Informazioni
Gruppo: Mascot Parade
Titolo: Cause & Effect
Anno: 2013
Provenienza: Svezia
Etichetta: Noisehead Records
Contatti: facebook.com/mascotparadeband
Autore: Mourning
Tracklist
1. The Uninvited Guest
2. Lost In Salvation
3. Devil / Angel
4. Bugs & Hope
5. Norma
6. Coexist
7. Cause & Effect
DURATA: 42:40
 Gli svedesi Mascot Parade nascono nel 2007 per volere del cantante-chitarrista Henrik Bringås e del chitarrista Staffan Andersson, la formazione attualmente si completa con l'asse ritmico composto dal bassista Frej Drake e dal batterista Erik Lundin. La band ha già all'attivo un disco rilasciato nel 2008 intitolato "Deathmarch" che a quanto pare ricevette dei riscontri particolarmente positivi e il 2013 li vede pubblicare la seconda opera, "Cause & Effect", album che è stato registrato nei Music A Matic Studios di Gothenburg e prodotto da Chips Kiesbye, signore noto per le sue collaborazioni con gruppi come Crucificied Barbara, Hellacopters e Dozer.
Se il vostro pensiero immaginando il sound di questa compagine si ricollegasse in automatico in direzione retro-rock, stavolta avreste una sorpresa inaspettata: gli scandinavi infatti si distaccano nettamente dalla proposta classica che di anno in anno ha acquisito proseliti nella loro terra natia, ciò che propongono è una commistione di Kyuss, Queens Of The Stone Age e Alice In Chains (ma qualche altro nome lo si può di certo individuare) esposti in una versione che varia atmosfericamente da sensazioni narcotico-lisergiche ad altre melancoliche-pressanti. "Cause & Effect" è paragonabile a una bella farfalla che sbatte le ali in maniera pesante, essendo così costretta a viaggiare a una velocità ridotta, però al tempo stesso permette all'occhio umano di apprezzarne l'aspetto nel dettaglio.
Quello tracciato dal gruppo è un sentiero stranamente viscoso e che sulla lunga durata mette alla prova l'orecchio, invitandolo ad accedervi tramite una connessione fatta di suoni alle volte ruvidi e tutt'altro che raffinati, mentre in circostanze particolari tende ad addolcirsi notevolmente quasi a voler fornire una visione catartica. Il regredire-progredire nella robustezza del riffato, l'ammaliare riverberato del cantato e l'evoluzione ritmica della dinamica quadrata consentono di acquisire una corposità che diviene forma vera e propria. I pezzi in scaletta al pari di una macchia grigia che si espande invadono la testa, attenuando i toni cromatici a seconda dello stato d'animo che intendono imprimere; ansia e ossessione ballano un valzer costante accompagnate da melancolia e tormento, ed è in questo roteare ripetuto che assuefà — non generando tedio, bensì arrendevolezza nel lasciarsi cullare — che i Mascot Parade dimostrano di essere una realtà in possesso di idee ben chiare e che nel momento in cui si spoglia degli aspetti "palliativi", mira il centro della situazione, perché è consapevole che non basta girarvi attorno, sente la necessità di arrivare a colpirlo saltando i passaggi intermedi.
Gli svedesi sono lontani anni luce dalla definizione di "commerciale", il loro fascino scuro e intenso è tutt'altro che facilmente digeribile e l'inquadramento rigido che li contraddistingue colloca "Cause & Effect" in una dimensione a sé, nella quale chiunque può decidere di perdersi volutamente. E mentre voi riflettete se buttarvi o meno, io lo rimetto su e continuo a viaggiare.
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Gruppo: Mormânt De Snagov
Titolo: Derisive Philosophy
Anno: 2013
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Pest Records
Contatti: facebook.com/mormantdesnagov - mormantdesnagov.com
Autore: M1
Tracklist
1. Comatose
2. Divine Dismemberment
3. The End Of My Thoughts
4. Detrimental Edict
5. Abnormities
6. Transient Lunar Phenomenon
7. The Triumph
DURATA: 27:58
 In concomitanza col quinto anniversario della fondazione, i finlandesi Mormânt De Snagov rilasciano il loro secondo lavoro intitolato "Derisive Philosophy", che stando alla biografia presente sul loro sito dovrebbe rappresentare una nuova era per la band, sia a livello musicale che di look; non conoscendo però nulla del loro passato, non potrò effettuare paragoni. Scorgendo i nomi dei musicisti coinvolti è palese un richiamo al sudest europeo più che alla Scandinavia, difatti scopro che una leggenda narra della sepoltura di Vlad Tepes, meglio noto come l'Impalatore (personaggio cui si ispirò Bram Stoker per creare il conte Dracula e "celebrato" anche dai Marduk nella seconda parte di "Nightwing"), proprio nel monastero di Snagov, un villaggio situato nel sud della Romania e oggi centro di villeggiatura.
Il black metal di cui sono fautori Domnul Cadavru e compagni prende le distanze da quanto potreste banalmente aspettarvi dalla terra che ha dato i natali agli Horna, così vi troverete di fronte a brani potenti e tecnici, con una sezione ritmica che fa da colonna portante (con il basso ben presente) per il lavoro delle chitarre. Le asce dello stesso Domnul e di Faolàn Domhnall donano all'album un certo gusto "progressivo" (l'incipit di "Abnormities"), senza comunque eccedere in contorsionismi o approcci avantgarde: talvolta sono più affilate (come in "The End Of My Thoughts") o varcano i confini del death ("Divine Dismemberment"), altre regalano assoli in serie ("Detrimental Edict"), altre ancora catturano l'intera scena grazie a pregevoli crescendo di tensione. A testimoniare la volontà di restare comunque legati a un approccio diretto c'è la durata media contenuta dei singoli brani (con la sola eccezione di "Comatose", che è una sorta di lunga introduzione "concettuale") e quella del disco: neppure trenta minuti. Inoltre le ritmiche sono sovente veloci e battenti, mentre evolvono in "stop & go" o rallentamenti solamente quando richiesto dalla canzone.
Tirando le somme, "Derisive Philosophy" è un breve album di un gruppo in evoluzione, ha il pregio di essere scorrevole e diretto, senza essere grezzo; al contempo il neo della necessità di essere personalizzato per far imboccare al gruppo una via più chiara e netta, al fine di aumentare l'incisività dei brani. Capacità e ambizioni sembrano esserci, perciò ora è questione di tempo e dal prossimo lavoro potremo davvero valutare senza timori di essere smentiti la bontà del black metal tecnico, melodico e sporcato di death dei Mormânt De Snagov.
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Gruppo: Motorfinger
Titolo: Coming In Clear
Anno: 2013
Provenienza: Norvegia
Etichetta: autoprodotto
Contatti: facebook.com/motorfinger
Autore: LordPist
Tracklist
1. Never Mine
2. Double Rainbow
3. My Secrets
4. Arms Of The Sun
DURATA: 14:29
In genere, quando parliamo di Norvegia su queste pagine, si tratta di gruppi variamente affini al black metal, è invece abbastanza raro per noi trovarsi tra le mani un lavoro di rock alternativo proveniente da Oslo. "Coming In Clear" è il secondo EP pubblicato dai Motorfinger (a due anni di distanza dal primo "Best Of") e non cerca di nascondere le influenze alle spalle del quintetto.
Il nome della band — fondata nel 2009 — è un evidente richiamo ai Soundgarden, mentre la copertina cita scherzosamente quella di "Nevermind". Nel mondo della musica sono molto frequenti i revival più o meno consapevoli di sonorità appartenenti a epoche precedenti; in questo caso i Motorfinger cercano di recuperare il filo di un discorso esplicitamente novantiano, forse anche ispirati dal ritorno sui palchi di band come gli Alice In Chains o gli stessi Soundgarden.
Lo stile vocale del cantante Maurice Adams è molto vicino a quello di Chris Cornell, a tratti ricordando Eddie Vedder o addirittura Myles Kennedy nei momenti più melodici ("Double Rainbow"). Le chitarre di Fossli e Lundh viaggiano principalmente tra Cantrell e Thayil, portatrici allo stesso tempo di un approccio riconoscibilmente moderno, passato attraverso i vari Puddle Of Mudd, Alter Bridge e altri nomi dei tardi anni '90–'00. C'è da dire che nessuno dei brani supera i quattro minuti, rendendo così l'EP un lavoro molto diretto e facile da assimilare in tutte le sue parti. Mancano, almeno per il momento, i passaggi più cupi e sofferti che avevano caratterizzato sia gli Alice In Chains che i Soundgarden.
La band è potenzialmente una novità interessante nel panorama norvegese, di cui non si parla molto frequentemente nell'ambito del rock alternativo. Attenderemo con curiosità il primo LP, augurando ai Motorfinger di far fruttare le influenze eccellenti con una maggiore consapevolezza, potendo sviluppare il proprio sound in più tempo su disco.
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Information
Band: Motorfinger
Title: Coming In Clear
Year: 2013
Origin: Norway
Label: Self-released
Contacts: facebook.com/motorfinger
Author: LordPist
Tracklist
1. Never Mine
2. Double Rainbow
3. My Secrets
4. Arms Of The Sun
RUNNING TIME: 14:29
When we talk about Norway on these pages, it is usually because of black metal-related bands, so it is quite uncommon for us to review an alternative rock album coming from Oslo. "Coming In Clear" is the second EP released by Motorfinger (two years after the first "Best Of") and it doesn't try to hide the influences behind the quintet.
The band, founded in 2009, chose a name which is an obvious tribute to Soundgarden, while the cover jokingly refers to "Nevermind". In the music sphere it is very frequent to witness all sorts of revivals of styles coming from the past; here Motorfinger strive to restore an explicitly '90s thread, perhaps also inspired by the big comebacks of influential bands such as Alice In Chains or Soundgarden themselves.
Maurice Adams' vocal style is very close to Chris Cornell's, sometimes reminding us of Eddie Vedder or even Myles Kennedy when it gets more melodic ("Double Rainbow"). Fossli and Lundh take their guitars mainly between Cantrell and Thayil, at the same time displaying an audibly modern approach, gone through the many Puddle Of Mudd, Alter Bridge and other bands of the late '90s-'00s.
However, none of the tracks runs over four minutes, thus making the EP very straightforward and easily digested in all of its parts. There is no trace — at least for the time being — of darker and more painful passages, which have been distinctive traits of both Alice In Chains and Soundgarden.
This band is a potentially interesting newcomer in the Norwegian scene, not exactly one of the most mentioned when talking about alternative rock. We will look forward to listening to their first LP, wishing them to be able to make all of their excellent influences work even more consciously, with the chance to expand their sound being given more recording time.
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Gruppo: My Tin Apple
Titolo: The Crow's Lullaby
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Fuel Records
Contatti: facebook.com/pages/MY-TIN-APPLE/192885977450270
Autore: Mourning
Tracklist
1. The Crow's Lullaby
2. Here
3. Snow White
4. I Have Seen A Lie
5. The Flight Of Chameleon
6. Drama
7. Different Places
8. Pixel
9. Dalì
10. Alice
11. Sequoia
12. Missing
13. A Place To Go
DURATA: 43:14
Il mondo delle fiabe è affascinante, quello di "burtoniana" memoria per certi versi lo è anche di più, in quanto riesce a far trapelare il lato più malinconico, grigio e alle volte nero che viene celato solitamente al bambino in tenera età, consegnandoci il racconto in versione adulta e più cruda. È proprio con quest'ultima versione che sembra abbiano trovato il modo di connettersi i nostrani My Tin Apple. La formazione toscana ha stravolto il suo essere: nata sul finire degli anni Novanta con il nome di Overfaith suonando thrash, nel 2011 ha deciso di mutare nella forma attuale, virando su sonorità rock particolarmente melodiche, altamente fruibili e che in varie circostanze tendono a divenire metalliche e a sfruttare l'ingresso in scena dell'elettronica per rafforzare gli scenari da racconto in corso.
Nonostante questo album possa essere considerato una sorta di secondo debutto, le canzoni possiedono ottimi spunti e la sensazione di avere a che fare con una band dalle idee chiare, pregevole ad esempio "The Crow's Lullaby", che da il nome al disco, lo apre e nella quale la voce femminile ci apre le porte della dimensione in cui ci addentreremo gorgheggiando in maniera fascinosa. "I Have Seen A Lie" alquanto vibrante, "Drama" dall'incedere suadente e la ballata dall'animo acustico "Sequoia" sono vittime dell'omogeneità e del ripetersi di un paio di schemi compositivi, ciò appiattisce lievemente l'intensità che scorre vivida all'interno della scaletta.
In breve, le emozioni vincono sull'aspetto tecnico, le prestazioni del cantante Gianluca Gabriele e dei sintetizzatori, curati dal chitarrista Massimiliano Ciani, sono l'arma vincente di un "The Crow's Lullaby" intrigante e rifinito più che discretamente sotto tutti i punti di vista. Non posso infatti negare che le scelte fatte in ambito grafico siano decisamente calzanti sia per i toni cromatici che per le immagini selezionate.
I My Tin Apple hanno piantato fondamenta solide sulle quali costruire un futuro roseo e devo ammettere che sono già a buon punto, trattandosi di un gruppo che ha deciso di ripartire da zero. È da qui che dovranno proseguire per limare i difetti contenuti in "The Crow's Lullaby", facendo sì che il secondo lavoro sia più vario e completo. Augurando loro che ciò avvenga in tempi brevi, ve ne consiglio l'ascolto.
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Gruppo: Masteroid
Titolo: MMXIII
Anno: 2013
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Inverse Records
Contatti: facebook.com/pages/Masteroid/145397498863841
Autore: Mourning
Tracklist
1. Apinoista Petollisin
2. Minä Kerään Kuonaa
3. Lopun Jumalat
4. Vihan Laineet
5. Pimeys Orjuuttaa
6. Lakikivi
7. Vanhan Testamentin Psykopaatti
8. Kuumotus
DURATA: 46:28
L'insonnia è una fedele compagna che a quanto pare non ha proprio voglia di mollarmi e così — dato che di dormire non se ne parla — continuo a girovagare alla ricerca di band interessanti e stavolta è il turno dei finnici Masteroid. Il nome del quartetto è intrigante, inizialmente supposi si potesse trattare di stoner o doom, mentre nel momento in cui i miei occhi inquadrarono la pagina Bandcamp si ritrovarono una grafica dallo stile particolarmente affine a realtà quali Baroness e Kvelertak, eppure la musica è decisamente un'altra storia.
Tommi Ojansivu (voce), Tero Pantsar (chitarra), Ville Salonen (batteria) e Janne Vornanen (basso) appartengono alla categoria dei "mazziatori", la proposta in ogni modo possiede i suoi tratti riflessivi e psichedelici, le sue escursioni profonde e abissali, tanto che a volte — seppur alla lontana — ricorda i connazionali Demonic Death Judge, tuttavia i Nostri puntano maggiormente su una combinazione fatta di prestanza e cattiveria che miscela elementi vari, traendoli anche dalle derivazioni ibride degli Entombed miscelate con i Kyuss. Il cantato esclusivamente interpretato in finnico da parte di Tommi ha caratteristiche tipicamente ricollegabili allo stile di John Garcia, pur se quest'ultimo è di un altro pianeta. Il campo delle influenze dalle quali attingono è comunque ampio, ad esempio artisti come High On Fire e Cathedral si percepiscono a più riprese.
La prima prova di questi musicisti, pur palesando la presenza di un paio di forzature evitabili, soprattutto in sede d'inasprimento vocale, e un affidamento costante alle soluzioni di coloro i quali li hanno preceduti, si trova in possesso di ottime cartucce da sparare. In scaletta troviamo canzoni come "Apinoista Petollisin", "Lopun Jumalat", "Pimeys Orjuuttaa", "Vanhan Testamentin Psykopaatti" e "Kuumotus" che risultano essere ruvide e accattivanti quanto basta a immettere nel corpo quella voglia di seguire le note e muovere la testa.
Siamo solo all'inizio, ma i Masteroid sembra proprio facciano sul serio e "MMXIII" è il migliore dei modi che avrebbero potuto trovare per entrare a far parte di una scena ribollente e scalpitante come quella affetta dalla sindrome "stoner". In definitiva sembrava ci fosse un nuovo nome da seguire, invece non ci saranno uscite future, dato che la band ha deciso di sciogliersi ed è davvero un peccato.
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Gruppo: Mors Spei
Titolo: De Humanitatis Caede
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Lupus Niger Distro
Contatti: facebook.com/MorsSpei
Autore: Leonard Z666.
Tracklist
1. Intro
2. De Humanitatis Caede
3. Let Your Eye Shine
4. Through The Eyes Of The Dead
DURATA: 22:02
Demo di debutto per il progetto Mors Spei (Morte Della Speranza), parto solista del polistrumentista Wolf, già attivo in Gort e Vita Odiosa. Il lavoro si presenta in tutto e per tutto come un'uscita in pieno stile anni '90 e il genere di riferimento è proprio il black metal più tradizionale e oltranzista nato in quegli anni.
Le tre canzoni, scritte dal 2000 al 2002 ma pubblicate solo adesso, sono introdotte da una traccia in cui Vittorio Gassman recita alcuni tra i versi più famosi dell'Inferno di Dante Alighieri. I brani sono contraddistinti da una produzione minimale, però efficace, su cui spiccano la voce di Wolf e la drum machine, sebbene tutti gli strumenti siano ben udibili. Il loro fascino si fonda sulla ripetitività di riff di chitarra basati su pochi accordi, fattore più spiccato nella title track. La ricetta di Mors Spei è molto chiara: brani creati con riff semplici, talvolta più melodici, come in "Let Your Eye Shine", talvolta più diretti come in "Through The Eyes Of The Dead", e batteria che rimane sempre su tempi non molto sostenuti.
Per certi versi il demo mi ha ricordato i primi lavori di un'altra one man band italiana, i Deathrow, per il suo interesse verso un black metal in cui l'atmosfera e il senso di oppressione vengono prima del desiderio di lasciarsi andare a sfuriate di blast beat. In definitiva si tratta di un ottimo biglietto da visita per questo progetto nascente: un lavoro semplice, diretto, che piacerà a chi ama il black metal più oscuro e senza fronzoli. Per chi vuole sostenere la scena italiana è senz'altro da avere.
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Gruppo: My Education
Titolo: A Drink For All My Friends
Anno: 2012
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Golden Antenna
Contatti: facebook.com/myeducationmusic
Autore: Mourning
Tracklist
1. A Drink...
2. ... For All My Friends
3. Mister 1986
4. Black Box
5. Roboter-Hohlenbewohner
6. Happy Village
7. Homunculus
DURATA: 46:56
Il quintetto di Austin che s'identifica con il nome My Education si è ritagliato un piccolo, ma importante spazio all'interno del movimento post-rock strumentale. La creatura che vede Brian Purington e Chris Hackstie alle chitarre, James Alexander alla viola e al programming, Scott Telles al basso e Vincent Durcan dietro le pelli è attiva ormai da oltre una decade, forte della collaborazione quasi fissa con di Henna Chou (violoncello e tastiere) e Sarah Norris (vibrafono), e sul finire del 2012 ha rilasciato il quinto album intitolato "A Drink For All My Friends".
Il suono degli statunitensi è un qualcosa di molto ibrido e, se dovessi attenermi a una ricerca formale delle influenze, potrei citarvi artisti quali Pink Floyd, Alan Parsons, Klaus Schulze, Maserati, Explosions In The Sky, Mono, GY!BE e Tortoise come riferimenti utili per comprenderne l'ascolto. Il punto però è che non m'interessa minimamente a chi possano assomigliare, né tantomeno quanto possa essere paragonabile la loro musica a quella di altri, preferisco invece concentrarmi sull'aspetto cinematografico e di conseguenza sulla capacità di raffigurare distintamente le emozioni al variare costante dell'umore dei brani: sono queste le qualità degne di nota e la vera forza dell'album.
Una volta inserito il cd nel lettore, si necessita di due cose: A) premere il tasto "reset", azzerando il mondo che vi ruota attorno; B) offrire campo libero alle evoluzioni e involuzioni sonore che assumeranno consistenza di passaggio in passaggio e di canzone in canzone. Immaginate di avere una videocamera in mano e di potervi sbizzarrire filmando ciò che vi circonda, utilizzando qualsiasi angolazione, ruotando senza sosta in un fiume d'idee che può scorrere placido e rilassato senza subire scossoni oppure decidere senza preavviso di alterare il proprio corso, diventando vivace e quindi maggiormente rumoroso. Questo è ciò che avviene ascoltando "A Drink..." in accoppiata con la successiva "... For All My Friends", "Roboter-Hohlenbewohner" e "Happy Village" (stupendo l'ingresso del sax a cura dell'ospite David Samartin). Si è inequivocabilmente attorniati da una gamma di sensazioni fluttuanti, avvolgenti, decisamente difformi le une dalle altre, ma che in comunione perfetta con l'andamento altalenante della scaletta, in cui gli sbalzi di suono svelano sfaccettature di psichedelia naturalista ed epicità glaciale-spaziale, garantiscono un vissuto interessantissimo al disco.
"A Drink For All My Friends" è dunque un'opera completa o incompleta? È esclusivamente un insieme di sonorità note combinate ottimamente o l'album che può fare la differenza? È davvero così bello? Dopo vari giri nello stereo mi sono posto queste domande e, seppur non riesca a "gridare" al capolavoro, ritengo che i My Education abbiano sfornato un gioiellino come pochi, davvero pochi, nel genere sono riusciuti a fare negli ultimi anni. Non dovrebbe essere necessario scriverlo, però tanto per non lasciare nulla in sospeso: compratevelo.enire pura manna per le nostre orecchie.
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Gruppo: Mesmerize
Titolo: Paintropy
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Punishment 18
Contatti: facebook.com/mesmerizemetal
Autore: Mourning
Tracklist
1. It Happened Tomorrow
2. 2.0.3.6.
3. A Desperate Way Out
4. Monkey In Sunday Best
5. Midnight Oil / Within Without
6. One Door Away
7. Paintropy
8. Shadows At The Edge Of Perception
9. Mrs. Judas
10. You Know I Know
11. Masterplan
12. Promises [cover The Cranberries]
DURATA: 53:04
I lombardi Mesmerize sono una formazione che ha raggiunto nel corso degli anni la propria stabilità e ha trovato la via adeguata per far sì che l'eleganza e la genuina frenesia dell'heavy classico potessero convivere con la ruvidità e le attrattive istintive delle sezioni thrash. Ce l'hanno dimostrato in passato e continuano a farlo a distanza di quindici anni dal debutto "Tales Of Wonder" con "Paintropy", disco che è senza dubbio la loro produzione maggiormente evoluta e completa.
L'album in questione mette in evidenza il grandissimo lavoro svolto dalla sezione ritmica, composta da Andrea Tito al basso e Andrea Garavaglia alla batteria, sin dall'attacco di "It Happened Tomorrow" ed è proprio il caso di chiamarlo così; il duo da inoltre riprova del suo valore in episodi arcigni quali "Monkey In Sunday Best" e "Paintropy", con cui la band pressa l'ascoltatore, mettendolo all'angolo, come accade anche nella più strana "A Desperate Way Out", dotata di uno stile contaminato un po' dai Nevermore e un po' dagli Iron Maiden. I Mesmerize hanno reso la versatilità parte della loro esperienza musicale: l'ottimo e vario operato del chitarrista Piero Paravidino in "2.0.3.6." e l'abilità nel calcare la mano con cattiveria sul versante thrash in maniera costante, così come nel concedersi a situazioni dalla solidità degna del power più roccioso (si veda la fiera "One Door Away"), potrebbe far pensare a un misto fra i già nominati e molto "ingombranti" musicisti di Seattle e i Jag Panzer di Harry "The Tyrant" Conklin.
Che si tratti di andare veloci e far male in "Shadows At The Edge Of Perception", inscurire i toni in "You Know I Know" o permettere al lato più orecchiabile di prendere il sopravvento nella piacevolissima "Mr. Judas" e nella azzeccatissima rivisitazione in chiave personale di "Promises" (canzone dei Cranberries di "Bury The Hatchet"), il risultato finale è sempre di ottima fattura, grazie a una prestazione strumentale priva di sbavature, all'ennesima valida prova di Folco Orlandini (che molti ricorderanno anche dietro al microfono dei Time Machine di "Act II - Galileo") e a una produzione che, pur garantendo loro pulizia e aggressività moderne, non ne annienta la comunicatività, appiettando i suoni nello stile "adorato" dalla Nuclear Blast; quella sì che è una vera e propria piaga.
Mi auguro vivamente che "Paintropy" sdogani definitivamente il nome Mesmerize, l'ora era già arrivata con "Stainless", questo album dovrebbe quindi continuare ad allargare e rendere più accessibile lo spiraglio aperto a quel tempo. In Italia abbiamo band che non hanno nulla da temere in confronto a quelle straniere, però dobbiamo dar loro il sostegno che meritano: perché non inserire anche i Mesmerize nella vostra lista ideale? Ascoltate, ponderate e per ciò che mi riguarda:comprate questo disco.
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Gruppo: Misty Morning
Titolo: Saint Shroom
Anno: 2011
Provenienza: Italia
Etichetta: Doomanoid Records
Contatti: mistymorning.it - facebook.com/pages/Misty-Morning/28047488767
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Saint Shroom
2. Jellotron
DURATA: 22:14
Per una serie di motivi che al lettore non interesseranno minimamente, la recensione di "Saint Shroom" arriva con due anni di ritardo rispetto alla data di uscita di questo maxi singolo, presentato sotto forma di 12", rilasciato dalla britannica Doomanoid Records. Il gruppo in questione sono i nostrani Misty Morning che, dopo un buon EP datato 2008, "Martian Pope", hanno sfornato nel 2011 il disco qui trattato, apripista per l'album di debutto e linea di raccordo tra il passato e ciò che allora era il presente della band.
"Saint Shroom" si apre con un'introduzione scura, a breve soppiantata da un Heavy Rock robusto con un sottofondo di sintetizzatori e movenze elettroniche settantiane (non faticherete a ritrovare echi di un album come "Sabbath Bloody Sabbath"). Il ritmo pian piano rallenta fino a sfociare in un Doom tenebroso, contornato da digressioni astrali e accompagnato dalla versatile voce di El Brujo Luke, la quale nei momenti più ruvidi pare un incrocio tra Phil Anselmo, Zakk Wylde e Lee Dorrian. Il brano si dipana con maestria tra influenze molteplici e umori cangianti, rappresentando infine un affresco sfumato da molti colori che, nell'insieme, formano un'immagine decisamente interessante. Cambia un po' il registro con "Jellotron", episodio risalente al 2009. Quest'altra faccia dei Misty Morning è infatti votata maggiormente a un Doom granitico e muscolare che prende i Cathedral come indiscutibile pietra di paragone. Vengono comunque mantenuti alcuni punti di contatto con la materia più psichedelica e progressiva sviscerata dalla precedente "Saint Shroom", dimostrando così come il processo di evoluzione e personalizzazione dello stile fosse già iniziato ben prima dell'entrata di Rejetto (colui che si occupa ora della parte elettronica) nel 2010. Va comunque annotato come, nel complesso, "Jellotron" si dimostri lievemente più compatta ed efficace della traccia che la precede.
Non abbiamo ancora alcuna notizia certa riguardante l'uscita del debutto a cui il presente "Saint Shroom" avrebbe dovuto fare da apripista, ma siamo certi che in casa Misty Morning non si stiano girando i pollici e quindi resteremo sintonizzati. Nell'attesa, godiamoci quanto fatto finora dal quartetto nostrano... e che il Santo Fungo sia con tutti noi!
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Gruppo: Mamont
Titolo: Passing Through The Mastery Door
Anno: 2012
Provenienza: Svezia
Etichetta: Ozium Records
Contatti: facebook.com/mamontsweden
Autore: Mourning
Tracklist
1. Mammuten
2. Jag Sår Ett Frö
3. Creatures
4. Blind Man (Part III)
5. Stonehill Universe
6. The Secret Of The Owl
7. Woods
8. Satans Fasoner
DURATA: 42:29
Il 2013 si è ormai lasciato alle spalle la sua prima metà e io vi scrivo di un disco dell'anno passato? Eppure si sa, uno guarda avanti, ma poi si accorge, girandosi un po', che si è perso sempre qualcosa per strada e onestamente non potevo evitare di presentarvi gli svedesi Mamont. Se siete famelici di stoner, e "fuzz" e "space" sono parole che soltanto a sentirle nominare andate in brodo di giuggiole, allora il quartetto proveniente da Nyköping diventerà di sicuro un vostro fedele compagno. I musicisti, dopo aver dato alle stampe un ep omonimo di tre pezzi nel 2011, hanno pubblicato il debutto "Passing Through The Mastery Door".
L'album è di quelli che ti conquistano ed eccitano continuamente, un lavoro che sa di Svezia, con artisti quali Truckfighter e Dozer rintracciabili innegabilmente fra le influenze, ma che gode anche del genuino, affascinante e inossidabile fascino degli anni Settanta emanato dal sound Black Sabbath e Mountain. Inoltre fa un utilizzo a dir poco inebriante della visione psichedelica odierna dei maestri tedeschi Colour Haze, un quadro che solo a raccontarlo ti stordisce e inebria. Calore e dispersione, viaggio e sogno sono sensazioni e situazioni che si vanno incrociando e unificando.
Una volta messi a proprio agio dall'apertura totalmente strumentale affidata a "Mammuten", canzone lenta e fortemente incentrata sull'atmosfera, si viene proiettati attraverso nebulose cosmiche da "Jag Sår Ett Frö", col contributo della voce ossessiva di Karl Adolfsson. Di lì a breve tutto può accadere e quindi come si districheranno i Mamont? Punteranno ancor più sull'effetto "stoner" oppure, visto che con "Creatures" e "Blind Man" la natura settantiana classica viene fuori in maniera prorompente e l'atteggiamento bluesy si mostra con maggior vigore e intensità, successivamente si porranno a metà fra le due immagini paesaggistico-sonore inviate alla nostra mente? Niente di tutto questo, gli scandinavi con "Stonehill Universe" accelerano inaspettatamente il passo, aggiungendo toni desertici spiccati e adrenalina "a go go", aspetti che entrano a far parte della scena in corso, rincarando la volontà di mettere in mostra il lato più duro anche nella sostanziosa "The Secret Of The Owl".
Una volta alzati i giri al motore era comunque prevedibile un attimo di pausa e il secondo pezzo strumentale "Woods" casca come si suol dire a fagiolo, offrendo quel frangente che serve a rilassare e recuperare le energie spese: la sua natura silvestre pretende l'esibizione acustica da parte delle chitarre, con l'armonica a bocca e l'accompagnamento delle percussioni a rendere l'ambiente privo di collegamenti urbani. Come dicevo però è solo una parentesi, alquanto piacevole, che tale rimane, dato che con "Satans Fasoner" il movimento fuzz torna più vivo e pulsante che mai, conducendoci per mano alla conclusione di "Passing Through The Mastery Door".
I Mamont viaggiano su altissimi livelli, questo è lo stoner che da amante del genere ritengo imperdibile, è una di quelle band non solo da prendere in considerazione, bensì da acquistare senza perdersi in domande. Le parole contano poco e una volta che avrete inserito il disco e sarà entrato in circolo, vedrete quanto rapidamente aprirete il portafoglio e collocherete il cd nello scaffale insieme ai vostri ascolti preferiti. Adesso però mi dirigo verso il frigo, prendo un'altra birra e premo nuovamente "play"; se voi non l'aveste ancora fatto, affrettatevi!
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Informazioni
Gruppo: My Indifference To Silence
Titolo: Horizon Of My Heaven
Anno: 2012
Provenienza: Ucraina
Etichetta: BadMoodMan Music
Contatti: facebook.com/pages/My-Indifference-to-Silence/171016599605349
Autore: Mourning
Tracklist
1. Decline Of Your Consciousness
2. For You
3. Scream Of Despair
4. Around You
5. Your Easy Death
6. Horizon Of My Heaven
7. Falling Stars
8. I Lost Myself
9. We're All On The Other Side
DURATA: 57:17
Nella vita si cresce, si evolve o involve, si trovano nuove strade o si decide solamente di perseguire la propria via, mutando esclusivamente un paio degli aspetti che la rendono tale. Il discorso vale un po' per tutti e potrebbe essere applicabile alla quasi totalità degli ambiti artistici, di certo la musica non n'è immune. Chissà cos'è passato in testa a Vladimir Andreev, l'artista russo noto ad Aristocrazia in qualità di titolare degli On The Edge Of The NetherRealm e di ex cantante chitarrista dei Revelation Of Rain ha deciso di cambiare nome al suo progetto solista tramutandolo in My Difference To Silence, mantenendo il rapporto con la BadMoodMan Music (costola della sempre attiva Solitude Productions) e ha tirato fuori il debutto "Horizon Of My Heaven". Perché questa scelta? E soprattutto: sarà davvero cambiato qualcosa? Mah...
L'ascolto di questo primo capitolo non rappresenta un vero e proprio rinnovamento, né è reso significativo da una svolta compositiva netta, abbiamo la possibilità di ascoltare un buonissimo album di doom / death nel quale la componente gotica che caratterizzava gli On The Edge Of The NetherRealm è divenuta più rarefatta. Il riffato dal canto suo è più severo, mentre la voce in growl (in alcuni momenti sostituita dal parlato) svolge come sempre il suo dovere, appesantendo l'atmosfera, resa comunque discretamente languida e malinconica da una dovuta dose di melodie decadenti. In "Horizon Of My Heaven" sembra quasi che a governare l'andamento del disco sia la massiccia muscolarità dei brani più che l'aspetto emotivo; ciò non toglie però che le fattezze anni Novanta di gente come My Dying Bride, Anathema e dei nostrani Novembre incidano notevolmente nell'apportare quella sensibilità e quella delicatezza che sono necessarie per spezzare un andamento monolitico e statico altrimenti dannoso.
Non c'è nulla di formalmente sbagliato in quest'album, i pezzi sono piacevoli e scegliere fra una "Decline Of Your Consciousness", "Scream Of Despair" o "My Indifference To Silence" lo reputo inutile, in quanto il livello della composizione è sempre ben superiore alla canonica sufficienza, ma nessuno si dimostra realmente al di sopra degli altri. Inoltre come avvenuto con "Different Realms", l'operato del russo presenta evidenti punti di contatto col lavoro dei Raventale del collega Astaroth Merc intitolato "Mortal Aspirations", Vladimir pare quindi voler continuare a percorrere quella strada, ma non vi so dire dove lo condurrà. Asciugare la propria proposta potrebbe rivelarsi una soluzione azzeccata in quest'occasione, però in futuro potrebbe anche essere nocivo per la salute dei My Difference To Silence, riducendoli allo status di ennesima band che si muove su coordinate prestampate, uno dei tanti gruppi da ascoltare una volta e poi infilare nuovamente in bacheca. Dovremo attendere per capirci davvero qualcosa.
Chi avesse già avuto modo di conoscere la musica di questo artista, prenda in considerazione l'ascolto in quanto difficilmente riceverà una delusione, serve però uno scossone definitivo e chiarificatore delle intenzioni, poiché rimanere imbottigliato nella massa sarebbe realmente un peccato viste le doti in possesso. È quindi doveroso pretendere di più da uno come il signor Andreev, si spera fin dalle prossime uscite.
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Gruppo: Mutilanova
Titolo: Nera Lux
Anno: 2013
Provenienza: Francia
Etichetta: Le Crépuscule Du Soir Productions
Contatti: myspace.com/mutilanovagroupe
Autore: Mourning
Tracklist
1. Phantasmagoria In Obscurity
2. The Dying Silence
3. Carnival Of Grotesque
4. The Outsider
5. Nera Lux
6. Dark Oniromancia
7. Leviathan
8. In The Abysses Of Time
9. Revelations
DURATA: 01:08:22
I transalpini Mutilanova sono in circolazione da più di una decade, però hanno prodotto ben poco sinora, solo un demo nel 2005 e il debutto "Fragments" nel 2008, mentre il 2013 è l'anno che ha visto partorire il secondo album "Nera Lux". L'impostazione sonora è rivolta verso un black melodico-sinfonico che ha nelle figure del chitarrista C. Avskrius e del tastierista M. Svärhandis i riferimenti principali che fanno la voce grossa all'interno del disco, con il primo autore di piacevoli incursioni solistiche e di un riffing che in molte delle sue pieghe rivela di possedere un'anima barocca. Le tracce traggono ispirazione dagli anni Novanta scandinavi: Limbonic Art, richiami che portano alla mente gli Emperor e i Dissection, ma la lista sarebbe ben più lunga.
La formazione proveniente da Grenoble adora letteralmente creare composizioni orecchiabili e dotate di un comparto ritmico dinamico, capace di innestare il cambio di marcia al momento giusto; ciò che fa un po' penare è invece la mancanza di coesione che colpisce proprio i due membri già citati, tanto è vero che la chitarra ritmica in alcuni momenti pare subire l'esuberanza delle tastiere, che a loro volta non convincono del tutto quando si cimentano in soluzioni d'ispirazione settecentesca o circense, si vedano episodi quali "Nera Lux" e "Carnival Of Grotesque".
Le atmosfere che si succedono di brano in brano sono piacevoli, qualche volta però potrebbero risultare eccessivamente "zuccherose", tuttavia non è questo che limita la prova dei Mutilanova. Si tratta di due fattori: la durata prolungata del disco, che in quasi settanta minuti racconta meno di ciò che vorrebbe e dovrebbe; e l'assenza di un pizzico di concretezza, che gioverebbe in qualità di collante a evitare le dispersioni che purtroppo si palesano e stroncano le ambizioni di una prestazione altrimenti di ben altro spessore.
"Nera Lux" è un lavoro che comunque dimostra di avere in sé un fascino non trascurabile e che gli abituali fruitori o affezionati di queste sonorità dovrebbero quantomeno ascoltare. Per ora andare oltre sarebbe chiedere troppo.
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Gruppo: Manii
Titolo: Kollaps
Anno: 2013
Etichetta: Avantgarde Music
Provenianza: Norvegia
Contatti: non disponibili
Autore: Akh.
Tracklist
1. Skoddeheim
2. Liv-øydar
3. Likfugl Flaksar
4. Ei Sjæl Som Sloknar
5. Kaldt
6. Endelaust
7. Ei Beingrind I Dans
8. Avgrunns Djuv
DURATA: 39:52
C'erano una volta i Manes... folli, geniali, controversi, inaspettati; poi hanno deciso di continuare il loro percorso divenendo Folli, Geniali, Controversi, Inaspettati, sfondando frontiere musicali impensabili per chiunque altro. A distanza di molti anni Cernunnus (da citare pure la sua partecipazione coi Mysticum, sempre siano lodati!) e Sargatanas si orientano verso sonorità più metalliche e black metal in linea con le origini, utilizzando anche un nuovo logo. Manii diventa di fatto la nuova incarnazione dei Manes; e ovviamente la Avantgarde non avrebbe potuto farsi scappare questo "Kollaps".
L'iniziale "Skoddeheim" ci fa comprendere immediatamente che la malattia dei Nostri non è affatto diminuita e su un tappeto dall'incedere puramente Black Doom, in cui pare di incrociare Black Sabbath e Kyuss, Sargatanas vomita astio come se volesse riempire l'Acheronte, irretendoci con quella brusca pennata in 5/4 che aumenta esponenzialmente il senso di dissesto e smarrimento. Veramente molto affascinanti gli assoli di sottofondo che ricoprono "tesi" musicali non comuni e ricche di tensioni, che talvolta sono arricchite da camei di soffusa elettronica per elargire nuova oscurità.
La seguente "Liv-øydar" ci assicura che i lidi B.M. non vengono dimenticati dai Manii: è una gemma scolpita nel magma del limbo infernale grazie anche all'utilizzo magnetico delle tastiere e degli effetti che riproducono una personalità enorme, disagiata e dannata. Le ombre degli inferi suonano maledettamente più pesanti e inquiete del ruggire puro delle fiamme, inoculandoci spaccati di intimità che è sempre più difficile da riscontrare al giorno d'oggi.
Il lavoro certosino che Cernunnus riesce creare è mozzafiato, è forse l'unico capace di farmi percepire l'altissimo tasso di introspezione dei primi lavori di Burzum, pur se qua è ovviamente assente quella vena selvaggia e assolutamente incontrollata del Conte. Il resto però è su livelli che lo stesso Varg oggigiorno non saprebbe minimamente ripercorrere, come succede nella ipnotica e seducente "Likfugl Flaksar", dove un arpeggio semplice viene affiancato da una linea di chitarra minimale su cui far ascendere la tensione, che implode con effetti devastanti per la psiche, rubando l'anima e rapendo i sensi, facendo percepire chiaramente cosa significhi l'oblio.
Anche la copertina rafforza l'idea di un'atmosfera sospesa, minacciosa, impalpabile e oscura, clima che ritroviamo nelle soventi parti narrate all'interno dei brani come in "Ei Sjæl Som Sloknar", ma è con "Kaldt" che questa sensazione si rafforza grazie a un arpeggio acustico ricco di fluorescenze che ricorda certi Diabolicum, inframezzato da un incedere pacato e burzumiano diviene pura dinamite per le sinapsi. Nella seguente e delirante "Endelaust" invece ogni movimento elargito dai Manii si trasforma un tassello emotivo ad alta concentrazione, ogni arrangiamento è peculiare, mentre pure le schegge impazzite di solerte malignità tendono ad abbassare i toni, divenendo veleno serpeggiante, miasma mefitico, uno spettro malevolo sempre intento a osservarci, gettandoci in una disperazione degna del miglior Edgar Allan Poe.
Questo viaggio trascendente nei meandri del cosmo perverso e ovattato si chiude con "Avgrunns Djuv", tuttavia la sensazione di esasperazione rimane sotto traccia, gli echi di pianoforte e i feedback soffusi pulsano sotto pelle, la doppia cassa (che pare non esserci) resta fortemente impressa. I toni chiaroscuri che vengono sprigionati nell'arco di questi quaranta minuti non si fermano col termine del cd, questo significa solamente che i Manii possiedono una grandezza compositiva degna di pochi altri in circolazione. I richiami alle ombre diminuiscono con difficoltà nella mente e — nonostante sia una torrida mattina estiva — negli occhi ho solamente la visione di ragnatele secolari e sussurri di anime defunte.
Il mio cuore è fermo.
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Gruppo: Mental Torment
Titolo: On The Verge...
Anno: 2013
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Solitude Productions
Contatti: facebook.com/groups/mentaltorment - facebook.com/mentaltorment.ua
Autore: Mourning
Tracklist
1. The Path To Shining
2. Maelstrom
3. My Torment
4. Unspoken Word
5. Cold Rusted Flame
6. I See This End
7. Tragedy
8. The Drowned Man
DURATA: 52:12
La Solitude Productions continua la sua opera d'infoltimento della schiera di lavori doom: l'etichetta pesca con assiduità internamente all'underground della propria scena nazionale e di quelle limitrofe, trovando sempre qualche buona realtà da presentare. Questa volta è il turno dei Mental Torment. Gli ucraini non hanno una grandissima esperienza: l'unico lavoro rilasciato sino a questo 2013 era infatti il demo "Promo Tracks 2009".
Eppure i russi hanno avuto intuito, dando loro una possibilità: il debutto "On The Verge..", pur attenendosi in maniera ossequiosa a quanto già reso noto in passato da nomi tutelari quali My Dying Bride, Paradise Lost e Officium Triste, trasporta con sé un carico d'emozioni corposo che sostanzialmente riesce a trasmettere all'ascoltatore tramite uno sviluppo ritmico greve e massiccio, e un dosaggio delle melodie, spesso intinte di sonorità evocanti strati su strati di malinconia, calibrato e discretamente coadiuvato dall'apporto di sintetizzatori mai invasivi e tesi ad aumentare la sensazione di dilatazione; ciò giova alla definizione dell'impianto atmosferico insito nei brani, in cui come ciliegina sulla torta si pone la più che discreta prestazione del cantante.
Negare che tanto di quello che ascolterete nel disco sia figlio d'altrui tempi e menti sarebbe fuorviante: non si può però nemmeno pensare che un album come questo, nel quale sono contenuti pezzi intensi, delicatamente tormentati e dal piglio comunque tutt'altro che molle, debba passare inosservato. V'invito a saggiare le doti di canzoni quali "Maelstrom", "Unspoken Word", "Cold Rusted Flame" e "The Drowned Man" prima di etichettarli come la "solita minestra riscaldata", commettendo, a mio avviso, l'errore di mettere da parte una band che potrebbe in futuro, ancor più che oggi, dire la sua in questo panorama. Del resto "On The Verge..." non è "allungato" in maniera sconsiderata e disdicevole come frequentemente accade nel tentativo di sopperire a una latenza d'idee evidente, né tantomeno fa denotare carenze particolari nell'ambito legato alla produzione: siamo dinanzi a una prima prova ben più che soddisfacente.
"Chi ben inizia è a metà dell'opera": detto vecchio e più volte ripetuto, ma che in questa situazione cade a fagiuolo. Tenete quindi a mente il nome dei Mental Torment e magari, dopo aver condiviso un po' del vostro tempo in compagnia della loro musica, potreste anche ponderarne l'acquisto. Decisione che se venisse presa in considerazione, non sarebbe errata.
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Gruppo: Mother Mars
Titolo: Steam Machine Museum
Anno: 2013
Provenienza: Australia
Etichetta: Pepper Shaker Records / Vongrimm Records
Contatti: facebook.com/pages/Mother-mars/164589286902720
Autore: Mourning
Tracklist
1. Down The Line
2. Low Frequent C's
3. Terra Australis
4. Captain Paranoia's Final Voyage
5. Toki-Ho-Bo
6. Spacegirl
7. Astro Rodeo
8. War Of The Gods
9. Spacegirl Reprise [traccia bonus]
10. Larry [traccia bonus]
DURATA: 1:12:52
I Mother Mars erano una di quelle band che attendevo al varco, il trio composto da Frank e Paul Attard insieme a Matthew Allen ha lasciato un segno distinto nei miei ascolti con "Fossil Fuel Blues", album che nel 2012 ho letteralmente disintegrato. Non vedevo quindi l'ora di poterne ascoltare il seguito e per mia fortuna non ho dovuto aspettare chissà quanto, dato che "Steam Machine Museum" è stato partorito in questo 2013.
Si tratta di un pachiderma contenente in totale dieci pezzi, otto regolarmente indicati all'interno del digipak con titolo e durata, ai quali se ne aggiungono due bonus, per quasi un'ora e un quarto di durata: un viaggio lungo, ma tutt'altro che estenuante, quello che ci viene servito su di un piatto d'argento. La stupenda "solfa" rifilataci non si distacca eccessivamente da quella contenuta nel disco precedente, abbiamo a che fare con una formazione abilissima nel far convivere nei propri brani tutte le declinazione del mondo stoner. Attinge difatti dai flussi desertici quanto da quelli spaziali e psichedelici, dando vita a prove dalla natura multisfaccettata, spesso eterea, tuttavia tutt'altro che limitate allo sviluppo univocamente ambientale.
Vi sono delle belle sferzate di pura adrenalina e in apertura sia "Down The Line" che "Terra Australis" ce ne danno dimostrazione, tracce fantastiche per il modo in cui la sezione vivace, fremente e "rumorosa" dell'animo dei Mother Mars si ritaglia uno spazio dirompente. Successivamente altri episodi si espandono e aprono portali galattici nei quali inoltrarsi in direzione dell'infinito, "Astro Rodeo" in tal senso è calzantissima. Questo "Steam Machine Museum" contiene inoltre capitoli mastodonte quali "Low Frequent C's", "War Of The Gods" e "Spacegirl" che iniettano nella mente un'esagerata sensazione di trip in corso, una piacevole overdose rock che ci permette di fluttuare sostenuti dai voli pindarici acido-onirici orchestrati dalla note degli australiani; l'ultimo citato è anticipato dalle emissioni noise-drone di "Captain Paranoia's Final Voyage" e dalla ilare sorpresa racchiusa in una inaspettata "Tokio-Ho-Bo", adornata dalla presenza del banjo e dello scacciapensieri.
I Mother Mars sono uno spettacolo senza fine, perché una volta giunti alla conclusione del lavoro vi verrà automatico premere ripetutamente "play" per un nuovo inizio e un nuovo viaggio da affrontare, però con la consapevolezza acquisita grazie agli ascolti dati vi risulterà ancor più interessante e divertente addentrarvi nel loro universo fuzzy, melodico e libero in maniera affascinante. Invito dunque gli sfegatati fruitori del mondo stoner a entrare in possesso di "Steam Machine Museum", è un disco che assolutamente non potete farvi mancare.
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Gruppo: Mombu
Titolo: Niger
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Subsound Records
Contatti: facebook.com/mombu
Autore: Mourning
Tracklist
1. Niger
2. 667 A Step Ahead Of The Devil
3. Adya Houn'to
4. Mighty Mombu
5. Carmen Patrids
6. Seketet
7. The Devourer Of Millions
DURATA: 37:36
I Mombu, duo composto da Luca T. Mai e Antonio Zitarelli, sono stati più volte ospiti della nostra 'zine, e nell'intervista realizzata con gli Spaccamombu — progetto di grande spessore cui collabora anche Paolo Spaccamonti — proprio Zitarelli aveva più volte ripetuto: "si progettano cose oscure, voi non lo sapete, non ci crederete ma...". L'entità di queste "cose oscure" non ci venne allora rivelata, ma la nuova uscita targata Mombu apre qualche spiraglio sull'argomento.
I musicisti nostrani avevano già dimostrato nei lavori passati ("Mombu" e "Zombi") di saper dare vita a una creatura fuori dal tempo, distante anni luce dalla cementificazione che avvolge la realtà urbana. La loro è infatti una forma musicale schizofrenica e primordiale, complessa nella sua ricerca dell'elemento che riconduca costantemente alla radice del loro essere, è una catena di montaggio che coinvolge elementi difformi, e contrariamente a quanto si possa immaginare le pulsioni metalliche, le vibrazioni del jazz e le atmosfere percussive tribali sanno fondersi, dando vita a una sorta di piano astrale in cui perdersi è inevitabile.
Ciò che fa di quest'album un disegno a parte, ma che rientra comunque negli schemi distintivi e personali del duo, rispetto al precedente "Zombi", è racchiuso nell'assenza di una immagine definita che possa sintetizzarne sia esteticamente che graficamente il dipanarsi. È un sentiero fitto, scuro e impervio nel quale distinguere i pericoli che vi si pareranno contro e che arriveranno da ogni direzione risulta pressoché impossibile. Su questo sentiero verrete deviati dall'acidità del sax di Mai, triturati dall'entrata in scena della chitarra dell'amico e collega Marco "Cinghio" Mastrobuono (Orange Man Theory e Buffalo Grillz) e drogati dalle invocazioni rituali affidate ancora una volta al percussionista africano Mbar Ndiaye, con le quali si sposa perfettamente l'esibizione ritmica ricca di fascino, mistero e pesantezza di Zitarelli.
A "Niger" bisogna arrendersi, ma non per questo lo si deve subire; è uno shaker in cui le distanze e la visione della realtà vengono deformate; ma anche, probabilmente la nevrosi che potrebbe condurvi all'illuminazione. Per questo indicarvi un brano piuttosto che un altro sarebbe inutile e riduttivo, non avrebbe alcun senso sezionare un'opera che deve essere assorbita nella sua interezza, senza spezzettarne l'ascolto in più riprese. Se incontrate difficoltà non mollate, l'esperienza che ne deriverà sarà sempre e comunque positiva.
Che la si chiami afro / grind, avanguardismo o semplicemente follia, l'arte marchiata a fuoco con la scritta Mombu spiazza e non delude; dimostra come non esistano ostacoli se c'è la volontà di far coesistere due mondi così apparentemente distanti e inconciliabili. Adesso deciderete voi quale uso farne, è possibile che "Niger" vi lasci pensare di avere tale libertà. In qualsiasi caso, è certo che adrenalina e contemplazione saranno lì ad attendervi, quale delle due prenderà il sopravvento? Sarete più attratti dalla cerimonialità di "Carmen Patrios" o dalla cattiveria sanguigna di "The Devourer Of Millions"? Premete "play" e poi si vedrà.
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Gruppo: Mind Affliction
Titolo: Pathetic Humanity
Anno: 2013
Provenienza: Polonia
Etichetta: Metal Scrap Records
Contatti: facebook.com/Mind.Affliction
Autore: Mourning
Tracklist
1. Intro
2. Human Centipede
3. Mental
4. Vishe I
5. Druga Strona Umyslu
6. Vishe II
7. Lithium
DURATA: 40:03
I Mind Affliction sono ciò che ti attendi da una band estrema polacca: sanno combinare soluzioni di stampo death / thrash e black per creare brani sia belligeranti che malevoli; talvolta accelerano in maniera repentina, puntando l'area grind, senza però accedervi mai realmente. Al tempo stesso sono attenti a fornire ai propri brani una componente atmosferica. Fin qui nulla di nuovo, ma il punto è: vi attendete davvero qualcosa che lo sia?
Il quartetto proveniente da Cracovia è composto da Krzysztof Chomicki (voce e basso), Dariusz Zabrzenski (voce e chitarra), Kamil Poreba (chitarra) e Dawid Adamus (batteria). Il debutto non aggiunge neanche una virgola alla storia musicale che la loro nazione ci ha raccontato in maniera approfondita e multi-sfaccettata nel corso degli ultimi vent'anni e poco più, nonostante questo però la loro prestazione possiede alcune qualità decisamente apprezzabili, seppur non trascendentali. "Pathetic Humanity" è un album ben composto, più che discreto dal punto di vista della varietà ritmica e delle scelte messe in atto per diversificarne l'incedere, sa spingere inserendo il blastato a manetta (sia "Human Centipede" che "Mental" ne fanno sfoggio, non diventandone tuttavia schiave) e allentare la presa, immettendo tempi cadenzati ed espansioni simil-doom che accrescono la pesantezza e la consistenza in episodi come il primo capitolo "Vishe", mentre alla lunga e conclusiva "Lithium" è lasciato il compito di riassumere il quadro della situazione.
In tutto ciò non mancano le melodie classiche della zona est europea, con la prestazione vocale di Krzysztof e Dariusz che — pur non essendo perfetta — convince (più il growl che lo scream) per l'impatto delle due ugole sui pezzi. Infine la produzione è pulita come e quanto basta a rendere chiara l'identificazione della strumentazione di una band promettente.
Siamo dinanzi al classico album che si rivolge agli ossessionati fruitori del genere? Probabile, ma una volta inserito nel lettore "Pathetic Humanity" vi assicura una buona dose di scapocciate e data la sua conformazione potrebbe attirare a sé l'interesse sia degli appartenenti alla vecchia guardia che dei più affini a oltrepassare l'etichetta "old school". Non vi rimane quindi che premere il tasto "play" e scoprire così se questi polacchi faranno o meno al caso vostro.
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Gruppo: Misere Nobis
Titolo: Fade Away Gradually, My Hope...
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Pest Productions
Contatti: facebook.com/miserenobisband
Autore: M1
Tracklist
1. Imploro Meam Finem
2. Mors Omnia Solvit
3. Sopor Aeternus
4. Mea Mors
5. Regnat Silentium
DURATA: 52:22
Alcuni mesi fa abbiamo ospitato su queste pagine Torpor e Gris coi pregevolissimi Dreariness, che sono già finiti nella mia top 5 di fine anno! Più passa il tempo e più mi convincono rispetto a quanto scritto in sede di recensione, dove ero stato molto più cauto. Quest'oggi rieccoli accompagnati da Dave dei Deadly Carnage e Negative col disco d'esordio dei Misere Nobis, che cronologicamente precede "My Mind Is Too Weak To Forget", essendo stato rilasciato il 25 giugno 2012. Inizialmente mi ero accostato a loro in rete, ricercando un gruppo dalle sonorità simili ai Nyktalgia, infatti i Nostri prendono il nome dall'omonimo brano presente nel primo album della formazione tedesca.
Nella musica dei Dreariness si percepivano uno struggimento e una malinconia tali da sfociare nel disagio mentale (ottimamente espresso dallo scream di Tenebra) di un'anima incapace di gestire così tanta negatività, come evidenziato dagli eloquenti titoli "Dysmorphophobia" e "Madness"; non avrei mai pensato che lo studio universitario di Binswanger e del suo testo "Melanconia E Mania: Studi Fenomenologici" potesse in qualche modo tornarmi utile! Qui invece lo strazio e il dolore di una vita priva di senso, fatta di solitudine e illusioni fuoriescono talvolta in maniera prepotente e massiccia, nelle furiose accelerazioni della batteria, urlando al mondo la propria sofferenza. Insomma "Fade Away Gradually, My Hope..." ricade nell'ambito del depressive black propriamente detto, pur rifuggendo i cliché più inutili, inflazionati e dannosi, come i suoni ultra grezzi che impediscono di cogliere gli accorgimenti più minuti, che spesso fanno la differenza in un settore così monolitico. Ad ogni modo i brani possiedono tutti quanti durate importanti, strutture più complesse del solito e un riffing "ipnotico" (non sferzante o tagliente), che però talvolta riserva alcuni notevolissimi passaggi più melodici o struggenti; è il caso ad esempio di "Mors Omnia Solvit".
L'incipit di "Sopor Aeternus" dal canto suo ricorda nettamente i vecchi e fondamentali Forgotten Tomb, inizialmente l'atmosfera è funerea e il ritmo lento, ma nel corso dei minuti appaiono anche furiose accelerazioni e altrettanti rallentamenti. "Mea Mors" è l'unica composizione del lotto che comincia "in medias res", senza alcuna introduzione di sorta, né pianistica né arpeggiata, e presenta un'alternanza fra pieni e vuoti musicali molto marcata, inoltre per la prima volta emerge il lato più viscerale del gruppo. Finalmente arrivo a parlare di "Regnat Silentium", la canzone che mi fece propendere per approfondire la conoscenza dei Misere Nobis: l'attacco è minimale, intimo, acustico, l'intensità e il pathos tragico crescono pian piano, lo si percepisce dal riff toccante... poi prende davvero piede, ma non si fa in tempo a farsi rapire che ecco l'esplosione angosciosa! Ancora una volta dopo l'amaro sfogo sopraggiunge una parte più raccolta, quasi per farci riprendere fiato...
Dalla lettura dei testi, dalla sequenza della scaletta e dal titolo mi sono fatto l'idea che questo album narri della perdita della speranza e della voglia di vivere, collocate all'interno di un percorso nel quale inizialmente è contemplata soltanto la morte autoinflitta, che viene invocata e anelata come unica soluzione. Successivamente il Male prende possesso dell'Anima, poiché in esso ritrova protezione e amore non contaminati dall'ipocrisia dei seguaci di Dio. Niente più dolore e sofferenza, nel momento del Giudizio essa giungerà a una nuova consapevolezza (dovuta alla malattia mentale?) e le bugia del Messia saranno finalmente distrutte. Questa consapevolezza in un certo qual modo è espressa anche dai testi stessi che si trasformano da più "carnali" e legati alle sensazioni del corpo a più "spirituali" col passare dei minuti.
"Fade Away Gradually, My Hope..." non è un disco che possa impressionare di primo acchito o riservare effetti speciali per stupire inaspettatamente il pubblico, si fa forza però del proprio lavoro complessivo, nel quale ogni singolo tassello gioca un ruolo importante ai fini di un tutto che è maggiore della somma delle sue singole parti, componente lirica compresa. Come per ogni titolo del proprio catalogo, Pest Productions permette un ascolto completo delle uscite tramite Bandcamp, quindi non vi resta che fare un salto là.
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Gruppo: Mother Susurrus
Titolo: Maahaavaa
Anno: 2013
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Ektro Records
Contatti: facebook.com/mothersusurrus
Autore: Mourning
Tracklist
1. Superposition
2. Scopolamine
3. Anagnorisis
4. Ylösnousemus
5. Uniemä
DURATA: 48:04
I finnici Mother Susurrus ritornano su Aristocrazia, nel 2010 ve li avevo presentati con l'ep omonimo e a tre anni di distanza la compagine di Tampere mi permette di scrivere del debutto "Maahaavaa". Nel corso della recensione di "Mother Susurrus" avevo immaginato che l'irrobustimento della sezione sludge del sound avrebbe potuto giovare per fare il salto di qualità, invece la strada intrapresa con quello che definiscono come "heavy nitro-hydrochloric acid rock" ha favorito l'altra faccia della medaglia, quella più riflessiva, esploratrice e intima.
Abbiamo a che fare con una strana versione di High On Fire, Neurosis e The Cult, c'è anche qualcosa di vagamente Danzig, nella quale si miscelano tutte le fragranze del metal atmosferico più etereo. La parola d'ordine che si fa largo in mezzo a cotanta carne al fuoco è "equilibrio", i cinque brani — fra i quali spiccano per durata e propensione a espandersi i mastodonti "Superposition" e "Uniemä", l'alpha e l'omega dell'album — sono caratterizzati da un esplicito vagare, vagare che risulta essere caratterizzato da un corso mutevole, che attinge infatti dalla psichedelia più acida, lisergica e rituale (ascoltate il lavoro di batteria insito in "Scopolamine") quanto dalle profondità sferzanti e colossali, e mostra il lato più romantico-melancolico, pur non negandosi di inveire, assumendo connotati maggiormente robusti e rudi. Questo aspetto comporta anche un mutamento dell'impostazione vocale, che passa da una rappresentazione pulita e a tratti limpida a una sporcata, quasi raccapricciante in "Ylösnousemus", diventando ipnotica e allettante nella bizzaria di "Anagnorisis".
Volete "farvi" pesantemente? Abbandonate le schifezze e mettete su un disco come "Maahaavaa", sarà una combinazione di adreanlina e relax ciò che vi verrà iniettato in corpo e della quale non ci si assuefarà mai, a ogni giro nello stereo ne godrete: che sia questo il cosiddetto "fiore del deserto" che sbuca in mezzo a lande innevate? A voi scoprirlo, non ve ne pentirete.
Lista acquisti che aumenta e portafoglio che ulula il suo svuotarsi costante, ma le "buone" ragioni per spendere in questo, come in altri casi, vincono di netto: compratelo!
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