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lunedì 11 marzo 2013

ENTHRONED - The Apocalypse Manifesto


Informazioni
Gruppo: Enthroned
Titolo: The Apocalypse Manifesto
Anno: 1999 / 2004
Provenienza: Belgio
Etichetta: Blackend Records
Contatti: enthroned.be - facebook.com/pages/ENTHRONED/126142654307
Autore: M1

Tracklist
1. Whispering Of Terror
2. The Apocalypse Manifesto
3. Death Faceless Chaos
4. Retribution Of The Holy Trinity
5. Post-Mortem Penetrations
6. Genocide (Concerto No. 35 For Razors)
7. Völkermord, Der Antigott
8. Alastor Rex Perpetuus Doloris
9. The Scourge Of God

DURATA: 44:13

"The Apocalypse Manifesto" è un disco spartiacque per i belgi Enthroned, i quali — una volta elaborato il lutto per la tragica scomparsa di Cernunnos con l'ep tributo "Regie Sathanas (A Tribute To Cernunnos)" — imboccano una differente direzione stilistica, parziale eredità del più violento "Towards The Skullthrone Of Satan" rispetto all'atmosferico e "mistico" esordio "Prophecies Of Pagan Fire".

Nel black metal dei Nostri subentrano sfumature thrash nel riffing, i ritmi si fanno più indiavolati e lineari, l'assalto sonoro maggiormente sostenuto e continuo, le tracce strutturalmente si semplificano, mantenendo qui e là eredità del passato come alcune aperture di più ampio respiro ("Retribution Of The Holy Trinity") e diversi assoli dal sapore heavy e quasi melodico se paragonati al contesto generale. Sfortunatamente la batteria è un punto debole micidiale per l'album, sia per una scelta di trame eccessivamente quadrate e semplicistiche — specie al cospetto del lavoro svolto dal defunto batterista in passato — che per un suono troppo "sintetico" e poco prestante. Nel complesso la produzione non valorizza la potenza di fuoco di nove brani che vorrebbero puntare quasi tutto su uno stile guerrigliero e senza compromessi.

Talvolta la bontà di alcuni pezzi come "Genocide" — davvero terremotante — permette di superare le limitazioni citate, ma questi rari spunti non sono sufficienti a elevare "The Apocalypse Manifesto", a dire il vero troppo anonimo a livello di creatività. Nornagest e soci d'altro canto condensano le proprie idee in meno di quaranta minuti effettivi di musica (non fatevi ingannare dalla durata scritta nelle informazioni, poiché al termine della conclusiva "The Scourge Of God" vi sono diversi minuti di silenzio prima di una breve ripartenza finale), impedendo così cali di concentrazione da parte dell'ascoltatore. Prima di chiudere, mi preme evidenziare la prova davvero tagliente e di valore di Lord Sabathan, dotato di uno scream aspro distinguibile e davvero letale, un'arma in più per i belgi.

L'epoca post Cernunnos insomma non inizia nel migliore dei modi per gli Enthroned, che non toccheranno più le vette qualitative di inizio carriera, divenendo con l'abbandono dello storico cantante nel 2006 niente più che il progetto di Nornagest, da allora anche frontman, in una formazione priva di membri fondatori.

Nota: la versione del disco recensita è quella presente nel cofanetto "The Blackend Collection", raccolta dei primi quattro dischi della band edita da Blackend Records al termine del rapporto di collaborazione con gli Enthroned, ma non riconosciuta come legittima dal gruppo. Al momento dell'acquisto il sottoscritto era all'oscuro della vicenda.

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lunedì 29 agosto 2011

BREACH - Venom / Kollapse

Informazioni
Gruppo: Breach
Titolo: Venom / Kollapse
Anno: 1999 - 2001
Provenienza: Svezia
Etichetta: Burning Heart Records
Contatti: www.burningheart.com/discography/index.php?bid=29
Autore: Advent

Tracklist "Venom"
1. Helldrivers
2. Murder
3. Gheeá
4. Heroine
5. Diablo
6. Common Day
7. Path Of Conscience
8. Game In Vain
9. Pleasuredome
10. Black Sabbath
11. Hell Is My Witness
12. Penetration

DURATA: 44:27

Tracklist "Kollapse"
1. Big Strong Boss
2. Old Ass Player
3. Sphincter Ani
4. Alarma
5. Lost Crew
6. Teeth Out
7. Breathing Dust
8. Mr. Marshall
9. Seven
10. Murder Kings And Killer Queens
11. Kollapse

DURATA: 48:08

Quando Freud chiese ad un bambino se preferisse il cioccolato o i giocattoli il furbetto gli rispose "Cioccolattoli!". Chiedermi di scegliere tra "Venom" e "Kollapse" è da persone sadiche, non risponderei A o B, farei il furbo. "Vellapse!".
I Breach suonavano in una maniera tutta loro, è riduttivo dire che facessero post-hardcore, sludge metal. Prima che il post-hardcore fosse un genere con mille band di froci con i capelli piastrati cresciuti a pane, metalcore ed Alesana, scusate lo sfogo. Qualunque cosa fosse la loro musica è stata sempre di una durezza agghiacciante, ora alcuni ex membri hanno sviluppato sotto il monicker di Terra Tenebrosa il potenziale più claustrofobico prendendo tutta la pece nera e appiccicosa di "Venom" e "Kollapse" per incendiarla con una dose abbondante di napalm. Ma il fuoco era già divampato in "Diablo" ed "Hell Is My Witness"! Un fluire di tutti gli strumenti verso il pozzo incandescente che è "Venom", un album diretto che prende il lato violento dell’hardcore e sparato in faccia con un cannone, disperato, a senso unico, buono per allenarsi a ritmo di oscillazioni sludge. E’ un diamante grezzo ed episodi come "Black Sabbath" e "Game In Vein" fanno capire quanto sia spontaneo e genuino, crea emozioni trascinanti che i pochi fortunati che hanno la gioia di conoscere i Breach non vorrebbero mai abbandonare. Kollapse è meno oppressivo ma comunque una botta di devastazione, nemmeno la folle demenza vocale in "Mr. Marshall" solleva i toni malinconici della pesante strumentalità con la quale i Breach hanno avuto sempre un rapporto caldo ma buio. Un album dove viene dato respiro agli strumenti, mettendo la voce un po’ in secondo piano per far entrare tanto post-rock e un pizzico di psichedelia. I riff ancora duri ma è impiegata anche l’elettronica per creare una continuità tra l’atmosfera cupa e soffocante di "Venom" e "Kollapse". Una musica che continua a strisciare come un verme che buca la frutta e la sciupa, che in fondo diventa una crisalide e si trasforma in farfalla. Questa ascesa, metamorfosi verso la perfezione, ha inizio in "Venom" e si realizza al termine di "Kollapse". L’album TOTALE dei Breach, pieno, veramente maturo, con una produzione spettacolare che seppellisce Neurosis, Today Is The Day e quant’altro. "Kollapse" è la farfalla per intenderci. Perché quando vuole sa essere più sporco del predecessore ("Breathing Dust", "Old Ass Player") ma in fondo è riflessivo ("Seven", "Teeth Out").
La traccia "Kollapse" si tramuta in vera e propria esperienza. "Kollapse" è la vita all’interno di una bolla, una sala d’attesa dove mascheriamo le nostre paure con un’ostentata serenità anche se siamo colmi di ananke. E’ l’atmosfera tiepida e sconcertante del finale de "L’Aldilà" di Lucio Fulci. I giri di chitarra quando arrivano le ritmiche post-rock diventano cristallini, oscillano con una strana gaiezza che poi diverrà la norma per tutto il post-hardcore che andrà a nascere in quegli anni. I riff sdoppiati grattano leggeri un tappeto intessuto dal "Glockenspiel" (strumento che avreste dovuto già sentire ne "Il Flauto Magico" di Mozart o in "Little Wing" di Jimi Hendrix ) e si spengono nella pace.
Entrambi gli album nei rispettivi finali hanno stampate delle tracce di pura emotività. "Penetration" di Venom crea un’atmosfera da intima confessione per scaricare tutta la rabbia che possiede, "Kollapse" assume una linea più morbida che meglio si addice ad un album che prende molto post-rock e lo ingloba nel post-hardcore più personale del terzo millennio.

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lunedì 17 maggio 2010

DESECRATE (ITA) - Moonshiny Tales – The Torment And The Rapture


Informazioni
Gruppo: Desecrate
Anno: 1999
Etichetta: Mephisto Records
Autore: Mourning

Tracklist
1. Intro
2. Beyond Hope, No Way Out
3. Who Are You?
4. I Will Slaughter You
5. Total World War
6. Hymn
7. Outro-Arousing

DURATA: 30:48

In questi ultimi anni il come-back di tante realtà conosciute o meno ha permesso di riportare alla luce spesso e volentieri lavori pregevoli che purtroppo erano stati obliati dal trascorrere degli anni.
I genovesi Desecrate sono una di quelle band che, dopo una lunga pausa compositiva di oltre una decade, si preparano a uscire dallo stato d'ibernazione in cui erano racchiusi per dare un successore al primo album del 1999 "Moonshine Tales - The Torment And The Rapture".
Il disco in questione è quello che si può definire una perla melodica dimenticata, in esso risiedono la furia gelida del movimento svedese più energico della prima metà anni Novanta congiunto a varianti acustiche e scelte sonore progressiste per l'epoca, che per certi versi si ricollegano tanto per rimanere fra le lande scandinave agli Opeth.
In un periodo in cui l'Italia stava muovendosi in quella direzione (gli Infernal Poetry erano ai primi vagiti così come i Dark Lunacy) i Desecrate rappresentavano già una solida quanto valida certezza.
I trenta minuti che scandiscono il corso del platter sono segnati dalla prova elegante, ispirata e tecnicamente variegata al punto giusto da parte di Gabry e Francesco alle chitarre, la ritmica del resto risulta essere precisa quanto dinamicamente ben impostata da Ale al basso e Paolo alla batteria, un quartetto privo di grossolane sbavature.
Gabry ricopre anche il ruolo di cantante cimentandosi con un growl/scream che alternandosi segue umoralmente la musica dando spessore e cattiveria quanto basta.
Pezzi di qualità come "Who Are You?" e "Hymn" vengono intervallati da mazzate come "I Will Slaughter You" e "Total World War", in entrambe le occasioni però si rimane ben svegli in quanto non verrete a contatto con cali o momenti puramente morti, cio è dovuto anche a una produzione non proprio perfetta ma che ben si presta alla musica dei Desecrate.
Come anticipatamente scrivevo, la formazione è tornata in carreggiata adesso però come sestetto, ha mantenuto 3/4 della line-up iniziale con la sola defezione di Ale iniziando a lavorare su nuove canzoni.
Attendendo quindi che l'album di rientro sia pronto, chi non li conoscesse ascolti "Moonshiny Tales – The Torment And the Rapture", uno dei tanti gioellini dimenticati del made in Italy.

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domenica 20 dicembre 2009

DARK TRANQUILLITY - Projector





Informazioni
Gruppo: Dark Tranquillity
Anno: 1999
Etichetta: Century Media
Autore: Mourning

Tracklist
1. FreeCard
2. ThereIn
3. UnDo Control
4. Auctioned
5. To a Bitter Halt
6. The Sun Fired Blanks
7. Nether Novas
8. Day to End
9. Dobermann
10. On Your Time

DURATA: 50:50



I Dark Tranquillity rilasciarono il loro quarto lavoro nel 1999, “Projector” sarà l’album che in effetti spaccherà la critica in quanto disco dell’evoluzione definitiva che influenzerà nettamente la svolta per dar vita a quel percorso artistico che condurrà alle produzioni successive “Haven”, “Damage Done” e i restanti cloni di quest’ultimo nello stile.
Cos’ha di diverso questo platter rispetto ai predecessori?
I punti sono molti iniziando dalle tempistiche che rallentano concedendosi meno al death se non a sprazzi come in una “On Your Time” che si lancia nel ricordo del periodo e l’innesto di un nuovo elemento nella band che darà il suo apporto fondamentale nell'affinare e rendere più elegante il suono.
Entra infatti in formazione il tastierista Martin Brändström figura che diverrà di notevole importanza dando un suo netto contributo al marchio di fabbrica Dark Tranquillity.
Il disco in se stesso è molto più diluito e Stanne aumenta in maniera esponenziale le parti di clean vocals, melanconiche in “Therein” e “Undo Control” (duetto con Johanna Andersson), emozionanti in “Auctioned”, trascinanti in una “Nether Novas” probabilmente miglior brano dell’insieme.
Gli innesti di tastiera e parti elettroniche non ancora incisivi e netti come nei successivi album iniziano nel dare una forma più moderna e accattivante caratteristica che si evidenzia in brani come “To A Bitter Halt”, “The Sun Fired Blanks”, “Dobermann” e il lento “Day To End”.
La band è in gran spolvero le prestazioni sia di Jivarp dietro le pelli che dell’accoppiata chitarristica Johansson/Sundin (ha composto alcuni dei riff più belli proprio in questo lavoro) sono impeccabili, così com’è impeccabile il solito Martin Henriksson ancora nelle vesti di bassista (dal successivo con l’entrata di Nicklasson userà la sei corde sostituendo l’uscente Johansson) che come sempre esegue il suo compito senza macchia.
Uno dei punti forti dei Dark Tranquillity è stato sin dagli albori quello d’avere più menti compositive in line-up il che ha sempre giovato nel dar nuova linfa e spunto al songwriting.
Criticato, odiato da alcuni osannato da altri, è l’anello di congiunzione fra il vecchio ed il nuovo, è l’album da conoscere per scoprire cos’erano e cosa son diventati i Dark Tranquillity, per gli amanti del genere un must!

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DAN SWANO - Moontower





Gruppo: Dan Swanö
Anno: 1999
Etichetta: Black Mark Productions
Autore: Bosj

Tracklist
1. Sun of the Night
2. Patchworks
3. Uncreation
4. Add Reality
5. Creating Illusions
6. The Big Sleep
7. Encounterparts
8. In Empty Phrases

DURATA : 43:44



Chiunque mastichi un poco della scena metal svedese, ha per forza di cose sentito nominare Dan Swanö o uno degli innumerevoli gruppi che possono vantare una collaborazione con lui. La quantità di produzioni di cui negli anni si è fatto carico è ad oggi incalcolabile, e spazia dalle sonorità progressive più ricercate dei Nightingale a quelle puramente depressive dei primi Katatonia; non c’è quindi di che stupirsi se, alla veneranda età di neanche ventisei anni, il Nostro è stato in grado di confezionare un lavoro ispirato, vario ed articolato come Moontower.
Il lavoro si configura, musicalmente parlando, come il perfetto anello di congiunzione tra il primo ed il secondo capitolo dello storico concept Crimson dei suoi Edge Of Sanity. Sono infatti presenti le stesse sonorità riscontrabili embrionalmente nel primo dei suddetti lavori, che saranno poi solo quattro anni dopo portate a definitiva forma, in cui sono le tastiere, le distorsioni elettroniche e le campionature a fare la parte del leone, naturalmente coadiuvate dalla strumentazione classica.
Il dipanarsi dei quasi tre quarti d’ora del disco lascia sempre più intuire la verità dietro le parole con cui lo stesso Swanö ha definito questa musica, in questa sede all’inizio della recensione: le chitarre distorte e il particolare growl dell’autore si intersecano benissimo con le già citate strutture tastieristiche che ricordano quasi lo storico organo Hammond, abusato dalle formazioni di una trentina di anni fa, e si arriva così ad ottenere questo particolarissimo ibrido di death metal progressivo dai cambi di tempo e di melodia del tutto inaspettati, che sicuramente faranno storcere il naso ai soliti puristi di uno o dell’altro genere.
Il risultato finale è comunque un lavoro in grado di rapire, di un’intimità e una spontaneità oggi rare, basti pensare ai testi di The Big Sleep, la disillusione e la conseguente difficile rassegnazione dinanzi al termine della vita, o della conclusiva In Empty Phrases, un uomo alla ricerca di espressione poetica. Non bastasse, un altro vertice del disco è rappresentato dai non frequentissimi assoli chitarristici, su tutti quello di Uncreation, assolutamente azzeccati ed evocativi, pur non presentando difficoltà sovrumane o velocità al limite del possibile. L’idea che si ha dal disco, infatti, è quella che siano state preferite la varietà di strutture e l’eterogeneità del risultato finale, piuttosto che la difficoltà e complessità delle stesse, così da rendere quindi il disco appetibile anche per chi non è avvezzo al tecnicismo spesso un po’ asettico del progressive tradizionale, pur presentando tutte le peculiarità del caso, in primis i già citati inaspettati cambi di tempo, per continuare con una durata dei brani piuttosto lunga (le otto tracce si attestano infatti su una media di durata tra i cinque e i sei minuti).
In conclusione, ci si trova al cospetto di un disco estremamente profondo e difficilmente inquadrabile, capace di trasportare così come di risultare indigesto, che richiede più e più ascolti per potersi dire assimilato. Oggettivamente parlando, rimane una delle prove più valide e rappresentative della sterminata carriera del trentacinquenne svedese.

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domenica 6 dicembre 2009

DIABOLICUM - The Grandeur Of Hell (Soli Satanae Gloriam)




Informazioni
Gruppo: Diabolicum
Anno: 1999
Etichetta: Napalm Records
Autore: Akh

Tracklist:
1.The Grandeur Of Hell (Moloch)
2.Chained On Demonwings
3.The Wind Shall Slay
4.Serenade Of The Imperial Darkness
5.Infernalord (The Pray Of Blacksouls)
6.The Moon With Thousand Shapes
7.Reaper Of The Orb
8.Perished (The Manifestation Of Suicide)
9.Her Divine Hatred (Tiamat)
10.Evocation (Longing For Armageddon)

Durata:38:28



Gli svedesi Diabolicum nascono dalle ceneri degli Imperial, gruppo gia' noto nell'underground piu' nero per alcuni buoni demo.
La proposta dei nostri è assolutamente ad altissima denotazione, gia' dall'introduzione il suono di questo combo mi ha sorpreso e avvinto, dove una tastiera sintetica circondata da bombardamenti e pianti di neonati impera, creando il fertile terreno per la prossima distruzione sonora che vedra' protagonisti questi scandinavi.
I pezzi creati da Sasrof (gia' in opera con i Setherial) sono puri inni all'oscurita', alla violenza ed al Chaos superiore; brani come "Chained On Demonwings", "The Wind Shall Slay" oppure "Infernalord (The Pray Of Blacksouls)" sono canzoni che non rilasciano prigionieri, ai ritmi frenetici della drum machines, si rincorrono violentissime scariche dal riffing nero e melodico tipicamente svedese, con arrangiamenti apocalittici dove lo sterminio è l'unico verbo possibile.
Altari musicali creati fra incubo e realta', dove fuoriesce l'anima industriale e ambient dei Diabolicum non perdona (vedi "Serenade Of The Imperial Darkness", "The Moon With Thousand Shapes" e "Her Divine Hatred (Tiamat)"), in cui vere e proprie preghiere alle divinita' piu' infernali prendono corpo, con un mood blasfemo ed evocativo, in cui rimanere inermi è l'unica soluzione possibile.
Il termine con cui viene indicato il genere proposto è "...Infernal Industrial Black Metal Art.." e come non rimanere impalliditi di fronte a cotanta innovazione e aggressiva devozione, in cui arpeggi di chitarra acustica vengono appaiati a basi elettroniche e a chitarre elettriche sparate in faccia all'incauto ascoltatore, dove la melodia prende pieghe inaspettate come in "Perished (The Manifestation Of Suicide)" dove la fa da padrone con un assolo magistrale che entra dentro l'anima lacerandola per la sua intensita'.
Sicuramente i puristi storceranno il naso di fronte a tanta innovazione, ma questo è un album che varera' un genere, per cui solo chi sapra' vedere oltre, sapra' riconoscere il capolavoro nascosto fra queste note.
Io fin da adesso mi reputo un adepto a tale sonorita', ma il verbo dei Diabolicum va rispettato in quanto foriero di genialita' indiscussa e violenza, in quanto evolve le sfere piu nere del Black Metal a livelli che fino ad adesso erano impensabili.
Mi inchino di fronte a questo piccolo grande gioiello d'Arte Nera, da avere, pena la morte!

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mercoledì 2 dicembre 2009

STORMLORD - Supreme Art Of War





Informazioni
Gruppo: Stormlord
Gruppo: 1999
Etichetta: Last Episode
Autore: M1

Tracklist
1. Where My Spirit Forever Shall Be
2. A Descent Into The Kingdom Of The Shades
3. Sir Lorial
4. Age Of The Dragon
5. War (The Supreme Art)
6. Immortal Heroes
7. Of Steel And Ancient Might
8. Outro

DURATA : 44:38



Anno 1999, gli Stormlord si sono finalmente assestati a livello di line-up e quello che era nato come un progetto del solo Cristiano Borchi (e di Claudio Di Carlo, nel gruppo fino al 1994) diviene una band con un nucleo consolidato: Pierangelo Giglioni, Francesco Bucci e David Folchitto, ai quali si aggiunge il tastierista Fabrizio Cariani. E’ tempo quindi di convergere gli sforzi verso la realizzazione del primo full: “Supreme Art Of War”, registrato ai Temple Of Noise studios di Roma col produttore Christian Ice, esce per Last Episode dalla quale il gruppo si separerà una volta terminato il tour promozionale.
Il disco vede concretizzarsi gli spunti dell’ep “Where My Spirit Forever Shall Be” (che a sua volta era stato un notevole passo avanti rispetto all’acerbo “Under The Sign Of The Sword”), dal quale vengono riprese tutte e tre le tracce, due delle quali diverranno dei cavalli di battaglia. La band definisce la propria musica “extreme epic metal” ed è presto spiegato il motivo: su di una base estrema composta da una batteria che picchia furiosa e dallo screaming di Cristiano Borchi si innestano passaggi epici ora ricreati con l’utilizzo delle tastiere, strumento fondamentale nell’economia della band, e di strumenti come il flauto, il violino o la chitarra acustica, ora con cori ad opera di ospiti come Steve Sylvester (Death SS), A.G. Volgar (Deviatae Damen) e Giuseppe “Ciape” Cialone (Rosae Crucis). Le atmosfere sanno fortemente di Medioevo ed a questo proposito è esplicativa la cavalcata “Sir Lorial” che pur nella propria semplicità ed ingenuità, quasi banale, illustra bene la volontà degli Stormlord di esplorare uno dei periodi più oscuri dell’umanità. Autentiche perle sono invece “Where My Spirit Forever Shall” che vive del contrasto fra screaming e female vocals e la solenne “War (The Supreme Art)”, quasi un brano manifesto.
Arriviamo ora ai punti critici, ai motivi per cui “Supreme Art Of War” può essere messo in discussione maggiormente. Per prima cosa bisogna parlare della produzione, i suoni sono carenti se paragonati ai lavori più recenti e ad esempio non valorizzano appieno l’operato di David Folchittom vero motore umano della band e talvolta specie nei synth fanno storcere il naso molti puristi, siamo quindi lontanissimi dalla qualità sonora di “Mare Nostrum”. Stesso discorso per il lavoro dei singoli musicisti, qui non totalmente maturo e che nel corso degli anni compirà decisi passi avanti, basti pensare al cantato di Cristiano Borchi che in questa occasione sfoggia solamente uno scream ancora acerbo e non l’ottimo growl che mostrerà più avanti.
In definitiva abbiamo un disco con ottime idee e per certi versi realmente innovativo, basti pensare alla volontà di unire allo stesso tempo estremismo ed epicità o all’utilizzo del fantasy nei testi prima che diventasse una moda abusata specialmente in ambito power e che risente però di pecche per lo più legate all’inesperienza e alle risorse limitate. Tutto ciò fortunatamente non ne scalfisce il valore finale, conferendo invece un sapore genuino e spontaneo, attiguo per mentalità ed approccio al black metal. Questa ovviamente è l’opinione di un fan degli Stormlord, qui ad Aristocrazia molti non la pensano così.

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