Informazioni
Gruppo: Legionarii
Titolo: Disciples Of The State
Anno: 2013
Provenienza: Germania
Etichetta: Rage In Eden
Contatti:
Autore: Istrice
Tracklist
1. Enter The Global Union
2. Ordo Ab Chao
3. The Inner Circle
4. Aristocracy
5. World In Flames
6. The State
7. Blood Of Millions
8. Strength & Power
9. The Titan
10. Dominion (Lux Aeterna)
DURATA: 53:50
 Uno "Stato" totalitario che controlla l'intero globo terrestre, dodici "Discepoli" misteriosi nella stanza dei bottoni dell'intero sistema che guidano il mondo e lo piegano al proprio volere, rendendo l'umanità una sola enorme forza-lavoro, controllata giorno e notte; un tredicesimo, "autorità suprema", a capo dell'intera piramide in un sistema fortemente gerarchizzato che riesce a sfuggire alla percezione degli abitanti del mondo, che non lo sentono come costrittivo, ma anzi amano e apprezzano, divorati da un feroce consumismo che li spinge a vivere senza pensare. Da questa distopia a cavallo fra Orwell e Huxley, per stessa ammissione dell'artista, prende forma "Disciples Of The State".
È l'album della maturità, l'album della conferma, l'album che suggella il percorso di crescita di Legionarii, che entra da parte sua di diritto fra le più interessanti realtà della scena martial-industrial. Un disco guerrigliero e potente, che si apre con una simbolica quanto significativa cavalcata delle valchirie e che fin dai primi minuti riesce a trascinare l'ascoltatore in un vortice di suggestioni marziali. È subito evidente l'accurato lavoro di ricerca sonora che sta dietro le quinte di "Disciples Of The State", il sound è ricco, sempre stratificato, pieno, a volte vicino al clima da colonna sonora "triariiano", a volte più affine alla dark ambient, ma mai banale, e soprattutto, cosa rara, mai troppo monotono all'interno dello stesso brano. Ogni traccia è strutturata con maestria, e sebbene ognuna abbia una sua struttura ben delineata, spesso si notano piccole variazioni all'interno della stessa che rendono più movimentato e coinvolgente l'andamento dell'opera nel suo complesso.
"Ordo Ab Chao" è travolgente, cori e archi s'innalzano e si rigettano a capofitto nell'oscurità, spianando la strada ai tamburi; "Aristocracy", enorme cardine concettuale e musicale dell'intera opera, non lascia superstiti, l'impasto sonoro non manca di nulla, le voci corali raggiungono il loro apice, le percussioni sono mine in detonazione, mentre in secondo piano i gerarchi continuano i loro discorsi. Intervallato da alcuni episodi più calmi e cupi come "The Inner Circle" e "Blood Of Millions", passando per la gloriosa "The State", in cui l'atmosfera magnificente si tinge di un colore apocalittico, quasi generando un clima da "The Umbersun" degli Elend, il disco giunge a "Strength & Power". Il pezzo più incalzante nel ritmo, una vera marcia di guerra, che lascia il passo a "The Titan", in cui la pomposità e l'animo da colonna sonora raggiungono nuovi apici. Resta solo "Dominion", che con i suoi violini lenti e distesi pare quasi un invito a fermarsi un secondo e riflettere sull'esperienza appena vissuta. Totalitaria, in tutti i sensi.
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Gruppo: Lo!
Titolo: Monstrum Historia
Anno: 2013
Provenienza: Australia
Etichetta: Pelagic Records
Contatti: facebook.com/lookandbehold
Autore: Mourning
Tracklist
1. As Above
2. Bloody Vultures
3. Ghost Promenade
4. Caruncula
5. Haven, Beneath Weeping Willows
6. Fallen Leaves
7. Crooked Path - The Strangers Ritual
8. Lichtenberg Figures
9. Bleak Vanity
10. Palisades Of Fire
11. So Below (Before We Disappear)
DURATA: 41:19
Gli australiani Lo! si erano fatti notare nel 2011 con il debutto "Look And Behold", trascorsi due anni, la band è ancora sotto contratto con la Pelagic Records ed è pronta a darci dentro alla grande con il nuovo "Monstrorum Historia"; il cui titolo è stato ripreso dall'opera del naturalista nostrano Ulisse Aldrovandi. L'hardcore / sludge della band è una mattonata considerevole, roba che i fan di Converge, Breach, Cursed, Old Man Gloom, Mastodon e Baroness (ovviamente di quest'ultimi due prendete in considerazione le versioni più intransigenti) si godrebbero sparata a tutto volume nello stereo con l'intento di abbattere i muri di casa ed effettivamente con macigni carichi di violenza quali "Caruncula" e "Fallen Leaves" quel risultato sarebbe praticamente a portato di mano.
Questi ragazzi menano che è un piacere, tuttavia non si limitano esclusivamente a scaraventarsi contro l'orecchio, usufruendo dell'impatto come unica soluzione per l'attacco, vi sono infatti attimi distensivi e al limite con lo psichedelico in "Haven, Beneath Weeping Willows", mentre "Lichtenberg Figures" è composta da una serie di assemblaggi stilistici vari ed efficaci, risentendo positivamente degli influssi punk e di quelli anneriti. Canzoni come "Ghost Promenade" e "Palisades Of Fire" invece contengono una ruvidità ronzante e una sorta di carica epica che lasciano il segno.
I Lo! sono una realtà che sta proseguendo il proprio cammino in direzione di una piena e gratificante maturazione, suonare live con costanza ha sicuramente giovato, avendo avuto il piacere di condividere il palco con EyeHateGod, Russian Circles, Doomriders, The Ocean e Burning Love, continuando su questa strada sono sicuro si regaleranno, e ci regaleranno, parecchie soddisfazioni. Non perdeteli d'occhio e soprattutto date in pasto al vostro stereo "Monstrorum Historia", per me l'acquisto di un disco simile ci scappa...
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Gruppo: Lycanthia
Titolo: Oligarchy
Anno: 2013
Provenienza: Australia
Etichetta: Hypnotic Dirge Records
Contatti: facebook.com/LycanthiaOfficial
Autore: Mourning
Tracklist
1. The Essential Components Of Misery
2. Eternity...
3. Forgone
4. Ablaze The Wheel Turns
5. Despondency In Crescendo
6. Time Feeds These Wounds
7. Hair Of The Beast
8. From Ancestral Lands
DURATA: 53:19
La formazione gothic / doom dei Lycanthia naviga all'interno della scena underground da ormai più di tre lustri: pur avendo quindi un vissuto che avrebbe dovuto garantirle una produzione discreta, si è trovata per tanti motivi, in primis la girandola continua di cambi di una formazione che al momento vede il solo bassista / cantante Lee Tassaker come membro originale rimasto, a offrire all'ascoltatore i propri sforzi artistici suddivisi in due tronconi separati da una lunga distanza. Dopo la parentesi anni Novanta che vide gli australiani produrre il demo omonimo nel 1997 e il primo album "Myriad" nel 1999, si è dovuto attendere ben sette anni per l'uscita dell'ep "Within The Walls" (2006) e altri sette per far sì che il secondo disco intitolato "Oligarchy", originariamente rilasciato tramite autoproduzione nel 2012 e odiernamente pubblicato nuovamente dall'etichetta canadese Hypnotic Dirge Records, avesse vita.
Che gli insegnamenti impartiti da gente come i My Dying Bride siano stati assorbiti dal sestetto in questione ve ne renderete conto ascoltando già il pezzo posto in apertura. In "The Essential Components Of Misery", sia per ciò che concerne l'impianto atmosferico melancolico dolciastro sia per gli aspetti legati all'alternarsi della voce in growl (a cura di Lee) e di quelle "angeliche" (di Vanessa e Megan) che per il piacevolissimo l'utilizzo fatto in fase di rifinitura del violino, il rimando alla creatura di Stanthorpe è notevole. Così come, procedendo di traccia in traccia con capitoli quali "Forgone", "Despondency In Crescendo" e la conclusiva "From Ancestral Lands", si potranno riscontrare parvenze e similitudini sonore ricollegabili ai The Gathering, ai primi Theatre Of Tragedy e ai Draconian.
"Oligarchy" in definitiva è una prova affidabile, dove si nota un atteggiamento che forse va troppo sul sicuro: proprio questa dote diviene l'arma a doppio taglio, che da un lato farà del lavoro una gradita compagnia per gli amanti di questo stile, dall'altro potrebbe frenare coloro i quali desiderano qualcosa di più. Perché sì, è vero, a livello formale tutto quadra e la produzione curata da Jens Bogren nei Fascination Street Studios è pressoché perfetta, ma manca quel "qualcosa" che lasci un segno distinguibile e duraturo nel tempo.
Tirando le somme, la ripartenza dei Lycanthia è considerabile come positiva; Tassaker e soci hanno una chiara visione di ciò che sono e vogliono, anche se devono lavorare su ciò che possono fare: con le qualità di base in loro possesso vi è la possibilità che in un prossimo futuro rilascino prove ancora più interessanti e mature. Noi saremo qui ad attenderle e intanto ci faremo accompagnare da "Oligarchy".
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Gruppo: Lowbau
Titolo: A Darker Shade Of Blues
Anno: 2013
Provenienza: Austria
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/LOWBAU
Autore: Mourning
Tracklist
1. 13
2. The Prosecution Rests...
3. Order Of The Bull
4. Modern Day Alchemist
5. A Million Years Of Rain
6. Grounded
7. The Theft Of Time
8. The Maestro
9. Alcoholic
10. Coming Down On Wisdom
11. Nanny
12. Moneyfest
13. A Darker Shade Of Blues
DURATA: 01:12:01
I Lowbau sono un quintetto austriaco che ha tratto il proprio nome dalla Lobau, una pianura alluvionale situata nella zona a nord del Danubio, americanizzandolo con l'aggiunta della "w" e dando così quel tocco da "southern U.S.A." che identifica in maniera perfetta lo stile di musica da loro suonato. Sorti nel 2006 per volere del chitarrista e seconda voce Wolfgang Ebner, avevano rilasciato sinora un solo ep nel 2009 intitolato "The Ep", il primo grande passo è quindi avvenuto in questo 2013 con l'uscita del debutto "A Darker Shade Of Blues".
Una volta entrato in circolo nell'orecchio, il disco non potrà fare a meno di ricordarvi quanto siano state e siano importanti tuttora le formazioni "anselmiane" (Pantera e Down) e quanto i Kyuss siano fondamentali per chiunque ami un certo tipo di musica, mentre Corrosion Of Conformity e Alabama Thunderpussy si uniscono al quadro dei riferimenti papabili. Inoltre diverrà palese come si possa realizzare un buonissimo album senza dover forzare né pretendere chissà quale invenzione. Le armi a disposizione del quintetto difatti sono note e facilmente ricollocabili, ma le idee in loro possesso vengono esposte, sia per ciò che concerne l'esecuzione che l'atmosfera, in maniera convincente. Sono capaci di trasmettere quel feeling blues alcolico che "ci piace" e di rendere maggiormente aggressiva la proposta grazie alla prestazione vocale di DeGuyten, discretamente vario nell'impostazione e in più di una circostanza similare nell'approccio a Chad Gray dei Mudvayne, con l'aggiunta di un paio di rimandi quasi ovvi alla figura di Anselmo e altri che potrebbero far pensare a Ryan McCombs (Soil e Drowning Pool).
Non manca nemmeno la dovuta mole di groove nell'aria, che addensa e fortifica l'impatto dei pezzi. In effetti la scaletta non ha momenti di vuoto e formalmente ci rifila delle mazzate (si veda l'apertura a bomba di "The Prosecution Rests..."), pezzi che sfruttano una carica ribelle pura ("Grounded"), ma anche aperture solistiche indovinate e una notevole emotività (come avviene in "A Million Years Of Rain"). Siamo solo a metà del percorso, tuttavia pare evidente che i Lowbau sappiano chiaramente quale sia la via da intraprendere e ne conoscono il percorso talmente bene che raggiungerne il fondo passando per i capitoli successivi ("The Theft Of Time", "Alcoholic", "Nanny" e "Coming Down Of Wisdom"; stupenda in quest'ultima l'intrusione di armonica a bocca che anticipa l'ennesima escursione solistica) diviene una passeggiata salutare e altamente scapocciante, conclusa dall'avvento della lunga titletrack posta in coda.
Cosa non va? In pratica nulla, forse, e dico forse, settantadue minuti totali da ingerire in un'unica botta sono un tantino esagerati, tenendo però conto che sinora sono finiti per ben due volte nello stereo e sono quasi certo che la terza stia per scattare, quell'aspetto è sicuramente oltrepassabile. Di certo lo è se accompagnato da una buona dose di alcol.
Quando si parte col piede giusto si è a metà dell'opera? I Lowbau sono la riprova che tale modo di dire ha un senso. Il loro "A Darker Shade Of Blues" è prodotto in maniera impeccabile ed è un'ottima compagnia da viaggio: che aspettate quindi a far conoscenza con questi austriaci? Alzate il volume e godeteveli.
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Gruppo: Last Winter I Died
Titolo: Erensyrah
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Le Crepuscule Du Soir Productions
Contatti: facebook.com/LastWinterIDied
Autore: Insanity
Tracklist
1. The Quest
2. The Elusive Cliffs Of Erensyrah
3. A View Of The Ancient City
4. Below The Horizons
5. The Artifact
6. Unquiet Sea Of Dreams
7. Sirenade
8. Summer Reveries
9. A Call, A Death
10. Recolective (A Ghost)
11. Strange Twilight
12. How Things Turn
13. Weeping Stars
DURATA: 43:13
È passato circa un anno da quando vi parlai di "Visions From A Thousand Lives" di Dead Summer Society, il nuovo progetto solista di Mist degli How Like A Winter. Il 2013 vede la nascita di una nuova entità chiamata Last Winter I Died (che è anche il titolo di un brano del disco appena citato), in cui il musicista molisano si cimenta in uno stile differente ma sicuramente legato a quello delle altre realtà a cui ha partecipato.
"Erensyrah", questo il titolo del debutto, ci trasporta infatti in un altro mondo, una dimensione che può sembrare lontana che però, a conti fatti, è "semplicemente" la nostra anima: questo è l'obiettivo del progetto, ed il mezzo tramite cui raggiungerlo è un Ambient che segue la scia di altri personaggi del mondo Metal dedicatisi a side-project sul medesimo genere, specialmente il Mortiis dei primi lavori. Lo stile è sinfonico, a tratti pomposo ma senza mai esagerare; volendo potremmo dire che questo è Dead Summer Society spogliato di ogni riferimento al mondo metallico, dal quale emerge in tutta la sua maestosità l'anima puramente Gothic di Mist: gli arpeggi di "Strange Twilight" e "Sirenade" e l'uso delle tastiere sono caratteristiche presenti in entrambe le realtà. Possiamo trovare, inoltre, un uso dell'elettronica maggiore (sebbene per niente invasivo) che si palesa raramente sotto forma di percussioni, più spesso nei sintetizzatori che in alcuni passaggi sembrano presi in prestito dalla Kosmische Musik.
Ciò che però rende forte un disco che, in fondo, non propone nulla di nuovo, è la capacità di centrare il bersaglio: il viaggio all'interno di noi stessi è un'esperienza da provare nella modalità suggeritaci dalla mente di questa musica, ovvero a occhi chiusi e con la sola anima a farci da guida nei suoi stessi meandri. Le note di pianoforte accompagnate dalle tastiere orchestrali di "Summer Reveries", le sperimentazioni vicine all'elettronica più atmosferica in "How Things Turn", la solennità di brani quali "Below The Horizon" e "Weeping Star": non vi nascondo che in più di un'occasione mi sono trovato isolato dal mondo circostante, non è una situazione che tutti riescono a ricreare, eppure in questo caso tutto sembra essere decisamente naturale.
Purtroppo per me, il mio lavoro di critico musicale — unito al fatto di essere nell'ambiente della produzione musicale — mi spinge ad esaminare anche il lato tecnico di "Erensyrah", ed è qui che posso trovare l'unica, piccola pecca del lavoro: le percussioni hanno suoni che sanno un po' troppo di plastica, il rischio è che in un album di questo tipo l'atmosfera venga in parte rovinata. Non preoccupatevi comunque, è un difettuccio che molti nemmeno noteranno, anche perchè la batteria è utilizzata in pochissimi passaggi.
Certamente è un album che necessita di essere ascoltato da una mente disposta ad essere esplorata per essere goduto al massimo; è anche vero che non si tratta di un genere di così difficile ascolto, effettivamente potrebbe funzionare bene anche come sottofondo mentre vi dedicate a qualche lavoro (per quanto il coinvolgimento emotivo sarebbe ovviamente inferiore). Se ormai, come me, vi fidate ciecamente dei lavori di Mist, non lasciatevi assolutamente scappare il mondo di "Erensyrah".
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Gruppo: Lords Of Bukkake
Titolo: Desagravio
Anno: 2013
Provenienza: Spagna
Etichetta: TotalRust
Contatti: facebook.com/pages/Lords-of-Bukkake/107151712788724
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Boca Acida
2. Hereditaria
3. Relente
4. Desagravio
DURATA: 47:51
Sono passati poco meno di due anni da quando il vostro qui presente affezionatissimo vi parlò di "Desorder Y Rencor", secondo album degli iberici Lords Of Bukkake, e ora ho il piacere di introdurvi "Desagravio", nuova prova sulla lunga distanza del trio catalano. Formalmente la proposta non ha subito variazioni particolari rispetto al recente passato ed è quindi nel morboso e mefitico stagno dello Sludge/Doom che andremo a immergerci, ma questa volta i Lords Of Bukkake sono andati ancora un po' oltre aumentando lo spessore emotivo di quell'aberrante fardello che ci stanno per vomitare addosso.
I contorni rumoristici e dissonanti che aprono "Boca Acida" e il perverso andamento dannatamente apocalittico di "Relente" sono turbinii impetuosi di inumane maschere di follia che si evolvono presto in manifestazioni di puro Sludge corrosivo e insano. La cupa rabbia dei Crowbar, le scanalature rovinose e disagiate di Iron Monkey e Corrupted, le caustiche e mastodontiche trincee di sofferenza scavate dagli EyeHateGod e le varie digressioni "noisy" sparse per la scaletta sono solo alcuni degli elementi che rendono "Desagravio" un album validissimo per ogni appassionato di tale filone musicale.
Un considerevole ruolo per il raggiungimento del suddetto risultato è svolto dalla torturata e lancinante voce di Toni L. Querol, la quale ricorda da vicino la piega dei signori dietro ai microfoni di Dystopia e Noothgrush. L'atto di rigetto delle parole diviene veicolo di odio e turpitudine, una via che, anche grazie a rarefatte apparizioni Stoner, in pezzi come come "Hereditaria" e "Desagravio" conduce a sentieri lastricati da cadaveri dilaniati e da sofferenza purissima, che ricrea atmosfere dense e corrotte dai miasmi di un'infinita decomposizione spirituale, che accompagna verso una profonda catarsi di mortifera alienazione mentale e che scaraventa in incolmabili baratri di inguaribile agonia. I pesanti riff macinati dalla chitarra scavano solchi abissali nella parte simbolicamente materiale del nostro già martoriato spirito, aprono ferite che mai si rimargineranno, infettano purulente piaghe ardenti e, non ancora paghi della loro opera di devastazione, aspergono con acidi di ogni sorta le membra colpite.
La lentezza estenuante dei lunghi episodi in scaletta, in contrapposizione a certe incursioni più movimentate, crea zone d'ombra in cui si annida la quintessenza del dolore, dell'angoscia esistenziale, dell'insoddisfazione e della nausea psichica. I Lords Of Bukkake, in circa tre quarti d'ora di musica soffocante e tentacolare, hanno racchiuso una quantità di disagio tale che, ne sono sicuro, non molti riusciranno a sostenere. Non ho idea di quanto la vostra mente possa essere disturbata, di quanto la vostra anima possa essere sofferente, ma so per certo che, se già avete vissuto e patito ardentemente il marchio di certi dischi usciti dall'ispirazione dei gruppi citati in questo testo, "Desagravio" potrebbe essere la nuova colonna sonora delle vostre tribolazioni... sempre che non ne rimaniate sepolti, è chiaro!
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Gruppo: Lothorian
Titolo: Welldweller
Anno: 2013
Provenienza: Belgio
Etichetta: Acid Cosmonaut Records
Contatti: facebook.com/Lothorianband - lothorian.bandcamp.com
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Witchhunt
2. Welldweller
3. Atmosphere
4. Doomsday Calling
5. Cult
6. Shallow Ground
DURATA: 30:02
Ho già sentito qualcuno lagnarsi e dirsi saturo del gran numero di uscite degli ultimi anni che affondano le radici nel Doom, ma francamente a me viene davvero difficile capire il motivo di tali lamentele: per quanto mi riguarda, più ce n'è e meglio è! Mi trovo dunque qui a parlarvi con piacere dei Lothorian, giovane formazione belga che, grazie all'etichetta nostrana Acid Cosmonaut Records, ha fatto uscire l'EP "Welldweller", seconda prova in studio dopo una demo di debutto nel 2011.
Veniamo introdotti in tale parto discografico dalla strumentale "Witchhunt", la quale ci immerge in quell'infido pastone musicale formato da Sludge, Stoner e Doom con nomi quali Sleep, Iron Monkey, Bongzilla, Electric Wizard e via dicendo a fare da punti di riferimento: avrete ormai dunque compreso che ciò che ci aspetta è un faccia a faccia con macigni oppressivi sgorganti da una fonte densa, lenta e macilenta, con un'espressione musicale inquietante e greve che ribolle di impietosa pece. Pezzi come "Welldweller", "Doomsday Calling" e "Cult" espongono uno splendido riffing gonfio e gravido di pulsioni nere, atmosfere grasse in salsa Doom e una voce estraniata che reclama quasi le sembianze di un liquido denso e colloso che pare fluire dai margini di una dimensione assolutamente aliena.
I Lothorian ci portano al confronto con un viscoso magma sfiancante, negativo e nocivo, un magma che cola sulla frastagliata superficie della nostra sanità mentale; le chitarre dilaniano, straziano e tagliano con il loro incedere caustico, risucchiano ogni forma di vita con il loro letale e inarrestabile passaggio e divengono un fiume di resti organici, di malattia e di morte ormai esondato dalla sua infernale sede con l'unico scopo di ardere ed infettare il globo intero.
Con "Atmosphere" e "Shallow Ground" assistiamo anche all'intrusione di lievissimi sentori "psichedelici", ma non crediate siano momenti piacevoli: il processo di annerimento infinito dei riff cadenzati di sabbathiana memoria riprende presto il sopravvento e un turbinio di neuroni, ormai impazziti e sfiancati, rimbomba nel nostro cranio, al cui interno non vi è più alcunché di sano.
Ottima prova per i ragazzi belgi che dimostrano un'ennesima volta quanto codesto tipo di panorama musicale sia florido (nonostante quest'ultimo non sia un aggettivo particolarmente adatto al contesto) e ricco di qualità. Davvero un biglietto da visita esemplare per i Lothorian che, a questo punto, dovranno assolutamente essere seguiti e tenuti d'occhio con molta attenzione: spero davvero di sentirli presto di nuovo all'opera, magari con un album intero, e sono sicuro che in quel momento non faranno altro che asfaltarci a dovere, ancora una volta!
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Gruppo: Legend (UK, Jersey)
Titolo: Legend
Anno: 1981
Provenienza: Regno Unito
Etichetta: Workshop
Contatti: legendjersey.com
Autore: ticino1
Tracklist
1. Badgirl
2. Taste Of Life
3. Buried Alive
4. Negligance
5. Torture
6. Hiroshima
7. Song For A Soldier
DURATA: 42:04
Questa recensione fa parte dell'articolo intitolato "New Wave Of British Heavy Metal - Una Retrospettiva".
 Se cercate questi britannici su Metal Archives, troverete una lista lunghissima di gruppi. Non c'è da meravigliarsene; il nome non è molto originale. I Legend, nuovamente attivi e in studio per il prossimo album, furono fondati nel 1980 sull'isola di Jersey, nel canale della Manica.
I temi trattati nei testi sono poco tipici per il genere. Questi parlano, infatti, di problemi sociali e politici. "Legend" è un grande disco assolutamente sconosciuto e sottovalutato. La ritmica mi ricorda qui e là i Black Sabbath, pur essendo più moderna e con un carattere definitivamente proprio.
Canzoni come "Hiroshima" sono da capogiro e fanno venire la pelle d'oca all'ascoltatore. I burattinai che hanno in mano i fili di "Legend" sanno definitivamente come solleticare delle linee complesse dai loro strumenti. Questo lavoro è tutt'altro che noioso e contiene, malgrado qualche piccolo "déjà-vu", delle tracce che vi obbligheranno a domandare: "Perché non li conoscevo già?".
Non resterete con un pugno di mosche in mano.
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Gruppo: Lethargy
Titolo: Divine Madness
Anno: 2013
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Metal Scrap Records
Contatti: facebook.com/groups/Lethargy
Autore: Mourning
Tracklist
1. In The Darkness Opening The Eyes
2. Buried Mourning Hearts
3. Grief Of Satan
4. I'm Sorry ...
5. Broken World
6. Divine Madness
7. Witchcraft And Possession
8. Contempt [con Diana Larionova]
9. Mystery Of Love
10. Court Of Sinners
11. The Birth Of A New Consciousness
12. Evil Habits
13. Tenderness And Love [con Eugene Kugaevsky]
DURATA: 1:11:30
La voglia di fare non è sempre un buon punto di partenza. Vi sarà certamente capitato di ascoltare alcuni dischi nei quali è presente tanta di quella roba da farvi chiedere il perché di un tale appesantimento voluto su una proposta che un minimo più asciutta avrebbe dato altro risultato. Questo è il caso del secondo album degli ucraini Lethargy intitolato "Divine Madness".
La formazione ha alle spalle quel po' di gavetta che basta (il demo "Прелюдия борьбы " del 2008, il debutto "The Burden Of Human Passions" del 2010 e l'ep "Культ личности") a conferirle una discreta professionalità nell'approccio con l'area di settore sonoro che le compete. Si muove all'interno del territorio gothic/doom, innestando momenti di stampo dark; rivolgendo lo sguardo alle uscite del genere, si dovrebbe portare indietro il calendario di dieci o quindici anni, tenendo in considerazione la triade albionica composta da My Dying Bride, Anathema e Paradise Lost, insieme a nomi quali Katatonia, Moonspell e Slumber quali influenze di un sound che tende spesso a valorizzare il lato sinfonico, a incattivirsi sfruttando un growl raschiato (e in alcuni momenti anche lo scream) che si alterna con le aperture in voce pulita.
Non c'è nulla di formalmente errato nello svolgimento del lavoro, pezzi più acidi come "Grief Of Satan" si incrociano con altri dove sono le atmosfere scure e la teatralità a destare interesse, si vedano "Broken World", "Witchcraft And Possession" e "Contempt". Le tastiere hanno frequentemente un ruolo quasi dominante e lo noterete in "I'm Sorry", per quanto sia un particolare evidente che perpetuerà la propria dirompenza in lungo e in largo all'interno del disco, mentre la chitarra di Olexandr Shirinskiy ogni tanto si permette di divagare, affidandosi alla solistica, accade ad esempio in "Broken World" e "Mystery Of Love". L'ambientazione per quanto grigia non si annerisce mai più di tanto nei toni, lasciando spazio anche a una forma di romanticismo, probabilmente un po' troppo melenso, insito nella ballata "Tenderness And Love" e al classicismo di "Per Elisa" di Beethoven (peraltro tirata in ballo più volte in ambito metallico, sicuramente la ricorderete inserita in "Metal Heart" degli Accept) che fuoriesce in "Buried Mourning Hearts"; trovata piacevole, ma non essenziale al fine della riuscita della canzone, un orpello che non fa la differenza.
"Divine Madness" possiede una produzione più che discreta, la copertina e il libretto sono veramente molto ben fatti e l'unico vero problema sembra risiedere nella durata complessiva del disco. Tirare avanti per quasi un'ora e un quarto, mantenendo costantemente alta l'attenzione di coloro che sono all'ascolto, è cosa complicata da gestire, quindi o si produce un capolavoro o s'incappa in un paio, e più, di momenti calanti. Qui siamo di fronte al secondo caso. Purtroppo neanche la lettura dei testi o il cantato possono essere d'aiuto, i primi sono scritti in cirillico e non affiancati da traduzione in inglese, il secondo è interpretato in lingua madre, soluzione che caratterizza un minimo la prestazione, tuttavia sega le gambe a chi, come il sottoscritto, non conosce l'ucraino. Per questo aspetto comunque si può almeno tentare di rimediare girovagando su Internet e sperando che la ricerca dia dei risultati positivi.
I Lethargy musicalmente hanno confezionato un ascolto interessante per gli affezionati al genere, non ci farà saltare dalla sedia, però è una compagnia che il suo perché ce l'ha.
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Gruppo: Lilium Sova
Titolo: Epic Morning
Anno: 2012
Provenienza: Svizzera
Etichetta: Calofror Records
Contatti: facebook.com/liliumsova
Autore: Mourning
Tracklist:
1. 1.00 a.m. Locked-In Syndrom
2. 2.00 a.m. Insomnia
3. 3.00 a.m. Call Of Sova
4. 4.00 a.m. Parasomnia
5. 5.00 a.m. Premonition
6. 6.00 a.m. Ondine's Curse
7. 7.00 a.m. Dawn Of Sweet Villain
8. 8.00 a.m. Epic Morning
DURATA: 52:31
La Svizzera sta tirando fuori band fantastiche una dietro l'altra. Il movimento che attinge da generi come post-metal, mathcore, progressive rock e free jazz (con nomi quali Kehlvin, Aside From A Day, Process Of Guilt, Rorcal, Unfolg, Yog, Knut e tanti altri) sta arricchendo un panorama che è di per sé in costante crescita. I Lilium Sova però me li ero proprio persi. Il trio di Ginevra — composto da Cyril Chal (basso), Timothée Cervi (batteria) e Michael Borcard (sax e tastiere) — si cimenta in un "pastone" musicale che non segue coordinate ben precise. Sembra d'incrociare una collisione fra Zu, Mike Patton, Primus, Dillinger Escape Plan e colonne sonore varie, non si comprende tuttavia se siamo all'interno di un film horror o centrifugati intellettualmente da atmosfere devianti alla David Lynch. In pratica è un massacro che non rinnega uno sfregarsi incendiario né una placida forma di grigiore nebbioso.
In questo strano excursus dal titolo "Epic Morning", la band ci racconta in note quello che avviene nelle ore che conducono dall'inizio di una nuova giornata sino al risveglio qui indicato per le otto, con il passaggio dalla mezzanotte all'una papabile come il "fresh start" quotidiano. Durante questo lasso di tempo lo scenario che si verrà a delineare sarà tutt'altro che accostabile a una dormita salutare e dedita al recupero delle forze. La prestazione quasi del tutto devota all'esecuzione strumentale dei brani è squilibrata e disarmonica, con la voce dell'ospite Yonni Chapatte (Kehlvin e Yog) che appare in "7.00 a.m. Dawn Of The Sweet Villain". Immaginate di essere sulle montagne russe e avere la certezza che la giostra in questione sia fuori controllo: ecco, i Lilium Sova non amano il controllo e quindi divampano e si spengono, azzardano accelerazioni assordanti e ritmiche scomposte, per poi tornare sui propri passi e addensare l'atmosfera.
Le canzoni tracciano una linea mai retta: il vortice sincopato dai tratti melodici di "1.00 a.m. Locked-In Syndrom" viene assecondato dalla seducente, ansiosa e paranoica compagnia offerta dal sax in "2.00 a.m. Insomnia". Lo schizofrenico palpitare del basso, il quale domina le chitarre liberandole solo in alcuni frangenti di pura follia in "3.00 a.m. Call Of Sova", ci annuncia l'avvento di una percezione dronica e assillante in "4.00 a.m. Parasomnia". Il titolo è indovinatissimo e le varie patologie racchiuse in questo disordine del sonno vengono rappresentate in maniera straordinaria: provate ad andare incontro alla musica e immaginate come la vivrebbe un personaggio affetto da bruxismo, sonnambulismo o incubi notturni, è davvero dissestante. "5.00 a.m. Premonition" — che per la durata striminzita si potrebbe immaginare come una pausa prima della ripresa dei lavori — è un minuto e poco più di pesantezza cupa pronta ad affliggerci, il preludio adeguato all'entrata in scena di una delle canzoni più interessanti del disco, "6.00 a.m. Ondine's Curse". L'orrore e la frustrazione raggiungono l'apice, l'accordion e il violoncello, suonati rispettivamente da Eugénie Gallay e Loïc Blazek, intensificano il corso degli eventi, miscelandosi con la progressione di stampo cosmico settantiano realizzata dalle tastiere.
Raggiungere "7.00 a.m. Dawn Of Sweet Villain", settimo capitolo in scaletta, è stato gradevolmente faticoso e sono dovuto necessariamente tornare più volte indietro, provando a unire i pezzi di un puzzle che deve ancora completare la sua figura. Stavolta l'atmosfera è febbricitante, la voce di Yonni scortica l'aria, la fase centrale alleggerisce il carico, puntando sull'arricchimento dell'ambiente, sino a una nuova esplosione che spalanca le porte al mastodonte conclusivo, la titletrack. Ventidue minuti di epicità che annettono tutto ciò che avete ascoltato in precedenza, rimescolandolo e riversandovelo contro senza il minimo ritegno. Cala il sipario, ma lo spettacolo meriterebbe di essere replicato immediatamente.
È fuori di dubbio che assecondare le voglie dei Lilium Sova non sia proprio facilissimo e che un disco come "Epic Morning" sarà apprezzato soprattutto da coloro che masticano con frequenza questo tipo di uscite discografiche. Se però amate la buona musica, una prova vi direi di farla: c'è talmente tanta roba all'interno del lavoro che, con molta probabilità, potreste trovare delle affinità o semplici emozioni da condividere in sua compagnia. Per i seguaci del genere l'acquisto è altamente consigliato.
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Informazioni
Gruppo: Left For Dead
Titolo: Exit Humanity
Anno: 2013
Provenienza: Germania
Etichetta: Nice To Eat You Records
Contatti: facebook.com/leftfordead.official
Autore: Mourning
Tracklist
1. Intro
2. Slut Slaughter
3. Left For Dead
4. Excesses
5. Blood Reigned Kingdom
6. Brain Rupture
7. Kill All Humans
8. Redeemed By Death
9. Drop Dead
10. Reverse Food Chain
DURATA: 38:10
Più passano gli anni, più la Germania si rivela essere una fucina death metal inesauribile. Infatti se negli anni Ottanta e Novanta era considerata la patria europea del thrash, dal 2000 in poi il suddetto genere ha ricevuto una spinta, un supporto e una iniezione di qualità non indifferenti in tutti i settori che lo compongono, la scena adesso è più viva che mai.
I Left For Dead sono un quartetto nel quale militano artisti che fanno, o hanno fatto, parte di formazioni come Cruel Experience, Bowtome, Scarification, Descent, Subsphere e Stormhunter e che non celano la propria passione per la brutalità da film horror e videogame. Il nome della band difatti è verosimilmente ricollegabile al gioco "Left 4 Dead", così come l'album ne ricorda l'immagine di copertina. Il titolo del disco invece, "Exit Humanity", è riconducibile alla pellicola del 2011 diretta da John Geddes.
I tedeschi riversano all'interno della loro musica la classica voglia deviata di mattanza, ritmiche serrate e l'incrocio vocale fra growl ed eventuali e quasi immancabili "suini" e "scarichi di lavandino", i quali partecipano al coro della non-morte che avanza. La miscela di suoni è esplosiva e conosciuta: Suffocation, vecchi Dying Fetus, Disgorge, Gorgasm, Beheaded. In poche parole lo sguardo è rivolto a una visione "old school" dello stile, dove per fortuna non trovano collocazione le continue "hyper-blastate" che hanno sì brutalizzato ulteriormente questo mondo, portando però con sé una "monotonia" di fondo difficilmente deviabile e che ha rovinato numerose uscite, ad esempio i Devourment ne sono stati malamente schiavizzati. E allora vai con "Slut Slaughter", "Blood Reign Kingdom", "Reedemed By Death" (il cui riffing concitato e adrenalinico ti fa smontare la testa a furia di "scapocciate"), "Kill Humans" e "Drop Dead", difforme concettualmente dalle altre per una tematica testuale "critica" della quale vi rendo partecipi estrapolandone uno stralcio:
Wannabe rockstars
Got Marshall towers up to the sky
Bigheaded Morons
Don't Talk To People Scum
Feeling great while entertaining
Redneck somewhere out in the sticks
You haven't created anything
Steeling together famous songs
Nobody's impressed, by your cheek
Nobody's impressed, Nobody's impressed
DROP DEAD, beer-tent heroes
DROP DEAD, roll up your capes and die.
Questa manciata di pezzi basta e avanza per far sì che l'ascolto di "Exit Humanity" con la sua corposa solidità e una discreta formula compositiva — non innovativa né personale, ma alquanto efficace — punti dritto al cuore degli appassionati delle carneficine in note. I Left For Dead rappresentano quel cliché che "ci piace" e che non smetteremmo mai d'inserire nello stereo, quella "prova" che pur avendola macinata e rimacinata, una volta reimmessa nel circolo uditivo cogli al volo e della quale godi senza porti problemi né chiederti il perché, lo fai e basta. Se fosse questo ciò che andate cercando, se fosse questo il nutrimento di cui avete bisogno per debellare la noia causata dalla routine giornaliera, beh, allora "Exit Humanity" farebbe proprio al caso vostro.
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Gruppo: Lords Of Bastard
Titolo: Cuddles
Anno: 2012
Provenienza: Scozia
Etichetta: Bang Mountain Records
Contatti: facebook.com/lordsareloud
Autore: Mourning
Tracklist
1. Ghost Time
2. Bloody Hell
3. Fourth Dimensional Hand Gesture (John)
4. I'm In My Walls
5. Harder than Cars
6. Eggs Any Style
7. Fsssshhewwww
8. Lord Have Murphy
9. Squirrel Mirror
DURATA: 43:02
Avete avuto modo di ascoltare il debutto omonimo degli scozzesi Lords Of Bastard? No? Fatelo. Sì? Allora se ancora non aveste incrociato il secondo capitolo "Cuddles", non perdete tempo e gettatevi alla ricerca. Coccole? Sì, ma particolari.
Il quartetto di Edinburgo è più stravagante e dal gusto horror rispetto al debutto, il suono già ibrido — che alternava sludge e stoner/doom a varianti rock multisfaccettate — si è arricchito ulteriormente grazie all'apporto freak dell'elemento pianistico, un Fender Rhodes che rende maggiormente destabilizzante l'approccio stravagante offerto dai pezzi. Intendiamoci, non è che guardando la copertina dell'album ci si possa attendere una prova stile "tarallucci e vino", anzi quella semplice raffigurazione sa tanto di "deviato" e tale sensazione si riflette pienamente all'interno di una composizione che si è affinata. Difatti è palese che la forma canzone sia adesso più matura, il riffing carnevalesco e disturbato, inquietante e colmo di atteggiamenti torbidi che hanno la capacità di instaurare un rapporto emotivo instabile col disco, tant'è che si può esserne rapiti sin da subito, proprio attraversando le tracce e facendosi cogliere dalla vena malefica che le percorre, o in alternativa attendere di saggiarne il valore col passare del tempo. In entrambi i casi l'effetto da viaggio nell'oscurità con mille porte mentali che si spalancano improvvisamente, o se preferite uno stato metanfetaminico in pieno corso, non verrà meno.
Nel complesso probabilmente noterete una minor pesantezza, sembra che abbiano voluto favorire l'espressività congeniale all'area rockeggiante e questo ha dato loro la possibilità di fornire alla prestazione un livello di acidità altissimo, così che mi viene realmente difficile consigliare l'ascolto di un brano piuttosto che un altro. Inoltre c'è da aggiungere l'ennesimo tassello positivo legato alla cura del sound ottenuta tramite una produzione finalmente di spessore. C'è una chiara resa dei suoni e ogni strumento ha la sua posizione nello spazio, generando una dimensione piena e totalmente vivibile di ciò che è "Cuddles", quello che purtroppo mancava al disco omonimo, che peccava tra le varie (piccole) cose proprio per il suo essere estremamente ruvido e secco sotto questo punto di vista.
Cosa rimane quindi da fare? Acquistare una copia di quest'album e sollazzarsi con la sua imprevedibilità abrasiva, con le sue melodie schizzate e le pulsioni ibride che nutrono la natura multiforme di "Cuddles", caratterizzata da una forma di caos pienamente controllato. Non prendete sottogamba i Lords Of Bastard, è uno scontro impegnativo che vi attende, ma alla fine avrà come strascico soltanto soddisfazioni. Accettate la sfida?
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Gruppo: Lord Of The Grave
Titolo: Green Vapour
Anno: 2012
Provenienza: Svizzera
Etichetta: The Church Within Records
Contatti: facebook.com/pages/Lord-of-the-Grave/129376443848548
Autore: Mourning
Tracklist
1. Raping Zombies
2. Green Vapour
3. Horsepuncher
4. Mountain Rites
5. 00/15
DURATA: 43:57
Chi segue Aristocrazia da tempo sa ormai quanto il sottoscritto ami immergersi nelle atmosfere sabbathiane, i nomi da citare in tal senso sono talmente numerosi che ci si perde al solo pensiero. A questo proposito, i Lord Of The Grave non erano ancora contemplati in questa già di per sé lunga lista ed è quindi doveroso colmare tale lacuna.
Il duo svizzero composto da Rob Grave (chitarra e voce) e Sam Wart (batteria) ha rilasciato il debutto "Raunacht" nel 2009, si è esibito dal vivo a supporto di realtà ben più quotate quali Revelation, Lord Vicar e Mirror Of Deception, poi sul finire del 2012 ci ha dato l'occasione di poter ascoltare il nuovo lavoro "Green Vapour", nel quale sono racchiusi cinque brani di elementare, funereo, fuzzy, serpeggiante e bluesy stoner/doom.
Il disco è un monolite nero che avanza con un incedere volutamente mai troppo "sostenuto", termine che visto il genere è comunque da prendere con le molle, infatti le redini della situazione sono tenute saldamente in mano da un processo ipnotico costante. La sei corde di Rob si diletta nell'aprirsi spazi in chiave solistica infettiva e dannatamente retrò, tanto che Black Sabbath ed Electric Wizard si fondono in una versione minimale ed essenziale, come a rappresentare un destino sinistro che non offre nessuna via d'uscita.
Questo processo lo si nota con la traccia posta in apertura, "Raping Zombies" evidenzia anche la mostruosità e la perversione del sound, ed è rincarato con i pezzi successivi quali la titletrack e "Mountain Rites".
Visto così sembrerebbe tutto molto bello, in effetti per i malati e ossessionati del genere, come me del resto, non credo vi sia alcuna difficoltà a entrare in sintonia e godere appieno di una uscita come "Green Vapour"; d'altro canto non posso negare però che l'omogeneità massiccia e devastante che lo rende così affascinante potrebbe divenire al tempo stesso un ostacolo.
La noia difatti si nasconde lì dietro l'angolo e alle volte potrebbe non stentare nell'intromettersi durante la sessione d'ascolto, l'umore adatto e la voglia di approcciarsi sul momento a un disco simile sono qualità fondamentali.
In poche parole, per tutti coloro che una volta intrapreso il viaggio in territorio doom, tanto alcolico quanto mortifero, dimenticano lo scorrere del tempo, lasciando che siano le note a decidere dove e come guardare il mondo che sta attorno, i Lord Of The Grave e "Green Vapour" saranno una compagnia gradita e della quale cibarsi ripetutamente, è quindi a loro che rivolgo il mio suggerimento d'acquisto.
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Gruppo: La Division Mentale
Titolo: TOTem Simius
Anno: 2012
Provenienza: Francia
Etichetta: Foedus Aeternus
Contatti: facebook.com/TotemSimius - onlyformonkeys[at]gmail.com
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Halcyon Days
2. The Eye
3. TOTem Simius
4. The Faithful
5. Throbbing Gristle
6. Rebirth Of The Flesh
DURATA: 38:03
La follia d'oltralpe è tornata a colpirci, la follia incarnata nell'entità chiamata La Division Mentale, dopo ben cinque anni di assoluto silenzio, si è svelata ancora all'interno di un nuovo, macabro ed inconcepibile manifesto che prende il nome di "TOTem Simius".
Come dicevo, sono trascorsi cinque anni dall'apparizione di quel distruttivo "L'Extase Des Fous" che rese La Division Mentale una delle realtà più oltranziste in tale panorama musicale.
In un lustro possono cambiare molte cose e anche La Division Mentale non si sottrae a tale possibilità: nel nuovo parto abbiamo subito a che fare con alcune differenze sostanziali sia nell'aspetto visivo, il quale si presenta meno oscuro e più concettualmente carnale, che nell'aspetto musicale che, pur non stravolgendo le basi della proposta già evidenziate in passato, diviene più omogeneo, più maturo e conscio della propria posizione decostruttrice all'interno del sistema cosmico.
Il cardine di pezzi come "Halcyon Days" e "Rebirth Of The Flesh" è il pathos crescente che si viene a formare grazie a suoni penetranti e insani, ad un impasto morboso ed agitato di riff distorti ed innaturalmente deformi, una voce effettata e scevra da qualsiasi senso di umanità e distruttive stagnazioni elettroniche che si contorcono in un alieno brodo primordiale il cui contatto ci devasta, spingendoci nei meandri di un'espressività pazza e delirante, un'entità deviata e selvaggia che ci scruta con i suoi occhi lattiginosi e vuoti.
Ciò a cui ci troviamo di fronte in tracce come "The Eye" e "Throbbing Gristle" è un affascinante monumento innalzato ad uno sperimentalismo a più strati in cui melodie claustrofobiche e disumane si fondono e si alternano a momenti dai connotati quasi malinconici, ai quali si sostituiscono poi incursioni di elettronica feroce ed opprimente: la fredda ed acida follia di Dødheimsgard e Mysticum, certi scuri sviluppi sonori dei Samael post-"Passage", atmosfere sulfuree e deviate dei Satyricon di "Rebel Extravaganza" e rugginose spigolature dei The Axis Of Perdition sono alcuni degli elementi che La Division Mentale ci scaraventa contro.
"TOTem Simius" è una prova con un altissimo tasso d'insania, è una prova in cui decadono etichette, compartimentazioni e categorizzazioni: abbiamo davanti "semplicemente" un'espressione impossibile da catalogare (per la felicità di coloro che sembrano vivere apposta per affibbiare inutili e casuali aggettivi ad ogni forma d'Arte), in quanto si va ben oltre il concetto musicale propriamente detto.
Possiamo trovare sprazzi di Black Metal, avanguardia, sfumature di stampo progressivo ed elettronica ma, soprattutto, troviamo un'indistruttibile volontà scardinatrice che si manifesta in molteplici forme, anche grazie a certi arrangiamenti concepiti appositamente per disorientare, confondere ed inibire la razionalità dell'intelletto comune e quotidiano (a tal proposito, si può prendere come esempio la metafisica ed alienante ossessività di "The Faithful") ed è forse proprio qui che risiede il concetto realizzante l'iscrizione che si trova nelle parti interne dell'artwork del disco: "LDM exclusively plays for monkeys!".
Vi sentite troppo umani per osare entrare in contatto con tanta insana visione artistica?
Lo ammetto, per me sarebbe fin troppo semplice, a questo punto, chiudere la mia analisi affermando semplicisticamente che "TOTem Simius" può davvero essere fregiato del titolo di capolavoro.
Preferisco, invece, che a porre l'epitaffio di questa recensione possano essere proprio le emblematiche parole di La Division Mentale:
...we, poor pieces of meat, waiting for the next rebirth in this smell of shit...
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Informazioni
Gruppo: Lunar Path
Titolo: Memento Mori
Anno: 2012
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Inverse Records
Contatti: facebook.com/lunarpath
Autore: Mourning
Tracklist
1. The Beginning And The End
2. Promise Me
3. We'll Be There
4. The One Behind The Mirror
5. Thin White Lines
6. In The End
7. Deadweight
8. Farewell To Arms
9. The Only Way Out Is Through
10. Walls Are Whispering
11. Close The Door
12. Nothing To Regret
13. Drag Me Down To Hell
14. Who Are You Talking To?
15. River Runs Deep
DURATA: 01:06:14
I Lunar Path sono una formazione finnica di stampo gothic nella quale è riscontrabile una forma poliedrica, infatti abbiamo a che fare con un metal sfaccettato che prende in parte da lidi sinfonici, abbozza accenni industriali e si confronta con la sezione più orecchiabile e canticchiabile del genere.
I musicisti in questione sono in giro dal 2006 e dopo un paio di tentativi da indipendenti — le pubblicazioni del demo omonimo nel 2007, dei due singoli "Calling" e "Promise Me And Thin White Lines" rispettivamente rilasciati nel 2008 e nel 2011, dell'ep "Broken Word" uscito nel 2008 e del dvd "The One Behind The Mirror" invece del 2011 — si sono accasati sotto la label connazionale Inverse Records con la cui collaborazione hanno dato alle stampe il debutto "Memento Mori".
In line up troviamo il chitarrista Jonas Eriksson che i più attenti ricorderanno nei Rotten (che fine hanno fatto?) e la cantante Janica Lönn che personalmente ho apprezzato nelle incursioni presenti in "Routa" dei Black Sun Aeon, adesso però basta gingillarmi con dati e controdati, iniziamo a scrivere del disco. L'album si presenta con quindici pezzi e si prolunga per oltre un'ora di durata, questa è forse la pecca più grande insita nel lavoro, perché ascoltando di passo in passo la tracklist noterete quanto e come sia stato certosino l'operato dei finlandesi.
Nel disco sono contenuti brani dal gusto radiofonico quali "We'll Be There" e "In The End" — delle vere e proprie hit adatte probabilmente pure alla trasmissione sui canali di Mtv senza però per questo risultare stucchevoli, le doti in loro possesso per ciò che concerne il songwriting e l'esecuzione sono decisamente superiori a ciò che quella piattaforma oramai spregevole ci offre quotidianamente — e canzoni che fanno sì che le chitarre e l'ampio spazio concesso ai synth convivano rafforzandone l'atmosfera come avviene in "Behind The Mirror". Del resto c'è da dire che i due chitarristi, Eriksson e Tuukka Nurmi-Aro, si disimpegnano in maniera alquanto interessante non solo in chiave ritmica, anche la solistica da prova d'essere in buon stato di forma in "Deadweight", "Nothing To Regret" e "River Runs Deep".
Qualche partitura dal retrogusto industrial e nu-metal si palesa in "Thin White Lines", una costante ricerca della melodia vincente, l'azzardo di una estremizzazione del sound in "Drag Me Down To Hell" e il discreto posizionamento degli episodi strumentali ("The Beginning And The End" in qualità di intro e "Who Are Talking To" in ambito pre-finale) sono l'ennesima conferma che i Lunar Path hanno messo in atto delle scelte oculate, tentando in tutti i modi di evitare di riproporre fedelmente le schematiche che da troppo tempo "infognano" il gothic odierno, soluzioni che di frequente hanno letteralmente violentato la riuscita di più album, penso sappiate a cosa io possa riferirmi.
Un po' di staticità nell'impostazione delle linee vocali di Janica non incide negativamente sulla resa complessiva dei pezzi e il concept sviluppato è interessante, il cambiamento, o metamorfosi in corso, è ben rappresentato oltre che liricamente anche in maniera figurata all'interno del booklet, inoltre il packaging, un elegante digipak apribile, è azzeccato anche per ciò che riguarda la visione cromatica, è veramente ben fatto, aprendolo e sollevando il cd dal suo "letto" troverete... dai lascio scoprirlo a voi.
È altrettanto apprezzabile l'apporto fornito sia dai vari ospiti dietro il microfono come Juha-Pekka Leppäluoto (Charon, Harmaja e Northern Kings) in "In The End", Tuomas Saukkonen (Before The Dawn, Black Sun Aeon e Dawn Of Solace) in "Drag Me Down To Hell" e Attila Csihar (Tormentor, Mayhem, Plasma Pool, Aborym e chi più ne ha ne metta), che in fase d'assolo con Antti Leskinen (Fatal Sound Project) presente in "Drag Me Down To Hell".
Lo so, avete ragione, mi sono dilungato, però i Lunar Path a mio modo di vedere se lo meritano: la compagnia di "Memento Mori", per quanto possa risultare "leggera" a coloro abituati a fruire di ben altra tipologia di prove, è gradevole, non è di certo a loro che lo consiglio come primo approccio, però non escludo che anche qualcuno fra i tanti sostenitori dell'estremo possa ritrovarvi un paio di note d'interesse, in fin dei conti si sa che provare non costa proprio nulla.
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Gruppo: Le Minus
Titolo: Make My Day
Anno: 2012
Provenienza: Francia
Etichetta: Autoproduzione
Contatti: facebook.com/pages/Le-Minus/52763669537
Autore: Mourning
Tracklist
1. Next
2. Told You So
3. Playing With Echoes
4. Never Forgive, Never Forget
5. My First And Only Lesson
6. Castle Doctrine
7. One Parachute
8. Chaos Rains
9. Journey's End
DURATA: 40:24
Il crossover è quel modo d'intendere la musica trasversalmente, facendo sì che le composizioni vengano attraversate da diversi stili. L'abilità nel fondere più generi non è cosa da tutti, ma certo i fuoriclasse ci sono eccome anche in questo mondo.
Band come i Faith No More e i Primus per la loro ampia visione del sound potrebbero essere ritenuti tali, ed è innegabile che i francesi Le Minus, partendo dalle lezioni dei grandi che li han preceduti, stiano elaborando il proprio percorso in tale direzione. È altrettanto corretto inoltre aggiungere "i nipoti" di Mike Patton e soci, i Dog Fashion Disco, e altre realtà quali Living Color, Red Hot Chili Pepper e Mudvayne alla lista dei gruppi da poter annoverare a influenza di un lavoro, "Make My Day", imbastardito sino all'osso e che di questa natura volutamente ibrida fa la sua forza.
Il trio che vede Lord Murray al basso e alla voce, Captain' Yo alla sei corde e Mox alla batteria confeziona nove tracce che potrebbero essere definite in una miriade di maniere, sono accattivanti, articolate, ma non eccessivamente complesse, ossessive e psicotiche, evitando però l'aspetto cervellotico fine a se stesso.
È un perpetuo alternarsi e convivere delle identità rock e metal, un controllo destabilizzato anche dal punto di vista atmosferico ("Castle Doctrine"), con alcuni passaggi che necessitano di tempo per venire assorbiti integralmente ("Next"). In altri casi il titolo è ingannevole e il caos che dovrebbe essere concepito è invece latente, "Chaos Rains" difatti è stranamente agrodolce, a tratti languida, con il ritornello come unica "forzatura" al proprio interno. Infine si paleseranno pure movenze funky e "schitarrate" alternative metallizzate in "Playing With Echoes" e la schizofrenia in "Never Forgive, Never Forget", insomma non vi mancherà di che nutrire l'udito.
I Les Minus e "Make My Day" sono tutt'altro che commerciali o diretti, se i vostri ascolti rientrano normalmente in territori che abbracciano quei due aggettivi, non dico che li odierete, ma potreste far fatica a digerirli, non per una questione di pesantezza: come per molte delle band tirare in ballo all'inizio del testo, la poliedricità del sound è l'arma a doppio taglio del disco, siete disposti a venir loro incontro e approfondirli? In quel caso con l'aumentare dei giri nello stereo vi divertirete e li farete sempre più vostri; in caso contrario, non mi rimane che consigliarne l'acquisto agli abituali fruitori di prove di stampo similare, sarà pane per le loro avvezze dentature, che non avranno di certo problemi a masticare e digerire.
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Gruppo: Linear Sphere
Titolo: Manvantara
Anno: 2012
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/Linear-Sphere/329076993083
Autore: Mourning
Tracklist
1. Origin
2. Manvantara
3. Cycle Of Ages
4. Inner Flame
5. Reset Realign
6. The Dawning
DURATA: 43:11
Uno dei motivi per cui non sono mai diventato un appassionato fruitore di prog metal è il fatto di non essere un musicista, il non poterne apprezzare appieno le svolte stilistiche e la ricerca è stato un ostacolo duro da oltrepassare ma ancor più lo è la mancanza di espressione ed emozione di cui molti lavori del genere soffrono, con gli artisti troppo incentrati a incensarsi sullo strumento dimenticandosi di quelli che ascoltano e checché se ne dica alla lunga è un motivo che più di tanti altri ti fa accantonare un disco.
I Linear Sphere li avevo incrociati al tempo del debutto "Reality Dysfunction", album che ritengo tuttora valido e interessante, cervellotico ma privo di quella caratteristica della quale prima parlavo, era anzi talmente in ordine da risultare in alcuni momenti asettico. E' stata quindi una sfida, e devo ammettere un sollievo, essere smentito dal loro ritorno con "Manvantara".
Il concept sul quale ruota il platter è legato proprio alla parola che lo intitola, è un percorso che descrive la nascita, l'evoluzione, il decadimento e la conseguente rinascita dell'umana esistenza attraverso le ere, ogni singolo capitolo infatti ne rappresenta musicalmente e testualmente il racconto:
Concept album based on mankind’s journey through the ages, from the birth of modern man up to our present era, and is set within the timeline of the Hindu Yugas.
Sin dalle prime battute di "Origin" è palese che gli artisti in questione siano migliorati, la tecnica non è mai stata carente ma stavolta fanno sfoggio di un controllo e di un'esecuzione a dir poco da capogiro, sono abilissimi nel gestire le inflessioni melodiche, i cambi di tempo e il divagare nel mondo jazz che arricchisce una traccia d'apertura splendida per eleganza e accattivante nell'approccio del cantante camaleontico Jos Geron. Nel corso dei pezzi ricorderà un po' Dickinson e in parte LaBrie, rimanendo però alquanto personale nell'imporsi sul brano, qualità che ne accresce notevolmente il valore.
La titletrack non fa altro che rincarare la dose, la creatura Linear Sphere è lucente, brilla grazie all'abilità dei musicisti nel forgiare trame che nel loro apparente riprendersi e ripetersi sono ingannevolmente difformi; per apprezzare le sfaccettature del pezzo bisognerebbe addormentarcisi sopra dopo una sequela infinita d'ascolti; l'assolo di Martin Goulding è spettacolare, il musicista padroneggia la sua sei corde con un gusto e un'incisività da primo della classe.
Parlando di assoli come non rimanere estasiati da quello posto in apertura del terzo episodio "Cycle Of Ages"? Il pezzo, inizialmente felino nelle movenze, si azzera lasciando spazio alle tastiere di Jamie Brooks che accompagnano il recitato di Paul Darrow di cui riporto il testo:
And so, the dark end times of the Kali Yuga came to pass, an age in which mankind’s spiritual connection to the source of creation had become long forgotten. Technological advancements had brought unparalleled prosperity to Atlantis, an obsession for material wealth stripping the earth of its natural resources and a population deeply corrupted by the unseen forces of the shadow kingdom. And as the spirit of our sacred earth cried out in pain from an age of exploitation, a comet responded from the depths of the cosmos, sent by the forces of karma, a cataclysm that would see Atlantis crash beneath the waves. The second moon, shattered in a misguided attempt to avert the impact using energies far beyond man’s comprehension, a whole civilisation wiped from the face of the earth. And so, an empire unequalled in its achievements was destroyed by the consequences of its own actions and the earth was left to heal its wounds. The powerful enlightening energies of the incoming Krita Yuga would soon be dawning, with mankind awakened to a new age of wisdom.
La canzone dopo questa fase di "gelo" apparente vive un'escalation emotiva che la incattivisce, diviene più dura e scontrosa nei toni, Martin infila l'ennesimo solismo pregevole e il ritornello riesce a far presa, tutto ci conduce alla quarta stazione denominata "Inner Flame". Ormai non so più come elogiare l'operato dei britannici, qualsiasi cosa decidano di fare, qualsiasi direzione decidano d'intraprendere lo fanno certi che il risultato ottenuto sarà quello atteso. Questa traccia non solo conferma la bontà della loro proposta, ma attesta che sono in grado di scrollarsi di dosso quella forma di contorsione strumentale disorientante, affidandosi a un contatto lievemente più fruibile. Si rimane sempre su livelli qualitativi fuori norma, questo è da stamparsi chiaro in testa, però si ha l'impressione che mollino leggermente le redini e ciò rende "Inner Flame" particolarmente apprezzabile. "Manvantara" dura sì e no tre quarti d'ora, mentre scrivo sono già al sesto giro consecutivo, dovrei essermi stancato e invece ne sono completamente inghiottito, intanto è giunto il tempo di "Reset Realign", l'ennesimo mastodonte tecnico e cristallino, coinvolgente e in questo caso più dei precedenti evocativo, Jos è la punta di diamante e la sua interpretazione ci consegna frangenti di un'intensità e interesse spaventosi. La conclusione di questo viaggio nelle ere affidata a "The Dawning" avviene nella maniera più naturale e adeguata, il brano non aggiunge nulla a quanto sinora espresso dai Linear Sphere, si allinea al vissuto della tracklist dandole quel respiro conclusivo che calza a pennello, stranamete Geron in questa circostanza mi ha ricordato David Draiman dei Disturbed nella pronuncia delle parole. Hanno fatto aspettare chi li teneva d'occhio otto anni ma n'è valsa la pena, ancora una volta i Linear Sphere si autoproducono, tra l'altro splendidamente (qui sarà anche scontato, è però possibile che una band simile non abbia un'etichetta seria dietro le spalle?), tirano fuori un gioiellino e sembrano urlare a gran voce "ci siamo". Del resto "Manvantara" farà felici coloro i quali abitualmente fanno girare nello stereo produzioni di band come Spiral Architect, Cynic, Dream Theater e non escludo il fatto che gli appassionati del mondo heavy più ricercato quanto della musica raffinata in genere possano rimanere estasiati da un ascolto simile. Le uniche cose che quindi ritengo sia corretto fare sono comprarlo e supportarli.
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Informazioni
Gruppo: Lacrima
Titolo: Old Man's Hands
Anno: 2011
Provenienza: Polonia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/lacrimapl
Autore: Mourning
Tracklist
1. Old Man's Hands
2. As A Slave
3. Regardless
4. Fever Of Deception
5. Dangerous Patterns
6. Alar Shadows
7. Crying Willows '96
8. I Shouldn't [live in Cracow]
DURATA: 38:13
I polacchi Lacrima devono aver avuto una situazione interna alla band alquanto travagliata, sono in giro dal 1994 e dopo il demo "The Prisoners Of Time" prodotto tre anni anni più tardi, seguito dal debutto "The Time Of Knight's Return", si prendono una pausa sino al 2003 che li vede rispuntar fuori con un secondo demo intitolato "Innocent Incarnations".
Fin qui niente di strano poi però il nulla fino al 2010 con l'uscita di un dvd celebrativo per i quindici anni d'attività, "15th Anniversary Live", e solo nel 2011 viene dato alle stampe il secondo disco "Old Man's Hand".
E' trascorsa oltre una decade eppure questo disco è totalmente devoto al sound anni Novanta del panorama gothic.
Il sound sia per il modo di proporlo sia per le soluzioni solistiche, le pause interne ai brani e l'utilizzo della voce di Kuba Morawski che fortunatamente per noi "disconosce" le aperture in clean, utilizzando soltanto un paio di spoken words e preferendo un "ringhiare" definito, e le influenze dei Paradise Lost che si combinano con quelle degli Anathema, ci consegna una prova che si distacca dalla visione odierna fatta di melodie frequentemente sdolcinate, fraseggi power e femminilità dirompente.
La componente vocale dell'altro sesso infatti viene inserita solo a supporto della canzone come accadeva nei bei tempi andati, in maniera meno invasiva rispetto anche a coloro che interpretano oggi il genere, dando comunque sfoggio di prestazioni d'alta qualità e in parte conservatrici come avviene nei Draconian e figliocci Nox Aurea.
Le prime quattro tracce possiedono una più che discreta prestanza e un'atmosfera grigia pesante: l'opener è caratterizzata dall'incedere allentato, epico, condito dalle intrusioni della cantante Hanka Swaryczewska che ci fossero o meno non so se farebbe particolare differenza; "As A Slave" è stranamente intrisa di Amorphis e Dark Tranquillity, le chitarre in certi frangenti ricordano sia la formazione di Esa Holopainen che quella di Niklas Sundin, particolare e piacevole; "Regardless" è grevemente emotiva, le coordinante sonore sono sempre quelle di stampo britannico interpretate in maniera alquanto coinvolgente e "Fever Of Deception" vi si allinea giungendo agli ultimi due capitoli nuovi, "Dangerous Patterns" e "Alar Shadows"; il primo è decisamente più spinto e veloce con Stanne e soci percettibilissimi nel sound mentre il secondo invece tendente per lo più a far rivivere i Lost che furono, l'intro di tastiera praticamente lo si potrebbe inserire in "Icon" senza problemi.
I Lacrima sul finire collocano "Crying Willows", canzone contenuta nel demo "The Prisoners Of Time", e la versione live di "I Shouldn't" estratta dal dvd registrato a Cracovia, nulla che sposti realmente il peso sui piatti della bilancia né dell'uno né dell'altro lato, si lasciano ascoltare, probabilmente con pezzi nuovi si sarebbe ottenuto un riscontro maggiormente positivo.
Nostalgici? Può darsi. Per Nostalgici? Sicuramente sì, fra le tante zozzerie che inondano il filone gothic, e chissà per quale motivo entrate a far parte di questo mondo, con un album dello stampo di "Old Man's Hands" sembra di incontrare un vecchio amico con il quale non ci si vede da una vita, magari vi risulterà parecchio derivativo, e lo è, vedetelo come un omaggio agli anni Novanta e speriamo di non dover attendere un secolo per il capitolo successivo, rimanesse sulla stessa scia non mi dispiacerebbe di certo ascoltarlo.
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Informazioni
Gruppo: Lento
Titolo: Anxiety Despair Languish
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Denovali Records
Contatti: www.facebook.com/lento.icon
Autore: Mourning
Tracklist
1. Glorification Of The Chosen One
2. Death Must Be The Place
3. Questions And Answers
4. Blackness
5. Anxiety, Despair And Languish
6. The Roof
7. Years Later
8. A Necessary Leap
9. Underbelly
10. Blind Idiot God
11. Inwards Disclosure
12. Unyielding , Unwavering
13. My Utmost For His Highest
DURATA: 40:50
Una volta i Lento erano ispirati dai grandi nomi dell'ambito post, adesso i Lento sono quelli che potrebbero ispirare i nuovi che avanzano. La formazione nostrana è matura, ambiziosa e con le palle quadrate, lo dimostra l'ennesimo rilascio, "Anxiety Despair Languish", a un anno di distanza dall'ultima fatica "Icon". In mezzo c'è stato anche il tempo di dare spettacolo dal vivo registrando l'album "Live Recording 8.10.11", che si distacca in parte da quelle sonorità per affrontare una nuova avventura sempre e univocamente strumentale.
L'approccio sonoro così vivido e volutamente "live" della loro proposta non è mai stato così claustrofobico, non è andata perduta una solo briciola della potenza contenuta nei lavori passati, "Death Must Be The Place" e la successiva "Questions And Answers" sembrano essere lì apposta per farcelo presente. Eppure il feeling armonico e le fasi rilassanti in questo campo minato non sono del tutto assenti, l'opener "Glorification Of The Chosen" e "Blackness" ne sono chiari esempi, non tralasciando il fatto che disseminati nelle tracce appaiono interventi acustici e frangenti di stasi apparente a livellare un clima torbido e cupo.
"Anxiety Despair Languish" si diverte come fa il gatto con il topo, lo intimorisce, perseguita, sino a bloccarlo portandolo a compiere movimenti maniacali prima di finirlo. Gli attimi d'aria concessi sono soltanto vane speranze infrante dalla pressione e dalla seducente capacità di portare al limite l'ascoltatore tramite l'utilizzo di synth che acuiscono quella sensazione ossessiva. L'operato di Paolo Tornitore è fondamentale in canzoni come la titletrack, "The Roof", "Underbelly" e "Blind Idiot God", anche se la sua presenza è riscontrabile in altre occasioni, si veda la collaborazione in fase di creazione a quattro mani del brano "Unyielding, Unwavering".
Viene da chiedersi: "Anxiety Despair Languish" é il completamento di un ciclo? I Lento continueranno a evolversi o proseguiranno su questa strada puntando alla perfezione prima di cambiare rotta nuovamente? A entrambe le domande rispondo con un "non lo so", ciò di cui sono estremamente certo è che questo nuovo disco è quello che si può definire un capolavoro. Starò esagerando? Se vi dovesse sembrare così, prima di attaccarvi a quella parola, inseritelo nello stereo, ascoltatelo mille volte sviscerandolo e magari potreste anche giungere a un accordo con la mia visione.
Sì, questa è decisamente una di quelle occasioni nelle quali il motto "italians do it better" andrebbe scritto a lettere cubitali, per coloro che amano il genere l'acquisto è d'obbligo.
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Informazioni
Gruppo: Lustre
Titolo: They Awoke To The Scent Of Spring
Anno: 2012
Provenienza: Svezia
Etichetta: De Tenebrarum Principio
Contatti: facebook.com/lustresweden
Autore: Mourning
Tracklist
1. Part 1
2. Part 2
3. Part 3
4. Part 4
DURATA: 40:14
Il progetto Lustre, one man band svedese il cui titolare è Nachtzeit, è ospite fisso di Aristocrazia ormai da tempo, il "listone" delle recensioni vanta la presenza di tre capitoli antecedenti a quest'ultimo "They Awoke To The Scent Of Spring", terzo capitolo in formato full.
L'album in questione rappresenta e conferma l'evoluzione di ciò che il musicista scandinavo ha prodotto nel recente passato, è impossibile non riconoscere lo strano marchio "solare" che Lustre sembra possedere naturalmente.
L'ambient/black da lui composto, pur attingendo dall'esperienza di Burzum e barcamenandosi in creazioni atmosferiche non lontane dal rimembrare l'aura dei Summoning dell'era di mezzo, si candida per ottenere quel titolo "personale" che è tanto difficile da assegnare odiernamente. Possiede infatti dei tratti distinguibili, molti dei quali risiedenti nell'impostazione dei synth, accompagnamento mai ingombrante e dal tocco carezzevole, frequentemente sognante e nell'utilizzo di soluzioni melodiche adatte a far trasparire quella sorta di luminosità che in maniera piacevole viene contrastata dalla sparuta comparsa del supporto vocale raschiato e serpeggiante.
Nachtzeit era probabilmente lungimirante al tempo della stesura dei brani, il platter infatti venne completato nell'autunno del 2010, la stagione è il crocevia per il grande sonno, quell'inverno che avvolge e immobilizza, che consegna il mondo al freddo e ai colori più tenui. L'ispirazione quindi per il risveglio, anche del proprio io, nella stagione primaverile con annesse sensazioni di temperatura in crescendo viene valorizzata da quelli che sembrano essere in tutto e per tutto quattro cantici. Tralasciate la paternità "religiosa del termine" per concentrarvi più che altro sulla solennità con la quale le note e l'esposizione del sound dei Lustre innescano quella reazione naturale che permette all'ambiente intorno a noi di rifiorire, mantenendo però un contatto non poi così flebile con quel riposo temporaneo che ne aveva ingabbiato la vivace esplosione.
L'immaginario e la proposta di "They Awoke To The Scent Of Spring" sono talmente leggiadri in alcuni passaggi che non si distanziano poi molto per tale atteggiamento da prestazioni post-rock dalla tendenza gioviale, quest'ultimo non è obbiettivamente aggettivo consono all'essenza del lavoro che però è capace di rilassare e far viaggiare con i suoi ipnotici riff di chitarra che si ripropongono ammaliando e la melancolia insinuante che diviene una compagna di viaggio assidua.
A coloro che hanno gradito gli episodi discografici già rilasciati, non credo servano altre forme d'incitamento che conducano all'ascolto di "They Awoke To The Scent Of Spring", il disco è ciò che ci si attende da un artista qual è lo svedese, un songwriter ormai maturo e conscio d'avere una propria visione del genere che fa la differenza.
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