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lunedì 7 ottobre 2013

SADHAKA - Terma

Informazioni
Gruppo: Sadhaka
Titolo: Terma
Anno: 2013
Provenienza: Oregon, Stati Uniti
Etichetta: Pest Productions
Contatti: sadhaka108.bandcamp.com
Autore: LordPist

Tracklist
1. Dissolution
2. Padmasambhava
3. Impermanence
4. Ancient Ones

DURATA: 51:59

Negli ultimi sei o sette anni, sembra esserci stata una sovrabbondanza di black metal proveniente dalle regioni nordoccidentali di Stati Uniti e Canada, l'area che grossomodo corrisponde alle montagne della Catena delle Cascate. Ogni anno una manciata di nuovi gruppi arricchisce quella lista e il risultato, abbastanza spesso, è che sembra di star ascoltando una sorta di "tutto" organico, che in qualche modo attraversa gran parte dei progetti in termini sia concettuali che atmosferici. Di conseguenza, possiamo sentire una connessione molto forte, o addirittura una continuità, tra i vari Alda, Skagos, Oskoreien e così via. Questo aspetto è di solito menzionato come un difetto da parte di chi non apprezza questa "nuova ondata" di seguaci dei Wolves In The Throne Room provenienti dal Nord America; e spesso e volentieri anche riguardo i WITTR o gli Agalloch stessi, che ovviamente sono i nomi più conosciuti del lotto.

In realtà, ciò che molti di questi musicisti stanno mettendo in atto — consciamente o meno — è la creazione di un nuovo discorso intorno al ramo più viscerale del metal, attraverso la sua relazione con il potenziale umano e come questo potenziale interagisca con il mondo. Le fonti e le ispirazioni sono varie, dal trascendentalismo all'anarchismo, fino all'ambientalismo più intransigente e via dicendo; il summenzionato "tutto" organico è il contenitore in cui tutti questi gruppi cercano di mettere in musica la loro visione del mondo, condividendo alcune caratteristiche.

Ecco che arriviamo ai Sadhaka, uno dei nomi emergenti in una scena non più così giovane. Formato in Oregon, il trio sottolinea che tutte le canzoni sono state "scoperte in solitudine in un remoto eremo di montagna tra gli altipiani selvaggi della gola del fiume Columbia, Cascadia centrale", cercando di recuperare parte di quel mito che connette il black metal al "selvaggio". Non sorprendentemente, scelgono il termine "Cascadia" per definire il luogo.

L'album è composto da quattro tracce lunghe — alla maniera dei classici dei WITTR — e presenta gran parte delle caratteristiche tipiche della cosiddetta "Cascadian scene": lunghi passaggi atmosferici, canti che cercano di connetterci a un piano più alto, feedback sparsi qua e là, fino alla natura che comprende tutto, rappresentata attraverso i maestosi blast beat che avvolgono il nostro essere e in qualche modo lo ricollegano a essa. La terza traccia "Impermanence" è un esempio perfetto di questo approccio. Ciò che separa questo album da molte altre uscite Cascadian black metal, in termini musicali, è l'uso di qualcosa più vicino alle urla dell'hardcore che allo scream del black metal.

Per quanto riguarda il contenuto, il titolo dell'album "Terma" si riferisce a un concetto buddhista che indica alcuni "insegnamenti speciali" presumibilmente nascosti in giro per il mondo in passato da santi o divinità. Quest'album può essere visto come una ricerca di quei tesori mistici attraverso la natura, proprio come ci dicono i primi versi di "Dissolution": "Listen to the stones, listen to the cold, listen to the ground, they have secrets to tell you". La confezione include anche una descrizione dettagliata del termine, concludendo che "sono ovunque", e ci incoraggia a partire alla loro ricerca. Il background buddhista addirittura viene fuori un paio di volte nella musica, e questo contribuisce a dare un'aria più personale ai Sadhaka. La quarta traccia "Ancient Ones" (precedentemente rilasciata online come brano separato nel 2012) è concettualmente un po' fuori contesto rispetto alle altre tre, ma funziona molto bene come chiusura.

Credo che la Pest Productions abbia trovato una band molto interessante, che potrebbe avere qualcosa da dire nell'affollata scena "cascadica" anche nel futuro. Quest'album è decisamente consigliato ai fan del genere, e possibilmente anche a chi vorrebbe cercare di avvicinarvisi.

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SADHAKA - Terma [english version]

Information
Band: Sadhaka
Title: Terma
Year: 2013
From: Oregon, United States
Label: Pest Productions
Contacts: sadhaka108.bandcamp.com
Author: LordPist

Tracklist
1. Dissolution
2. Padmasambhava
3. Impermanence
4. Ancient Ones

RUNNING TIME: 51:59

In the past six or seven years, there appears to have been an overabundance in the black metal output coming from the Northwestern regions of the United States and Canada, the area roughly correspondent to the mountains of the Cascade Range. Every year a bunch of new bands enrich that list and the result, quite often, is that it seems to listen to some kind of organic "whole", somehow encompassing most of the projects in both conceptual and atmospheric terms.

Consequently, we might feel that there is a very strong connection, even continuity, between the many Alda, Skagos, or Oskoreien, and so on. This is frequently cited as a flaw by people who don't appreciate this "new wave" of Wolves In The Throne Room followers hailing from North America — and WITTR or Agalloch themselves more often than not, obviously being the best known names of the lot.

Actually, what many of these musicians are doing — whether consciously or not — is creating a new discourse around the most visceral branch of metal, through its relationship with humanity's potential and how this potential interacts with the world. The sources and inspirations are varied, from transcendentalism to anarchism, to staunch environmentalism and so on; the afore-mentioned organic "whole" is this container in which the many acts strive to put into music their worldview, sharing some features.

And here we get to Sadhaka, one of the newest names in a scene not so young anymore. Hailing from Oregon, the trio stresses that all the songs were "uncovered in solitude from a remote mountain hermitage in the wild highlands of the Columbia River Gorge, central Cascadia", trying to recover part of that myth that connects black metal to the "wild". Not surprisingly, they choose the term "Cascadia" to describe the location.

The album comprises four long tracks – in the WITTR’s classic albums vein – and features most of the trademarks in the so-called Cascadian scene: long atmospheric passages, chants that endeavor to connect us to a higher plane, feedbacks here and there, and then the all-comprising nature signaled through majestic blast beats enshrouding and somehow reconnecting our being to it. The third track "Impermanence" is a perfect example of this approach.

What separates this album from many other Cascadian black metal releases is, in musical terms, the use of something more similar to a hardcore rant than a black metal scream. As for the content, the album title "Terma" refers to a Buddhist concept that defines some "precious teachings" allegedly hidden by enlightened people or deities in the past around the world. This album may be viewed a search for those mystical treasures through nature, as the first lines in "Dissolution" tell us: "Listen to the stones, listen to the cold, listen to the ground, they have secrets to tell you".

The package also provides a detailed description of the term, concluding that "They are everywhere", and encouraging us to set forth and look for them. The Buddhist background even emerges a couple of times in the music, and this contributes in giving Sadhaka a more personal air. The fourth track "Ancient Ones" (previously released online as a separate track in 2012) is conceptually a little out of context when compared to the other three, but works really well as a closure.

I believe Pest Productions found a very interesting band here, that might have something to say in the crowded Cascadian scene in the future as well. This album is highly recommended to fans of the genre, and possibly to those who would like to try approaching it.

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STERBUS - Smash The Sun Alight

Informazioni
Gruppo: Sterbus
Titolo: Smash The Sun Alight
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/Sterbus/212439165480185
Autore: Mourning

Tracklist
1. Gay Cruise
2. Otorinolaringoiatria
3. You Can't Be Sirius
4. Wooden Spheres + Heartquakes
5. The Amazing Frozen Yogurt
6. Flatworks (Eggs Of Joy)
7. A Sigh Of Relief
8. Black Delivery [live]

DURATA: 34:14

Sterbus è il progetto di Emanuele Sterbini, polistrumentista che abbiamo già incrociato in occasione della sua terza uscita intitolata "Iranian Doom". Il divertimento e la libertà di suonare ciò che piace sono ancora una volta i punti focali che danno vita alle otto tracce presenti nella quarta fatica "Smash The Sun Alight", infatti l'album in questione per dirla alla Bluvertigo è "fuori dal tempo", ben lontano dalla perfezione estetica patinata delle produzioni odierne: è brillante, vivace e un po' come un viaggiatore a zonzo fra le decadi punta ripetutamente a proporre il sound degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta. Si passa dalla follia artistica di Zappa al prog dei King Crimson, all'ispirazione mai celata ricevuta dalla natura punk che guarda avanti dei Cardiacs (la suddetta band viene omaggiata più e più volte dal musicista nostrano), alla natura grunge dei Nirvana e al rock dei Weezer. Tutto è permesso, non c'è nulla che non ci si possa attendere ascoltando canzoni che con eleganza riescono a instaurare con l'ascoltatore un feeling genuino e pop, ovviamente tenendo conto del termine nella migliore delle sue accezioni.

L'aspetto piacevole di "Smash The Sun Alight" è lo stato mentale che si viene a creare, è come se venisse aperto un portone dietro il quale si cela un'ampia zona relax con sensazioni continue che variano fra il sognante e il trasognante, anche quando la prestazione vocale non è poi delle più eccelse, si veda la scanzonata "A Sight Of Relief". Il percorso è fatto di fuzz, psichedelia, ingressi d'organo (in tal senso è doveroso citare la pazzia mutevole che attraversa "Gay Cruise"), onde funky (che imperversano all'interno di "Wooden Spheres + Earthquakes") e schizofrenia esecutiva (di una scatenata "The Amazing Frozen Yogurt"), e quando i ripetuti cambi di stile pare abbiano trovato una loro degna conclusione, ecco che fa il suo ingresso la strumentale "Black Delivery", un bonus offerto gentilmente da Sterbus per l'occasione che rimescola le carte in tavola, sfoderando una prestazione più pesante e metallica.

Se proprio si volesse, qualche difetto lo si potrebbe di certo evidenziare, però nel lavoro svolto da Sterbini trasudano passione ed emozione, è una di quelle prestazioni che lascia il fiume d'idee scorrere così com'è, senza volerne modificarne forzatamente il corso e per questo risulta essere "vera". "Smash The Sun Alight" è buona musica, è l'ennesima riprova che in Italia oltre ad "Amici", parenti, cugini e raccomandati vari fortunatamente c'è davvero molto, ma molto di più.

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lunedì 23 settembre 2013

SÚL AD ASTRAL – Súl Ad Astral

Informazioni
Gruppo: Súl Ad Astral
Titolo: Súl Ad Astral
Anno: 2013
Provenienza: Nuova Zelanda
Etichetta: Pest Productions
Contatti: facebook.com/SulAdAstral
Autore: LordPist

Tracklist
1. To Cherish
2. Amaurosis
3. In Solitude
4. The Clenching Void
5. The XIXth Wave
6. Mind’s Wandering
7. Persona I; Lunar
8. Persona II; Solar
9. All The Times... Forever

DURATA: 51:24

La Nuova Zelanda ha iniziato recentemente a ritagliarsi un piccolo spazio negli ambienti metal, gli Ulcerate sono chiaramente il nome più noto all'estero. In questo caso, però, ci troviamo in territori molto diversi da quelli della ormai nota band death metal, ci muoviamo verso le sonorità "post-black" tanto care alla Pest Productions, etichetta cinese in crescita e che inizia a vantare una discreta quantità di artisti internazionali tra le proprie file.

I Súl Ad Astral nascono come progetto del chitarrista Stephen Fortune nel 2011, la proposta si concretizza con la collaborazione di Michael Rumple, che ha contribuito con la voce e i testi. Questo disco d'esordio vide la luce già nel maggio 2012, e lo stile di Fortune e Rumple ha presto attirato l'attenzione della Pest (che produce vari altri gruppi di questo stile, come i Dopamine), portando a un'uscita fisica in digipak nel marzo 2013.

La copertina (opera dell'artista cinese Zhao Erdong) rappresenta una figura misteriosa, avvolta da uno spettrale mantello azzurro sullo sfondo di un bosco di stilizzati alberi neri, con una tecnica che ricorda la pittura tradizionale cinese. L'immagine dà quindi una direzione alle nostre aspettative, verso quella commistione di black metal con mondi evanescenti e onirici che è diventata tanto popolare da quando "Souvenirs D'Un Autre Monde" ha fatto la sua comparsa.

Bisogna dire che la traccia d'apertura "To Cherish" è di sicuro impatto e mette in mostra buona parte del potenziale di questo disco. Una strumentale di nove minuti che scorre attraverso le varie influenze in gioco, aprendo il sipario su un mondo dalle tonalità azzurrognole. La struttura concettuale del disco sembra rimandare grosso modo alla dimensione interiore che ha caratterizzato il progetto Alcest, descrivendo i pensieri che si rincorrono nella mente della voce "narrante", fino alla domanda che ci si pone in "The Clenching Void": "Why dive in the mud when you can float with stars?".

Da un punto di vista musicale, non ci si discosta molto da ciò cui ci siamo abituati negli ultimi anni della scena "blackgaze", anche se Fortune riesce a tratti a dare un'impronta più personale al proprio mondo. Il dittico "Persona" è una specie di manifesto delle influenze del duo (a tratti forse un po' disunito), nel quale anche la voce si cimenta in stili diversi: devo ammettere di preferire Rumple quando si dà allo scream anziché al pulito, che suona invece abbastanza generico.

In sostanza, l'omonimo debutto del progetto Súl Ad Astral è un disco che probabilmente gli ascoltatori del genere gradiranno, ma che difficilmente farà cambiare idea a chi non digerisce determinate sonorità. Il duo sta lavorando al momento sul nuovo album "Afterglow" e noi di Aristocrazia, naturalmente, ne seguiremo gli sviluppi.

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SÚL AD ASTRAL – Súl Ad Astral (english version)

Information
Band: Súl Ad Astral
Title: Súl Ad Astral
Year: 2013
From: New Zealand
Label: Pest Productions
Contacts: facebook.com/SulAdAstral
Author: LordPist

Tracklist
1. To Cherish
2. Amaurosis
3. In Solitude
4. The Clenching Void
5. The XIXth Wave
6. Mind’s Wandering
7. Persona I; Lunar
8. Persona II; Solar
9. All The Times... Forever

RUNNING TIME: 51:24

New Zealand has recently started occupying a small space in the metal scene, Ulcerate being of course the best-known name abroad. In this case, though, we are confronted with coordinates very different from those of the afore-mentioned death metal band, entering the "post-black" sound so appreciated by Pest Productions, an emerging Chinese label that is getting more and more international bands signed up on its roster.

Súl Ad Astral started as a solo project of guitarist Stephen Fortune in 2011, his proposal took shape with Michael Rumple's cooperation, contributing on vocals and lyrics. This disc first came out in May 2012, when Fortune and Rumple's style stirred Pest's attention (the label also produces other bands in this style, such as Dopamine), leading to a physical digipak release in March 2013.

The cover (designed by the Chinese artist Zhao Erdong) depicts a mysterious figure, enveloped in an azure cloak on a background crowded with stylized black trees, done in a technique reminiscent of traditional Chinese painting. This image directs our expectations towards that mixture between black metal and ephemeral, dream-like worlds which has become so popular since the appearance of "Souvenirs D'Un Autre Monde".

I must say that the opener "To Cherish" successfully sets the tone and showcases a good deal of this album's potential: a nine-minute instrumental track which flows through the many influences at play, raising the curtains on a light-bluish world. The concept behind this disc somewhat refers to the inner world that characterized Alcest, portraying the thoughts running one after another in the narrator's mind, up to the question in "The Clenching Void": "Why dive in the mud when you can float with stars?".

In terms of music, we're not too far from what the "blackgaze" scene got us used to in the last few years, although Fortune manages to give it a personal twist every now and then. The diptych "Persona" is some sort of manifesto for the duo’s influences (perhaps a little disjointed at times), where the vocalist experiments different styles as well: I have to admit that I prefer Rumple when he screams more than when he sings clean, which struck me as quite generic.

In short, the self-titled debut by Súl Ad Astral is an album that fans of this genre might like, but that doesn't seem likely to make people who do not appreciate this sound change their minds. The duo is currently working on their new album "Afterglow" and Aristocrazia, naturally, will follow its course.

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STEAK - Corned Beef Colossus


Informazioni
Gruppo: Steak
Titolo: Corned Beef Colossus
Anno: 2013
Etichetta: Autoprodotto
Provenienza: Inghilterra
Contatti: facebook.com/stonersteak
Autore: Mourning

Tracklist
1. Black Milk
2. Liquid Gold
3. Glanshammar
4. Whiskey Mule
5. Acid Dave

DURATA: 26:13

I britannici Steak tirano fuori il secondo ep "Corned Beef Colossus" e io dopo averne guardato la cover, ancora una volta realizzata dall'artista brasiliano Eduardo Ferigato, e aver letto il seguito della storia incentrata sulla difesa di Cyclone City dalla figura dal malefico Lord Lazarus, potessi farmi vedere da voi, li applaudirei senza mezzi termini.

Il quartetto londinese, nel quale è doveroso segnalare il cambio di batterista, data l'entrata di Sammy nel ruolo ricoperto da Large in "Disastronaught", non ha modificato il suo approccio al panorama stoner: i punti di riferimento sonori citati nella passata recensione sono rimasti perlopiù gli stessi, con la figura svedese dei Truckfighters che ha però assunto una maggiore consistenza come influenza all'interno del sound. Ciò può essere dovuto al fatto che oltre alla presenza in qualità di ospite alla chitarra solista in "Brad Milk" da parte di Dango (Niklas Källgren), quest'ultimo e il suo compagno d'avventura Ozo (Oskar Cedermalm) abbiano curato l'operato dietro il mixer, svoltosi presso Bombshelter Studio di Örebro.

"Cornered Beef Colossus" è una grassa, esaltante e appagante fuga dal killer "The Corned Beef Colossus" creato da Lord Lazarus e dal suo genio del male personale, il professor Griz, nel tentativo di eliminare gli Steak e tenersi a distanza da questa creatura composta da sezioni differenti di carne prelevata da schiavi. I musicisti inglesi ci deliziano con cinque composizioni ricchissime di ottani stoner, fra le quali spicca l'accoppiata, a dir poco trascinante, composta da "Glanshammar" e "Whiskey Mule". I Nostri ci sguazzano proprio fra sonorità ruvide e atmosfere psichedeliche, quest'ultimo fattore non è mai esageratamente esposto, ma viene ben utilizzato in episodi come "Liquid Gold" e "Acid Dave", e il loro animo da rocker trova consistente sfogo nell'ennesima ottima prova dietro al microfono di un ispirato Kippa.

"Corned Beef Colossus" è il proseguire guardando avanti in una direzione che per gli Steak sembra essere ogni giorno di più quella adatta per divenire una band sulla quale poter contare, cosa manca adesso? Un album, un full, chiamatelo come volete, serve la ciliegina sulla torta, e una volta che anche questa verrà posta in cima, non ho dubbi, toccherà inserirli fra i grandi; onore che si stanno guadagnando sul campo.

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lunedì 9 settembre 2013

SLOE GIN - A Matter Of Time

Informazioni
Gruppo: Sloe Gin
Titolo: A Matter Of Time
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Blood Rock Records
Contatti: sloegin.it - facebook.com/pages/SLOE-GIN/288497251248703
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Lord Of Snowflakes
2. My Dog Is Beautiful
3. Spiritual Coma
4. Dreams In A Jar
5. Islero
6. The Fugitive
7. Don't Be Afraid Of The Dark
8. Bring On The Lion
9. Clouds Floating In A Blue Sky
10. Decline And Fall Of Progress And Illusions
11. Digital Space Wave

DURATA: 39:57

Gli Sloe Gin sono un nome nuovo all'interno del panorama italiano, anche se in realtà la gestazione del gruppo ha radici più datate: il responsabile della nascita del progetto è infatti Enio Nicolini, figura ormai storica del Metal tricolore, sul cui curriculum spiccano formazioni come The Black, Unreal Terror e Akron, gruppi che ogni appassionato del classico nostrano dovrebbe conoscere. "A Matter Of Time" è il debutto di questa realtà in cui il basso di Enio è accompagnato dal supporto dietro alle pelli di Giuseppe Miccoli e dalla versatile voce di Eugenio Mucci (entrambi ex Requiem e Insider).

Prima particolarità del disco: non c'è nessuna traccia di chitarra. Il mondo musicale non è certamente nuovo a tali esperimenti, ma bisogna ammettere che, molte volte, il risultato di queste scelte non è dei migliori. Non è il caso di questo "A Matter Of Time": il basso tesse trame che, sebbene non siano mai particolarmente intricate, svolgono un lavoro splendido e non fanno mai rimpiangere la mancanza della sei corde... ma sto già correndo troppo, andiamo con ordine. Il suono degli Sloe Gin, nonostante sia molto spesso ibrido, ha dei punti in comune con le band da cui i nostri provengono: pezzi come "Lord Of Snowflakes" e "Dreams In A Jar" rimembrano in buona parte il Doom più classico, ammantandosi di una sensazione di cavernosa cupezza. I pori della nostra pelle vengono penetrati da un'atmosfera tutta italica, tipica di un certo movimento oscuro che nella Bel Paese ha sempre prosperato grazie anche a nomi quali Death SS, Black Hole e, ovviamente, i The Black. Un ulteriore punto di forza del lavoro è l'ipnotismo che caratterizza brani come "My Dog Is Beautiful" e "Bring On The Lion": queste, con il loro incedere ossessivo e sinuoso, strizzano l'occhio perfino al Rock progressivo; con le splendide "Spiritual Coma" e "Don't Be Afraid Of The Dark", poi, l'ascoltatore finisce per farsi completamente incatenare ed ammaliare da momenti dall'estensione molto tetra e greve che si intersecano con movenze decisamente più dilatate e oniriche.

C'è però ancora altra carne messa sul fuoco dagli Sloe Gin. Stupendo è, ad esempio, il modo in cui in "Islero" e in "Clouds Floating In A Blue Sky" viene orchestrata (con risultati strepitosi) la convivenza tra la monoliticità del Doom, movimentati tratti a tinte Stoner e l'attitudine visionaria di un certo tipo di narcotizzante psichedelia, la quale sarà sicuramente amata da tutti coloro che fanno della musica settantiana il proprio pasto quotidiano. Meritano altresì menzione a parte lo spericolato andamento alternativo di "Decline And Fall Of Progress And Illusions" e "Digital Space Wave", l'impareggiabile viaggio lisergico che chiude l'album.

"A Matter Of Time", pur rimanendo all'interno di un'intelligente "semplicità", risulta particolare, per alcuni versi "sperimentale". Ciò che ci viene presentato è una ricerca sonora che, senza fare uso di eclatanti e cervellotiche pirotecnie, impregna di qualità e di personalità un'opera che va ascoltata, vissuta, sviscerata, assimilata e, infine, amata. "A Matter Of Time" è un lavoro semplicemente bellissimo, forse ostico ai primi impatti, sicuramente ricolmo di vibrazioni e di passioni: un album meraviglioso e da non perdere per nulla al mondo!

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lunedì 2 settembre 2013

SAMAEL - Worship Him


Informazioni
Gruppo: Samael
Titolo: Worship Him
Anno: 1991
Provenienza: Svizzera
Etichetta: Osmose Productions
Contatti: SAMAEL, P.O. Box 898, 1920 Martigny, Switzerland
Autore: ticino1

Tracklist
1. Sleep Of Death
2. Worship Him
3. Knowledge Of The Ancient Kingdom
4. Morbid Metal
5. Rite Of Cthulhu
6. The Black Face
7. Into The Pentagram
8. Messenger Of The Light
9. Last Benediction
10. The Dark

DURATA: 41:07

Lessi poco tempo fa nel numero cinquantasei del Rock Hard tedesco, mia fonte d'informazione principale, di un gruppo svizzero che si presenta in maniera cruda. Si dice che abbiano addirittura l'intenzione di fare esplodere un maiale sul palco.

Girando a Zurigo il fine settimana passato, non persi l'occasione di spulciare gli scaffali ben forniti del Jamarico, miniera inesauribile di ritrovamenti e ispirazioni musicali. Guarda un po'... proprio "Worship Him" dei Samael mi capita fra le dita. Senza pensarci due volte lo compro. Come sarà? Secondo Frank Albrecht del citato Rock Hard si tratta di musica simile a quella degli Asphyx con tocchi dei vecchi Bathory (che non ho mai ascoltato) ed Hellhammer. Death Metal allora?

Incuriosito, poso subito il disco sul piatto del mio giradischi casalingo. Dopo un'introduzione di tastiera sono investito da una serie di note grezze e da una voce aggressiva. L'atmosfera generale è molto oscura e cupa. Non so se si possa parlare veramente di death metal. Mi permetto di accostare questa formazione vallesana a quei gruppi come Hellhammer o primi Sodom che ricevevano la definizione "black metal".

La canzone "Worship Him" è lenta, pesante e nera al massimo. Questa tendenza si protrae per quasi tutto il disco e ricorda un poco un rituale oscuro. Il mio pezzo favorito è probabilmente "Morbid Metal", che esce un poco dal seminato col suo riff accattivante e con un ritmo in parte sostenuto.

Chi di voi avesse le scatole piene della marea di uscite senza identità, farà bene ad accaparrarsi questo vinile. Con un poco di fortuna lo troverete in qualche scaffale sotto la "S".

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lunedì 26 agosto 2013

SUMMONING - Old Mornings Dawn


Informazioni
Gruppo: Summoning
Titolo: Old Mornings Dawn
Anno: 2013
Provenienza: Austria
Etichetta: Napalm Records
Contatti: facebook.com/SummoningBand
Autore: Akh.

Tracklist
1. Evernight
2. Flamminer
3. Old Mornings Dawn
4. The White Tower
5. Caradhras
6. Of Pale White Morns And Darkened Eves
7. The Wandering Fire
8. Earthshine

DURATA: 1:06:38

I Summoning già da due decenni sono il più fulgido riferimento per tutti gli amanti del mondo tolkieniano o fantasy in ambito Black Metal. Fin dal loro esordio primitivo e ruvido "Lugburz", titolo che mi intrigò già dalla sua uscita, il concept dello storico duo si è mosso unicamente fra le lande oscure della Terra di Mezzo, creandosi con il passare del tempo legioni intere di orchetti seguaci, fedeli alle orchestrazioni sinfoniche che vagavano fra tempi agitati, luoghi misteriosi o battaglie senza mercé. C'è da evidenziare inoltre come i nostri siano stati sempre una pedina atipica nello scacchiere di quella promettentissima scena austriaca della metà degli anni '90 che poi forse ha un po' deluso le attese. Per questi motivi la notizia di un nuovo album ha immediatamente scaldato migliaia di cuori neri e noi in redazione ci siamo preparati a trattare "Old Mornings Dawn".

Venendo ai nostri giorni, il passaggio di un lustro dal precedente capitolo non ha minimamente modificato i tratti somatici del gruppo, restituendoci Protector e Silenius in forma smagliante sin dall'eterea introduzione "Evernight", in cui il bisbiglio sommesso nella notte di un'elfa che mormora minacce e moniti che giungono dall'Est ci dimostra quanto ancora ci sia da scandagliare fra le leggende di J.R.R. Tolkien. Una volta entrati nel loro universo e calati fra le lande del Gorgoroth, non vi è modo di uscire dall'incantamento dei Summoning: "Flammifer" possiede le massime caratteristiche del progetto, tastiere oscure e sognanti, percussioni tribali e ossessive, mentre le urla distinguibili del duo svolgono quell'effetto di contrasto tipico di una sfida al mondo luminoso dei Valar, di cui il ricordo echeggia nei richiami delle grandi aquile e nel nome della Fiamma dell'Ovest.

Gli arrangiamenti sono molto in linea con una certa ricerca musicale medievale, nella quale vengono sovrapposti giri melodici e ritmici sui temi principali in maniera da creare una ragnatela di colori ammaliatrice e unica, come accade anche in "Old Mornings Dawn". Qualcuno potrebbe affermare che i Summoning giochino sempre con le medesime soluzioni e scale, ma è solamente l'orecchio di un profano e miscredente a cadere in questo errore, poiché la loro Arte è da considerarsi assolutamente in altra maniera e ad essere precisi ci sono veramente mille arrangiamenti in queste note senza tempo che suonano inediti e che riescono a dare nuovo respiro alle trame delle due anime incatenate al destino dell'Unico Anello. Succede nella sopracitata intro o nei cori imponenti di "Old Mornings Dawn" e nel suo stacco recitato, tuttavia potrei nominare pure il nuovo spirito vocale trasmessoci nella conclusiva "Earthshine", in cui traspare una vena maggiormente "pulita". Il tutto suona epico ai massimi livelli: i fiati, le chiarine e i tappeti di tastiera per paradosso portano a picchi ascendenti straordinari e ci indicano quanto questo progetto sia oramai un polo indiscutibile e unico per questa sezione del metallo nero, mentre le moltitudini di seguaci che vorrebbero ripercorrerne le orme finiscono con le ossa schiantate sui basamenti della loro Torre.

Anche la produzione percorre un sentiero inedito: da una parte mantiene fede a tutti gli stilemi degli austriaci, dall'altra riesce a sviscerare una forza quasi tridimensionale dei suoni, come se l'uscita della trilogia di P. Jackson avesse illustrato le possibilità per la tecnologia di ampliare i dettagli, pur mantenendo inalterato il mistero e la forza della proposta. Ci troviamo quindi di fronte a suoni che rispecchiano i sintetizzatori anni Novanta, sfruttandone il massimo potenziale, con un grandissimo risultato fonico in cui non si perde neanche una briciolo del pathos magico che da sempre fuoriesce in questa sede. Anche le chitarre hanno modificato il proprio impasto, mantenendo altissima la qualità, si veda "The White Tower".

Proseguendo nell'ascolto, come non farsi rapire dagli accenni orientaleggianti di "Caradhras", nella quale si percepisce come l'anima della montagna si sia fatta irretire dalla lunga esposizione a levante; le cornamuse e le percussioni invece giocano assieme, intrecciandosi con la linea di chitarra e con l'alternarsi di pianoforte e suggestivi cori in un incedere mastodontico dotato di una prova vocale isterica e scevra da fronzoli, tanto da riportarmi alla mente quei demo sepolti negli scantinati più di quattro lustri fa. Sovente vengono miscelate soluzioni differenti di batteria e situazioni tribali, creando un insieme vincente fra ambientazioni e durezza di suono, cosa che viene ribadita da "A Pale White...", dove viene inserita una linea di batteria senza altri arricchimenti per fare sfogare tutta la violenza degli scream infernali degli Spettri dell'Anello, in quello che si potrà definire l'ennesimo "classico" della band. Anche gli intrecci e le orchestrazioni dei Summoning sono e rimangono di un livello altissimo in ogni istante di questo ascolto.

La cosa che maggiormente continua a farmi riflettere è come questo album, al pari della loro grandissima discografia, sembri essere realizzato per illustrarci un viaggio, utilizzando quindi sia soluzioni di sottofondo che indicandoci dettagli di bellezza infinitesimale. Questo succede pure nella meravigliosa "The Wandering Fire", dove è veramente facilissimo farsi trasportare dall'odio dell'Unico Occhio e dal suo progetto incatenante e librarsi in maniera trascendente; andatevi ad ascoltare il pezzo dedicato all'Anello e percepirete come non abbia eguali in tutta la produzione targata Summoning, risultando appunto "Unico". Infine la melanconica "Earthshine" chiude questa ora abbondante di scorribande, scontri leggendari, corse nei passi del Cirith Ungol e nei sogni ambiziosi di stregoni e sovrintendenti, su cui il padrone del Witch King domina sprezzante, sognando il momento in cui le sue nubi copriranno lo scintillio di Arda.

"Old Mornings Dawn" dimostra così di essere l'ennesimo colpo vincente di Silenius e Protector all'interno di una discografia impressionante per qualità e bellezza, dirvi che andrà di diritto nella mia personale Top 5 di fine anno è certo, come sicure sono le vestigia di Tolkien in mano a questi austriaci, che risaltano in un mondo musicale apatico e talvolta noioso, inserendosi in uno spazio al di fuori dal tempo. Tutto ciò che i Summoning ci hanno sempre dimostrato e regalato è una imponenza sonora senza eguali, intrecciando in maniera personale un pantheon non semplice e ricchissimo di sfaccettature, in cui il duello fra la Luce e le Ombre non è questione di anni, ma di Ere, dove sogni e incubi si alternano senza riposo nel ricordo di Vecchie Albe.

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lunedì 19 agosto 2013

SCENT OF REMAINS - Under A Blackened Sky


Informazioni
Gruppo: Scent Of Remains
Titolo: Under A Blackened Sky
Anno: 2013
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/scentofremains
Autore: Mourning

Tracklist
1. F.Y.F.T.
2. The Forfeit
3. Hold You Under
4. From Ash We Rise
5. BTK
6. Exhale, Oblivion
7. Wakefield
8. This Present Darkness
9. Shepherd
10. Snake In The Grass
11. Parasite
12. Unholy
13. These Dying Days

DURATA: 55:34

In questi ultimi anni ho avuto modo di comunicare con tanti artisti, fra questi c'è anche Herb Himes, il chitarrista della band statunitense degli Scent Of Remains che mi ha tenuto aggiornato sull'evolversi della situazione interna alla formazione e sulle sue uscite. Oggi, dopo aver avuto occasione di scrivere del debutto "Mind.Thought.Fear" nel 2010 e del "Promo" nel successivo 2011, ho l'opportunità di dire la mia su "Under Blackened Sky". Il loro secondo lavoro è un album che in parte modifica il tiro, aggiungendo una componente melodica e una fruibilità maggiormente accentuate, soprattutto per quanto concerne le aperture in voce pulita.

La band di Knoxville continua a muoversi su coordinate perlopiù comuni a quelle del debutto tramite l'utilizzo del metodo del bastone e della carota, orchestrato in maniera più che soddisfacente per garantire alle tracce sia impatto che piglio orecchiabile, grazie al possente groove e al riffato spesso in bilico fra le due aree. Così facendo viene fornito lo spazio alle intrusioni solistiche di Herb e all'alternanza fra cantato aggressivo growl / scream e pulito per filtrare e apportare cambiamenti significativi all'atmosfera dei vari pezzi. Le migliorie procurate alla fase di composizione non fanno registrare chissà quale stravolgimento nell'operato del gruppo, che però ha acquisito una dimestichezza maggiore nello sfruttare le influenze da cui trae spunto. Troviamo quindi brani come "BTK", "Snake In The Grass" e "Parasite" (noti perché contenuti nel "Promo"; della seconda preferisco addirittura proprio quella versione) che ci ricordano quanto fossero già preparati in tal senso, mentre episodi quali l'acustica "Wakefield" (che potrebbe far pensare agli excursus in questi territori da parte di Corey Taylor degli Slipknot) e la scura e galleggiante "Shepherd" (nella quale inizialmente è possibile constatare l'intromissione degli Alice In Chains) mettono sul piatto ulteriori riprove del fatto che gli Scent Of Remains abbiano le idee ben chiare sul come e dove vogliano andare a parare.

"Under A Blackened Sky" è metallo ibrido composto, suonato e prodotto con cognizione di causa, adatto a coloro i quali seguono la scena groove e le correnti alternative, ma che al tempo stesso potrebbe risultare un ascolto non poi così indigesto anche per chi non necessariamente si rinchiude in scelte unicamente old school. Qua ci sono passione e buona musica.

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lunedì 5 agosto 2013

SPACE MIRRORS - The Other Gods


Informazioni
Gruppo: Space Mirrors
Titolo: The Other Gods
Anno: 2013
Provenienza: Russia
Etichetta: Transubstans Records
Contatti: facebook.com/SpaceMirrors
Autore: Mourning

Tracklist
1. Stranger In The Mirror
2. The Nameless City
3. She Devil
4. Frozen City Of Cubes And Cones
5. (The Case Of) Red Hook
6. Strange High House
7. Times Unknown
8. The Other Gods
9. Doom Of Sarnath

DURATA: 56:01

La russa Alisa Coral e la brigata di artisti che da vita al progetto Space Mirrors, nei quali è riscontrabile una folta presenza di musicisti nostrani (Martyr Lucifer, Claudio Tiracanti e Amon 418), ritornano in scena a distanza di un anno dall'uscita del quarto capitolo discografico "In Darkness They Whisper". Il quinto disco, "The Other Gods", prosegue il discorso legato alla serie "Cosmic Horror", giungendo così al secondo episodio delle uscite ispirate dalla figura del maestro di Providence H.P. Lovecraft.

Gli Space Mirrors rispetto a quanto prodotto nel recente passato hanno compiuto qualche piccolo, ma significativo, passo in avanti: se le qualità di base che hanno reso gradevole l'album antecedente sono rimaste invariate, come l'ottima prestazione vocale di Martyr Lucifer (nonostante sporadiche sezioni in cui sembra quasi che arranchi) e quella di Bless al piano e alle tastiere, in questa nuova uscita abbiamo una composizione ora lievemente più varia e accattivante e una produzione che, almeno per quanto concerne l'aspetto atmosferico, si adegua in maniera più corretta alla funzione di estensore psichedelico-horrorifico.

Purtroppo però i difetti anche in questa circostanza non mancano. Mi dispiace dover nuovamente criticare, seppur in parte, il lavoro svolto dietro al mixer: in certe occasioni sia la chitarra che la batteria vengono penalizzate, la prima soprattutto nei fraseggi solistici che ricevono poca spinta; riguardo le percussioni, invece, in certi momenti ci si domanda quasi se la batteria sia munita di cassa tanto è scarso il volume assegnatole.

"The Other Gods", pur con le sue piccole pecche, è un buon ascolto: le tracce in apertura "Stranger In The Mirror" e "Nameless City" sono il simbolo della voglia d'esplorare e andare oltre ciò che avevano già raggiunto; belle anche le varie divagazioni-espansioni che si addentrano in ambito prog-space, che stranamente diventano sbilenche in "Strange His House", episodio nel quale il sassofono dell'ex Hawkwind Nick Turner si ritaglia un angolo tutto suo, e che assumono un retrogusto epico in "Times Unknown", con l'intero complesso musicale avvolto spesso e volentieri da una scia gotica mai eccessiva, tesa a fornire un contorno ambientale aggiuntivo.

In chiusura, un po' come per "In Darkness They Whisper", un paio d'interrogativi permangono: Alisa e soci riusciranno a trovare la propria chiave di volta? La materia prima qualitativamente discreta, ma da affinare, riceverà in futuro un trattamento consono? Potrei porre la parola fine con il solito "chi vivrà, vedrà", tuttavia sarebbe ingeneroso nei confronti di una prova che comunque costituisce un passo in avanti nella discografia degli Space Mirrors. Preferisco quindi consigliarvi il passaggio nello stereo, in attesa di capire ulteriormente se la strada imboccata dal gruppo sia davvero quella corretta.

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lunedì 22 luglio 2013

SATANIC THREAT - In To Hell


Informazioni
Gruppo: Satanic Threat
Titolo: In To Hell
Anno: 2013
Provenienza: Stati Uniti
Etichetta: Hell's Headbangers
Contatti: myspace.com/satanicthreat
Autore: ticino1

Tracklist
1. Guilty Of Hating Christ
2. He's On The Cross
3. Small God, Big Cross
4. Satanic Threat
5. I Ain't Gotta Worship
6. Being Black
7. Cursing At The Cross
8. Don't Follow Him
9. He's On The Cross [live]
10. Small God, Big Cross [live]
11. Satanic Threat [live]
12. I Ain't Gotta Worship [live]
13. Being Black [live]
14. Cursing At The Cross [live]
15. Don't Follow Him [live]
16. Steppin' Stone [live]

DURATA: 23:42

La casa Hell's Headbangers sembra stia tentando di scavare anche nel sottosuolo di altri generi; forse con il black e simili non si guadagna più abbastanza (punto di domanda personale). La verità è che, forse, l'etichetta conosce i membri da qualche tempo; infatti, si tratta di signori dei Nunslaughter e Midnight. Diamo il benvenuto ai Satanic Threat provenienti dall'Ohio!

Il disco è in verità una raccolta contenente il sette pollici immesso sul mercato nel 2008 che dura poco più di dieci minuti e una registrazione live di discreta qualità. Che cosa ci offre questa formazione? Le tracce onorano l'hardcore rozzo della prima ora nello stile The Abused, anche gli amici degli Agnostic Front potrebbero trovarcisi bene, e il punk statunitense, cito qui i Minor Threat. È quasi superfluo ricordare che le piste sono veloci e prive di compromessi. Il trio arrotonda il tutto con un tocco satanico decorato da una bella strizzatina d'occhio.

Sarò onesto: la musica dei ragazzi non mi eccita particolarmente, ho ascoltato troppo hardcore nei lontani Ottanta e Novanta, ma sono convinto che il gruppo abbia abbastanza potenziale da diventare un classico sul continente nordamericano. Lasciamoci sorprendere.

Per ora ascoltatevi il lavoro e gustatevi ogni nota; chissà che uno di voi, stimati lettori, riesca così a scoprire un nuovo gruppo preferito?

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lunedì 15 luglio 2013

SOULS FOR SALE - Scavengers

Informazioni
Gruppo: Souls For Sale
Titolo: Scavengers
Anno: 2013
Provenienza: Bielefeld, Germania
Etichetta: WOOAAARGH / Olympus Mons
Contatti: facebook.com/soulsforsale
Autore: Bosj

Tracklist
1. The Great Deluge
2. Walking On Pain Street
3. Scavengers In Suits
4. Fromselflootingtoanassaultdrivenapproachofbreakingfree
5. The King Of Kong
6. The Circus Is In Town
7. Zielenvisserij
8. The Libya Gundown Incident
9. Dead Men Tell No Tales
10. Acquainted Black
11. Almerìa

DURATA: 40:38

L'hardcore sta proprio tornando di moda, o forse non se n'è mai andato e me ne sto accorgendo solo ora; sta di fatto che i tedeschi Souls For Sale danno alle stampe il loro "sophomore album", il secondo lavoro in studio che segue il debutto datato 2010 "All My Favorite Love Songs Are By Cannibal Corpse".

"Scavengers", questo il nome, mi duole dirlo, ma non è altro che... l'ennesimo disco hardcore. Punto. Ben suonato, monolitico al punto giusto, marcio altrettanto, non particolarmente veloce, però incazzato quanto basta, semplice e diretto. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole, con la differenza che, rispetto a un buon album di genere, nel caso dei cinque di Bielefeld, si fa un po' fatica ad arrivare in fondo, probabilmente a causa di un riffing poco incisivo, forse troppo riciclato e carente di spunti, se non personali, quantomeno accattivanti. Il lavoro prende molto le mosse dall'operato più "post-" (-hardcore, -metal, ciò che preferite), quindi è molto vicino alle solite correnti americane facenti capo a Scott Kelly & soci, con la differenza che "Scavengers" non si avvicina minimamente alle profondità e alle emozioni toccate dai Neurosis o dagli altri pesi massimi del genere. Gli undici brani, tutti improntati alla critica sociale aspra e di stampo "senza compromessi", scivolano via senza farsi riconoscere o spiccare in qualche maniera, con l'unica variazione data dalla conclusiva "Almerìa", momento più dilatato e vicino allo sludge di tutto il disco (e non a caso, assieme a "Dead Men Tell No Tales", brano più lungo del lotto, che sfiora i sette minuti), nonché episodio più riuscito di tutto questo nuovo album.

Magari è la produzione moderna e dai suoni molto asciutti, magari la poca personalità dei singoli brani, ma il risultato finale è un lavoro "for fans only", per i soli appassionati che si nutrono di hc dalla mattina alla sera e che indubbiamente sapranno trarre dai Souls For Sale una discreta soddisfazione. Sotto altri sguardi, "Scavengers" passerà piuttosto inosservato, catalogabile come disco "formalmente corretto", tuttavia con poco da dire a livello contenutistico.

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SPECTRAL PARK - Spectral Park


Informazioni
Gruppo: Spectral Park
Titolo: Spectral Park
Anno: 2013
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: Mexican Summer
Contatti: facebook.com/spetralparkade
Autore: Mourning

Tracklist
1. L'Appel Du Vide
2. Ornaments
3. Nausea
4. Lows
5. Colours
6. Shells
7. Filler #54
8. Still
9. Cut
10. Get You Gone
11. The Thief's Journal
12. Generation Loss

DURATA: 41:48

Spectral Park è il nome del progetto del polistrumentista britannico Luke Donovan: a quanto pare l'artista, dopo aver trovato una vecchia raccolta di dischi racchiusi in un contenitore che era stato gettato nella spazzatura, decise di riprendere le sonorità di quei vinilii, infilando un campionamento dietro l'altro e rendendo il suono ancora più ricco e caotico; aggiunse poi la propria strumentazione e la componente vocale. Da questo esperimento è nato il suo primo album intitolato proprio "Spectral Park".

Il pop viene interpretato in maniera singolare, lo-fi, schizoide e psichedelica, la musica divaga costantemente, cambiando con frequenza atteggiamento ritmico, è volubile e casinista, divenendo quasi un mix molto strano di sensazioni sessantiane e ottantiane, con la voce di Luke che s'incastra stravagantemente bene in questo contesto così lunatico. La scaletta è affascinante, perché è capace di rappresentare una gamma di scenari alquanto disparati: da situazioni nelle quali si percepisce una sorta di divertimento adolescenziale si passa ad altre in cui pare di vagare nello spazio, passando per attimi di puro stordimento creati da onde nebulose suadenti e ambientazioni che tendono a inghiottire ciò che sta loro intorno tramite un miscuglio di suoni continuo e dissestato. Spiccano così brani come "Ornaments", dall'andamento altalenante e abbondantemente melodico, "Colours" e "The Thief's Journal", intraprendenti e scatenate nell'uso dei campionamenti, e "Cut", vibrante ed energica.

Il bello è che fra un'incursione di organo hammond, una serie di fruscii e il wah wah che appare e scompare si è talmente immersi in questo mondo analogico, che emette un calore e una vitalità difficilmente comprensibili e apprezzabili da coloro che hanno inquadrato nel tempo il "pop" all'interno del settore comprendente "musica semplice e inutile", che t'imbamboli, entrando automaticamente in fase relax.

"Spectral Park" non è poi un lavoro così facile da assimilare: qualche problema nell'approccio inizialmente potrebbe anche sorgere a causa del suo essere retrò e dello stile compositivo di Donovan tutt'altro che lineare; ci vuole un pizzico di dedizione nel ricercare il bandolo della matassa in questa collisione di suoni, ma una volta che ne sarete entrati in possesso gli Spectral Park diverranno una compagnia appetitosa, seppur rivolta a una sparuta e interessata nicchia di ascoltatori.

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KING BONG - Space Shanties


Informazioni
Gruppo: King Bong
Titolo: Space Shanties
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Moonlight Records
Contatti: facebook.com/kingbongofficial
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Even 50 Feet Hamsters Have Feelings
2. Of Bong And Man
3. Inhale On Main Street
4. Kilooloogung
5. A. B. Ong
6. Cthulhu

DURATA: 01:03:52

Vi ricordate dei King Bong? Il trio milanese è nostro gradito ospite per la quarta volta, dal momento che in passato il sottoscritto si occupò di "How I Learned To Stop Worrying And Love The Bong"  e del successivo "Alice In Stonerland", mentre il nuovo disco "Space Shanties" ci è stato raccontato un paio di mesi fa dal nostro buon Leonard Z. Perché scrivere dunque ancora dello stesso album? E chi lo sa, le ragioni potrebbero essere una miriade, quindi non indugio oltre e passo a introdurvi il nuovo parto dei musicisti nostrani.

"Space Shanties" si presenta come un calderone musicale in cui si mescolano vari ingredienti, come un flusso di ispirazione ad ampio raggio che, nel suo insieme, ci mostra una band consapevole dei propri mezzi e che padroneggia la materia trattata con ardore e maestria. Con "Even 50 Feet Hamsters Have Feelings" e "Kilooloogung" veniamo investiti da influssi di onirica psichedelia astrale che elettrizzandosi produce sfiancanti marce Stoner / Doom capitanate dall'attitudine drogata propria di gente come Bongzilla ed Electric Wizard. L'altra faccia della medaglia è rappresentata da divagazioni lisergiche che ottenebrano i sensi, che annegano la mente nella quiete e nell'acidità di stati di coscienza decisamente alterati.

In pezzi come "Of Bong And Man" e "A. B. Ong" è invece predominante una grezza visceralità di stampo Stoner Rock, la quale viene comunque edulcorata da fughe sessantiane mescolate con influenze tipiche del decennio successivo. Certo, voi obbietterete giustamente che senza le suddette influenze questo tipo di musica di fatto non esisterebbe, ma i King Bong, con "Inhale On Main Street", arrivano addirittura a innestare irriverenti puntate funky, dimostrando così un'ulteriore dose di personalità. La battuta finale di "Space Shanties" è "Cthulhu", traccia che, come a voler mantenere fede al titolo che porta, si apre adornandosi di tratti dall'incedere quasi tribale e ritualistico, per poi immergerci gradualmente in uno scuro pozzo di magma lisergico che sarà il portale verso mondi arcaici e dimensioni aliene: qui viaggeremo a lungo prima di poter assistere all'allineamento stellare che preannuncerà il risveglio del Grande sognatore.

I King Bong, stando a quanto scritto nel libretto del digipak, tengono a farci sapere che il disco è totalmente privo di sovraincisioni di sorta e, in effetti, l'ascolto non smentisce questa affermazione: "Space Shanties" dimostra una spiccata attitudine da jam session, un'enorme, gigantesca jam session completamente strumentale della durata di più di un'ora. Non starò a tirarla tanto per le lunghe, perché torrenti di parole non potranno mai eguagliare il valore di questo album. Il modo migliore per vivere "Space Shanties" è semplicemente chiudere ogni apertura verso l'esterno (occhi compresi), sdraiarsi e lasciarsi annebbiare le sinapsi senza opposizione alcuna. 

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lunedì 1 luglio 2013

SEAL OF BELETH - Slow Music For Dead People


Informazioni
Gruppo: Seal Of Beleth
Titolo: Slow Music For Dead People
Anno: 2013
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/Seal-Of-Beleth/109197835811835
Autore: Mourning

Tracklist
1. Doomed To Insanity
2. Beleth
3. The Blood On Satan's Claw
4. The Ancient Astronaut
5. Old Man
6. Whore Of Azrael

DURATA: 01:05:39

I Seal Of Beleth sono una band stupenda che sinora ci ha regalato due perle in formato demo: "Doomsanity Control" e "II", entrambe recensite dal sottoscritto. Adesso ho finalmente tra le mani il loro primo album intitolato in maniera indovinatissima "Slow Music For Dead People".

Il trio finnico composto da A. Klemm (basso e voce), J. Kostamo (chitarra e voce) e M. Kallio (batteria) ha deciso di farmi godere nuovamente, non che mi aspettassi di meno da loro, poiché mi avevano già convinto alla grande in precedenza, però ripartendo dalle orme impresse in passato, ben 4/6 del disco è stato ripreso da quanto prodotto antecedentemente. Sono riusciti così a conferire ai pezzi noti un'identità ancora più definita, matura e completa, aggiungendo a quel quartetto di perle altre due canzoni di gran valore.

La formazione si muove ad ampio raggio, inflessioni del suono classiche, stoner, epiche ed estreme convivono percorrendo a braccetto sentieri resi impervi dalle coltri fumose e grigie che diventano ossessive e seducenti nei frangenti in cui l'uso della voce pulita e le chitarre malinconiche prendono piede. In altre circostanze invece quelle stesse nebbie si addensano e inscuriscono, arrivando a tingersi di nero a causa del sovraccarico dovuto alla maggiore severità espressiva e a un uso del canto decisamente più sporco e cupo; la nuova traccia "The Blood On Satan's Claw" n'è esempio lampante grazie a un vissuto in bilico tra ritualismo epico e decadere malevolo, bello poi quel breve stacco acustico che fa respirare il brano prima dell'ennesima immersione in territori battuti da cadenze ritmiche grevi e arcigne.

Che dire poi della seconda new entry "The Ancient Astronaut"? Iommi sia lodato è il minimo. L'ispirazione sabbathiana della traccia è innegabile, ovviamente è più nera, ruvida e affine alla visione dilatata e spietatamente massiccia della quale sono portatori i Seal Of Beleth, incastrandosi così alla perfezione in una scaletta che fa davvero paura.

Questi tre artisti hanno confezionato l'ennesima autoproduzione di qualità elevata, viene quindi proprio da domandarsi per quale motivo non siano stati presi in considerazione da nessuna etichetta degna di essere chiamata tale per entrare a far parte di un roster ambizioso: come si fa a non dare credito a uscite dalle indubbie doti come "Slow Music For Dead People"? Sveglia signori, sveglia! Non mi rimane infine che esprimere la mia soddisfazione nel riscontrare che il pensiero positivo espresso nelle recensioni pubblicate anni addietro sia stato confermato e avvalorato da un così bel debutto, i finnici avevano la possibilità di dire la loro e l'hanno detta eccome. Se al tempo decideste di entrare in possesso di "Doomsanity Control" e "II", odiernamente non potrete fare a meno di acquistare questo disco, è la cosa giusta da fare.

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lunedì 24 giugno 2013

SHININ' SHADE - Sat-Urn


Informazioni
Gruppo: Shinin' Shade
Titolo: Sat-Urn
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Moonlight Records
Contatti: facebook.com/pages/SHININ-SHADE/169113931530
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Our Time And Space
2. Keyhole / Inner Saturn
3. Over-Sea Nightmares
4. Through The Wires Of Your Mind
5. Nowhere Dimension
6. Denied Lovers
7. Epic Talking

DURATA: 48:10

Avevamo lasciato gli Shinin' Shade nel 2011 con la recensione del debutto omonimo e li ritroviamo oggi, a più di due anni di distanza, con un nuovo album intitolato "Sat-Urn". Forte della pubblicazione di un EP intermedio nel 2012 e dell'aggiunta di Jane-Esther Collins dietro al microfono, il quintetto parmigiano si ripresenta a noi potenziato, più maturo e fortemente evoluto nella personalità. Le radici della proposta non sono mutate, ma sono state inglobate all'interno di uno spettro artistico più ampio e, permettetemi di affermarlo, più consapevole.

Si para dinanzi a noi, in "Our Time And Space" e nella splendida "Through The Wires Of Your Mind", una costruzione edificata sulle solide fondamenta di un riffing indiscutibilmente Doom, un riffing tanto debitore ai classici Black Sabbath quanto efficace nel coniugare influenze Stoner, momenti di sinuosa psichedelia d'alta scuola e sentori di Rock occulto. Compagini come Jex Thoth e Blood Ceremony divengono oltretutto inevitabili pietre di paragone in virtù della voce di Jane, la quale impatta sull'andamento musicale sempre con la propensione adatta, qualunque sia l'umore evocativo del momento.

Un altro punto focale dell'album è senza dubbio il drappo scuro che riveste pezzi come "Keyhole / Inner Saturn" e "Nowhere Dimension" in cui tratti orrorifico-sacrali sembrano fare capolino all'interno di lentissimi, esoterici e avvolgenti percorsi musicali, nei quali è facile individuare tratti Dark tipici dei maestri del Doom italico. In "Over-Sea Nightmares" e "Denied Lovers" ci possiamo invece confrontare con un'anima doomica unita a movenze che non si fanno pregare per tradire le proprie radici settantiane (il nome Blue Cheer vi dice qualcosa?), movenze ormai conosciute a menadito (e sempre fottutamente ben accette, sia chiaro) da ogni appassionato di Doom, di psichedelia occulta e di viaggi astrali. Tocco di classe, la voce di Jane ricorda a volte quella della suadente strega Jinx Dawson che evoca demoni e infernali regnanti di ogni sorta.

Non vi ho ancora convinti? Allora vi lascio l'ultima ciliegina sulla torta che prende il nome di "Epic Talking", un concentrato di pura psichedelia esoterico-astrale da togliere il fiato, una bomba di lisergia cosmica che, in un continuo rincorrersi di sensazioni mistiche e fisiche, chiude il disco in bellezza. E noi rimaniamo lì, a vagare in un universo illimitato da cui forse non faremo ritorno, ma nel disgraziato caso in cui ciò succedesse gli Shinin' Shade saranno di nuovo pronti a riportarci immediatamente indietro.

E allora che cosa cazzo state aspettando, signori miei? Portatevi a casa questo disco, credetemi, con tutto il cuore: di capolavori come "Sat-Urn" non ne escono mica tutti i giorni, sapete!

...Close your eyes, go in a trance
become one with universe, the great masters surround you
let your darkness burn in the live flame...

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VEIA / SORTILEGUS - Consecutio Temporum



Informazioni
Gruppo: Veia / Sortilegus
Titolo: Consecutio Temporum
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Ogre Records
Contatti: Bandcamp Veia - Facebook Veia - Facebook Sortilegus
Autore: Akh.

Tracklist
1. Veia - Canto Di Battaglia
2. Veia - Culla D'Italia
3. Sortilegus – Spleen
4. Sortilegus - Transylvanian Forest

DURATA: 22:24

Oggi ci inoltriamo nelle viscere dei sotterranei metallici più puri, andando ad analizzare lo split fra due giovani gruppi che si orientano senza mezzi termini nei meandri profondi del Black Metal: più Raw e dalle tinte liriche Pagan i Veia (che prendono il nome dalla famosissima città-stato etrusca fra Toscana e Lazio), più classicamente norvegese la proposta dei Sortilegus.

Le danze le aprono i Veia con "Canto Di Battaglia", brano che sia per produzione che taglio della scrittura appare immediatamente affilato e aspro, il suono della drum machine forse penalizza un po' il tutto, risultando troppo meccanico e freddo; trattandosi però della prima uscita del gruppo, Haruspix Heliogabalus sicuramente ne farà tesoro per il prossimo lavoro. In definitiva, nonostante certi difettucci, un brano piacevole per chi è abituato al vetriolo di certo underground. Il riffing dal canto suo è asciutto e non lascia molti margini alla melodia spiccia, per quanto risulti molto mimale in alcuni casi, come succede in "Culla D'Italia" dove regna un particolare equilibrio fra la chitarra e il basso. Purtroppo non sempre sono riuscito a decifrare la proposta, vuoi per i suoni scelti vuoi per certi arrangiamenti negli stacchi che sarebbero dovuti essere più omogenei. Ad ogni modo probabilmente gli amanti di Ildjarn e affini apprezzeranno queste scelte. Molto ficcante e con un certo piglio distorto infine la voce, un vero paletto acuminato che possiede un taglio sinceramente estremo e a mio avviso potrebbe essere una buona base per il futuro prossimo.

Curioso il fatto che ci sia poca inclinazione a sperimentare il lato più folk? Ho chiesto al diretto interessato e mi ha spiegato che alcuni fiati etnici verranno inseriti per avvalorare maggiormente le tinte "esoteriche" e folkloristiche dei contenuti etruschi che vengono trattati, prendendo come musa ispiratrice certa musica dei Kawir. Attendiamo quindi fiduciosi i progressi di questo progetto che andrebbe seguito almeno per la convinzione e l'atipicità della proposta concettuale di nicchia.

Nella seconda parte dello split i Sortilegus mostrano due facce: da un lato la strumentale "Spleen" è maggiormente varia e dai tratti visionari quasi surreali per un gruppo black metal, riportandomi alla mente certe prime opere di Green Carnation e In The Woods... per l'approccio quasi progressivo; dall'altro lato in "Transilvanian Forest" esce allo scoperto il più puro spirito crudo del black metal, in linea con certi Darkthrone epoca "Transilvanian Hunger", le chitarre sono taglientissime e la produzione a volte si satura in eccesso, risultando così ostica per i "mosci" che non masticano questo tipo di scudisciate acustiche. Il brano in sé ha un gran tiro, essendo molto intenso sia nella proposta che nella interpretazione al limite dell'esasperato, il risultato sarebbe quello di un "Nattens Madrigal" degli Ulver sporcato ulteriormente nella produzione, ma mantenendone inalterato lo spirito primitivo.

La direzione sonora legata a Sortilegus è quindi sdoppiata ed entrambe le vie possiedono qualcosa di buono in seno, andrà ora compreso cosa Winter vorrà realizzare in futuro, magari riuscirà ad amalgamare al meglio le proprie influenze, andando incontro a suoni maggiormente Fleurety o Forgotten Woods, ma questo è ancora presto per poterlo dire.

In definitiva "Consecutio Temporum" è uno split dal taglio ruvido e feroce che fa uscire dalla tana due gruppi con ampi margini di miglioramento, è un lavoro che si dovrebbe possedere se si è estremisti del più radicale underground e che propone due complessi da rivalutare in futuro, in quanto potrebbero veramente sviluppare qualcosa di interessante e personale. Se non avete "correlazione dei modi", provate con i Veia e i Sortilegus, magari riusciranno ad ampliarvi certi orizzonti.”

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lunedì 20 maggio 2013

SITUS MAGUS - Le Grande Oeuvre

Informazioni
Gruppo: Situs Magus
Titolo: Le Grand Oeuvre
Anno: 2013
Provenienza: Rhône-Alpes, Francia
Etichetta: Avantgarde Music
Contatti: facebook.com/pages/Situs-Magus/281820795175510
Autore: Bosj

Tracklist
1. Intro
2. Oeuvre Au Noir
3. Oeuvre Au Blanc
4. Oeuvre Au Jaune
5. Oeuvre Au Rouge

DURATA: 49:28

Del progetto Situs Magus non si sa nulla all'infuori della provenienza, la Francia, e del fatto che si tratta di una one-man band. E già per scoprire che si tratta di un progetto solista bisogna spulciare i comunicati dell'etichetta, poiché da parte della band tutto tace (la pagina Facebook è aggiornata ad agosto 2012, e non esiste alcun altro contatto).

La nostrana Avantgarde Music presenta al grande pubblico un nuovo, interessante progetto black metal "importante". Importante per il simbolismo, per l'ermetismo, per l'esoterismo di cui "Le Grand Oeuvre" ("Magnum Opus", la Grande Opera) si fa portatore. Cinque brani, tra cui una breve introduzione, ma nel booklet nessun testo e in generale nessuna informazione accessibile, bensì iscrizioni latine, immagini che non sarebbero fuori posto in un libro di alchimia del XVII secolo e un'illustrazione centrale di estrazione religiosa in cui i testi sono per metà latini e per metà enochiani, esattamente come accade nella copertina, dove un corvo, un teschio, alambicchi vari, libri di incantesimi e persino una sfinge lasciano ben poco spazio a significati contingenti. I riferimenti chiari, tuttavia, sono quelli legati proprio all'alchimia, nel cui contesto il "Magnum Opus" simboleggia la riuscita creazione della pietra filosofale, e il cui processo creativo, appunto, è diviso nei quattro successivi momenti del nero, del bianco, del giallo e del rosso.

La musica, dal canto suo, dà tutta l'aria di essere parte di quel filone filosofico-religioso sullo stile di Ondskapt e, soprattutto, Deathspell Omega: ritmi sincopati, ma con aperture atmosferiche, scream imperterrito, strutture litaniache che fanno assumere al brano i connotati del cerimoniale, più che della tradizionale forma canzone. Un cerimoniale oscuro, deviato, malato e tetro, in cui vendere la propria anima al diavolo sarebbe probabilmente una scelta obbligata. Tutto è ottimamente amalgamato, e la sensazione di già sentito non è mai esagerata, seppure il disco si attesti su binari ormai piuttosto classici per il genere. Lo stacco tra i quattro diversi momenti è difficilmente percepibile, poiché l'atmosfera che permea questi cinquanta minuti di musica è rarefatta ed estremamente coesa: anche l'urlo disumano che apre l'ultimo brano, per quanto il distacco tra il prima e il dopo sia netto, non dà in alcun modo l'impressione di essere slegato dal resto del lavoro. L'aspetto musicale quindi, di nuovo, è ben costruito e ben rappresentato in "Le Grand Oeuvre", il che non potrà fare altro che la felicità dei cultori di questa corrente, tuttavia non ci si scrolla mai di dosso la sensazione di non riuscire a cogliere appieno la portata di questo lavoro a causa dell'impermeabilità del progetto e del suo contesto.

Non si può che prendere atto dell'esistenza di Situs Magus, apprezzarne lo sforzo e attendere che qualcuno o qualcosa ci fornisca una chiave di lettura completa per comprendere i misteri dei processi alchemici, dell'esoterico raggiungimento di obiettivi cui l'uomo anela dalla notte dei tempi. Senza dubbio il portato occulto ed esoterico di questa Grande Opera è dirompente: tentare di decifrarlo sarà un piacere.

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lunedì 6 maggio 2013

SLAYER - South Of Heaven


Informazioni
Gruppo: Slayer
Titolo: South Of Heaven
Anno: 1988
Provenienza: U.S.A.
Contatti: slayer.net
Autore: Akh.

Tracklist
1. South Of Heaven
2. Silent Scream
3. Live Undead
4. Behind The Crooked Cross
5. Mandatory Suicide
6. Ghosts Of War
7. Read Between The Lies
8. Cleanse The Soul
9. Dissident Aggressor [cover Judas Priest]
10. Spill The Blood

DURATA: 36:54

Inutile girarci attorno, aspetto questo disco degli Slayer in fibrillazione da quando ho letto nelle riviste specializzate che erano pronti a registrare in studio, perché per me gli Slayer sono il Death Metal!

In seguito a quel massacro sonoro che è stato "Reign In Blood", la mia vita non è stata più la stessa e quindi l'attesa per "South Of Heaven" è altissima. Il puzzo di zolfo trasuda immediatamente già dal suggestivo titolo, oltre che dalla azzeccatissima copertina. Infilo il disco sul piatto, calo la puntina... e vengo letteralmente investito da un riff tetrissimo, una scala di note lugubri mi acchiappa immediatamente per scaraventarmi all'Inferno. Il ritmo è un po' sotto misura rispetto a "Reign In Blood", ma la malignità dei californiani si è espansa a dismisura, forse riavvicinandosi maggiormente al death metal di "Hell Awaits"!

Araya è il solito demone che squarcia la sua ugola, mentre le asce di Hanneman e King macinano riff granitici affrescando un inferno sonoro maiuscolo, che Lombardo impreziosisce con partiture di batteria ricche di pathos e inserimenti di doppia cassa fulminanti ad accompagnare le ritmiche schiacciasassi che i quattro alfieri della morte rilasciano per tutta la durata dell'album. Potenza, perizia tecnica, devastazione, insanità e gusto per l'estremo: gli Slayer di "South Of Heaven" continuano a essere questo. Gli assoli sono malati e ricchi di feedback e vibrati, l'elemento della solistica sta facendosi sempre più campo, divenendo una vera scuola per tutti quei demoni voraci di suoni saturi e al limite dell'umano.

Il filotto snocciolato con "Silent Scream", "Live Undead" (titolo già utilizzato per il celeberrimo mini live) e "Behind The Crooked Cross" ci dimostra che lo stato di salute del gruppo è al massimo e anche in questo caso non ha nessuna intenzione di abdicare. Fra urla laceranti e pennate assassine si giunge alla fine del lato con una superba "Mandatory Suicide", dotata di un incedere morboso (il finale è da massacro e delirio) e trita-vertebre, realizzando il non facile compito di fare cinque centri in cinque pezzi. Sono esaltato e credo che girare il piatto non potrà che favorire questo stato di cose.

Si riparte con "Ghosts Of War" che è il perfetto prosieguo della pluri celebrata "Chemical Warfare", in cui si torna a pestare giù di brutto. Le chitarre sono affilate come baionette puntate alla gola, le tetre melodie che ne fuoriescono sovente possiedono l'alone mortifero in cui ci si sente come fantasmi deliranti, come morti in cammino e il riflesso della Falce Scura è pregnante in ogni nota.

L'enfasi con cui attaccano le nostre menti fa impressione, la schizofrenia emanata dalla coppia King-Hanneman non ha eguali al mondo, la classe cristallina di Dave Lombardo non accenna ad affievolirsi. Gli Slayer continuano a essere il polo d'attrazione per tutti i malati della musica più marcia e maligna mai esistita. Non si percepisce il minimo calo, le vibrazioni rilasciate da "Read Between The Lies" e da "Cleanse The Soul" sono già dotate dell'incedere dei grandi classici del gruppo. Gironi danteschi espressi in musica, le visioni di Bosch (di cui si intravedono alcuni particolari nelle orbite della copertina) realizzate con strumentazioni elettriche, il coronamento dell'enfasi demoniaca.

Tralasciando la cover omaggio alla leggenda del metal Judas Priest, preferisco incentrare la mia attenzione su quel capolavoro che è "Spill The Blood". L'atmosfera è macabra, ispirazione, genialità, violenza e perversione sono racchiuse nelle deliranti urla di Tom Araya, su cui l'Angelo della Morte può banchettare con le ossa spolpate della mia carcassa, che offro in sacrificio assieme al mio sangue. Capolavoro!

Gli Slayer sono tornati! I demoni degli Inferi gozzoviglieranno con le vostre anime e voi renderete loro omaggio. Inchinatevi davanti al loro trono, inchinatevi ai signori indiscussi del Death Metal, ai signori indiscussi della Morte.

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