame taglienti e mattonate grevi, dissonanze che s'incollano alle pareti del cervello e ampie fughe ambientali, facendo sì che l'ira diventi furia nelle sezioni in cui la voce vomita le proprie sentenze e le fugaci accelerazioni alterino lo sprofondare cadenzato, permettendo a una razione aggiuntiva di astio di filtrare nell'etere. Il disco è una mazzata divisa in sette capitoli, nel quale la visione cromatica scura non concede spazio a spiragli o bagliori che possano indicare la presenza di "speranza", è un avanzata motivata e tormentata che induce alla ribellione, alla volontà di trovare la propria strada superando i voleri dogmatici di figure "imposte" storicamente a interpretare l'odioso ruolo di "via" prima da seguire, figure che vengono combattute e detronizzate:

The land of God is the place
Where we belong
We're not afraid
Of the hands of Lord anymore...
For He is the weak
His monstrous reign
Must take end now
We must bring him
Down to the earth
Where He belongs
For Salvation
For He is guilty
For we are men
For He is the weak
.

Il cadere — da tanti temuto — è figlio della libertà e del libero arbitrio e i Regarde Les Homme non hanno fatto altro che rompere le catene, dando un senso al detto "meglio essere Re all'inferno che servi in Paradiso".

Le canzoni acquisiscono ulteriore bellezza soprattutto nei frangenti in cui assumono ritmicamente una forma tribale-rituale, aspetto che potrete riscontrare ad esempio in "Sweet Thoughs And Visions" e nella conclusiva "The Fall" (pezzo dal quale ho estratto lo stralcio di testo riportato poco più su), o un'ampia esposizione atmosferica, caratteristica che fortunatamente è ricollegabile a più episodi.

Certamente sia la tematica che le emozioni incanalate in "Regarde Les Homme Tomber" sono state già tirate in ballo miliardi di volte, la copertina curata da Førtifem è una vera e propria opera d'arte, pur se "palesemente" ispirata allo stile di Gustave Dorè, tuttavia questi non sono fattori che attirano a sè pensieri negativi in quanto il concept, la raffigurazione che gli è stata fornita e l'andamento evolutivo della musica si alimentano e coesistono in maniera decisamente interessante.

I Regarde Les Homme Tomber sono pronti a sgomitare e dibattersi per farsi strada fra i grandi, la band ha esordito positivamente e coloro che amano questo tipo d'uscite dovrebbero quantomeno concedere all'album un po' del proprio tempo per approfondirne la conoscenza, quindi teneteli d'occhio e perché no, comprate il loro disco.

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lunedì 13 maggio 2013

RAVENTALE - Transcendence


Informazioni
Gruppo: Raventale
Titolo: Transcendence
Anno: 2012
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Solitude Productions
Contatti: facebook.com/pages/Raventale/116322181797644
Autore: Mourning

Tracklist
1. Shine
2. Room Winter
3. Without Movement
4. Transcendence

DURATA: 45:21

L'ucraino Astaroth Merc torna alla carica, con Aristocrazia abbiamo iniziato a seguirne le uscite sin dal primo capitolo discografico "Mortal Aspirations", nel quale l'artista utilizzava l'idioma inglese, poi sono arrivate successivamente le conferme intitolate "After" e "Bringer Of Heartsore". Adesso è giunto il turno di "Transcendence", il sesto album che sancisce definitivamente la bontà di una proposta che ha assunto una forma sempre più delineata in favore di un Black/Doom che non si nega l'apertura ad atmosfere di stampo post-metal.

Scrivere dei suoi dischi è divenuto col tempo un vero e proprio piacere, non vi sono più incertezze né momenti di stanca nel sound, il riffato è costantemente in bilico fra l'emanazione di sentori gelidi e affilati come lastre di ghiaccio e altri armoniosi, delicati e rivolti a mantenere saldamente vivo l'apporto del colore grigio all'interno della composizione. Una composizione che nel corso della sua lieve ma costante evoluzione ha aumentato la consistenza delle tonalità affini al nero e possiede sia la capacità d'incantare — divenendo in alcuni attimi addirittura sognante — sia quella forza e quella presa che vengono richieste per dare un'impronta marcata black. I synth inoltre ammantano i pezzi, impreziosendoli ed evitando però di ergersi eccessivamente. La prestazione vocale, incastonata abilmente tra le scorribande in blast-beat e i momenti armonici di maggior intensità, vibra utilizzando linee sia in growl che screaming, infiammando il percorso emotivo delle tracce. Il libretto riporta come titolare della stessa Vald, mentre per le sezioni secondarie fa il nome di Anton Belov.

Ciò che mi preme sottolineare è la capacità con la quale il progetto Raventale ha trovato di anno in anno il modo di affinare le proprie doti. Pur avendo a che fare con composizioni sempre al di sopra dei dieci minuti di durata, non si percepiscono cali di tensione, non si riscontrano quelle lacune riconducibili a un eccessivo affidamento a cliché ripetuti, rischiando di cadere nell'anonimato. Ogni singola decisione presa trova infatti una collocazione ben precisa all'interno dell'organigramma esecutivo di Astaroth Merc, che riesce a mantenere integra quella sorta d'istintiva passionalità che forniva al genere negli anni Novanta l'impulso emotivo portante.

"Transcendence" è una perla, il traguardo che in tanti speravamo venisse tagliato dalla formazione ucraina e che per nostra fortuna è entrato a far parte di una discografia che, continuando in questa direzione, potrebbe in futuro proporre all'orecchio ulteriori dischi di altissima qualità. Tirando le somme: coloro che avessero avuto già in passato un vivo interesse nei confronti dei Raventale reputo che debbano inserire quest'opera nella lista degli acquisti immancabili; i restanti, in particolare quegli ascoltatori che si sono imbattuti casualmente nella loro musica, provino ad addentrarsi nel mondo dell'ucraino, ripercorrendone le tappe, avranno così modo di apprezzarne la crescita e potranno goderne nella sua integrità.

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lunedì 29 aprile 2013

ROTTING CHRIST - Κατά τον δαίμονα εαυτού


Informazioni
Gruppo: Rotting Christ
Titolo: Κατά τον δαίμονα εαυτού
Anno: 2013
Provenienza: Grecia
Etichetta: Season Of Mist
Contatti: Myspace - Facebook - Sito
Autore: Akh.

Tracklist:
1. In Yumen - Xibalba
2. P'unchaw Kachun - Tuta Kachun
3. Grandis Spiritus Diavolos
4. Κατά τον δαίμονα του εαυτού
5. Cine Iubeşte şi Lasă
6. Iwa Voodoo
7. Gilgameš
8. Русалка
9. Ahura Mazdā-Aŋra Mainiuu
10. Χ ξ ς'
11. Welcome To Hel [traccia bonus]

DURATA: 51:31 (esclusa traccia bonus)

I Rotting Christ non necessitano di nessuna presentazione; nati in Grecia nel 1987 e.v., sono fra i capostipiti del Black Metal ellenico (scena fondamentale per lo sviluppo del genere) e indubbiamente capisaldi assoluti, basti menzionare quel capolavoro di "Thy Mighty Contract" che continua a lasciare scie di zolfo e oscurità anche a distanza di venti anni.

Giungono quindi al loro undicesimo album in studio, dando corpo alla svolta maggiormente epica di "Aealo". In questo nuovo lavoro pare che abbiano lasciato alle spalle il periodo "gotico" (francamente un'epoca che non ho troppo apprezzato), perciò riabbraccio felicemente il ritorno in pianta stabile di certe sonorità. Bisogna ammettere che i Rotting Christ hanno saputo ricrearsi sovente, per quanto con fasi alterne, pur rimanendo fedeli a un certo marchio di fabbrica e anche nei periodi di stanca hanno tirato fuori sempre qualche coniglio dal cilindro. Onestamente devo dirvi subito che questo "Κατά τον δαίμονα εαυτού" è ricco di quadrupedi orecchiuti.

Si parte immediatamente con la semplice ma intrigante "In Yumen - Xibalba", in cui gli arrangiamenti e i cori "etnici" ricreano all'istante un'atmosfera mistica e al di fuori dei soliti cliché B.M., unendo una morbosa ferocia liturgica a un ritornello indubbiamente incisivo; mi preme anche rimarcare il tocco "tipico" della batteria nei tempi più serrati. Insomma già in apertura posso affermare che quando i Rotting Christ sono in forma sono imbattibili in certe ambientazioni. Un sicuro classico da massacro.

Non certamente da meno il trio seguente composto da "P'unchaw Kachun - Tuta Kachun", "Grandis Spiritus Diavolos" (brano che viaggia a metà strada fra Therion e Tormentor) e "Κατά τον δαίμονα του εαυτού", dove il disco si arricchisce di un incedere dall'alto tasso epico fra le pennate. Il lieve utilizzo di cori e aggiustamenti di tastiera inoltre dona pathos e enfasi ai vari pezzi, producendo sfaccettature differenti dal sapore talvolta "stregonesco", come capita anche nel caso di "Cine Iubeşte şi Lasă", in cui pare di ascoltare temi occulti provenienti dall'est Europa.

Il cd abbassa poi i giri con "Iwa Voodoo", nella quale emergono venature interpretative più orecchiabili e rock, grazie a piccole dosi di wah wah e accenni ritmici tribali, per rinverdire l'idea primitiva di certa magia africana; ma ciò serve anche per lanciare una "Gilgameš" dai toni maggiormente agitati. L'alone sacrale ed epico comunque viene sottolineato e diviene il filo d'unione fra i vari brani.

L'unico neo che vorrei indicare è come alla lunga forse una certa ripetitività nelle strutture incominci a fuoriuscire, se infatti "Русалка" di per sé non è una canzone negativa, devo dire però che risulta un po' troppo simile alla precedente nel ritmo e nell'incedere. Non riesce a prendermi completamente neanche "Ahura Mazdā-Aŋra Mainiuu", in cui una ritmica non propriamente avvincente e maggiormente basata su una melodia solista "leggerina" non sfonda, così come l'ambiziosa "Χ ξ ς'" dotata di un'ambientazione soffusa e lenta che non genera le sensazioni altisonanti adeguate allo sforzo operato. Nemmeno le urla forsennate di Sakis possono colmare la misura o probabilmente in questi frangenti esce fuori quel lato dei greci che non sono mai riuscito a digerire.

Nei file ricevuti della versione digitale spunta anche la presunta traccia bonus "Welcome To Hel", nuovamente si cerca di rialzare i registri con un brano energico nel quale la parte solista acquista maggiore spazio rispetto agli standard, mentre un coro dal sapore "classico" fa riecheggiare i lidi d'origine della band fino allo sfociare in un assalto frontale che ci rincuora e che potrebbe visivamente riportare alla mente teatri degni dei migliori Nocternity in attacchi di epicità infernale.

"Κατά τον δαίμονα εαυτού" è un album che nel complesso mi ha soddisfatto e che credo reperirò fisicamente, in cui torno a godere dei miei greci preferiti. Certo che avrebbero potuto tranquillamente evitare il calo sopra descritto, accorciando la durata finale del album, in fondo è pieno di lavori che si attestano sui quaranta minuti di durata. In quel caso invece di un più che discreto album sarei qui a parlare di un ottimo album. Ciò non toglie niente al merito di questo "Κατά τον δαίμονα του εαυτού", che accuratamente selezionato (ma senza eccessivo zelo) ci restituisce i greci in una condizione di monopolio.

Nel nome di Xes i Rotting Christ si alzano epicamente fieri sullo scranno dell'Ade.

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REQUINOX - Through The Eyes Of The Dead


Informazioni
Gruppo: Requinox
Titolo: Through The Eyes Of The Dead
Anno: 2012
Provenienza: Norvegia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/Requinox
Autore: Mourning

Tracklist
1. Mr. Mad Murderer
2. Literally Horror
3. Diabolical Equinox
4. Jack The Ripper
5. Jackie The Stripper
6. Dance Of The Dragon
7. Shadowland
8. True Barbarian
9. Fall Of An Empire
10. End Of The World
11. Shadowland [versione acustica]

DURATA: 51:17

I norvegesi Requinox spuntano un po' dal nulla, come capita ormai sempre più di frequente sono i giri su Internet più che il passaparola a permetterti di conoscere formazioni delle quali non avevi la minima idea che esistessero. Il quintetto composto da Kenneth Fjeldstad (voce e chitarra), Ola Øverli (basso), Kim Rognerud (batteria), Terje Teigen (chitarra) e Eirik Grue (chitarra) ha sfornato sul finire del 2012 il proprio debutto intitolato "Through The Eyes Of The Dead". Si tratta di un disco che, partendo dalle solide basi di artisti del passato quali Metallica, Iron Maiden, Black Sabbath e aggiungendo un pizzico dei Therapy?, ci consegna una band in buona stato di forma, capace di dare vita a brani piacevoli, anche se ancora sin troppo ancorata alle influenze dei nomi citati — che divengono spesso vincolanti — e alla quale in alcune occasioni manca il gancio adeguato per superare la barriera del "sei" canonico.

L'album offre un paio di canzoni in cui viene sfoderato un buon piglio come "Mr. Mad Murderer" (posta in apertura) e l'accoppiata che vede susseguirsi "Jack The Ripper" e "Jackie The Stripper", altre con un ritornello indovinato (si vedano la gradevole "Literally Horror", dotata di un coro di bambini, e la più intensa "Dance Of The Dragon"), altre ancora nelle quali filtrano a dovere le lievi inflessioni sudiste tipo "Diabolical Equinox" o l'atmosfera diviene più riflessiva e malinconica in stile "Shadowland". In questo pezzo di per sé già buono fa la propria comparsa la voce femminile di Kaja Alfsen Fullman, a mio avviso valorizzata al meglio nella versione acustica posta in chiusura di scaletta, nulla di realmente trascendentale, tuttavia una compagnia che svolge il suo compito, mostrando di essere in possesso di un buon potenziale da sfruttare in futuro.

Strumentalmente i Requinox non hanno granché da farsi perdonare, la prestazione non ha grosse sbavature né picchi d'eccellenza, il fatto che non vi siano delle tracce capaci di elevarsi dal mucchio, acquisendo un ruolo trainante ("Fall Of An Empire" potrebbe essere una candidata, ma sul lungo periodo perde parte del suo appeal), appiattisce un po' la situazione e limita il complesso, nonostante un più che discreto Kenneth dietro al microfono — che in certi momenti ricorda alla lontana Paul Stanley dei Kiss — e Terje che si fa apprezzare anche in fase solistica, ad esempio in "True Barbarian".

Tirando le somme, come inizio non c'è male: "Through The Eyes Of The Dead" è un primo passo che serve a gettare le fondamenta su cui costruire l'avvenire discografico. Probabilmente dal vivo i Requinox saranno capaci di dimostrare il reale valore della musica sinora composta, quindi se vi capitassero in zona, date loro una chance. Vi invito a fare altrettanto anche con il loro disco.

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lunedì 22 aprile 2013

REPENT - Vortex Of Violence


Informazioni
Gruppo: Repent
Titolo: Vortex Of Violence
Anno: 2012
Provenienza: Germania
Etichetta: High Roller Records
Contatti: facebook.com/Repentthrash
Autore: Mourning

Tracklist
1. Vortex Of Violence
2. Fragments Of Despair
3. State Of Fear
4. The System Has Failed
5. Howl
6. Vengeance
7. The Return Of Dark Ages
8. Rat Race
9. Suicidal Dreams
10. Human Hell
11. World Supremacy
12. Puppets Of Corruption

DURATA: 41:37

I tedeschi Repent sono in giro da circa quindici anni, la formazione thrash bavarese possiede una discreta dose di esperienza e una discografia che fra demo e album si avvicina alla decina d'uscite complessive, l'ultima delle quali risalente al 2012: parlo del terzo disco, "Vortex Of Violence".

Il sound della prova è una via di mezzo fra quello classico nazionale e quello "Bay Area", con i soliti noti più o meno coinvolti nella girandola delle influenze. Al suo interno troviamo inflessioni melodiche, un paio di puntate in stile "-core" e tanta rabbia riversata in brani che, pur non brillando per chissà quale soluzione compositiva degna di menzione d'onore, si fanno ascoltare per la carica che contengono e per la voglia di spingere sull'acceleratore. In tal senso episodi quali la titletrack in apertura, "Howl" e la conclusiva "Puppets Of Corruption" svolgono un buonissimo lavoro. Un'altra manciata di pezzi possiede delle caratteristiche piacevoli all'ascolto: si tratta di "Vengeance", il cui punto notevole è il gradevole sviluppo della lunga sezione strumentale che in esso si fa strada, "Human Hell" e il suo iniziale tributo agli Slayer, e la successiva "World Supremacy", che evidenzia quantomeno il tentativo di andare oltre le solite strutture del genere.

Da un disco come "Vortex Of Violence" non ci si può attendere, né si può pretendere, altro che una prestazione rozza e in linea con l'animo che da sempre muove i Repent; magari la produzione avrebbe potuto dare una mano maggiore alle canzoni, specialmente per quanto riguarda lo spessore dei suoni, che alle volte sembrano essere sin troppo scarni. Tuttavia è anche vero che, percorrendo volutamente la via che evita divagazioni e fronzoli, una scelta simile si rivela essere esclusivamente l'ennesimo atto di coerenza nei confronti del loro modo di far musica.

Da amanti del thrash per amanti del thrash. Potrebbe non bastarvi tale motivazione, ma un ascolto vi consiglio di darlo.

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lunedì 4 marzo 2013

REPULSIVE AGGRESSION - Conflagration


Informazioni
Gruppo: Repulsive Aggression
Titolo: Conflagration
Anno: 2013
Provenienza: Norvegia
Etichetta: Schwarzdorn Production
Contatti: facebook.com/RepulsiveAggression
Autore: Mourning

Tracklist
1. Necrosis
2. Plaguebringer
3. Breaking Wheel
4. Sub Human Destruction
5. Predator
6. Repulsive Aggression
7. Reborn Through Annihilation
8. Leave Her To Rot
9. Spawn
10. Conflagration

DURATA: 41:17

La Norvegia che non ti aspetti ti arriva fra le mani con il disco dei Repulsive Aggression. Non sai proprio chi siano e la cosa ci sta, poiché la è band alla prima uscita, e poi leggi che vi sono coinvolti due elementi degli Svarttjern presenti attualmente e in passato, parlo di Saether e Holter, ai quali si è aggregato Magnus Nødset, batterista dei Frail Grounds.
Dopo aver prodotto un demo di tre tracce che non conosco, la formazione entra a far parte del roster della Schwarzdorn Production con la quale rilascia "Conflagration", debutto che ci recapita una serie di mazzate nello stomaco da godere a tutto volume.
Il trio sfodera una prestazione saldamente ancorata su basi death/thrash, non una novità quindi, rocciosa, spigolosa e fortificata quanto ci si sarebbe potuto attendere dagli elementi coinvolti; è decisamente meno derivativa del previsto, il che si pone nettamente a favore dei Repulsive Aggression.
Non posso dire che le influenze di altre realtà più note non si presentino all'orecchio, inserito il cd nel lettore e mandatolo in esecuzione, sono sicuro che un paio di nomi vi passeranno per la testa, quello che però vorrei sottolineare è come la violenza e lo svolgimento — capace di dividersi in maniera sapiente tra l'assalto arrembante, sezioni monolitiche e altre in cui si sprofonda — non siano devoti a nessuna corrente specifica.
In "Conflagration" avrete modo di notare come le melodie vengano ridotte ai minimi termini per dare libero sfogo alla parte più irruenta, avrete la possibilità di apprezzare interventi a gamba tesa, pronti a spezzare ginocchia che miscelano la malevolenza statunitense e la malvagità europea, in questo miscuglio confluisce la sensazione gelida trasmessa in più occasioni dal panorama black, trovando terreno fertile per attecchire; che la militanza in quel settore da parte dei musicisti, seppur di riflesso, abbia lasciato una propria traccia nella musica è facile da intuire. Quando infine si è ammorbati da batoste colme d'odio, che non hanno la minima intenzione di concludersi se non giunte alla titletrack posta in coda, ciò che rimane da fare è apprezzare e rimetter su il disco dal principio.
La sezione centrale dell'album invece piazza consecutivamente due mattonate intitolate "Predator" e "Repulsive Aggression", alle quali è doveroso aggiungere all'interno del lotto riguardante le hit anche "Leave Her To Rot".
Il complesso è però un carro armato ben piazzato lanciato in andatura sostenuta che è lì lì per mettervi sotto senza pietà.
La produzione è pulita, ma non asettica in maniera snervante. La percezione che i due stili, death e thrash, si fondano mantenendo attive le proprie peculiarità stilistiche permane e fa sì che il lavoro risulti efficace nella sua totalità.
I Repulsive Aggression sono una band che vale la pena seguire e comprare. Buonissima la prima!

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RADGORATH - Dracan Dreor


Informazioni
Gruppo: Radgorath
Titolo: Dracan Dreor
Anno: 2012
Provenienza: Repubblica Ceca
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/Radgorath/128085523895544
Autore: Istrice

Tracklist
1. Beginning...
2. Forgotten King
3. Last Fight Of Brennos
4. The Sign Of Goat
5. Heathen Legacy
6. Dragon Eyes
7. Taint Of Holy Man
8. Dead Fairy
9. Dreb Naseho Rodu [traccia bonus]

DURATA: 33:07

Altro giro, altro regalo, altra band pagan. Un appello ai giovani: se vi venisse mai voglia di fondare una band, di comporre musica vostra, evitate il pagan. Se vi trovaste di fronte a due giostre, magari simili fra loro, scegliereste quella per salire sulla quale ci sono tre ore di coda? Sì? Siete masochisti. No? Ci siamo capiti.
La realtà dei fatti è però diversa, il movimento folk/pagan continua incessante a sfornare decine e decine di band, più o meno meritevoli, e non sembra essere mai saturo. D'altra parte, come Vasco insegna (sigh), non si comanda al cuore, ed anzi la passione che accomuna tutti i ragazzi che si cimentano nel tentativo di creare qualcosa di diverso ed originale all'interno di un mondo che sembra aver già detto tutto dieci anni fa è ammirevole, così come è ammirevole l'amore per la propria terra e le proprie tradizioni, da sempre base su cui l'intero genere ha fondato la propria esistenza.
Questa volta il nostro bucolico carro trainato da buoi ci porta in Repubblica Ceca, nei dintorni di Ostrava, non esattamente la vostra idea di metropoli, zona rurale d'origine del quintetto che risponde al nome di Radgorath. "Dracan Dreor", a cui misteriosamente la band fa riferimento come EP, nonostante i suoi otto brani (più una traccia bonus, nella versione promo a noi pervenuta) e la mezz'ora abbondante di durata, è de facto il disco d'esordio della formazione e chiarifica fin da subito i canoni estetici della loro musica. I cechi suonano un folk metal, a tratti decisamente heavy, ed a momenti invece contaminato in maniera più evidente da un death metal melodico. La proposta, va detto, non brilla per originalità, i richiami più immediati arrivano dal folk slavo/russo degli Arkona e di altre band affini, ma non mancano influenze centroeuropee più allegre e danzerecce, Equilibrium su tutti, la cui impronta emerge nei momenti più veloci e tirati all'interno delle loro composizioni.
Nonostante gli evidenti riferimenti musicali, il disco riesce a scorrere piacevolmente per tutta la sua durata senza cadere in banalità troppo evidenti, aiutato dall'ottima prova vocale del cantante, che padroneggia bene un growl corposo ed incisivo; curioso il fatto che le liriche abbiano più riferimenti alle tradizioni celtiche piuttosto che a quelle slave.
La produzione stessa, dal profumo casalingo, aiuta "Dracan Dreor" a conservare una genuinità spesso dimenticata in questo mondo musicale a favore di sound più levigati e commerciali. Di certo un lavoro un poco più accurato per mettere maggiormente in evidenza la tastiera facente le veci di strumento folkloristico ed una incisività maggiore delle chitarre avrebbero aiutato i brani ad essere meno piatti come sound complessivo, tuttavia i ragazzi han fatto comunque un discreto lavoro se si considera che ci si trova di fronte ad un lavoro autoprodotto dalla band stessa.
"Dracan Dreor" non è assolutamente un brutto disco, sebbene derivativo è ben costruito, un po' acerbo a tratti, ma piacevole all'ascolto, con tre o quattro tracce ben riuscite e, nonostante tutto, personale. Tra le canzoni più riuscite spiccano "Forgotten King", pezzo dotato di un'ottima melodia e di un bel cambio di passo a metà, e "Heathen Legacy", brano più tirato e coinvolgente. Sono canzoni come queste che indicano la direzione che la band a mio avviso dovrebbe seguire, se vuole creare qualcosa di più personale, aumentando la propria visibilità e credibilità.

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RABID DOGS - Beasts With Gun


Informazioni
Gruppo: Rabid Dogs
Titolo: Beasts With Gun
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Eclectic Productions
Contatti: rabiddogs.it
Autore: Advent

Tracklist
1. Intro
2. Mad Dog Killer
3. The Boss
4. Lupara Bianca
5. Red Brigades
6. Agressao / Repressao
7. Daddy McBride
8. The White Caiman
9. Il Consigliori
10. Dirty Harry
11. Death Wish
12. Whoremonger Politician
13. Tango & Cash
13. Like A Beast
14. Lord High Executioner

DURATA: 40:59

I Rabid Dogs suonano un grindcore in cui la violenza è dosata tra continue citazioni di dialoghi e musiche di film pulp/trash italiani. Il loro è un metal imbastardito dal punk più fine in cui i vorticosi groove delle chitarre dominano la scena, mentre a livello vocale troviamo soluzioni di ogni genere, dallo scream tipico del grind a quello suino usato nel gore; non mancano poi le sfuriate hardcore/powerviolence soliste e in collettivo.

I riff fanno volare schiaffi che è un piacere, grazie a un batterista che già dalla seconda traccia "Mad Dog Killer" dimostra di saper pestare come si deve. I suoni nel loro complesso sono perfetti, ma quando incombe il blastbeat si scatena l'inferno, solo i più abituati al "casino" distingueranno qualcosa in questi brevi momenti di rabbia cieca.

"Beasts With Gun" non è come molti crederanno un album ingenuo o fotocopia. I ragazzi fanno di tutto per non essere ripetitivi e ognuno di loro lo dimostra destreggiandosi con abilità e tecnica con il proprio strumento: il basso esegue cavalcate e giri molto rapidi, producendo un suono nitido e originale che quando affiora è magnifico; il batterista si mantiene su livelli ben calibrati di brutalità e cede anche il passo a rallentamenti parecchio azzeccati in cui le chitarre si staccano con molta maestria.

I Rabid Dogs non sono mai stati dei pivelli — i membri hanno militato in gruppi come Bestial Devastation, Corpsefucking Art, Tools Of Torture — è evidente però che abbiano fatto un passo avanti di qualità con questo ultimo album, nel quale hanno rafforzato molto la loro identità come "Cani Rabbiosi". Ci sono molta sintonia e voglia di genuinità, senza però scadere in alcun cliché. La cura della produzione si legge negli innesti inusuali al grindcore come le sonorità appartenenti più al rock'n'roll.< Non mi metto a richiamare la vostra attenzione sui titoli e sulle citazioni cinematografiche, ma chi ascolterà l'album non potrà fare a meno di notare la vena geniale che possiedono i Rabid Dogs nell'aver saputo incastrare tanti "pezzettini" particolari per formare un insieme variegato, critico e ironico sulle pagine più drammatiche della storia italiana insieme ai divertenti intermezzi filmici anni '70 ora tanto cari a Tarantino. A mio avviso il capolavoro dell'intero disco è l'accoppiata formata da "Like A Beast" e "Lord High Executioner", la prima è una traccia superba con tanto di tastiera rituale in cui i Cani Grind subiscono una metamorfosi in chimere stoner/doom, la seconda è un vero e proprio decollo psichedelico, da ascoltare o rischiate l'accoltellamento. "Horns up" per i Rabid Dogs.

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lunedì 11 febbraio 2013

23RD GRADE OF EVIL - Bad Men Do What Good Men Dream


Informazioni
Gruppo: 23rd Grade Of Evil
Titolo: Bad Men Do What Good Men Dream
Anno: 2012
Provenienza: Svizzera
Etichetta: Artist Station Records
Contatti: facebook.com/23evil
Autore: Mourning

Tracklist
1. Not Guilty?
2. Blinded By Confidence
3. I Am Your God
4. Bad Men Do What Good Men Dream
5. Lullaby For The Weak
6. You Don't Know
7. Take My Life
8. Scream And Shout
9. For Better Or Worse
10. Two Days A Week
11. Get Out Of My Way
12. All My Lies
13. 23

DURATA: 50:41

Gli svizzeri 23rd Grade Of Evil erano in giro già negli anni Novanta con un nome differente, i musicisti al tempo erano tutti coinvolti all'interno della band thrash/groove Morbus Wilson, autrice di un solo album intitolato "Corematic" nel 1994.
Da quando il quartetto ha ripreso l'attività con questo nuovo appellativo ha invece sfornato prima "What Will Remain When We Are Gone" nel 2009 e a tre anni di distanza è arrivato "Bad Men Do What Good Men Dream".
Il bassista Tom, il batterista Steve, il chitarrista Alex e il cantante Zeno hanno saputo adattarsi al momento storico-musicale che stiamo vivendo, interpretano il thrash in maniera moderna, melodica, accattivante, non eliminando però dal contesto le doti più classiche del genere quali la potenza e le scariche d'adrenalina che questo tipo di sound necessariamente richiede.
I puristi del genere potrebbero trovare complicato convivere con una serie di pezzi che vedono una presenza massiccia delle orde svedesi come In Flames e Soilwork a imbastardirne la natura o l'ultima forma compositiva dei Machine Head e i Lamb Of God a trainarne le intenzioni.
Canzoni quali l'opener "Blinded By Confidence", "I Am Your God", "You Don't Know" e "23" racchiudono in sé segnali più evidenti della scelta di far coesistere spada e fioretto all'interno dei brani, mentre esecuzioni più pesanti e grooveggianti come la titletrack, "Lullaby For The Weak", "Take My Life" e "Get Out Of My Way" puntano a regalare frangenti nei quali lo "scapoccio" è invitato cordialmente a prendere parte alla festa.
Con "Bad Men Do What Good Men Dream" siamo di fronte a un prodotto professionale sotto ogni aspetto, la prestazione strumentale è di alto livello, il cantante Zeno è abile nell'alternare il cantato nell'alternare linee più dure, dove forzando ricorda sppure vagamente Mille Petrozza, e altre più accattivante e pulite.
La produzione curata da V.O. Pulver e svoltasi ai Little Creek Studio offre una definizione dei suoni adeguata a fornire il dovuto equilibrio fra le due componenti portanti, melodia e impatto, il quadro insomma è completo.
I 23rd Grade Of Evil non vi rivoluzioneranno la vita, ma si prestano all'ascolto offrendo una prova thrash che non dovrebbe avere problemi a ricevere riscontri positivi da coloro i quali hanno apprezzato le evoluzioni odierne o comunque post 2000 dello stile, è a loro che mi rivolgo e consiglio di dare una chance a questo piacevole lavoro.

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lunedì 4 febbraio 2013

RED SKY - Origami


Informazioni
Gruppo: Red Sky
Titolo: Origami
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/redskyofficialpage
Autore: Mourning

Tracklist
1. Gocce Di Eternità
2. Temporale Notturno
3. Andalusia (Nostalgia Di Un Tramonto)
4. Ti Ho Sfiorata Nei Miei Sogni
5. La Notte Si Innamorò Del Sole
6. Il Filo Rosso
7. La Voce Dei Tuoi Occhi Che Mi Rende Pazzo
8. Origami
9. Alla Prossima (Forse Un Giorno Ci Rivedremo)
10. L'Ultimo Petalo
11. L'Ultimo Petalo [versione acustica, traccia bonus]
12. E Poi Silenzio Pt.2 [versione acustica, traccia bonus]

DURATA: 45:14

Red Sky sta crescendo, l'artista che avevamo incrociato con l'ep "Tra L'Ombra E L'Anima" sta ampliando i suoi orizzonti, divenendo maggiormente introspettivo e teatrale, calandosi integralmente in una proposta che aggiunge sfaccettature emotive e sonore a quanto di buono composto in antecedenza, con questi presupposti positivi scrivo di "Origami".
La prima creatura full del musicista lombardo è realmente interessante, infatti pur presentandosi come rappresentante dell'avantgarde sound, quello che traspare dopo una dovuta serie di giri nello stereo è una ricerca della melodia orecchiabile e di presa che si scontra in maniera benigna con le posizioni più accentuatamente metalliche, è un amalgama non sempre perfetto.
Nella fase d'apertura dell'album è la sezione strumentale a dominare integralmente la scena, messa in risalto grazie a una prova di quantità e qualità che contraddistingue brani come "Temporale Notturno" e il successivo "Andalusia (Nostalgia Di Un Tramonto)", dove spiccano le abilità di Red Sky nel far convivere un ampio numero di strumenti e l'attenzione a un sound ricercato, tendente al radiofonico, tuttavia distante da ciò che potrebbe essere trasmesso dalle emittenti nostrane di gran richiamo.
Il naturale connubio che s'istituisce fra note e capacità espressiva a esse legata è intenso e palpabile, canzoni come l'alquanto cinematografica "Ti Ho Sfiorata Nei Miei Sogni" (chissà che il signor Ferzan Özpetek non ci faccia un pensierino per la colonna sonora di un suo film), "La Notte Si Innamorò Del Sole" e "Il Filo Rosso" dipingono l'atmosfera di romanticismo grazie a toni melancolici color grigio tenue e palesano sia la centralità dell'operato della sei corde che il possesso da parte di Red Sky di una comunicatività al di sopra della media, che un po' si standardizza nei due capitoli seguenti "La Voce Dei Tuoi Occhi Che Mi Rende Pazzo" e "Origami" per "colpa" di un paio di scelte già incrociate.
L'ascesa però riprende con l'avvento di "Alla Prossima (Forse Un Giorno Ci Rivedremo)", varia e intrigante quanto basta per districarsi nei suoi sette minuti di durata, il disco poi si chiude ufficiosamente con "L'Ultimo Petalo", conclusione declamante la passione e il rapporto d'affetto che unisce l'artista ai suoi brani. Prima ho scritto di una fine ufficiosa per "Origami" ed è così, esiste infatti una versione estesa del lavoro che racchiude due pezzi bonus le cui esecuzioni si relegano in esclusivo ambito acustico: "L'Ultimo Petalo" ed "E Poi Silenzio Pt.2"; non comprendo il motivo di tale scelta, anzi personalmente avrei preferito che la prima delle due fosse stata inserita per porre fine ufficialmente alla tracklist, in quanto reputo questa seconda veste decisamente superiore a quella che la precede, prendiamolo come un motivo in più per entrare in possesso del disco in tale formato.
Con una più che discreta cura dietro al mixer, un apporto degli ospiti piacevole, tra i quali risaltano i nomi di Renzo Cappai, compagno di Red Sky negli Ammonal in veste di bassista, Aurora Rosa Savinelli degli Ephesar alla voce e Alberto Bernasconi dei Nekrosun a dar sostegno vocale, "Origami" rappresenta ciò che è oggi Red Sky, un musicista che mette se stesso al servizio dell'arte e il risultato di questo perpetuato amore è alquanto positivo.

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domenica 3 febbraio 2013

RATTENFÄNGER - Epistolae Obscurorum Virorum


Informazioni
Gruppo: Rattenfänger
Titolo: Epistolae Obscurorum Virorum
Anno: 2012
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Dark Essence Records
Contatti: Nessuno
Autore: Mourning

Tracklist
1. Coelo Affixus Sed Terris Omnibus Sparsus - Intro
2. Grimorium Verum
3. Victa Lacet Virtus
4. Nunc Scio Tenebris Lux
5. Allegoria De Gula Et Luxuria
6. Clausae Patent
7. Deest Remedii Locus, Ubi, Quae Vitia Fuerunt, Mores Fiunt
8. Regno, Regnavi, Regnabo

DURATA: 42:00

A quanto pare anche l'Ucraina ha la sua all-star band, nata recentemente con il nome di Rattenfänger, verosimilmente ispirato dalla letteratura tradizionale tedesca e nello specifico dal "Pifferaio Magico Di Hamelin". La formazione è alquanto interessante, i musicisti che la compongono sono: Roman Saenko (chitarra e voce), Thurios (chitarra), Krechet (basso) e Vlad (batteria e tasterie), tutti quanti coinvolti (o lo sono stati in passato) in progetti notissimi quali Drudkh, Old Silver Key, Blood Of Kingu, Astrofaes, Dark Ages, Hate Forest e Kladovest. Le premesse sono quindi delle migliori, ma a noi importa della musica e quindi cos'avranno combinato questi signori?
Gli ucraini inaspettatamente non propongono un album Black, non ci sono atmosfere Post né Dark Ambient, ma un disco Death Metal vecchia scuola, orientato a disseminare al proprio interno delle fiorenti sezioni di stampo Doom. In pratica immaginate uno scenario di fine anni Ottanta o primi anni Novanta nel quale i maestri Celtic Frost si combinano con i Winter, gli Asphyx e i Darkthrone viscerali di "Soulside Journey", aggiungete una brezza nera e affascinante che conduce all'unica nota odierna che mi viene in mente, i Tryptikon (comunque appartenenti al signor Tom G. Warrior), a seguirne la scia, e sarà un po' come giocarsela sempre in casa.
Il disco è marziale, decisamente scarno e diretto in alcune delle sue sezioni principali, non lascia appiglio a coloro che cercano evoluzioni o chissà quale tipo di variante tecnica all'interno dei brani, proseguendo in maniera stentorea, nera e profonda; ascoltate l'abisso di "Nun Scio Tenebirs Lux" e il 2012 vi sembrerà distante almeno due decadi.
Le ambientazioni sono cupe, estremamente minacciose sia nella loro versione più animosa — contenuta in episodi come "Grimorium Verum", il regnante mid-tempo "Victa Lacet Virtus" e lla conclusiva "Regno, Regnavi, Regnabo" — che in quella pachidermica e pestilenziale della già citata "Nun Scio Tenebris Lux" e dell'accoppiata sordida e sprezzante formata da "Allegoria De Gola Et Luxuria" e "Clausae Patent". I Rattenfänger dimostrano di essere totalmente a proprio agio sguazzando nelle torbide acque dell'old school senza compromessi.
Non trovo quindi difetti a "Epistolae Obscurorum Virorum" — il titolo "
Lettere Degli Uomini Oscuri" dovrebbe far riferimento alla raccolta di testi satirici che supportava la visione dell'umanista Johann Reuchlin apparsi in quel di Hagenau fra il 1515 e il 1519 — che, pur essendo un'incarnazione sonora a noi nota, evidenzia la maturità compositiva e le scelte indovinate di chi con la musica ha a che fare da tempo e ne conosce ormai sin troppo bene le dinamiche. Lo stesso si può dire della produzione abbastanza pulita, capace però di mantenere viva la sensazione morbosa di morte che le canzoni trascinano con sé.
Il cantato gutturale di Roman infine è pesante come un macigno e la scelta di utilizzare il latino medioevale per narrare i testi è intrigante, potrebbe addirittura diventare un motivo di confronto e ricerca per carpirne il significato o soltanto per verificare la correttezza linguistica: come non ricordare infatti le mirabolanti imprese dei Dark Funeral e del loro "maccheronico" stupro nei confronti della poetica lingua morta, perpetuatosi nel tempo e dai risultati particolarmente ilari? Sarà così anche per i Rattenfänger? Scopritelo.
Debutto con i controfiocchi per la formazione est-europea, vi suggerisco di entrarne in possesso, "Epistolae Obscurorum Virorum" è ciò che ogni assiduo fruitore della vecchia guardia desidera ricevere all'orecchio, pertanto buonissima la prima!

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domenica 20 gennaio 2013

RAZORWYRE - Another Dimension


Informazioni
Gruppo: Razorwyre
Titolo: Another Dimension
Anno: 2012
Provenienza: Nuova Zelanda
Etichetta: Infernö Records
Contatti: facebook.com/razorwyre
Autore: Mourning

Tracklist
1. Conjuror (Shaman's Wrath)
2. Knights Of Fire
3. Fight Or Be Fucked
4. Nightblade
5. Another Dimension (Of Hell)
6. The Infinite
7. Desert Inferno
8. The Fort
9. Speed Warrior
10. Windcaller
11. Hangman's Noose

DURATA: 46:23

I Razorwyre sono una promettente formazione neozelandese di heavy/speed e Fab con la sua label, la Infernö Records, è decisamente attento nel seguire tale panorama. Da questa collaborazione infatti è stato partorito "Another Dimension", il debutto del quintetto di Wellington.
La proposta è alquanto classica, nomi quali Iron Maiden, Saxon, Judas Priest sono i più noti e semplici da riconoscere, vanno ad aggiungersi però richiami alle compagini di Witchfynde e Attacker che arricchiscono una tracklist che in tutto e per tutto si mette in mostra come un tributo agli anni Ottanta.
La band rispetto a molti colleghi sin troppo abituati a limitarsi, riproponendo uno sterile compitino, infila una sequela di brani dotati non solo di strutture solide e discretamente varie, ma anche di una carica energica che attrae e coinvolge. L'opener "Conjuror (Shaman's Wrath)" (che possiede qualcosa dei Grim Reaper, ascoltate il ritornello e capirete) e "Knights Of Fire" partono in quarta senza rimorso, mentre "Fight Or Be Fucked" incita a intonarne il ritornello. Con le successive "Nightblade" e "Another Dimension (Of Hell)" invece si mantiene calda e vivace l'atmsofera, retrò sound sì ma con gran gusto nelle scelte e adrenalina da vendere.
Il breve strumentale "The Infinite" ci introduce "Desert Inferno", traccia spaccaossa, dirompente e infettiva, seguita da una doppietta scoppiettante formata da "The Fort" e "Speed Warrior", a conferma che i Razorwyre non hanno nessunissima intenzione di allentare la morsa.
Qualcuno potrà lamentare che "Another Dimension" si poggi eccessivamente sulle basi del genere, effettivamente è una constatazione impossibile da negare da parte mia, al contrario però io ringrazio apertamente i ragazzi per essersi attenuti a questa concezione. Del resto questi musicisti sono dotati di passione che fuoriesce in ogni singola nota, non c'è un attimo difatti in cui la prestazione faccia dubitare della sincerità o della veridicità delle emozioni trasmesse. Prima "Windcaller" e poi "Hangman's Noose", con una gran prova di Z Chylde dietro al microfono, ne forniscono ulteriore dimostrazione.
Una volta conclusosi, il disco lascia stampato in volto quel sorrisino di soddisfazione che fa sì che il dito ritorni intenzionalmente a premere nuovamente il tasto "play", questo è indice di gradimento.
Gli amanti del sound N.W.O.B.H.M. quanto quelli più legati alle sonorità moderne delle formazioni che si rifanno a quella scena, come Skull Fist, Striker, White Wizzard, Enforcer e compagnia bella, troveranno in "Another Dimension" ciò che cercano e vogliono: buona musica, salutare HEAVY METAL!

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lunedì 14 gennaio 2013

ROTORVATOR - The Blues



Informazioni
Gruppo: Rotorvator
Titolo: The Blues
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Sangue Disken
Contatti: rotorvatorblack.blogspot.it
Autore: 7.5-M

Tracklist
1. Bog
2. Who Is Earl?
3. Black Canyon
4. Gloria

DURATA: 24:01

Seguo il solco dei Rotorvator da tempo, in tutte le sue forme: musicali, performative, etc. Questo ennesimo EP ci presenta, come descritto dalla band, una versione collaterale rispetto alla tradizione, decretata dall'urgenza espressiva repressa, dagli anni di lavoro, sul primo e vero ed unico full-length del gruppo, in arrivo in questo 2013.
Collaterale molto spesso significa insignificante. Non è questo il caso. I bellunesi nel loro ultimo lavoro sperimentano forme differenti da quelle che hanno utilizzato finora. Perciò c'è un uso smodato di field recordings (da studio ed oltre di esso) che vanno a frantumarsi ed a collassare in un unico ritmo nel "bog"; perciò la cantante dei Comaneci interviene all'interno del percorso dei nostri con la sua presenza di testo e voce (tra l'altro vi consiglio d'ascoltare un po' del suo lavoro nella band d'origine "Comaneci", appunto.
Propone un buon pop alternativo e minimale, da sentire con piacere ogni tanto, in una bella giornata di sole); perciò i nostri riecheggiano in sinusoidi rallentate ed accelerate ma mai abusate e glorificano in samples un altissimo che si trasforma, sulle labbra alzate al cielo, in vapore di bestemmia.
I Rotorvator però rimangono sempre i Rotorvator, con la loro riconoscibile grafia fatta di drum machine, synthesizer e scream. Tutta l'alterità di questo lavoro si inserisce in un sostrato che ormai è consolidato e riconoscibilissimo: riff black, feedback rimasticati elettronicamente, violenza miniata di sporcizia post.
Un breve lavoro collaterale ha però anche le sue contraddizioni, perché lascia in sospeso elementi troppo caratterizzanti, che attendono un'analisi più precisa, impossibile senza un ulteriore sviluppo di questi stessi elementi.
Il bozzettismo di "The Blues" trattiene in sé i misteri d'un lavoro che non potremo mai sviscerare, perché i dettagli rivoluzionari, per lo stile dei Rotorvator, non trovano sfogo altrove. "The Blues" rimane un'anomalia, un evento poco incidente sul percorso, un inciampo.
Chissà se le scoperte fatte durante questa caduta si condenseranno di nuovo in futuro. Io lo spero, gli incidenti di percorso sono la cosa più interessante per il sottoscritto filologo, come gli errori dei copisti medioevali.

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RUKKANOR - Ende

Informazioni
Gruppo: Rukkanor
Titolo: Ende
Anno: 2006
Provenienza: Polonia
Etichetta: War Office Propaganda
Contatti: non disponibili
Autore: Istrice

Tracklist
1. W.A.R.
2. Beware It's Coming
3. Hail, Rome Victorious!
4. Virus Dei
5. Fuggetlensig, Szabadsag!
6. It's Their War

DURATA: 29:44

Quasi per caso mi capita per le mani "Ende", EP dell'artista martial polacco Rukkanor, edito ormai una mezza dozzina d'anni fa dalla fu War Office Propaganda (di sua proprietà, oggi ribattezzata in Rage In Eden). Prodotto in sole 400, copie il disco è una raccolta di sei tracce di cui l'artista non voleva si perdesse memoria dopo esser state escluse per diverse ragioni dalle sue produzioni precedenti.
L'apertura è affidata a "W.A.R.", creata in origine per "Scontrum Act IV", split con Marching Runes e Ghosts Of Breslau, e risalente al settembre 2004 (il cd verrà poi dato alle stampe l'anno successivo).
Brano senza fronzoli dalle sonorità profondamente marziali, "W.A.R." assale l'ascoltatore con un attacco di percussioni estremamente incisivo, il ritmo cadenzato viene arricchito come al solito con echi industriali e dall'organo, in secondo piano, ma non per questo meno incisivo, che traccia una suggestiva melodia.
La guerra sta arrivando e suonano le sirene d'allarme. "Beware It's Coming", tratta dalla medesima sessione di registrazione, è invece un pezzo più inquietante e criptico, la sezione ritmica affidata ad un rullante fumoso che crea un'atmosfera d'attesa, attesa che però non vede risoluzione, straniante.
"Hail, Rome Victorious!" vede invece la luce un anno dopo, il titolo suggestivo suggerisce facilmente anche l'origine del brano, che viene plasmato la prima volta per lo split con Stahlwerk 9 e Cold Fusion intitolato "Triumvire".
Si tratta di un martial differente rispetto al precedente, come si nota fin dall'incipit, cupo, ma allo stesso tempo epico ed atmosferico. "Salute, Roma vittoriosa!" grida l'imperatore accompagnato dal boato della folla. La traccia si snoda poi in una sezione centrale più riflessiva, intrisa dalle onnipresenti campionature vocali che recitano la loro litania incomprensibile (e forse è meglio così), e un finale dal respiro più ampio e dall'orchestrazione più ricca e magniloquente.
Cambio totale di sonorità, si passa a "Virus Dei", live recording risalente al giugno 2006 creato in collaborazione con Insuffer, progetto dark ambient dell'artista polacco Marcin Batchtiak (a.k.a. Cold Fusion, i due lavorano a stretto contatto, vedasi recensione del progetto Across The Rubicon).
Il brano vive di due momenti, i movimenti psichedelici del lungo incipit lasciano il passo all'oscurità totale, le percussioni arrivano dall'oltretomba, le frequenze sono disturbanti e martellanti sequenze industrial aggrediscono l'orecchio.
Il finale, summa del brano, vede l'interessante coesistenza dei due momenti precedenti. Doppio carpiato e ci rituffiamo tra le macerie della guerra, l'accoppiata finale risale alle sessioni di registrazione di "Despartica", doppio album del 2006, e ci riporta all'ascolto di un Rukkanor più vicino al sound per cui è noto.
"Fuggetlensig, Szabadsag!" (ovverossia "Libertà, Indipendenza!") è un brano belligerante e cadenzato, dedicato ai combattenti ungheresi morti durante le insurrezioni contro il governo sovietico nell'autunno dell'anno 1956, moti rivoluzionari finiti in strage, con la sconfitta dei rivoltosi.
Ci stiamo ancora aggirando impotenti fra le macerie di una nazione che vide negli anni successivi l'esodo verso occidente di oltre 250.000 persone quando parte la conclusiva "It's Their War". Tra le rovine troviamo una bambina alle prese con una conta, la voce infantile ed i cinguettii di sottofondo rendono la simbologia evidente, l'innocenza contrapposta alla guerra.
Il finale capovolge la situazione, e la conta si trasforma in un conto alla rovescia, l'accento spiccatamente americano, tre, due, uno, zero, esplosione, "These are the States, to make a world in which all God's children can live". Non credo servano spiegazioni.
Nel complesso "Ende" non aggiunge nulla di nuovo o rivoluzionario a quanto Rukkanor aveva già prodotto, ma nonostante questo ne consiglio caldamente l'ascolto, il livello delle composizioni è sempre molto alto, e se per un ascoltatore abituale è l'amor di completismo che spinge verso un EP di questo tipo, per i neofiti può essere un buon inizio, dato che in sole sei tracce riesce a mostrare diversi volti dell'artista.

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