Informazioni
Gruppo: Frijgard
Titolo: Nebelwacht
Anno: 2011
Provenienza: Argovia, Svizzera
Etichetta: Black Tower Records
Contatti: frijgard.ch
Autore: ticino1
Tracklist
1. Frijas Tal
2. Nebelwacht
3. Frijgard
4. Eises Tränen
5. Kriegsgesang
6. Friedenslinde
7. Rabenwald
8. Blutpakt
9. Quell Des Lebens
10. Dem Tod geweiht
11. Ruf Der Heimat
DURATA: 50:12
 L'ultimo pacchetto della nostrana Bergstolz conteneva anche qualche supplemento: Frijgard? Canton Argovia? Ah, quasi dei vicini di casa... Pagan black? Oh Cristo... perché proprio a me? Faccio buon viso a cattivo gioco e inserisco il CD nel mio lettore, che cosa sentirò?
Quali sono i primi punti che noto? Le canzoni che compongono "Nebelwacht" si astengono spesso e volentieri dalla velocità, un'eccezione la troverete in "Frijas Tal", ma approfittano di una buona dose di melodia non penetrante. I ragazzi non hanno timore e presentano anche parti acustiche ben eseguite, tuttavia — per evitare che il tutto cada nella banalità — le centellinano, come potrete sentire nella quarta traccia. I Frijgard s'impegnano a intrecciare le composizioni in modo intrigante, variando le scale impiegate e giocando con le diverse voci o cori. Con più brio, epicità e meno melanconia si presenta invece "Kriegsgesang", che con i suoi ritornelli potrebbe diventare un cavallo di battaglia in concerto. Il lavoro strumentale è pulito, non c'è che dire; soggettivamente trovo però che qui e là le canzoni contengano passaggi un po' blandi, come per esempio nell'ultimo terzo di "Friedenslinde". Questa impressione è forse dettata dal mio gusto personale, mi pare però che in questi casi gli argoviesi abbiano voluto strafare con la quantità di scale impiegate. Item, de gustibus non est disputandum, lo sappiamo. Dopo avervi reso l'idea generale del disco, tengo ancora ad accennare che i testi in tedesco danno quel tocco marziale che è ideale per mettere in risalto molti passaggi del disco, ascoltare per credere! Che dire ancora? "Rabenwald" e "Blutpakt" sono i miei pezzi preferiti: il primo lo gradisco particolarmente perché mi ricorda i Messiah della prima ora.
Il quartetto elvetico offre un disco che, e qui mi ripeto, è in sintonia con la neutralità svizzera, difatti "Nebelwacht" è, visto alla luce dell'artigianato musicale, molto al di sopra della linea tracciata dalla banalità, ma non riesce ad arrivare a livelli che siano in grado di stupire l'ascoltatore. Questi cinquanta minuti sono comunque parecchio goderecci, e li apprezzerete senz'altro passandoli in comodità con una birra in mano. Il gruppo è giovane e ha ancora davanti a sé tanta strada.
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Gruppo: Folkearth
Titolo: Valhalla Ascendant
Anno: 2012
Provenienza: Internazionale
Etichetta: Stygian Crypt Records
Contatti: facebook.com/Folkearthband
Autore: Mourning
Tracklist
1. Valhalla Ascendant
2. Solstice Fires
3. No Mercy
4. Winter Enthroned
5. Hrolfr, The Viking
6. Dragon's Blood
7. The Brave
8. Sail In The Wind
9. Carved In Runes
10. The Legend Of Thule
DURATA: 44:35
Sul finire del 2012 i Folkearth hanno rilasciato l'undicesimo disco in otto anni di attività: questi non vogliono proprio sentir ragione di stare fermi! "Valhalla Ascendant", l'ultimo nato, è il classico album che ci si attende da loro e con esso si perpetua la tradizione che ci consegna l'ennesima produzione priva d'infamia, ma non meritevole di eccessiva lode, insomma un altro capitolo discografico fra luci e ombre. Stavolta però c'è qualche luce in più rispetto al recente passato e il gruppo si concentra più sul lato folkloristico, avvalendosi comunque della prestanza sfoderata in "Sons Of The North".
Le formule stilistiche applicate sono note, inutile dilungarsi sul come e perché si muovano costantemente su di un percorso battuto e ribattuto con risultati altalenanti, sono guidati dalla passione e sotto quel punto di vista c'è poco da dire, poiché la si percepisce, si capisce che amano ciò che fanno. A riprova di quanto scritto poco più su sono riscontrabili piacevoli spunti all'interno della traccia che dà il titolo al disco posta in apertura, nella quale spicca particolarmente il solismo che vi fa breccia; "Hrolf, The Viking" importa aria svedese, con gli Amon Amarth citabili in qualità di presenza-influenza; "Dragon's Blood" è emozionante grazie a una Yanina Zelenskaya in buona forma, pur se la cantante è meno incisiva in episodi come "No Mercy" e nell'accoppiata conclusiva composta dall'incantevole acustica "Carved In Runes" e "The Legend Of Thule", pezzo che racchiude in sé l'intero repertorio in possesso dei Folkearth.
Come al solito un po' per la volontà di fare più del necessario, un po' per la non sempre ispirata vena in ambito compositivo, canzoni quali "Winter Enthroned" e "The Brave" sono abbastanza piatte e altre sembrerebbero un po' gettate lì tanto per far numero, si vedano "Solstice Fires" e "Sail In The Wind". Ci ritroviamo poi con una "Valhalla Ascendant" che può prestarsi unicamente come buona compagnia di sottofondo, oltre quello non le si può proprio chiedere.
Neanche a farlo apposta ed è quasi inutile negarselo, le copertine create per l'occasione da Kris Verwimp sono sempre inseribili fra le note maggiormente positive legate al nome Folkearth e questo la dice lunga sul valore di un progetto che potenzialmente avrebbe più volte potuto dare tantissimo, mentre a oggi, dopo undici dischi rilasciati, prosegue stabilmente a navigare in acque calmissime e affini a una tranquillissima, a tratti sin troppo comoda, poco incoraggiante sufficienza.
"Valhalla Ascendant" regalerà un paio di attimi lieti accompagnati da un'atmosfera gradevole a coloro i quali, come il sottoscritto, hanno avuto modo di apprezzare i Folkearth più per la genuinità dell'intento che per il risultato; i restanti invece potranno rivolgere lo sguardo in direzione differente, poiché inoltrarsi in un ascolto che non aggiunge nulla di nuovo e rappresenta ciò che in passato è già stato evitato sarebbe solo una perdita di tempo.
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Gruppo: Fosch
Titolo: Gh'èra Öna Ólta...
Anno: 2013
Provenienza: Bergamo, Italia
Etichetta: Natura Morta Edizioni
Contatti: facebook.com/foschbg
Autore: Istrice
Tracklist
1. Ol Rossàl
2. La Cà Di Spérecc
3. Al Parlàa Coi Mòrcc
4. I Sàcoi Del Diàol
5. L'Om Di Sèt Capèi
6. Ol Serpént Dela Còrna Rósa
7. Stöf
DURATA: 35:52
Sarà che per ragioni storiche e lavorative conosco ormai come le mie tasche le valli bergamasche, sarà perché sono zone per cui nutro simpatia, sarà perché trovo che i casoncelli alla bergamasca diano le piste ai più noti bresciani, de facto mi appropinquo con curiosità all'ascolto di "Gh'èra Öna Ólta...", seconda fatica della band orobica nota col nome Fosch, ovverosia il termine dialettale per "oscurità".
I lombardi, che per chi non lo sapesse sono composti per gran parte da personaggi già apparsi sulle pagine di Aristocrazia, dato che tre quarti del gruppo milita anche nei Veratrum, una delle realtà più interessanti della nostra scena metal, cercano di dare una lettura personale alla materia black metal, fondendola con la propria tradizione locale, raccontandola con l'idioma più congeniale, il dialetto. Ma attenzione, non aspettatevi una delle dodicimila band clone che rivendica le proprie origini, proponendo una qualche sorta di black-folk di tendenza, bensì un black metal dai pochi compromessi e dalle reminiscenze di un certo black atmosferico d'oltreoceano, ben suonato e diretto, in cui venature death fanno capolino di tanto in tanto dando movimento ai pezzi. Venature che emergono a partire dal cantato di Burì, in origine bassista, passato per esigenza alla voce dopo la partenza del cantante fondatore Bunom, abile nell'alternare un growl piuttosto profondo a uno scream tagliente, creando nel complesso una buona trama vocale, oltre alle liriche, come già detto, del tutto particolari.
Il disco in generale è godibile, sebbene troppo altalenante a livello qualitativo per poter essere definito imprescindibile: la scaletta offre pezzi decisamente più riusciti come "I Sacoi Del Diaol", che convince sia nel suo attacco melodico che nell'incedere deciso che caratterizza la seconda metà del brano, e "Ol Serpent De La Corna Rosa", in cui lo stacco death centrale dà carattere. Per contraltare altre tracce peccano di personalità, alcuni passaggi lenti tendono a risultare un po' stucchevoli e poco centrati, minando così la qualità complessiva di un lavoro che comunque risulta interessante a livello puramente intellettuale e piacevole all'udito.
È mancata la capacità, peraltro rara, di realizzare un disco completo e omogeneo che sapesse catalizzare l'attenzione dell'ascoltatore dall'inizio alla fine, senza tempi morti. E possibilmente, ma questo è un gusto e un suggerimento puramente personale, che vale meno di zero, con suoni più estremi e meno levigati, che donerebbero al tutto quel quid, quel mordente che nel black metal non deve mai mancare. I ragazzi però non sono privi di attributi, dal canto nostro li attendiamo al varco, al definitivo salto di qualità.
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Gruppo: Field Rotation
Titolo: Fatalist: The Repetition Of History
Anno: 2013
Provenienza: Germania
Etichetta: Denovali Records
Contatti: facebook.com/fieldrotation
Autore: Mourning
Tracklist
1. The Uncanny
2. Valse Fatale
3. Fatalist
4. History (Fragment)
5. The Repetition Of History
6. The History Of Repetition
DURATA: 42:09
Field Rotation è il progetto creato dal tedesco Christoph Berg, artista che nel breve lasso di tempo di un lustro circa ha gettato le basi per una proposta musicale che continua a espandersi, partendo dall'idea che elettronica e classica siano in grado di convivere in armonia e che sia fondamentale far acquisire alle movenze dei brani una capacità figurativa notevole. Vi era riuscito nel debutto targato 2011 dal titolo "Acoustic Tales", aveva replicato nell'esperienza neoclassica che preferiva rimanere al di fuori del campo della contaminazione elettronica in "Paraphrases" (uscito a proprio nome) e adesso con "Fatalist: The Repetition Of History" si è superato, elevando sia le atmosfere che l'impatto iconico trasportato dai pezzi a un livello ancora più alto e aulico.
Una vista sconfinata ci attende, più ci s'inoltra nel territorio sonoro composto da vibrazioni delicate, cicliche, alle volte spettrali e profonde, altre melodiche e raffinate, più emerge un flebile, ma interessante contrasto che vi ruota all'interno: quella che in realtà potrebbe sembrare una carezza esclusivamente rivolta a quietare l'animo, vede strisciare sotto di essa una corrente scura e suadente che rimembra quelle dark-ambient. Tale impressione viene annullata in varie circostanze dalla capacità di immettere in circolo solennità e grazia, come avviene nell'atto conclusivo "The History Of Repetition".
L'album è un progressivo obliarsi con candore per risorgere sul finire: "The Uncanny" spalanca le porte, accogliendoci in questo mondo ancora in bilico fra la discesa che successivamente ci attende e il piano in cui ci muoviamo al momento, sino a condurci a "Valse Fatale", la cui aura assume connotazioni sordide. Il piano poi collassa in un'ambientazione lugubre in cui, al pari di una lama che fende l'aria, fa breccia la voce di Mari Solaris: è il preludio dell'affondo che in "Fatalist", traccia nella quale la staticità diviene arma primaria, ci avvolgerà in un tessuto uniforme e dai colori che vanno sbiadendosi. Il terzo pezzo è l'abisso insito nel lavoro, il fondale da cui risalire; una volta superato, seppur lentamente, la ripresa avviene in maniera alquanto naturale a partire da "History (Fragment)".
I droni incantevoli che si esprimono a cadenza regolare e le garbate armonie denotano un cambio d'approccio che sfocerà nelle distinte melodie sfoggiate in "The Repetition Of History", dove ci si libera di volta in volta dello strato grigio-nero sotterraneo presente inizialmente, dando così forma alla già chiamata in causa "The History Of Repetion", nella quale la raffinatezza acquisisce anche lucentezza e il respiro affannato di chi si era perso internamente a una gabbia dorata indistruttibile diviene il sospiro di colui che ha trovato la propria via d'uscita.
Christoph Berg ci consegna un gioiello, un disco che conquista la mente, permettendole di viaggiare infinitamente e dandole in pasto una gamma d'emozioni incostante e incontrollabile, che perciò affascina. Non c'è un modo preciso e corretto di viverlo, si ha la possibilità di assorbirlo in maniera unica e personale, forse la dote più importante in un mondo che al giorno d'oggi ama cibarsi di cloni.
Adorate la musica classica, l'ambient e l'elettronica? Ottimo, "Fatalist: The Repetition Of History" è ciò che fa per voi, ma anche se non foste avvezzi a tali sonorità, e il sottoscritto non le mastica quotidianamente, date comunque un ascolto a questo album, perché potreste rimanerne seriamente incantati.
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Gruppo: Fake Heroes
Titolo: Divide And Rule
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Antstreet Records
Contatti: facebook.com/fakeheroes.band
Autore: Mourning
Tracklist
1. Jiddu
2. FH
3. Anthill
4. Beyond This Glass
5. Between Sounds And Noises
6. Stealing
7. Wise Man
8. Don't Believe Them
9. Reflection
10. Sense Of Gratitude
11. Need Of Light
DURATA: 43:03
Basta poco per dar vita a un grande album, basta pochissimo per rimanere bloccati nel purgatorio della mediocrità; è un passo breve quello che conduce da un lato o dall'altro di tale linea di demarcazione qualitativa e al giorno d'oggi le due sponde vantano un numero di frequentatori altamente elevato e interscambiabile. Ciò che voglio dire è che molte volte, soprattutto quando si parla di prime prove, giocarsela sul cosiddetto "sicuro" può divenire più rischioso di quanto si immagini. Questo è il caso dei Fake Heroes di "Divide And Rule" ("Divide Et Impera" inglesizzato).
Il quintetto pescarese ha confezionato un debutto piacevole e decisamente ben composto. Tutto sembra girare a dovere, partendo dalla scelta dell'impostazione melodica per i brani e passando per le brevi, ma interessanti, divagazioni ipnotiche che di tanto in tanto si percepiscono. È un binomio rock-metal che convive in maniera gradevole e mai eccessiva, tuttavia palesemente "schiavo" di nature compositive ben più note (Alter Bridge e Tool fra i tanti) che lo incatenano limandone i valori. Il peso esagerato della derivazione è purtroppo da tenere in considerazione. Non posso affermare che l'album sia brutto, né che non si lasci ascoltare; è però chiaro quanto, pur avendo apprezzato brani come "Anthill", "Beyond This Glass", "Stealing", "Wise Man" e "Need Of Light, la proposta francamente fruibilissima e di buona compagnia non riesca in alcun modo a staccarsi dalla mediocrità prima chiamata in causa. A dire il vero, la forma curata sotto ogni aspetto aiuta, seppure non permetta comunque a "Divide And Rule" di prendere il volo all'interno di un mercato discografico sempre più colmo d'uscite altrettanto valide.
"Divide And Rule" si guadagna una sufficienza e pone le basi su cui poter lavorare per migliorare, ampliare e, mi auguro, provare a mettere un po' di sostanza propria in un secondo album che potrebbe, in un prossimo futuro non lontano, consegnarci i Fake Heroes in grado di dire la loro a tutti gli effetti. Li si attende al varco.
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Gruppo: Fferyllt
Titolo: Prediction
Anno: 2012
Provenienza: Russia
Etichetta: Stygian Crypts Production
Contatti: facebook.com/pages/Fferyllt-Sympho-Folk-Metal/278082853870
Autore: Mourning
Tracklist
1. Prediction
2. Loki's Revenge
3. Brothers Of North
4. Fenrir
5. Berserker's Way
6. Aurgelmir
7. Ice Axe
8. The Symphony Of Ice And Flames
9. Called By War
10. Iddavöll
DURATA: 51:51
I russi Fferyllt hanno fatto un gran salto in avanti, passando dal gradevole debutto "Dance Of Druids", ma affetto da una staticità compositiva evidente, a questo ben più interessante successore "Prediction". La band non ha rimescolato le carte in tavola, la "zuppa" è la solita: un album che ci offre melodie e un'impostazione generale classica del filone folcloristico, ricollegabile a tanti nomi ben più noti, inutili anche da tirare in ballo.
Il quintetto di Krasnodar tuttavia è riuscito a fornire alle canzoni una forma maggiormente definita e dinamica, combinando inoltre le due voci in maniera più incisiva rispetto al recente passato. Sia il growl a cura dell'ospite Michael Chikviladze, sia il canto pulito dell'ormai ex Natalia Gladkova risultano essere più convincenti rispetto a quelli già piacevolmente esibiti in passato da Rustam Borzov e Yanina Zelenskaya: il primo fornisce una profondità che segna il passaggio in maniera più netta, mentre la seconda offre quel tocco "etnico" calzante ai brani. A questi due buoni aspetti si va ad aggiungere l'efficace predisposizione con la quale i fraseggi sinfonici e i vari ingressi della strumentazione folk incidono sull'atmosfera generale del disco. In pratica in "Prediction" i Fferyllt hanno affinato le proprie doti di base, questo ha fatto sì che all'interno della scaletta si possano trovare episodi meritevoli d'ascolto come "Fenrir", "Ice Axe" e "Called By War"; le altre tracce invece, pur senza stupire, dimostrano di sapersi difendere più che degnamente, consegnandoci così un lavoro che per mestiere e discreta fattura si guadagna un paio di giri e più nello stereo.
Tra le altre cose l'album è supportato da una produzione pulita e più che discreta, curata dal membro polistrumentista del gruppo Dmitry Eliseev, tassello che non va trascurato in un quadro generale dai contorni positivi.
I Fferyllt non si stravolgono, ma pian piano crescono, continuando rispettabilmente a fornire musica che possiede un suo perché. È certo poi che se non cambiassero una donna dietro al microfono ogni sei mesi ne trarrebbero giovamento, tuttavia se i risultati tendono a migliorare ben venga. Intanto in attesa di una terza prova, quella della maturità, che ci auguriamo attesti che la crescita è costante, chi nutre una sfegatata passione per questo mondo potrebbe dedicar loro del tempo, sono di buona compagnia.
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Artista: Fear Factory
Titolo: Soul Of A New Machine
Anno: 1992
Provenienza: Stati Uniti
Etichetta: Roadrunner Records
Contatti: facebook.com/fearfactory
Autore: ticino1
Tracklist
1. Martyr
2. Leechmaster
3. Scapegoat
4. Crisis
5. Crash Test
6. Flesh Hold
7. Lifeblind
8. Scumgrief
9. Natividad
10. Big God / Raped Souls
11. Arise Above Oppression
12. Self Immolation
13. Suffer Age
14. W.O.E.
15. Desecrate
16. Escape Confusion
17. Manipulation
DURATA: 55:13
Leggendo il numero 65 del Rock Hard tedesco sono attirato dalla critica di un disco particolare. Fear Factory... mai sentiti nominare prima. Una frase come "questo è il lavoro death più particolare che sia uscito finora" non può che risvegliare l'interesse di un ventenne fanatico del genere come il sottoscritto. Pochi giorni dopo esco felice dal negozio con il mio bel CD in mano, non vedendo l'ora di poterlo ascoltare.
Ritmi molto pesanti, rumori indefinibili (si dice appartengano all'industrial, definizione che — a essere sincero — io non ho ancora capito), una voce svolazzante dal gutturale al pulito, durezza che scivola nella melodia e tanti altri "giochi musicali" mi entusiasmano tanto che, dopo avere copiato il tutto su cassetta, questa scorre quotidianamente almeno una o due volte nel mio walkman. Non riesco neppure a rendermi conto di quanta varietà sia contenuta in questo gioiello. Nel giro di pochi giorni conosco i testi quasi a memoria e scopro ancora qualche piccolo dettaglio sfuggitomi negli ascolti precedenti.
"Big God / Raped Souls" è probabilmente la traccia che secondo me riassume al meglio questo lavoro eccezionale!
Sì, sono convinto che il death metal non morirà mai e, come He-Man, sconfiggerà tutti per proteggere il Mondo e i metallari accaniti come me.
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Gruppo: Forbidden Eye
Titolo: Orthodox Path Of Worship
Anno: 2012
Provenienza: USA / Svizzera
Etichetta: Bergstolz
Contatti: facebook.com/forbiddeneye
Autore: ticino1
Tracklist
1. Intro
2. Faith In Sacrifice
3. Orthodox Path Of Worship
4. Satan Is Timeless
5. Forbidden Eyes
6. The Coming Terror Of Jehovah's Demise
7. Mysteries Of Darkness
8. Outro
9. Tempered In The Furnace Of Truth (solo sulla versione CD)
DURATA: 40:02
Il duo elvetico-statunitense composto da Nocturnus Dominus e Winter sembra aver trovato la giusta sintonia e non si limita più ad apparire sotto il nome Antichristian Kommando, ma si manifesta ora anche nella veste di Forbidden Eye: questo è il primo disco del progetto e finora la sola registrazione disponibile.
Quali sono le differenze fra i due gruppi? Mentre gli Antichristian Kommando sono orientati verso il black'n'roll, i Forbidden Eye si confrontano piuttosto con del metallo nero di stampo classico, privo di sorprese, ma solido. Approfondiamo un poco questo album: il duo alterna sapientemente parti molto veloci ad altre più lente, a momenti quasi epiche, che rispecchiano costantemente lo spirito elitario che è caro a molti oggi. Mi pare che la scuola scandinava sia quella che influenzi maggiormente lo stile della ritmica. Cito come esempio rappresentativo la canzone che attribuisce il nome al CD, questa è forse una delle tracce più valide di "Orthodox Path Of Worship".
La registrazione offre aggressione da vendere e non lascia rimpiangere la mancanza di originalità, anche se ritengo che quest'attributo non sia prerogativa necessaria per un tale lavoro. Winter e Nocturnus Dominus spulciano la storia black delle ultime ondate per comporre canzoni solide e adatte a soddisfare il gusto del pubblico moderno. Commercio? No, non intendevo dire ciò, volevo solo avvisare chi cercasse registrazioni inconfondibili e uniche. Aspirate piuttosto a raggiungere il sottosuolo? Ecco, i Forbidden Eye vi mostrano la via con mazzate intitolate "The Coming Terror Of Jehovah's Demise" che hanno poco rispetto per le melodie sdolcinate.
Un neo è la produzione debole: mi sembra di ascoltare degli MP3 da 128 kbps dilatati a 320. Presumo che l'effetto sia il risultato di una decisione oculata del duo, con l'obiettivo di aumentare la crudezza della registrazione. Fisicamente il CD si presenta in maniera molto sobria, con un libretto minimale di quattro pagine nel quale troverete solo informazioni ridotte, ma sarete gratificati con una canzone bonus in chiusura.
Siete indecisi? Vi ho fornito abbastanza informazioni per la scelta, tuttavia ricapitolo: chiunque fra voi cerchi black metal poco impegnativo, però intenso e crudo, sarà ben servito con "Orthodox Path Of Worship".
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Gruppo: Flagellant
Titolo: Maledictum
Anno: 2010
Provenienza: Svezia
Etichetta: World Terror Committee
Contatti: facebook.com/unfoldingvoid
Autore: Mourning
Tracklist
1. From The Abyss They Shine
2. Towers Of Silence
3. Necromantic Revelations
4. Domini Canes
5. A Rebirth In Sterility
6. Horned Shadows Rise
7. Rousing The Serpent
8. Thirteen Cauldrons Boil
DURATA: 53:32
I Flagellant sono tornati. Il trio svedese vi era stato presentato nel 2011 quando il sottoscritto si occupò dell'album di debutto "Monuments": adesso è il turno di "Maledictum". La formazione prosegue nella sua interpretazione "ortodossa" del mondo black in maniera coerente e maligna: per quanto siano trascorsi tre anni dalla prima pubblicazione, la loro natura è rimasta incorruttibilmente ancorata a quel sound ricco di dissonanze e melodie malevole che ha reso celebri realtà loro connazionali quali Watain e Ondskapt. Come al tempo del loro esordio, confermo ancora una volta il loro essere fra i rappresentati più "cattivi", pur se non i più dotati in ambito compositivo, dell'ultima ondata di artisti di questo filone, che conta band quali i norvegesi Dødsengel, i tedeschi Chaos Invocation e i russi Odem.
I pezzi, spesso in bilico fra l'approccio atmosferico ipnotico e accelerazioni in blast beat devastanti, sono connotati da un lavoro chitarristico nervoso, tagliente che si alterna a sezioni maggiormente flessibili nelle quali si fanno strada ridondanze che restano nella mente. Con l'unico obbiettivo, già centrato con "Monuments", di fare innamorare gli amanti del genere. Inutile girarci attorno: siamo dinanzi a un'ulteriore prova di come questi tre musicisti scandinavi non vogliano proprio andare oltre certi confini. Eppure la band svogle il proprio mestiere così bene che ascoltando canzoni tipo "Towers Of Silence", "Rebirth In Sterility" e "Horned Shadow Rise" difficilmente si potrà rimanerne insoddisfatti. Vogliamo parlare poi di "Thirteen Cauldrons Of Boil", classico esempio di attitudine Celtic Frost e Venom a manetta? Si può non apprezzare un pezzo simile?
"Maledictum" è black metal, né più né meno. È quello che ci si attende d'ascoltare da questi musicisti: un lavoro che rinforza le sensazioni di stabilità e rigore emanate dai Flagellant precedentemente, supportate da una produzione ruvida quanto basta a conferire quel taglio "raw" che "ci piace". Finché ci sarà gente disposta a suonare così e capace di rilasciare dischi di questo buon livello, il Black avrà sempre una base sulla quale sorreggersi: in fondo si sa, in qualsiasi squadra contano sì le stelle, ma senza i grandi lavoratori che creano loro il terreno sul quale brillare le partite difficilmente si vincono. Non dimentichiamocelo.
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Gruppo: Folkodia
Titolo: Battles And Myths
Anno: 2012
Provenienza: Various
Etichetta: Stygian Crypts Records
Contatti: facebook.com/pages/Folkodia/231069820275861
Autore: Mourning
Tracklist
1. The Arrival
2. Sword Of Kings
3. One Stood At The Gates
4. El Cid The Champion
5. Werewolves In The Wood
6. The Passing Of The Elder
7. Dragonslayer
8. Encountering The Underworld
9. The Passing Of A Caesar
10. Sword Of The Vandea
DURATA: 42:45
Folkearth e Folkodia camminano di pari passo: dopo aver entrambi prodotto un album acustico ("Minstrel By The River" e "Forgotten Lore"), le band si sono rigettate nei suoni metallici miscelati al folk; abbiamo già parlato di "Valhall Ascendant" per i primi, adesso è arrivato il momento di "Battles And Myths", opera dei secondi.
La compagine che nella circostanza riveste il ruolo di fratello minore ha tagliato il traguardo della quinta uscita e come la realtà più rodata accompagna alla passione degli artisti i medesimi difetti. Una volta inserito nel lettore il cd infatti si ha da subito l'impressione che — come sempre — questi musicisti siano veramente in grado di realizzare qualcosa di valido nel tempo, pur utilizzando soluzioni standard; la doppietta composta dalla turbolenta "Arrival" e "Sword Of Kings" tira fuori l'animo epico-battagliero che dovrebbe rappresentare la prova. Dico dovrebbe perché sembra che il gruppo si gambizzi volontariamente, non capisco il motivo per cui sia Folkodia che Folkearth debbano calcare la mano anche quando non ce n'è effettivo bisogno. Certe accelerazioni sono del tutto fuori luogo ("Werewolves In The Wood") oppure ridimensionano la buona prova offerta dal lato folcloristico della strumentazione, spezzando il legame atmosferico sin lì creatosi ("Sword Of The Vandea").
Questo è solo uno dei difetti, probabilmente il più grosso, riscontrabile in "Battle And Myths", in quanto se aveste seguito le loro gesta, sapreste di sicuro che il growl di Michaël Fiori (Saga) è tutt'altro che eccezionale e inoltre che sono i pezzi più classici come "El Cid The Champion" e "The Passing Of A Caesar" a dare manforte sempre e comunque alle sparute tracce di spessore contenute nei loro album. In pratica non vi è nessuna rivelazione, questa raccolta di canzoni è piuttosto simile a una conferma dal sapore agrodolce. "Battles And Myths" mette sul piatto l'ennesima prova genuina, c'è da evidenziare l'ottimo apporto fornito dalla voce di Yanina Zelenskaya, unica figura femminile in scena stavolta, e il fatto che con questa formazione si sia imboccata la via corretta verso la realizzazione di una scaletta finalmente omogenea e interessante in toto. Non ci si può tuttavia ritenere soddisfatti di un disco che, gestito meglio, avrebbe garantito ben altra resa, speriamo sia la prova generale per il loro salto di qualità e chissà magari anche per i Folkearth... Del resto, le teste sono queste.
Qualcuno un tempo cantava "si può dare di più", per questi ragazzi è realmente arrivata l'ora di farlo, quindi, augurando loro di riuscirvi, consiglio a chiunque in passato abbia avuto un contatto con questa band di offrirle l'ennesima occasione, sperando che una divinità qualunque la mandi buona in futuro.
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Gruppo: Fornace
Titolo: Pregnant Is The Night
Anno: 2013
Provenienza: Alessandria, Italia
Etichetta: Autodafe Prod
Contatti: myspace.com/fornace
Autore: ticino1
Tracklist
1. Fog Between The Coffin
2. The Warp Of Blood
3. Through The Eyes Of the Ancient Wolf
4. A Whisper From The Dust
5. Pregnant Is The Night
6. 1906 - 1986 A Horror Story (The Salamander's Wool)
7. The Flauro's Revenge
8. Nodo Indissolubile
DURATA: 54:19
Iniziamo per una volta con un poco di "gossip" redazionale... All'arrivo della richiesta di recensione da parte dei Fornace, c'è stata una grande discussione su chi ne sarebbe stato il responsabile. Mi sarebbe piaciuto occuparmene, ma — poiché non abito in Italia — lascio sovente via libera ai colleghi che giocano in casa. Mi sono strizzato le meningi a lungo sul perché il nome mi fosse tanto familiare, beh, ora ho scoperto che quasi tre anni fa scrissi la positiva critica di "The Man Who Change The World / The Awakening" in cui trattai le canzoni delle ultime due demo e in cui ho pure scritto un'idiozia atroce: non mi resi conto che una traccia è davvero una cover dei Rotting Christ...
"Pregnant Is The Night" si presenta sotto forma di un bel digipak sobrio, ma con una copertina curata che ha un po' il gusto dei bei tempi in cui il "fai da te" era la giusta attitudine per suonare metal.
I nostri amici piemontesi si muovono ancora in quel limbo già citato da me nel 2010, limbo che accarezza il death melodico, ammiccando parecchio con la scuola svedese in generale, senza però disdegnare acrobazie legate al black greco classico.
Desidero evidenziare dall'inizio l'impressionante e poliedrico lavoro vocale di Morrigan, affascinante donzella che completa in modo competente la squadra dei Fornace. Personalmente penso che la vera forza del gruppo risieda nel suonare canzoni con radici alla ricerca di nutrimento nel terrame black greco. Perché affermo ciò? Innanzitutto un gruppo mediterraneo che offra una tale combinazione è credibile; secondariamente, parlando in maniera oggettiva, pezzi come "1906 - 1986" oppure "The Flauro's Revenge" sono delle vere perle che risaltano grazie all'atmosfera cupa e al loro scorrere pesante definiti dalla scuola ellenica. Se voglio essere sincero, la prima parte del CD non mi rivela dei picchi degni di nota, mentre la seconda è a un livello elevato e sfoggia un artigianato musicale molto lusinghiero per il nome della scena italiana. Le evoluzioni chitarristiche sono variegate e avvincenti, la voce pare perfetta per accompagnare le scale della squadra delle sei corde, mentre la sezione ritmica consolida magnificamente l'attività dei compagni di fortuna.
La fine improvvisa del dischetto lascia desiderare qualche altra canzone in questo stile. La registrazione aumenta di qualità col passare dei minuti, provocando l'acquolina in bocca all'ascoltatore. Vi consiglio vivamente di sostenere i Fornace comprando il loro lavoro. Forse il gruppo sta ancora sondando i propri limiti e possibilità; che sia proprio questo il motivo per tenerlo d'occhio?
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Informazioni
Gruppo: fragment.
Titolo: Temporary Enlightenment
Anno: 2013
Provenienza: Francia
Etichetta: OPN Records
Contatti: facebook.com/fragment.official
Autore: Bosj
Tracklist
1. Cast Out
2. Rituals
3. From This Moment
4. Shield
5. Last Embrace
6. Just For Today
7. Cold Monsters
8. Hide
DURATA: 71:49
Thierry Arnal, in arte fragment., da Lione, con la sua one-man band arriva ad inizio 2013 confezionando "Temporary Enlightenment", lungo, lunghissimo ultimo album di una lunga, lunghissima lista di lavori iniziata con la formazione del progetto, anno di grazia 2006: in appena sette anni siamo già al quinto full-lenght, più altrettanti EP, e forse manca ancora qualcosa. Un regime di produzione da far invidia ai più stacanovisti tra i compositori, insomma.
E Thierry Arnal, in arte fragment., ha un sogno nel cassetto: essere Justin Broadrick. Tutto ciò che è uscito dalla penna del polistrumentista francese negli ultimi anni vive dell'enorme credito che il non-più-ex-Godflesh ha maturato nei confronti del mondo musicale anni Zero nei suoi vari pellegrinaggi artistici. I bordoni infiniti, i brani dal minutaggio elevato, le distorsioni spesse come un muro di mattoni, ma arrotondate e levigate, la voce sommessa e melliflua che dolcemente si lascia cullare dalle chitarre e dal loro rimbombo imperituro.
Nel lavoro di Arnal non c'è niente di sbagliato, perché non c'è niente che non sia già stato fatto. Tutto ciò che Broadrick ha sviluppato in oltre vent'anni di idee, di sperimentazioni e di tentativi più o meno apprezzati e apprezzabili, che ha poi veicolato nei Jesu, è "riassunto" (virgolette d'obbligo, visto il quantitativo e la durata del materiale in questione) dal Francese senza soluzione di continuità con fragment. Non fosse per l'elegante digipak che attesta il contrario, "Temporary Enlightenment" potrebbe essere un album a nome Jesu. Punto.
Nel bene o nel male, sta sempre all'ascoltatore deciderlo, ma se durante "Rituals" vi ritroverete a canticchiare "Silver's just another gold", non dite che non vi avevo avvisati.
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Informazioni
Gruppo: Finntroll
Titolo: Blodsvept
Anno: 2013
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Century Media
Contatti: finntroll.net
Autore: Istrice
Tracklist
1. Blodsvept
2. Ett Folk Förbannat
3. När Jättar Marschera
4. Mordminnen
5. Rösets Kung
6. Skövlarens Död
7. Skogsdotter
8. Häxbrygd
9. Två Ormar
10. Fanskapsfylld
11. Midvinterdraken
DURATA: 43:00
La verità è che Trollhorn non saprebbe comporre roba brutta nemmeno sotto minaccia, nemmeno se ci si applicasse con tutte le sue forze. Cambiano i Finntroll, cambiano le stagioni musicali, cambiano gli ascoltatori, ma la sostanza resta quella. A tre anni di distanza dall'ottimo "Nifelvind" (e due dal clamoroso "Varjoina Kuljemme Kuolleiden Maassa" dei suoi Moonsorrow), il leader dell'allegra combriccola di troll finnici fa ancora centro. E lo fa nonostante il mio cuore e il mio orecchio a un primo ascolto fossero rimasti poco impressionati, lo fa nonostante dell'aggressività e della cattiveria della creatura primigenia sia rimasto poco.
Sono passati quindici anni dalla venuta del "Rivfader", che con irruenza senza precedenti scendeva a mietere vittime fra gli agnelli cristiani, e di quei Finntroll è rimasta solo una cosa, la voglia di divertirsi e di divertire, di certo non c'è più quella carica primitiva che li contraddistingueva alle origini. Ed in fondo credo sia quello che al mio orecchio manca, e che fino ad ora era stata una costante, la hit veloce, quella violenta, quella lanciata a duecento kilometri orari, che nell'ultimo disco portava il titolo di "Solsagan".
"Blodsvept" si segnala invece per un passo diverso, più cadenzato, ciondolante, probabilmente uno dei passi più puramente hummpa che abbiano mai avuto, ulteriore evoluzione all'interno della loro ormai lunga carriera. Se questa volta manca il cambio di ritmo, l'assalto frontale, Trollhorn e soci rispondono con un set di canzoni molto più variegate del solito, dal respiro più ampio e articolato, dal sound complessivo sicuramente più orecchiabile e accattivante, senza mai cadere in soluzioni pacchiane.
È sempre ricchissima la lista di strumenti utilizzati, capitanata da un banjo sgangherato che tinge di western in "Skogsdotter", forse il pezzo migliore del lotto insieme alla successiva "Häxbrygd", brano horror, il cui organo sembra uscito direttamente da una pellicola di Dario Argento. Gli amanti del genere non potranno poi evitare di ballare sulle note finali di "Ett Folk Förbannat", apprezzeranno gli inserti melodici in stile "Midnattens Widunder", una costante in tutta l'opera, e più in generale le chicche sparse non sempre percepibili a un primo ascolto, nonostante la solita scintillante produzione.
Dopo anni di militanza sui palchi di tutto il mondo, tanta gavetta e tanto sudore, "Blodsvept" può essere percepito come il tentativo di proporre qualcosa di leggermente più orecchiabile per allargare il già nutrito gruppo di fedelissimi. Operazione complessa, ma a mio parere ben riuscita, merito, non stancherò mai di ripetermi, del talento infinito di Henri "Trollhorn" Sorvali, capace questa volta di addolcire il sound della sua creatura, senza però mutarne il paradigma fondamentale.
Un troll ubriaco dall'andatura incerta e dinoccolata, e comunque sempre pronto a colpire, non solo a festeggiare. Perché ancora una volta i Finntroll riescono nell'ardua impresa di piazzare sufficientemente in alto l'asticella, il giusto per rendersi nuovamente irraggiungibili dalla schiera di cloni generatasi negli ultimi dieci anni e a fornire, nel proprio orizzonte musicale, l'ennesima solidissima prova di supremazia.
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Gruppo: Fisherman's Death
Titolo: Uncharted Waters
Anno: 2013
Provenienza: Svezia
Etichetta: Tmina Records / Grom records
Contatti: facebook.com/Fishermansdeathofficial - gromrecords.net
Autore: Akh.
Tracklist
1. Uncharted Waters
2. The Flying Dutchman
3. The Captains Chanson
4. Darkwater Cape
DURATA: 16:45
Provenienti da Umeå (Svezia), giungono a noi i Fisherman's Death; inutile negare che il nome mi riporta in mente le famose caramelle balsamiche. Questo ritorno è dovuto al nuovo ep edito in versione digitale dalla Tmina Records / Grom records. I ragazzi, forti di un look atipico, si approcciano con una eccellente lena alla musica "made in Sweden" per eccellenza: il Melodic Death Metal. Come già preannunciato la settimana scorsa, sono al momento i migliori alfieri di questo importante movimento musicale, senza spostarsi dai binari riescono a imbastire soluzioni interessanti e corpose, pretendendo di fatto il trono del genere.
Il piglio è quello giusto, ricco di potenza, melodia, con un approccio deciso e nervoso, la voce cavernosa, riferimenti chiari a una certa matrice più tipicamente Death e pennate devastanti, come si evince nella seconda parte di "Uncharted Waters". Le ritmiche non sono mai eccessivamente veloci, ma dal buonissimo groove, che potrebbe esaltare gli amanti di certi Amon Amarth, i F.D. a mio avviso posseggono il riffing e alcuni arrangiamenti decisamente più freschi, pur sempre rimanendo dentro ai binari del genere. Se poi diamo una lieve spruzzatina di Slayer — la Svezia è da sempre ammaliata dal suono che Hanneman e King crearono negli anni '80 — alla solidissima base M.D.M. che ci viene offerta, il risultato è la seguente "The Flying Dutchman", dotata di un riffing centrale intrigante, e pregevole sia nella sua esecuzione che nella gestione complessiva della struttura; sicuramente efficace anche la parte solista, che si fa ben valere nei suoi camei.
Altra menzione la merita "The Captains Chanson" che nel suo mid tempo spicca grazie alla sezione ritmica che devasta e viene fatta risaltare ulteriormente dal break centrale più mite e armonico, da cui poi riparte come uno schiacciasassi o forse sarebbe meglio dire come una rompighiaccio atlantica. Qui il duo composto da Thomas Linqvist e Nils Löfgren spadroneggia spavaldamente.
Gli strumenti si fanno ben volere e la produzione ne sottolinea l'impatto, molto valida la prestazione del batterista Filip Krullet Löfgren, nuova entrata in formazione, che gira in maniera dinamica e offre respiro al variegato songwriting, soprattutto quando i Fisherman's Death decidono di ispessire il tono dei brani. Apprezzabilissima anche la prova di Joakim Häggström, il quale oltre a marcare una performance vocale assolutamente energetica e baldanzosa ben si destreggia anche dietro al "quattro" corde, generando una base di fondo valida e trascinante.
L'ultimo pezzo, "Darkwater Cape", è il più pittoresco in quanto fuoriesce in misura maggiore la personalità atipica del gruppo, le sfumature marittime o marinare emergono nitide nei cori e nelle melodie disegnate dai quattro, l'incedere goliardico e ironico pure, ma senza alterare la proposta o scimmiottarla, cosa assolutamente non semplice a mio avviso, anzi confermando un tasso di personalità sempre più difficile da trovare nel Melodic Death.
I Fisherman's Death non sono dei pivellini e lo dimostrano ampiamente in questi sedici minuti, allora perchè continuare ad ascoltare i soliti clichè quando è possibile investire in qualcosa che può dare nuovi stimoli e rinverdire i vecchi fasti della madre patria?
Nuove onde provenienti da Umea. Salite a bordo del peschereccio dei F.D., alzate i boccali e il volume al massimo, andate incontro alla tempesta e alle sue "Acque Inesplorate", sono convinto che ne godrete pienamente, oh grandi amanti del genere.
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Informazioni
Gruppo: Fall Of The Idols
Titolo: Solemn Verses
Anno: 2012
Provenienza: Finlandia
Etichetta: I Hate Records
Contatti: facebook.com/pages/Fall-of-the-Idols/108014039280383
Autore: Mourning
Tracklist
1. The One That Awaits
2. Descant Deific Psalms
3. Genius Loqi
4. Hymn
5. Cycle Of The Fallen
6. The New Crusade
DURATA: 55:43
I finnici Fall Of The Idols, a distanza di quattro anni dall'ultima uscita full intitolata "The Séance", danno alle stampe il terzo capitolo della loro discografia, l'atto che attesta a tutti gli effetti che il gruppo è di quelli da inserire all'interno del circolo dei "grandi".
Per quanto infatti non siano conosciutissimi rispetto a molti loro colleghi, i nomi li lascio fare a voi tanto conoscendo la scena avrete inteso quali tirare in ballo, si tratta di un sestetto affidabile, che è maturato e si è affinato negli anni, tanto da garantire il riconoscimento del proprio marchio durante l'ascolto.
I ragazzi di Tornio possiedono uno stile che si è definito, oltrepassando con continuità un limite dietro l'altro e lasciando alle spalle anche momenti decisamente tristi. Difatti purtroppo durante la lavorazione del disco è venuto a mancare a soli ventotto anni il batterista Hannu Weckmann, musicista che ha contribuito alla riuscita dei pezzi anche in veste di chitarrista acustico nella terza traccia e di solista nei primi due episodi della tracklist. È stato quindi anche una sorta di "obbligo morale" nei confronti dell'amico perduto e dell'arte che amano a guidare la band verso la realizzazione di quello che a oggi è il loro miglior lavoro: "Solemn Verses".
L'esperienza vissuta in compagnia di questo album è particolare, per quanto sia possibile riscontrare le influenze classiche di gente come i Cathedral, apprezzare derive al limite col funereo melodico degli Shape Of Despair (non scivolando mai totalmente in tale genere), per quanto a ogni passaggio sembra vi sia un nome nuovo che si offre come riferimento certo e vario al quale appigliarsi — Type O Negative, Paradise Lost, Celtic Frost e Down tanto per fare un paio di esempi — il sound dei Fall Of The Idols è personale e al tempo stesso gode di un'esposizione strana.
Dal punto di vista dell'aspetto musicale, parlo dell'andazzo settantiano di "The One Awaits", delle scaglie di psichedelia che infieriscono piacevolmente in "Genius Loqi" e "Hymn", dell'ossessività ciclica che contamina l'essenza di "Descant Deific Psalms", dell'atmosfera lugubre e dolorosa della quale si fa carico "Cycle Of The Fallen" e dell'aura rabbiosa che pervade alcune sezioni della conclusiva "The New Crusade".
Per quanto riguarda la gamma di sentimenti che è capace di evocare, non si tratta soltanto di tristezza, malinconia e senso di abbandono e decadenza ma anche transizioni di emotive che passano dal cullare all'arrabbiatura. "Solemn Verses" più che accartocciarsi su se stesso o espandersi infinitamente, opzioni entrambe valide, gradite e note a chiunque segua il panorama doom, viaggia su dimensioni vicine, talmente vicine da sfiorarsi e divenire talvolta comunicanti, scansando però il pericolo dell'intromissione dell'una nell'altra, una sorta di portale doppio con la parte dell'io profonda e inesplorata.
Sono da sottolineare le melodie impresse e la superba prestazione del cantante Jyrki Hakomäki, a parer mio uno fra i migliori della scena, le sue esecuzioni in pulito sono letteralmente affascinanti, quella racchiusa in "Hymn" è a dir poco superlativa, e le poche volte che utilizza linee più aggressive ringhiando non è mai fuori posto.
Non è raro che io rimanga incantato da dischi del genere, non è altrettanto raro che il panorama doom regali delle perle, continuerò a ripeterlo all'infinito che odiernamente è al di sopra di tutto il restante mondo metal per qualità della proposta, stavolta però voglio sbilanciarmi e usare la parola che inizia per "C". "Solemn Verses" è un piccolo e prezioso capolavoro e non per ciò che inventa, perché in fin dei conti non inventa nulla, quanto per il modo in cui i Fall Of The Idols utilizzano le doti in loro possesso: possiedono un songwriting spettacolare, hanno un uomo dietro al microfono che molti invidierebbero e durante l'ascolto si entra in contatto con ogni singola sensazione che i musicisti finnici hanno riversato nei capitoli di questo album spettacolare.
In presenza del fiume Lete deciderete ordunque di bere le sue acque dimenticando il passato o ne farete a meno lasciando che vi sia di supporto per la vita futura? Traete le vostre conclusioni dopo aver approfondito i testi di "Solemn Verses", per farlo ovviamente vi consiglio caldamente di entrare in possesso della copia originale, quale altra maniera si potrebbe ritenere corretta se non questa? Da avere!
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Gruppo: Frosthammer
Titolo: The Cold Wind Of Eternity
Anno: 2011
Provenienza: Canada
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/Frosthammer/114251318650117
Autore: Mourning
Tracklist
1. Druids
2. Allegiance Of The Wolf
3. The Wizard's Gold
4. Shining Light
5. You Don't Know The Meaning Of Cold
6. Where The Northern Wind Doth Blow (Part 3) - Abandoned In A Forest Of Wolves
DURATA: 35:08
Facciamo un piccolo passo indietro, mi è capitato fra le mani "The Cold Wind Of Eternity", il quarto demo dei canadesi Frosthammer rilasciato nel 2011, anno che li ha visti pubblicare anche il debutto "Nexus Of Time" da me recensito.
I trentacinque minuti raccolti in questa uscita palesavano al tempo molti dei difetti e dei pregi che verranno successivamente riversati nel primo disco. La formazione riesce a essere espressiva, a catturare più con il suo mood pagano e naturalistico che con la crudezza del black metal. Sono le fasi atmosferiche a regnare, l'operato dei synth e il sinfonismo mai esasperato mettono in evidenza la parte migliore di un suono che soffre di un lavoro di batteria decisamente inadatto, non tanto per le tempistiche utilizzate quanto per il suono privo spessore. Inoltre le aperture in voce pulita così flebili mi ricordano che purtroppo furono una delle note meno brillanti di "Nexus Of Time", proprio perché incapaci di accrescere o quantomeno supportare degnamente l'aspetto ambientale, al contrario dello scream che in questo caso e nell'opera successiva dimostrò di essere più efficace.
Gli spunti di interesse e una discreta forma compositiva non sono mai del tutto mancati ai Frosthammer, pezzi come "Allegiance Of The Wolf", la conclusiva "Where The Northern Wind Doth Blow (Part 3) - Abandoned In A Forest Of Wolves" e "Shining Light" facevano intravedere quale sarebbe potuto essere il successivo step della band, con una quiete scura e spesso accompagnata dal piano a favorire quella sensazione di spazio aperto che tanto aggrada ai canadesi.
La formazione è sempre andata in crescendo seguendo il motto "chi va piano, va sano e va lontano", però ogni tanto uno scatto in avanti repentino permetterebbe di acquisire una maggiore sicurezza dei propri mezzi. Ci riusciranno? A marzo è stato rilasciato "Evocation Of The Forbidden Summoning", l'ennesimo demo, e dato che nulla è cambiato nelle modalità di utilizzo del loro Bandcamp potete ancora scaricarne i lavori gratuitamente: perché non dedicare a questi ragazzi un po' del vostro tempo?
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Gruppo: Forgotten Tomb
Titolo: ...And Don't Deliver Us From Evil
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Agonia Records
Contatti: facebook.com/Official.Forgotten.Tomb
Autore: M1
Tracklist
1. Deprived
2. ...And Don't Deliver Us From Evil
3. Cold Summer
4. Let's Torture Each Other
5. Love Me Like You'd Love The Death
6. Adrift
7. Nullifying Tomorrow
DURATA: 52:31
 Usciti dal mero circuito del sottosuolo black metal anni or sono, i Forgotten Tomb ormai si muovono ad ampio raggio all'interno del panorama metal girando l'Europa in tour e "regalando" ai fan uscite a getto continuo, fra le quali una compilation celebrativa della loro carriera ("Vol. 5: 1999-2009") e uno split di tributo a GG Allin in compagnia dei terremotanti Whiskey Ritual. Date queste premesse, credo sia importante esplicitare il mio punto di vista sulla band al fine di offrire la chiave di lettura per questa critica. Il sottoscritto in tempi passati ha adorato letteralmente "Springtime Depression" e in generale apprezzato il periodo classicamente depressive, trovando la proposta di Herr Morbid e soci sincera e genuina. La svolta di "Negative Megalomania" invece mi spiazzò di netto, ma il colpo di grazia lo diede "Under Saturn Retrograde" a causa della sua mancanza di incisività e di un alleggerimento inatteso.
Oggi "...And Don't Deliver Us From Evil" mi fa rimpiangere le "sperimentazioni" di "Negative Megalomania"! I Forgotten Tomb infatti ripiegano su loro stessi, non trovando più il bandolo della matassa. Assemblano una summa per recuperare parzialmente la componente depressive/suicidal delle origini, sfruttando ancora i solchi scavati dall'animo doom e una certa vena southern (palese esclusivamente in "Deprived"). Purtroppo però la cattiveria della titletrack è completamente sterile, con le chitarre incapaci di incidere tanto che è soltanto lo screaming a "giustificare" l'etichetta di "band estrema" per i Forgotten Tomb; con un po' di rammarico ripenso alla volontà di rivalsa e alla rabbia che sprigionava "A Dish Best Served Cold". Il senso di disagio e malessere è totalmente assente e i numerosi frangenti melodici eccessivamente "facili", così da perdere di interesse dopo pochi ascolti. Non aiuta lo scorrere del disco nemmeno la durata dei brani, che sovente scollina quota sette minuti. Sono soltanto due pezzi a salvarsi: l'opener "Deprived" giustifica i propri sei minuti di durata con una varietà di contenuto decisamente alta fra classici arpeggi, richiami ai Katatonia e un amalgama sviluppato da un gruppo esperto, mentre "Adrift" ha finalmente una direzione precisa, quella della conquista di un pubblico allargato grazie all'utilizzo della voce pulita e di melodia in quantità.
"...And Don't Deliver Us From Evil" è un disco che potrà essere apprezzato esclusivamente da "consumatori" saltuari e poco "pratici" di sonorità oscure; viceversa chiunque abbia esperienza nel settore ripiegherà certamente altrove, sulla produzione passata o su altre band. Stento davvero a trovare una spiegazione circa la direzione che vorrebbero intraprendere i Forgotten Tomb, dal mio punto di vista hanno imboccato un vicolo che si va via via stringendo fino a rivelare di essere "cieco". Suoni curati, promozione ed esperienza non sono sufficienti per salvare i big del settore. Qui si finisce fra i flop dell'anno 2012.
Nota: la versione promozionale cd offerta da Agonia Records non contiene nessuna delle due tracce bonus presenti nelle edizioni dell'album: chi acquisterà il digipak troverà un rifacimento di "Transmission", brano dei Joy Division, mentre gli amanti del vinile la cover di "Sore" dei Buzzov•en.
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Gruppo: Freitod
Titolo: Blasphemous Chants Of Glorification
Anno: 2012
Provenienza: Svizzera
Etichetta: Bergstolz
Contatti: bergstolz.ch
Autore: ticino1
Tracklist
1. Prologue / Gates To Damnation
2. Curse Of Mankind
3. Mist Of blood
4. Reconquering Unholy Grounds
5. Epilogue
DURATA: 26:07
 I Freitod sono uno dei gruppi più prolifici della regione zurighese e, come se ciò non bastasse, tacete criticoni, riesce a mantenere alto il livello dei prodotti, seppur non reinventi il black metal. Discuteremo qui il bellissimo picture-disc uscito il settembre scorso, le cui tracce sono state incise nell'ormai passato 2010.
Un vinile, due facce, due mondi? No, Freitod non è sinonimo di progresso; è piuttosto l'immagine della stagnazione, dell'odio per il nuovo e dell'impermeabilità al progresso. Una produzione solida e pingue rende ancor più travolgenti le tracce di stampo scandinavo che assalgono l'ascoltatore avido di note taglienti e golosamente ammuffite.
Perché pubblicare proprio un picture-disc? La Bergstolz è conosciuta per essere un'etichetta non solo affidabile ma pure amica delle produzioni esclusive. Sì, la Morte è certa! La Vita no! Seguendo il motto dei Freitod, la casa zurighese si sforza, con grandi sacrifici, di offrirvi uscite valorose di gruppi robusti.
È bello ascoltare le trame solide del plotone diretto da B.V.H.; la pietà ha sicuramente un altro viso, non questo. La visione di un passatismo che getta ombre sull'esistenzialismo moderno minaccia la vita di questa terra con un odio innato verso l'umanità. Come ci si può estrarre tanto dal proprio corpo, al fine di produrre musica talmente nichilista e disprezzante dell'Uomo? Ecce Homo... no, Dio è morto è sepolto. Ecco la missiva urgente trasmessa da questa squadra efficace e gelidamente precisa. Veloci, veloci! Correte verso la vostra fine, cacciati da chitarre inesorabili accompagnate da una voce d'oltretomba che vi segue impietosamente verso il calvario... la disperazione è spinta al massimo con passaggi di pianoforte sobri e malsani.
Impressioni fredde e sapori crudi travolgeranno il vostro cervello all'ascolto di questo riuscito pezzo di vinile esclusivo da non perdere. Alzate le vostre mani, mostrate le corna sataniche e disprezzate tutto ciò che è vivo, gonfiate il vostro petto d'orgoglio per tutto ciò che è veramente metallico e lasciate che il piombo vivo scorra nelle vostre vene!
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Gruppo: Full Moon Ritual
Titolo: Summoning A Cursed Moon
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: Facebook - fullmoonritual.italy[at]gmail.com
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Evocation
2. A Nihilist Creation
3. Upon A Dead Hill
4. Evil Forces
5. Eternal Decay
DURATA: 22:45
Capita spesso di ritrovarsi tra le mani dischi che suonano volutamente retrò ma nel compiere tale scelta stilistica risiedono insidie potenzialmente devastanti: ogni volta che mi approccio ad una proposta che percorre deliberatamente binari vecchi di decine di anni, ho sempre l'invincibile timore di trovarmi nelle orecchie una scimmiottatura, quasi caricaturale e assolutamente indegna, di quelli che furono i fasti passati.
Perchè una simile introduzione? Perchè i Full Moon Ritual sono un quintetto pugliese formato nel 2010 ma la loro demo di esordio, "Summoning A Cursed Moon", sembra essere uscita da chissà quale antro rimasto cristallizzato al primo lustro degli anni Novanta.
Dopo "Evocation", una breve intro atmosferica, si parte con "A Nihilist Creation" che, assieme a "Eternal Decay", mette in perfetta luce quello che è lo stampo in cui il gruppo ha forgiato il proprio stile: ciò che ci viene presentato è un Black Metal glaciale ed istintivo, un suono marcio e nero fino al midollo, in cui viene inconfondibilmente a galla l'ispirazione rappresentata dal migliore classicismo scandinavo (Mayhem, primissimi Marduk e Darkthrone su tutti), implementata da alcuni passaggi che ricordano la primordiale bestialità dei Morbid.
In "Upon A Dead Hill" e "Evil Forces" si percepisce altresì l'ottima abilità dei musicisti di ammorbare l'ascolto con atmosfere pestilenziali e logoranti che intorpidiscono e avvelenano l'anima grazie anche a sfuriate taglienti come rasoi e fredde come cadaveri.
L'ossessività dei riff dilanianti e quasi ipnotici che tanto ricordano le prime produzioni di Burzum, unita alla forza di una voce aggressiva e funerea, si nutre di oscurità e si insinua malevola nei palpitii di tutti quei cuori che pulsano veleno nero.
Anche la ruvida autoproduzione, perfettamente calzante e coerente con ciò che viene suonato, fa la sua parte e vi assicuro che se fossi entrato in contatto con questa uscita senza avere alcuna informazione al riguardo, avrei molto probabilmente pensato che fosse un qualche disco prodotto nel 1992 o 1993 e risputato chissà come dagli abissi del tempo.
Siamo invece nel 2012, "Summoning A Cursed Moon" lo potete trovare in download sulla pagina Facebook della band, il Black Metal ha ormai inglobato al suo interno contaminazioni di ogni tipo e molti scommetto che si lamenteranno di un'ennesima uscita apparentemente così anacronistica.
I Full Moon Ritual, però, hanno all'interno della propria creatura il vero fetore delle marcescenti e oscure gole del Black Metal, quell'istinto feroce che libera le pulsioni più bestiali, quella rabbia incontaminata che genera purezza e odio!
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Gruppo: Flame Of War
Titolo: Long Live Death!
Anno: 2012
Provenienza: Wroclaw, Polonia
Etichetta: Lower Silesian Stronghold
Contatti: flame-of-war.t15.org
Autore: Bosj
Tracklist
1. The Hammer Of Ragnarok
2. Lunar Plains
3. The Pulse Of The Void
4. The Fates And The Usurper
5. Mare Tenebrarum
6. The Iron Age Of Europa
DURATA: 51:17
 Il progetto Flame Of War vide la luce quasi un decennio fa, nell'anno 2004, in terra polacca. Da allora diversi elementi si sono avvicendati al suo interno, con l'unica costante del polistrumentista Njord a dirigere i lavori.
Oggi con "Long Live Death!" la band taglia il traguardo del quarto lavoro in studio, e a Njord, che nel frattempo ha assunto anche le vesti di cantante, si affianca quale session member alla batteria il misterioso P., già compagno all'interno dei Dark Fury (cui Njord si è unito nel 2010), nonché mastermind del fu progetto Wschód.
Da questa breve presentazione non dovrebbe essere difficile inquadrare il lavoro dei Flame Of War: black metal mitteleuropeo dalle forti radici conservatrici, per non dire destroidi, e dall'attitudine battagliera. E "Long Live Death!" non stupisce, collocandosi precisamente in questo filone.
Cosa si potrebbe scrivere, dunque, che non sia già stato scritto, riscritto, ribadito e ripetuto ancora su questa musica? Ben poco in verità, non fosse che la particolarità dei Flame Of War è piuttosto inusuale in questo settore: il songwriting di Njord, per quanto lineare, e non potrebbe essere altrimenti, si caratterizza per una durata media dei brani decisamente superiore al solito. Considerando che "The Pulse Of The Void" è un interludio da meno di due minuti, abbiamo infatti cinque brani che insieme toccano i cinquanta minuti complessivi, non proprio cose di tutti i giorni in ambito black continentale, quadrato e senza orpelli. A questo si va ad aggiungere una particolare predisposizione per testi asciutti e volutamente scarni che, con l'unica eccezione di "The Fates And The Usurper", non occupano che una parte del brano, lasciando così ampi spazi per la chitarra e le sue lunghe, lunghissime cavalcate sulle "pianure lunari" e non. Se ciò non bastasse, si consideri anche il fatto che la strumentazione diversa dalle sei corde è registrata a un volume discretamente inferiore rispetto a queste, e avrete un'idea di quanto il lavoro sia effettivamente orientato al massiccio uso delle asce. Forse un po' troppo, aggiungo.
Non si tratta tuttavia di un disco "ignorante", in cui volumi e mixaggi vengono fatti a casaccio, questo no: "Long Live Death!" è infatti un album curato, volutamente lo-fi, in piena coerenza con quella che è la scena di appartenenza del gruppo. Lo si scopre durante la lunghissima e conclusiva "The Iron Age Of Europa", che nella seconda parte si apre a fortissimi rimandi neofolk, prima di tornare ad innalzare il muro di chitarra per la conclusione del lavoro.
All'interno del booklet poi abbiamo diverse citazioni non identificate, tra cui Philip K. Dick ("Valis") e Lord Byron ("Manfred"); non saprei dire se queste siano effettivo segno di profondità oppure semplice ostentazione di ricercatezza. Quel che è certo è che il puzzle del black metal "tradizionalista" da oggi gode di un nuovo tassello. La fiamma della guerra continua ad ardere.
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