Informazioni
Gruppi: Long Distance Calling + Sólstafir + Sahg
Data: 11/03/2013
Luogo: Arci Lo Fi, Milano
Autore: Bosj
Bosj: "Vieni a vedere i Cruciamentum sabato?"
Amico: "Salto a pié pari, scendo già lunedì per i Long Distance Calling."
Bosj: "No, beh tra Cruciamentum e LDC non c'è proprio paragone, i LDC li balzerò quasi sicuramente."
Amico: "ma ormai mi sono ammorbidito e poi ci sono anche gli Islandesi cowboy."
Bosj: "No aspetta piano. QUEGLI Islandesi cowboy?"
...
Bosj: "E anche i Sahg."
...
Bosj: "Vengo anch'io".
Questo il preambolo e per darvi un'idea del mio interesse nei confronti dei pur pregevoli Long Distance Calling e, soprattutto, per farvi capire quanto io sia affezionato ai cowboys islandesi.
È un nebbioso lunedì sera, quando arrivo in quel posto sperduto che è il Lo Fi, un piccolo locale in fondo a una strada senza uscita, all'interno di un complesso industriale alla periferia est di Milano, contornato da fabbriche immerse nella foschia da un lato e i binari della ferrovia dall'altro. I Sahg hanno attaccato da una decina di minuti, e sarebbe tutto molto poetico non fosse che, cazzo, anche qui l'acustica fa schifo. A poco serve la pur particolare stampa a parete di un'opera dello studio Mi-Undressed e qualche pannello — presumo — fonoassorbente: la batteria dei Norvegesi sembra un lascito di "St. Anger" — quel misto pentolame picchiato a mattarello — e il basso, nei momenti di maggior presenza, rischia di mandare tutto il locale in risonanza, salvo poi perdersi appena le chitarre tornano protagoniste. Il tutto, comunque, non pregiudica l'esibizione, poiché il quartetto di Bergen è capace, energico e intrattiene lo sparuto pubblico — ahimé, non più di una sessantina di persone — come meglio non si potrebbe: con ottima musica. I brani dei tre album pubblicati dalla formazione scandinava fanno la loro figura dall'alto di un palco, il loro doom "moderno" riesce a trasmettere un'ottima carica grazie a pezzi freschi e "nuovi", ma allo stesso tempo molto classici. Non a caso, come coda di "Baptism Of Fire" il gruppo usa omaggiare i Thin Lizzy, suonando una parte della loro "Emerald"; ringrazio apertamente il mio amico Michele per avermi fatto notare la citazione, che avevo completamente perso. Ed è quindi tra echi e rimandi attuali e passati che i Sahg esauriscono il tempo a propria disposizione, lasciando il palco con la certezza di aver soddisfatto il proprio pubblico.
Approfitto del tempo di attesa per mangiare la mia schiscetta (per i non milanesi: leggere qui) annaffiata dalla rossa d'ordinanza e scambiare quattro chiacchiere, poi come rientro nel locale i quattro uomini dei ghiacci, alla loro seconda data italiana in assoluto (la prima fu nel 2010), stanno aprendo la loro esibizione con "Ljós I Stormi", lunga e meravigliosa opener del mai troppo lodato "Svartir Sandar". I Sólstafir sono indescrivibili: una proposta che mischia e mescola elementi tra i più diversi, brani dilatati, una lingua a me del tutto sconosciuta, eppure ogni volta che mi trovo a dover parlare di loro non so mai cosa dire. Molto semplicemente: ascoltateli. Andateli a vedere, andateli a sentire, andate a viverli. Pur in una location assolutamente inadatta, in cui i riverberi di chitarra si perdevano sotto il marasma dell'incomprensibile "altro", la voce di Aðalbjörn risaltava, le melodie emozionavano, gli up-tempo di batteria facevano scuotere i presenti in una catarsi emotiva che non si trova in una band "qualunque". La maestria con cui i quattro si muovono tra psichedelia, arpeggi e distorsioni, tra suoni ora ampi e morbidi, ora ruvidi e desertici è unica nel suo genere, e con l'ultimo album, siccome non era abbastanza, ci hanno fatto sapere che sono in grado di scrivere anche i "singoloni": "Fjara", seppur spogliata delle voci femminili, dei cori e di tutte le post-produzioni da videoclip, è una delle canzoni più emozionanti, dolci e commoventi che mi sia mai capitato di sentire sotto un palco. E il pubblico italiano, sparuto, non avvezzo a certi eventi, sicuramente non a proprio agio con la lingua islandese, a fine brano è andato avanti a cantare il motivo ritornello ancora e ancora e ancora, senza bisogno di nessun incitamento. Qualcosa vorrà pur dire. Purtroppo è rimasto solo un brano a disposizione del gruppo, "Goddess Of The Ages", brano conclusivo di "Köld", per chiudere degnamente la serata con i suoi dodici minuti e oltre di riverberi e atmosfere acide. Il disappunto nel vedere il quartetto che abbandona la postazione dopo meno di tre quarti d'ora di esibizione è enorme; purtroppo il mondo è un luogo ingiusto e questo è quanto. Speriamo di ritrovarli presto, possibilmente in un luogo dall'acustica migliore.
Sono solo le dieci e trenta, ma ai Long Distance Calling serve molto tempo per appuntare la propria strumentazione, e solo mezzora dopo prendono posto di fronte al pubblico. I cinque teutonici non sono mai stati presenza fissa nei miei ascolti, e sebbene ne apprezzi gli sforzi, negli ultimi anni ne avevo un po' perse le tracce, per la precisione da poco dopo l'uscita di "Avoid The Light", album supportato in terra italica da una data di spalla ai Katatonia ormai qualche anno fa. È solo sulla strada per il Lo Fi quindi che il fido Michele mi ragguaglia sulle ultime novità: nell'ultimo lavoro, il recentissimo "The Flood Inside", la formazione di Münster ha iniziato a cantare. Per la precisione, è il tastierista Martin Fischer, ultimo acquisto del gruppo, a farsi carico dell'impresa. Sigh. La band post-rock, per quanto capace e apprezzabile, non mi ha mai convinto appieno, troppo simile a molte, mille altre formazioni di derivazione God Is An Astronaut e 65daysofstatic, con giusto qualche puntata in territori più heavy. Una personalità e una proposta non proprio originali, insomma. Dal vivo, tuttavia, le scorribande strumentali in up-tempo fanno sempre la loro figura, e più di una volta mi sono ritrovato a scuotere il capoccione nei momenti più concitati: "Aurora", "Black Paper Planes", brani forti di una passione e un'esplosività incontestabile — entrambi estratti dai primi due lavori, sarà un caso — che dal vivo rimarcano a più riprese questo aspetto. La vera nota dolente viene suonata quando Fischer si sposta dalla sua posizione alle tastiere, per avvicinarsi al microfono. Davvero poco personale, piatta e priva di alcuna carica espressiva la sua performance alla voce. Decisamente più forte invece, ripeto, l'impatto del gruppo alle prese con i brani che li hanno resi celebri: lunghe cavalcate in praterie post-rock con up-tempo, accelerazioni e quant'altro serva a elettrizzare il pubblico alle prese con il muro sonoro chitarristico. Insomma, nonostante qualche ombra, nonostante le magliettine trendy e attillate e il cappellino del bassista, anche nel caso dei Long Distance Calling a vincere sono state le luci. Dopo aver ringraziato con ardore tutti i presenti per essere usciti di lunedì sera, un "breve" bis — il quasi quarto d'ora di "Apparitions" — e anche per i Tedeschi è tempo di smontare armi e bagagli, l'ora delle streghe è arrivata, e c'è giusto il tempo di scambiare quattro chiacchiere coi Sólstafir prima di tornarsene a casa, ché la settimana lavorativa incombe.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Church Of Disgust
Titolo: Church Of Disgust
Anno: 2012
Provenienza: San Marcos, Texas, USA
Etichetta: 23Tapes
Contatti: facebook.com/churchofdisgust
Autore: Bosj
Tracklist
1. March The Horde
2. Lead Coffin
3. Death Fiend
DURATA: 09:28
Arriva un pacchetto a casa, di dimensioni più piccole del solito. All'interno un paio di adesivi, una musicassetta e un post-it: "Scusa il ritardo! È grezzo, registrato nella nostra sala prove. Presto uscirà un'altra cassetta per la Filthy Cave dal titolo "Invocation Of Putrid Worship". Ciao, Dustin".
La fascetta è un cartoncino, fotocopia in b/n di un originale scritto a mano. Sul lato interno: "I Church Of Disgust furono fondati da Tim e Dustin nel 2010, con l'aggiunta di Nicole e Joshau, dopo numerose jam-session in parcheggi e magazzini e isolamento nei boschi, vennero create queste canzoni. NON ABBIAMO BISOGNO DI VOI O DELLE VOSTRE MODE, DEATH METAL O MUORI, OCCUPI DECISAMENTE TROPPO SPAZIO".
Sto un po' barando, non usando parole mie per la recensione, ma le frasi di Dustin James (chitarra e voce) erano troppo precise, adatte, perfette per non essere utilizzate. Non fosse che il post-it di cui sopra porta impresso il logo di Gears Of War 2 avrei creduto di trovarmi nel 1990, quando il tape-trading viveva il suo momento di maggior gloria nel "giro" del death metal. E invece no, il demo è dello scorso anno, anche se problemi logistici l'hanno portato nelle mie mani solo poco tempo fa (frattanto Nicole e Tim hanno lasciato la band nelle mani dei soli Dustin e Joshau, quest'ultimo qui alle prese con basso e batteria), dura nove minuti e poco più, è grezzo da far schifo e potrebbe essere studiato nei libri di scuola, capitolo "Death Metal: spiegare cosa significa per davvero agli sfigati con frangetta, dilatatori ai lobi e capelli stirati" (edizioni Morrisound, Tampa, 1991). Il suono è un unico pastone su cui Dustin vomita bestemmie incomprensibili, la chitarra è quanto di più marcio e ruvido possiate concepire, la sezione ritmica cerca di fare il più gran casino possibile alle velocità più alte consentite, con qualche sporadico mid-tempo. E basta. Non c'è davvero altro da dire, niente da aggiungere, citare anche solo una band sarebbe superfluo, perché la Lebbra che ha portato i Malati a essere Benedetti dopo il Deicidio è solo la punta di un iceberg, quello del death metal nordamericano della prima ora, che è più freddo e compatto che mai. Se avete bisogno di ulteriori spiegazioni, evidentemente questa non è roba che fa per voi, e me ne dispiaccio.
Di questa produzione esistono solo cinquanta copie, io la mia me la tengo stretta, ma "Invocation Of Putrid Worship" al momento in cui scrivo dovrebbe essere uscito da un pezzo e contenere, tra gli altri, i tre brani qui presenti. Andate a recuperare il mangianastri dalla naftalina e stappatevi una birra per festeggiare, ché sono tornati i primi '90.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Paganland
Titolo: Wind Of Freedom
Anno: 2013
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Svarga Music
Contatti: facebook.com/Paganland.UA
Autore: Mourning
Tracklist
1. Wheel Of Eternity
2. Shadows Of The Past
3. Power Of Spirit
4. Chornohora
5. Podolyanka
6. Night Forest
7. Fogs And Twilights
8. Wind Of Freedom
DURATA: 37:48
Che fatica hanno fatto i Paganland, ma alla fine ci sono riusciti!
La formazione ucraina — nata come progetto in studio per mano di Mikola Bilozor (voce e basso) e Andriy "Ruen" Shalay (tastiere) nell'ormai lontano 1997 — dopo la pubblicazione di un solo demo intitolato "Gods Of Golden Circle" si sciolse, eppure al tempo erano stati trovati i membri per renderla una band a tutti gli effetti nelle figure di Oleksandr "Terrorist" Denisenko (batteria) e Andriy Kopylchak (chitarra). Dal 2007 al 2009 rimase inattiva, anche se in quel biennio venne pubblicato lo split "Shadows Of Forgotten Ancestors / Carpathia" contenente però materiale risalente al 2003.
Solo in seguito Ruen riprese in mano le redini della situazione, nel 2010 difatti lo stato di pausa venne tramutato in una rinascita, supportato da Vladislav alla chitarra, Stanislav al basso, Yor dietro le pelli e Volodymyr alla voce.
Ci son voluti la bellezza di sedici anni dal primo vagito del gruppo per aver la possibilità di ascoltare oggi il debutto "Wind Of Freedom".
Ok, le decadi sono passate una dietro l'altra, ma inserendo nel lettore l'album l'impressione è quella di vivere ancora negli anni Novanta. Il suono per la tipologia delle soluzioni scelte, per l'uso delle tastiere e per la maniera in cui le voci s'impongono sui pezzi, alternando graditamente sezioni pulite — alle quali un minimo di variazione nell'impostazione avrebbe giovato, poiché in alcuni frangenti risultano lievemente monotone — e un growl cavernoso, guarda alle radici del movimento "folcloristico" collegato al black ed è quindi a gente come i Bathory (non nominarli sarebbe quasi impossibile), Falkenbach e Mythotin che ci si può aggrappare. A essi poi è possibile aggiungere realtà più giovani d'età quali Butterfly Temple, Finsterforst, Heidevolk ed Ensiferum.
Intendiamoci, i Paganland non suonano esattamente come una congiunzione astrale perfetta di queste anime musicali, tanto è vero che possiedono alcune qualità e peculiarità che in un modo o nell'altro tendono a ricondurre a ognuna di esse, ma al tempo stesso la presenza nel songwriting e nell'impianto atmosferico non è per tutte palese all'udito e fondamentale nel risultato.
È però riguardevole il fatto che il quintetto est-europeo sia in grado di muoversi con destrezza all'interno dell'ambito e riesca a rendere affascinante l'ascolto di "Wind Of Freedom". Lo fa servendosi di ciò che è stato esposto più volte, mantenendone vivide le caratteristiche fiere, sfoderando sentori epici a più non posso in "Power Of Spirit" e "Chornohora" o variando l'umore con le più tetre e notturne "Podolyanka" e "Night Forest".
Non sarà nulla di nuovo, ma sinceramente l'ho trovato ben fatto. I Paganland si mettono a disposizione di coloro che indefessamente mostrano di amare il genere.
C'è comunque da discutere un ultimo piccolo particolare: se vi foste abituati, o peggio adagiati, nell'apprezzare le versioni "fabbricate" serialmente, confezionate con produzioni talmente plastificate che se le tiraste al muro rischiereste di prenderle in faccia di rimbalzo, allora trovereste nel disco uno scoglio non semplice da superare. Parlo dell'imperfezione, o per meglio dire della naturalezza, fornita dal lavoro svolto dietro al mixer da Roman Nakonechniy: questo importante dettaglio potrebbe farvi penare, il che sarebbe comunque strano, mi chiedo infatti come si faccia ad ascoltare musica basata su ciò che è la "natura" a 360° e preferirne una versione artificiale e corrotta.
Misteri... starà a voi svelarli, io non ne sono capace.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Morrigan
Titolo: Diananns Whisper Wave
Anno: 2013
Provenienza: Germania
Etichetta: Undercover Records
Contatti: facebook.com/MorriganBeliarBalor
Autore: ticino1
Tracklist
1. Call Of The Morrigan
2. The Shadowwonderer
3. Bloodwidow
4. Warbitch
5. Thy Nasty Reaper
6. 13 Steps At Dawn
7. The Gallic War
8. Maze Of The Graves
9. The Singing Hangman
10. Diananns Whisper
11. Dustdevils
DURATA: 55:35
Eh sì, erano bei tempi quando Quorthon provocava il mondo musicale con la sua evoluzione artistica. Che dire allora di alcuni gruppi che attingono con mestoli grandi così al sapere tramandato dai suoi dischi? Le filosofie sono ben definite: o si raccolgono influenze a destra e a sinistra, oppure si riprende uno stile per copiarlo e/o svilupparlo. Un esempio chiaro per quest'ultimo caso è rappresentato dagli Hellhammer che hanno ancora oggi un grande seguito d’imitatori e adoratori. I Morrigan tedeschi, gruppo piuttosto longevo a me finora sconosciuto, sembrano essere adepti dei Bathory. Tenterò in questa sede di sostenere la mia tesi.
Non bisogna cercare lontano per scoprire la dedizione alla Svezia; l'introduzione e la prima canzone sono un collage di sonorità conosciute alle orecchie esperte. L'epicità della ritmica è ossessivamente lenta, è accompagnata da una voce, a volte lamentosa a volte strozzata, che si lascia sostenere da cori in sordina. Dimenticate tutto ciò che è Depressive... "Diananns Whisper Wave" è un disco lontano dai canti da bettola allegri e gioiosi. I Morrigan paiono piuttosto affascinati dalle fasi tardive della creatività di Quorthon, fascino che induce alcuni critici a classificare la formazione nello scaffale Viking. Io preferisco lasciare questo esercizio di definizione a voi. Tracce di pianoforte pongono l’accento su alcuni momenti che, soggettivamente, mi sembrano diventare monotoni con lo scorrere dei minuti. Fortunatamente troviamo anche passaggi più celeri come in "Warbitch" oppure "Thy Nasty Reaper" che sono una mazzata nella protesi dentaria che vi farà vedere le stelle datate Anni Ottanta.
Ammetto di penare un poco a seguire e a descrivere questo disco. Primo, non sono molto attaccato alle opere più epiche dei Bathory e, secondo, l'esecuzione strascicante di alcuni passaggi non riesce a ravvivare la brace nel mio corpo. Non dubitate: preferisco ascoltarmi i Morrigan con il loro stile influenzato da Quorthon, invece di sorbirmi il millesimo plagio di qualunque altro gruppo già copiato all'infinito. Si può discutere a lungo sull'effetto di alcune scale che paiono riemergere più volte durante l'ascolto. L'offerta è in generale variegata, la voce e le trame musicali offrono cambiamenti frequenti nelle canzoni, la presentazione di atmosfere epiche è davvero azzeccata.
Se vi mancasse Quorthon, vi troverete sicuramente benissimo con i Morrigan; il loro black è diverso da quello plastico preparato in una cucina aziendale. Questi tedeschi v'invitano a gustare a casa loro piatti freschi cotti utilizzando ingredienti genuini conosciuti a tutti voi. Nulla è migliore della cucina casalinga, no?
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Quake The Earth
Titolo: We Choose To Walk This Path
Anno: 2012
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Inverse Records
Contatti: facebook.com/quaketheearth
Autore: Mourning
Tracklist
1. The Predator
2. We Own The Streets
3. The Unknown
4. Finger On The Trigger
5. We Choose To Walk This Path
6. From This Day To Last Day
7. We Are The Enemy
8. Brand New Day
9. Three Mofos
10. No Man Is Bigger Than A Bodybag
11. Crusader
12. Mask Of Deception
13. Red And White
14. Punainen Hevonen
DURATA: 49:00
I finnici Quake The Earth suonano una miscela "metalcore" che ha nel proprio DNA tratti dei Pantera, dei Lamb Of God e di formazioni come gli Hatebreed: questi potrebbero essere tre riferimenti immediati all'interno del sound, anche se non sono di certo gli unici a essere riversati nel debutto dalle discrete potenzialità intitolato "We Choose The Walk This Path".
Il quintetto in maniera prevedibile, ma non deprecabile, sfodera una prova che sostanzialmente ruota intorno alla muscolarità. Sin dalla traccia in apertura, "The Predator", è evidente il tentativo di animare la situazione puntando su un'attitudine da "mosh" che diviene croce e delizia del disco. La sua continuazione infatti, pur tirando in ballo pezzi dalle doti caratteriali spigolose e massicce come il breve macigno "Brand New Day", "Three Mofos" e "Mark Of Deception", o in alternativa palesando alcuni momenti orecchiabili nel riffato come avviene ad esempio in "From This Day To Last Day", non riesce comunque a innestare il cambio di marcia che avrebbe contribuito a fornire un minimo di varietà in più all'album.
C'è da tenere in conto che questo specifico filone musicale soffre più di altri una sorta d'immobilità stilistica che ne appiattisce i valori, quindi cerco di valutare in chiave positiva le scelte che risultano convincenti all'orecchio. Magari qualche mossa è stata azzardata (la sezione narrata in "We Are The Enemy") e qualcun'altra inaspettata (la morbida chiusura affidata al lento strumentale "Puainen Hevonen"), tuttavia nel complesso il disco si difende a denti stretti e raggiunge la meta prestabilita: piazzare la legnata.
"We Choose To Walk This Path" è un lavoro onesto che avanza grazie a una prestazione di squadra compatta e ordinata, non brilla per inventiva, ma possiede sia il groove che la carica giusti, oltre a un paio di buone tracce che permetteranno ai finlandesi di trovare un loro posto nell'affollato mondo in cui si sono inseriti.
Adesso tocca agli amanti del genere decidere se concedere o meno il proprio tempo e, fossi in loro, un ascolto lo darei, a priori non si scarta nulla nella vita.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Cemetery Lust
Titolo: Screams Of The Violated
Anno: 2012
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Headsplit Records
Contatti: facebook.com/CemeteryLust
Autore: Mourning
Tracklist
1. Throw The Switch
2. Perverted Aggressor
3. Sexual Maniac
4. Resurrected Whore
5. Black Angels Of Hell
6. Demonic Dementia
7. Possessed Confessions
8. Night Of The Creep
DURATA: 27:04
L'underground è vivo e fortunatamente spesso si distacca notevolmente dalle produzioni patinate, plastificate, di natura seriale e fottutamente inquadrate alle quali in troppi ci hanno abituato, così come si distacca dalle esecuzioni prive di passione e ancor più standardizzate nell'animo che nei suoni.
Signori miei, ci siamo un po' rotti le palle: è veramente frustrante quando ascolti un album e sbraiti mezz'ora perché la produzione lo inchioda maledettamente alla media, mentre il materiale presentato vale molto, ma molto di più. Il thrash è forse il genere che più subisce questa forma di maltrattamento.
Dateci roba zozza, rozza, lame che affettano, martellate senza remore e brutalità reale. È anche questo che pretendiamo di ascoltare dalle cosiddette nuove leve e per fortuna la proposta dei Cemetery Lust va dritta in quella direzione.
Il quartetto di Portland, Oregon, suona come fosse nato negli anni Ottanta e vive in quella maniera, abbiamo a che fare con musica che sembra uscita da menti deviate e primordiali, nomi quali primi Sepultura e Death, Sarcofago, Kreator, Sodom e Sextrash bombardano l'orecchio, con la band che, in onore di ciò che ama e rispetta, intitola il proprio album "Scream Of The Violated", legando i pezzi a visioni perverse e becere.
Si può quindi negare che da tracce come "Perverted Aggressor", "Sexual Maniac", "Demonic Dementia" o "Possessed Confessions" si desideri ricevere esclusivamente una razione di sonore "piastrellate" in pieno volto? No, assolutamente no.
Non c'è attitudine da "fighetto", non ci sono melodie da oratorio né sezioni pulite fuorvianti: otto tracce per ventisette minuti di assalto thrash vecchia scuola senza compromessi, fatto di adrenalina a fiumi, assoli frenetici, alle volte squilibrati, e ritmiche incalzanti. Questo è ciò che vi attende, con tutti i pro e i contro che uno scenario simile può portare con sé.
Il "rape thrash", così definiscono il loro stile, dei Cemetery Lust è godereccio, colmo d'istinto e di menefreghismo, è l'entusiasmo a guidare le azioni del gruppo. Il quadro non è perfetto e pulitino? Chi se ne frega. Del resto guardando la copertina pensereste davvero che a loro importi qualcosa?
Prodotto dalla Headsplit Records, etichetta il cui titolare è il batterista Disgutor, questo "Scream Of The Violated" è una convincente rivisitazione degli anni che hanno segnato indelebilmente la corrente estrema dello stile e non posso che consigliarvene l'ascolto e il conseguente acquisto: non aggiungerà nulla di nuovo a quanto conoscete già, ma diverte parecchio.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Mourning Beloveth
Titolo: Formless
Anno: 2013
Provenienza: Kildare, Irlanda
Etichetta: Grau Records
Contatti: mourningbeloveth.com
Autore: LordPist
Tracklist
1. Theories Of Old Bones
2. Ethics On The Precipe
3. Old Rope
4. Dead Channel
5. Nothing Has A Centre
6. Transmissions
DURATA: 81:27
Il death doom metal non è più un genere "di tendenza" da almeno una decina d'anni ormai, i grandi vecchi sono più o meno sempre lì, chi reinventandosi (Anathema) e chi restando in qualche modo fedele alla linea (My Dying Bride). A cavallo dei due decenni/secoli/millenni, cercando di dare forma al male (che è "Formless") di quest'epoca, una band è riuscita a ottenere gradualmente uno status di culto.
Si tratta dei Mourning Beloveth, formazione insolitamente irlandese, che ha dato alle stampe tra 2001 e 2002 due dei migliori album death doom dell'allora nuova generazione: "Dust" e "The Sullen Sulcus". Forti di quei successi, Moore e soci sono presto diventati uno dei nomi di punta della Grau Records, sempre attenta a intercettare il disagio nelle sue varie forme sonore.
Disagio, come "dis-ease", quel disagio che può dare un'ulteriore sfumatura all'interpretazione di "A Disease For The Ages" (oltre al linguisticamente corretto "malattia"), quarto album della band. Il discorso dei Mourning Beloveth riprende sostanzialmente da dove si era fermato cinque anni fa.
L'idea di un mondo in cui l'etica è sull'orlo di un precipizio, come recita la seconda canzone, si riallaccia a sua volta al circo assassino del terzo album. Insomma, sappiamo bene a che tipo di contenuti andiamo incontro quando ascoltiamo questo disco, e la musica?
Bisogna dire che gli irlandesi si erano un po' adagiati, dal punto di vista sonoro, con il terzo e il quarto album, come d'altronde era successo a molti nomi della scena recente (vengono in mente i Draconian). Stavolta due cosine "nuove" sul tavolo ci sono, il disco è veramente (s)piacevole e si articola in maniera piuttosto varia per gli standard della proposta. L'intro dagli echi "dyingbridiani" ci ricorda ancora una volta da dove arriva il tutto, prima di riportarci di nuovo verso le lunghe panoramiche sul dolore. Anche qui c’è alternanza tra il growl, il "lamento" e il quasi parlato, scelta che ha sempre contraddistinto il gruppo.
"Ethics On The Precipice" racchiude perfettamente il nucleo concettuale, sonoro e atmosferico della band e può ben rappresentare ciò che il death doom metal significa al giorno d'oggi (che poi è bene o male quello che significava anche quindici o venti anni fa): descrivere il fallimento della realtà, che si rivela essere "like the sorrow of a dream".
L'immagine ricorrente del disco è decisamente quella delle ossa, essenza intima e portatrice di significato "umano", che alla fine si rivela essere praticamente tutto ciò che abbiamo.
Spesso non si riconosce al doom metal di essere in fin dei conti un genere molto legato alla sofferenza in tutte le sue forme, mettendone in evidenza solo i momenti goticheggianti in cui si ricorda lo spettro della persona amata. In realtà, e quest'album lo dimostra bene, si tratta di un genere assolutamente immerso nella realtà, e intriso di sofferenza sia immanente che trascendente. Non è una sorpresa che una band irlandese si chieda "when did the future become a threat?", per tutta una serie di motivi.
Per chi cerca invece una descrizione veloce del disco: è bello — secondo me quasi al livello dei primi due — e loro sono tanto tristi. Ascoltatelo. Difetti: decisamente lungo, avrebbe funzionato anche con una traccia in meno.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Vir Martialis
Titolo: Hierophanie - Prelude To A War Of The Future
Anno: 2013
Provenienza: Caracas, Venezuela
Etichetta: Rage In Eden
Contatti: facebook.com/virmartialisvzla
Autore: Istrice
Tracklist
1. Prelude Under A Totalitarian Regime
2. Virtutem
3. Schmachfrieden
4. Waldganger
5. Kshatriya
6. El Hombre Total
7. Taliban Fighters
8. Gott Im Ungewitter
9. Trascendencia
10. A La Gloire Du Sacre
11. Te Deum
DURATA: 51:07
Tra le produzioni dell'etichetta polacca Rage In Eden spicca per origine geografica il progetto a nome Vir Martialis, band unipersonale che fa capo all'artista Ricardo V., il quale, a tempo perso, si dedica alla realizzazione di dischi martial da proporre, tra un rhum e l'altro, nei peggiori bar di Caracas. Se è vero che il Sud America è da sempre vittima di regimi di diversa foggia e colore, lo è altresì il fatto che dal Venezuela t'aspetti il ritmo caraibico, la noche latina, non di certo la divisa e il tamburo che scandisce la marcia.
È tuttora vivido nella mia mente il ricordo, vecchio un paio d'anni, del primo EP di Vir Martialis, un ottimo esordio, al di là della provenienza esotica che mi colpì immediatamente, dal punto di vista compositivo. Mi ero poi riproposto più volte di ascoltare "Metapolemos", il successore, senza mai adempiere alla promessa, quand'ecco giungermi dalla Polonia il promo del recentissimo "Hierophanie - Prelude To A War Of The Future".
Accoglie l'ascoltatore "Prelude Under A Totalitarian Regime", preludio di nome e di fatto, in cui un organo dissonante si snoda su colpi di percussione cupi e lontani, simili a esplosioni. Un ottimo incipit che lascia il passo tuttavia a un disco qualitativamente altalenante, che alterna momenti incisivi ad altri più stanchi e vuoti. Ne è esempio la successiva "Virtutem", dal nome inutilmente roboante, la cui melodia fallisce nel tentativo di dare spessore ed epicità al brano, riscontrabile altresì nell'inserto centrale, più militaresco. Meglio l'impronunciabile "Schmachfrieden" e il suo pianoforte nostalgico, che racconta le sue melodie in contrasto col velo industrial di sottofondo: bell'idea e bella realizzazione.
Seguono un paio di pezzi decisamente meno incisivi, l'album caracolla per una decina di minuti e si risolleva con la violenta "Taliban Fighters", ritmata, aggressiva, il canto del Muezzin risponde alle grida dei militari americani, mentre ai piedi della moschea non si risparmiano le cartucce. È il brano più guerrigliero del lotto, e senza dubbio uno dei migliori, ma è un inserto davvero unico, visto che il disco torna immediatamente sulla rotta tracciata in precedenza; "Gott Im Ungewitter" è sostenuta da una melodia piacevole, pecca però in lungaggine, "Trascendencia" fa il paio con "Virtutem" e manca completamente di spessore, a contrasto col titolo altisonante. Meglio l'accoppiata finale: "A La Gloire Du Sacre", brano scritto in coabitazione con Barbarossa Umtrunk, coinvolge con la sua atmosfera opprimente e rituale, mentre la conclusiva "Te Deum" conduce l'ascoltatore verso la fine con le sue atmosfere rarefatte, in totale contrapposizione con i soliti gerarchi le cui elucubrazioni fanno da sfondo al pezzo, e a pressoché il disco tutto.
Una prova solo discreta per l'uomo da Caracas.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: World Of Metal And Rust
Titolo: Industrial Noir
Anno: 2013
Provenienza: Oregon, U.S.A.
Etichetta: Depressive Illusions Records
Contatti: worldofmetalandrust.blogspot.it - worldofmetalandrust.bandcamp.com
Autore: Insanity
Tracklist
1. Misanthropy
2. World Of Rust
3. Mechanical Discordance
4. Industrial Noir I
5. Industrial Noir II
6. The Abyss
7. Barbed Wire Misery
8. Mechanical Mutilation
9. World Of Mystery
10. Labyrinth Of Concrete
11. Lurking In Shadows
12. Mechanical Melancholy
13. Industrial Noir III
14. World Of Metal
15. World Of Fog
DURATA: 1:06:38
Quanti dei nostri lettori sognano un mondo fatto solo di metallo? Tanti, immagino. Spero non sia un problema se ci fosse anche un po' di ruggine. Ma, soprattutto, spero non sia un problema se ciò di cui sto per parlarvi ha ben poco a che fare con il panorama Metal.
World Of Metal And Rust è in realtà una nostra vecchia conoscenza, l'uomo dietro questo progetto passò già sulle pagine di Aristocrazia con il suo vecchio pseudonimo Mara (con "Inner Ugliness" e "Sanity Collapsing"), qualcosa però è cambiato da allora: se prima i nostri timpani venivano torturati (in senso buono) da un Black Metal pesantemente intriso di Dark Ambient, Drone e Industrial, ora il lato atmosferico è il protagonista assoluto della musica proposta, lasciando che di nero ci siano solo le atmosfere ricreate. L'approccio è minimalista, forse anche troppo in alcuni frangenti, le melodie (quando presenti) sono semplici e ripetute fino allo sfinimento suonando martellanti e ossessive, complice anche la scelta dei synth dai suoni torbidi e spettrali come nella lunga "Mechanical Discordance". Il disco riesce comunque a scorrere grazie ad una discreta varietà ottenuta attraverso diverse strade: la batteria presente in alcuni episodi a dare un ritmo alle prime due "Industrial Noir" e a "Labyrinth Of Concrete", una traccia in cui è un malinconico pianoforte a fare da guida ("Mechanical Melancholy"), le sensazioni che cambiano in continuazione di brano in brano dalla folle "Mechanical Mutilation" alla buia e umida "The Abyss", dall'industriale "World Of Metal" all'inquietante "World Of Fog", e non finisce qui.
Troviamo inoltre un uso molto ampio dei sample, spesso sfruttati come sezione ritmica o addirittura a supportare le melodie, purtroppo però è in questa caratteristica che risiede uno dei principali problemi del disco: i suoni andrebbero elaborati con più cura, si sente fin troppo lo stacco tra un campione e l'altro, l'opener "Misanthropy" ad esempio perde molta efficacia a causa di ciò. La sensazione è che si sia data poca importanza ad aspetti "formali" favorendo il lato compositivo, ma in un lavoro di oltre un'ora sono anche queste cose a rendere l'ascolto meno pesante; lo scarso uso degli effetti di fade-in e fade-out (e non solo) sia all'inizio e alla fine dei brani, sia al loro interno, è un'altra questione da tenere in considerazione: ci sono infatti cambiamenti troppo bruschi (i finali di "World Of Rust" e "Industrial Noir I") che rischiano di creare confusione nell'ascoltatore.
La classica frase "è bravo, ma non si applica" che molti di noi si sono sentiti dire ai tempi della scuola sembra adattarsi perfettamente alla situazione: da questo album e da quelli che conosco pubblicati sotto il nome Mara ho sempre intravisto un potenziale che ancora non è riuscito ad esplodere, la musica creata da questo americano è sicuramente gradevole, tuttavia impegnandosi e limando i difetti esposti sopra potrebbe dare ancora di più; a maggior ragione, vista la direzione intrapresa con questo lavoro, è diventato importante lavorare su certi aspetti. Chi avesse seguito il precedente progetto può dare un ascolto anche a questa nuova realtà, sperando che in futuro riesca a sfruttare al massimo le proprie capacità.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Superior Rage
Titolo: Fire Eternal II
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/SuperiorRagePage
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Man Of Iron [cover Bathory]
2. Die Liebe Nerpus [cover Burzum]
3. Den Bortdrevne Regnbuen [cover Mortiis]
4. Ring Of Gold [cover Bathory]
5. Slottet I Det Fjerne [cover Darkthrone]
6. Purezza Di Spirito
DURATA: 21:06
Superior Rage è un progetto nostrano, nato nel 2006 come one man band (da qualche mese, oltre al mastermind Superior Rage, la formazione conta tra le sue fila stabili il bassista Markus), sotto il cui nome sono state pubblicate già diverse prove demo dedite ad un Black Metal di stampo Raw corredato, a volte, da venature Ambient e sinfoniche.
L'uscita di cui stiamo trattando ora, invece, è il secondo capitolo della serie "Fire Eternal", due EP che si pongono l'obbiettivo di essere un tributo a coloro che, evidentemente, hanno artisticamente influenzato Superior Rage.
Se in "Fire Eternal I" trovava posto il lato più furioso delle ispirazioni musicali del progetto con cover di gruppi come Dark Funeral, Von e Nargaroth, in questa successiva produzione Superior Rage ha indirizzato i propri sforzi verso l'Ambient.
Le reinterpretazioni di "Man Of Iron" e "Ring Of Gold", entrambe di Bathory ed estrapolate rispettivamente da "Blood On Ice" e "Nordland I", risultano realizzate in maniera interessante laddove i suoni eterei del sintetizzatore donano un'aura più mistica all'atmosfera prodotta originariamente dalla chitarra acustica malinconica, naturalistica e dai toni pagani di Quorthon, nonostante si faccia sentire parecchio la mancanza della voce fiera ed evocativa del mai troppo compianto svedese.
Discorso similare può essere fatto per il rifacimento di "Slottet I Det Fjerne", proveniente dal celeberrimo "Transilvanian Hunger" dei Darkthrone: il pezzo rimane piuttosto segnato dalla mutilazione, stavolta significativa e difficilmente trascurabile, dell'alone maligno e feroce intrinseco nella canzone originale, sebbene il flusso Ambient qui immesso nella composizione dilati un po' in modo intrigante la componente oscura veicolata.
"Die Liebe Nerpus", traccia ripescata dal repertorio di Burzum e, più precisamente, dall'album "Hliðskjálf", è ripresa molto fedelmente e le uniche variazioni ivi apportate sono alcune percettibili differenze nei suoni (meno squillanti e lievemente più soffusi rispetto al pezzo del Conte) e una leggera “manomissione” nel tema portante che, comunque, non ne sconvolge minimamente la trama, la quale, però, forse soffre l'atto di decontestualizzazione dal filo narrativo in cui era originariamente inserita.
Davvero apprezzabile la scelta di riproporre anche una versione di "Den Bortdrevne Regnbuen", splendido pezzo proveniente da quel gioiellino che porta il nome di "Crypt Of The Wizard", quarto album di Mortiis: l'identità della composizione è fedelmente reinterpretata e il lavoro svolto da Superior Rage mantiene quasi intatta la carica di magia impressa dal musicista norvegese, seppure ne livelli leggerissimamente il sentore di ancestrale.
La chiusura di "Fire Eternal II" è affidata ad un bell'inedito, sempre di matrice Ambient, di produzione propria, "Purezza Di Spirito", dai connotati sognanti, con contorni leggiadri e intimi e tonalità un po' epiche e marziali.
Non è mai facile giudicare quando si ha tra le mani un prodotto composto quasi esclusivamente da materiale già conosciuto, apprezzato e ora reinterpretato da una mente e da una visione artistica differenti da quelle di coloro che tale materiale l'hanno creato.
Superior Rage dimostra però, senza ombra di dubbio, un'abilità non indifferente nel padroneggiare la materia Ambient e tale abilità, molto probabilmente, se coltivata in maniera adeguata, potrebbe in futuro germogliare completamente e far maturare frutti molto gustosi.
In attesa quindi di poter entrare in contatto con le prossime produzioni targate Superior Rage, un ascolto a tale disco potrebbe risultare utile per farvi un'idea del potenziale di questo progetto.
Occhi e orecchi bene aperti!
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Fisherman's Death
Titolo: Uncharted Waters
Anno: 2013
Provenienza: Svezia
Etichetta: Tmina Records / Grom records
Contatti: facebook.com/Fishermansdeathofficial - gromrecords.net
Autore: Akh.
Tracklist
1. Uncharted Waters
2. The Flying Dutchman
3. The Captains Chanson
4. Darkwater Cape
DURATA: 16:45
Provenienti da Umeå (Svezia), giungono a noi i Fisherman's Death; inutile negare che il nome mi riporta in mente le famose caramelle balsamiche. Questo ritorno è dovuto al nuovo ep edito in versione digitale dalla Tmina Records / Grom records. I ragazzi, forti di un look atipico, si approcciano con una eccellente lena alla musica "made in Sweden" per eccellenza: il Melodic Death Metal. Come già preannunciato la settimana scorsa, sono al momento i migliori alfieri di questo importante movimento musicale, senza spostarsi dai binari riescono a imbastire soluzioni interessanti e corpose, pretendendo di fatto il trono del genere.
Il piglio è quello giusto, ricco di potenza, melodia, con un approccio deciso e nervoso, la voce cavernosa, riferimenti chiari a una certa matrice più tipicamente Death e pennate devastanti, come si evince nella seconda parte di "Uncharted Waters". Le ritmiche non sono mai eccessivamente veloci, ma dal buonissimo groove, che potrebbe esaltare gli amanti di certi Amon Amarth, i F.D. a mio avviso posseggono il riffing e alcuni arrangiamenti decisamente più freschi, pur sempre rimanendo dentro ai binari del genere. Se poi diamo una lieve spruzzatina di Slayer — la Svezia è da sempre ammaliata dal suono che Hanneman e King crearono negli anni '80 — alla solidissima base M.D.M. che ci viene offerta, il risultato è la seguente "The Flying Dutchman", dotata di un riffing centrale intrigante, e pregevole sia nella sua esecuzione che nella gestione complessiva della struttura; sicuramente efficace anche la parte solista, che si fa ben valere nei suoi camei.
Altra menzione la merita "The Captains Chanson" che nel suo mid tempo spicca grazie alla sezione ritmica che devasta e viene fatta risaltare ulteriormente dal break centrale più mite e armonico, da cui poi riparte come uno schiacciasassi o forse sarebbe meglio dire come una rompighiaccio atlantica. Qui il duo composto da Thomas Linqvist e Nils Löfgren spadroneggia spavaldamente.
Gli strumenti si fanno ben volere e la produzione ne sottolinea l'impatto, molto valida la prestazione del batterista Filip Krullet Löfgren, nuova entrata in formazione, che gira in maniera dinamica e offre respiro al variegato songwriting, soprattutto quando i Fisherman's Death decidono di ispessire il tono dei brani. Apprezzabilissima anche la prova di Joakim Häggström, il quale oltre a marcare una performance vocale assolutamente energetica e baldanzosa ben si destreggia anche dietro al "quattro" corde, generando una base di fondo valida e trascinante.
L'ultimo pezzo, "Darkwater Cape", è il più pittoresco in quanto fuoriesce in misura maggiore la personalità atipica del gruppo, le sfumature marittime o marinare emergono nitide nei cori e nelle melodie disegnate dai quattro, l'incedere goliardico e ironico pure, ma senza alterare la proposta o scimmiottarla, cosa assolutamente non semplice a mio avviso, anzi confermando un tasso di personalità sempre più difficile da trovare nel Melodic Death.
I Fisherman's Death non sono dei pivellini e lo dimostrano ampiamente in questi sedici minuti, allora perchè continuare ad ascoltare i soliti clichè quando è possibile investire in qualcosa che può dare nuovi stimoli e rinverdire i vecchi fasti della madre patria?
Nuove onde provenienti da Umea. Salite a bordo del peschereccio dei F.D., alzate i boccali e il volume al massimo, andate incontro alla tempesta e alle sue "Acque Inesplorate", sono convinto che ne godrete pienamente, oh grandi amanti del genere.
Continua a leggere...
Informazioni
Gruppo: Iugulatus
Titolo: Satanic Pride
Anno: 2012
Provenienza: Polonia
Etichetta: The End Of Time Records
Contatti: facebook.com/pages/Iugulatus/172966546085152
Autore: Mourning
Tracklist
1. Satanic Pride
2. Chaos Invocation
3. Beware The Flame From Undun
4. Black Song Of Necromancy
5. Demons Lust
DURATA: 42:09
La Polonia Black saluta gli Iugulatus, la band che avevamo incrociato nello split a tre rilasciato in compagnia di Deep Desolation e Primal intitolato "Chapel Of Fear" non è scomparsa, ma ha deciso di abbandonare quel nome a quanto pare a favore di Architect Of Disease dopo l'uscita dalla formazione del batterista Wojtass.
Prima di questo cambio però è riuscita a dar luce a quel secondo disco, "Satanic Pride", che sembrava fosse rimasto in sospeso.
Leggendo l'articolo che vi ho citato poco sopra, noterete che scrissi di tre tracce di quell'album rilasciato al tempo come autoproduzione nominate "Will Of Satan", "Master Of Illusion" e "Gates Of Abyss", beh, nessuna di queste rientra nella tracklist del lavoro odierno che diminuisce anche di contenuto numerico, la versione del 2011 possedeva infatti sei pezzi mentre adesso sono solo cinque per una durata complessiva di quasi trequarti d'ora.
La prestazione dei polacchi però non ha modificato il tiro, gli Iugulatus non sono mai stati una formazione "che va di fino", sferra attacchi spesso perduranti puntando su un Black Metal nel quale si evidenzia volutamente la grinta del death metal, un'accoppiata vecchia e sempre gradita che in questo caso però si limita a una sforzo caratterizzato semplicemente da sprint repentini in velocità, una discreta dose di muscolarità e un paio di melodie azzeccate.
In "Satanic Pride" purtroppo sono pochi i passaggi memorabili che tendono a rompere questo schema, vi sono un paio di assoli e sparute situazioni atmosferiche passabili, a quanto pare a cura di Primal, titolare dell'omonimo progetto e loro connazionale, che non bastano a oltrepassare i limiti della prova canonica che non dispiace e neanche esalta.
Peccato, i musicisti di Lódz per quanto non geniali compositivamente, nelle parti più malevole, allentate, in certi frangenti quasi "trascinate", riescono comunque a tirar fuori qualcosa di buono e proprio quelle salvano, seppur solo parzialmente, l'ascoltatore dallo sprofondare nella noia completa durante i brani più lunghi: "Beware The Flame From Undun" e "Demons Lust".
"Satanic Pride" è un disco semplice, non ha bisogno di essere studiato né necessita di un'elevata attenzione tesa a cogliere chissà quale dettaglio, perché si mostra per ciò che è sin da subito: Black elementare, schietto e per questo potrà o piacervi a impatto, a patto che non vi facciate troppe domande sul perché suona così e "non così", oppure lo eviterete in quanto di proposte similari ne girano a migliaia, la scelta sta a voi.
Sul futuro di quelli che erano gli Iugulatus non si hanno notizie certe, che il rinascere come nuova realtà porti con sé qualche beneficio? Augurandolo ai ragazzi, attendiamo di vedere cosa accadrà e ascoltarne il materiale.
Continua a leggere...
Informazioni
Autore: Bosj
Traduzione: Bosj
Formazione
Aðalbjörn Tryggvason - Voce, Chitarra
Guðmundur Óli Pálmason - Batteria
Svavar Austman - Basso
Sæþór Maríus Sæþórsson - Chitarra
Ho dovuto superare qualche problema logistico, ma sono riuscito a fare una breve chiacchierata con Guðmundur prima e Aðalbjörn poi dei Sólstafir, subito dopo l'esibizione di Milano, tra un sorso di vino rosso e l'altro, all'interno del tourbus. Una cosa veloce, era mezzanotte e mezza di un lunedì notte e la band si stava rilassando dopo il concerto (eccessivamente breve), ma ho avuto la possibilità di disturbare i due cowboy islandesi con un paio di domande. Ecco cosa è saltato fuori.
La vostra prima impressione della serata?
Guðmundur: Oh, è stato molto bello, la gente ha partecipato molto, anche se il locale non era pieno, non importa.
È anche lunedì sera.
Guðmundur: Già. C'è stata un'ottima reazione e questo è l'importante; il pubblico cantava durante le canzoni e così via...
Sì, dopo "Fjara" la gente è andata avanti a cantare, c'era un bel coro.
Guðmundur: È stato molto bello [ridacchia].
È la vostra prima volta in Italia? Da che ricordi non passavate di qua da un po'.
Guðmundur: No, in realtà non è la prima volta, ma è solamente la seconda; la prima fu nel 2010.
Capisco... Questo era il mio terzo concerto dei Sólstafir, ma entrambi gli altri sono stati durante grandi festival estivi: quali sono le differenze tra queste due diverse tipologie di esibizione? Folle oceaniche, palchi enormi, e posti stretti e numeri piccoli come questa sera.
Guðmundur: Probabilmente la più grande differenza è che i luoghi piccoli sono molto più energici. Sai, puoi riuscire a vedere le persone nella prima fila, a solo qualche metro di distanza.
Quale delle due trovi sia più adatta alla vostra musica, al vostro modo di intenderla?
Guðmundur: Non saprei, a me piacciono entrambe. Mi piace suonare ai grandi festival, ma anche nei piccoli locali, a noi suonare piace sempre.
E sarete in tour per un po' ora... Ma poi? È passato del tempo dall'uscita di "Svartir Sandar" ormai...
Guðmundur: L'idea è di suonare a qualche festival estivo, poi, a settembre, speriamo di fare un tour da headliner. Lo sto solo dicendo, per ora non c'è niente di confermato. Poi vogliamo scrivere del nuovo materiale, una volta tornati a casa. Speriamo di avere un nuovo album in uscita all'inizio del 2014.
State già scrivendo qualcosa ora durante il tour? Siete il tipo di band che scrive musica sul tourbus?
Guðmundur: No, no, dobbiamo chiuderci nella nostra sala prove per cinque, sei, otto ore al giorno e vedere cosa esce. È così che scriviamo.
E quali sono le vostre maggiori influenze? Dal vostro debutto "Í Blóði Og Anda" la vostra proposta è cambiata non poco: cosa si è modificato nelle vostre menti, nelle vostre vite, per permettervi di arrivare a questo punto?
Guðmundur: Sai, quando abbiamo iniziato avevamo sedici anni, mentre ora siamo nel pieno dei trenta. Tutto è cambiato nella nostra vita. Non l'abbiamo mai visto come un "grande passo", è sempre stato tutto un processo molto naturale... [ci pensa un po'] Sì, non lo so proprio. Abbiamo sempre suonato soltanto ciò che volevamo.
Quindi è tutto venuto fuori dalla sala prove.
Guðmundur: È così. Non mi viene in mente nulla di particolare, non c'è un quando, un come o un perchè. È tutto naturale.
Siete una band abbastanza particolare, la vostra musica è molto personale: ricordo che l'estate scorsa al Brutal Assault vi siete presentati come la più lenta e "morbida" band dell'intera manifestazione. Come vi sentite quando suonate in un festival dove ci sono Immortal, At The Gates e poi i Sólstafir con la loro musica "diversa"?
Guðmundur: È bello. Sai, soprattutto ai festival, puoi ascoltare gruppi death metal per un giorno interno, poi arriviamo noi. La gente di solito apprezza, può fare un attimo di pausa dalla roba più brutale. Quindi, alla fine, anche se non c'entriamo molto, c'entriamo sempre.
[All'improvviso un alticcio Aðalbjörn entra nel tourbus, prende posto di fronte a noi e partecipa alla conversazione.]
Aðalbjörn: Ho visto questo tizio che piangeva e gli ho chiesto: "che cazzo stai facendo?". Stava piangendo ascoltando dei testi, testi d'amore. Un uomo adulto che ti piange di fianco per problemi di donne. Che caz... L'ho abbracciato, cazzo. Non potevo mica lasciare il povero bastardo da solo, no? Poi è tornato da me, lo stesso tizio, sai, col cuore spezzato... [mugugna qualcosa che non riesco a capire]
Beh, posso capire il poveretto. Io stesso ero qui con la mia ragazza. Penso che i Sólstafir siano adatti per essere ascoltati anche in compagnia della propria ragazza. Mi spiace per lui.
[Aðalbjörn mi fissa come se avessi appena detto la stronzata del secolo, poi indica il registratore]
Aðalbjörn: Sta registrando?
Spero di sì, altrimenti quando trascriverò tutto non mi ricorderò nulla. È un problema?
Aðalbjörn: No no, assolutamente.
[Si gira verso i Sahg, i quali badavano agli affari loro dall'altro lato dell'autobus]
Aðalbjörn: Ragazzi. Zitti.
Vi state divertendo in tour? Vi annoiate? Insomma, come sta andando?
Guðmundur: Ci stiamo divertendo molto, i ragazzi sono tutti molto simpatici...
Aðalbjörn: Sai, durante il primo soundcheck del tour abbiamo distrutto una Les Paul. È cominciato davvero bene. Per fortuna Dave [Jordan, NdA] dei Long Distance Calling, il nostro tecnico delle chitarre, è riuscito a recuperare tutto l'equipaggiamento, chitarre comprese.
[A questo punto Guðmundur mi lascia con il suo compare e torna all'esterno, mentre la conversazione continua]
Ho fatto questa domanda perché lo scorso anno Anders [Nystrom, NdA] dei Katatonia disse che essere in tour era molto difficile, perché a parte quell'ora e mezza al giorno in cui suoni, le rimanenti ventidue sei ancora lontano da casa.
Aðalbjörn: Sottoscrivo. Oggi in particolare. Oggi i minuti sul palco sono stati quaranta e le restanti ventitré ore e venti minuti le abbiamo passate lontane da casa. Decisamente posso sottoscrivere.
["Sottoscrivono anche i Sahg!" aggiunge Thomas dei Sahg, causando risate generali]
Aðalbjörn: Comunque sia, è tutto molto vero, ma, beh, fa parte del gioco. Quindi, così sia.
E poi potete godervela, comunque.
Aðalbjörn: Sicuro! [molto entusiasta] Viviamo per questo! Suoni quaranta minuti o due ore, non cambia niente, è comunque la ragione di tutto. Ricordo di aver letto questa storia di un tour manager dei Mötley Crüe che era davvero preoccupato per loro: si chiedeva come cazzo facessero ad andare avanti così. Lavoravano novanta minuti al giorno, e il resto del tempo erano fottutamente distrutti. È difficile svegliarsi al mattino, cercare di stare bene. Sono sempre preoccupato per la mia voce: stasera per quaranta minuti ha retto, ok. Fare un buono show è comunque la cosa più importante. Noi beviamo sul palco, sì, ma non iniziamo mai già ubriachi. È come una regola. Non salirei mai sul palco ubriaco. Ho trentacinque anni e non pagherei un centesimo per vedere suonare gente sfatta. È patetico. Può essere divertente a sedici anni, poi basta. Dopo aver suonato posso distruggermi, ma non prima.
Avete una filosofia. Ricordo che i Nevermore delusero i fan più di una volta a causa delle loro esibizioni rovinate dall'alcol.
Aðalbjörn: È un atteggiamento stupido, sono d'accordo. Sai, non abbiamo molte regole nella band. Non suoniamo mai con bassi a cinque corde o chitarre a sette, si fottano, e non saliamo mai sul palco ubriachi. Ultima cosa, non decidiamo mai in anticipo che musica scrivere. Semplicemente, prendiamo quello che viene.
Sì, Gummy mi stava dicendo che la sala prove è il luogo in cui tutto prende forma.
Aðalbjörn: Esatto. È come una fottutissima antenna radio. Qualsiasi cosa viene trasmessa, la ricevi. È la chimica dell'essere in una band. Se fossi un artista solista, assumerei dei turnisti e quelli non sarebbero i Sólstafir. Quando si è in quattro, ci deve essere una parte di magia. E quella magia è l'essenza della band.
Quindi, Gummy mi stava dicendo dei vostri piani, date estive e così via, e ha suggerito in qualche modo un tour da headliner.
Aðalbjörn: Beh, lo dobbiamo ai nostri fan, saremmo felicissimi di farlo, ma... [con aria sconsolata] Diciamocelo: l'Italia non è la nostra meta primaria.
Lo so. Mi spiace sentirlo, ma lo capisco.
Aðalbjörn: È un dato di fatto. Ovviamente ci piace venire qui e i fan sono fantastici, ma costa un sacco di soldi organizzare tutto. Quando voliamo in Germania, per esempio, è un paradiso, è la Mecca.
Lo so, durante l'estate devo andare in Germania, o comunque nell'Europa centrale, per poter trovare un festival. Questo era il mio terzo concerto dei Sólstafir, ma il primo in Italia.
Aðalbjörn: Il punto è: stiamo facendo due o tre tour ora e suoniamo quaranta minuti. Vogliamo tornare e suonare per novanta minuti, soprattutto in Germania, Austria, Svizzera. C'è stata un sacco di richiesta dalla Francia, perchè abbiamo un'etichetta francese. E un sacco di dannatissima richiesta anche dalla Polonia. E in Scandinavia, ovviamente. Come ho detto, adoro venire qui, ma una piccola band non può organizzare dieci date in Italia, perché ci perderebbe un sacco di soldi. Non possiamo permettercelo. E non puoi nemmeno aspettarti di avere una band che suoni sotto casa, quindi, se sei un fan, ti tocca viaggiare. I ragazzi oggi non comprano dischi, difficilmente vanno ai concerti e alcuni dicono "fanculo amico, fai già abbastanza soldi", ma non è vero. Se non guadagniamo, non possiamo creare musica. Ti piace una band? Supportala.
Eh, la webzine per cui scrivo è molto contraria al "digital delivery" e cose del genere. Pensiamo che se davvero ami un gruppo, dovresti dargli qualcosa. La band ti dà la sua musica, tu in cambio cosa fai?
Aðalbjörn: Esatto! Al momento noi viviamo sulla vendita delle magliette, perchè oggi ancora una maglietta non puoi scaricarla da Internet.
["In realtà puoi scaricare anche le magliette, oggi", afferma Thomas dei Sahg.]
Aðalbjörn: Thomas, stai zitto, cazzo.
I ragazzi poi iniziano a scherzare riguardo l'essere o non essere gay, riguardo a chi è il più bello del pullman e via dicendo. Non voglio rovinare un'immagine così adorabile, quindi mi limito a chiedere un autografo sulla mia copia di "Masterpiece Of Bitterness", ho una breve discussione con Aðalbjörn circa l'etimologia del mio nome proprio (prendete nota: Andrea NON è un nome femminile), auguro a tutti buon viaggio e mi ritrovo fuori, nella nebbia notturna di Milano. Le parole di Aðalbjörn non sono state molto incoraggianti, purtroppo, ma mi auguro comunque di rivederli presto.
Continua a leggere...
Information
Author: Bosj
Translation: Bosj
Line Up
Aðalbjörn Tryggvason - Vocals, Guitar
Guðmundur Óli Pálmason - Drums
Svavar Austman - Bass
Sæþór Maríus Sæþórsson - Guitar
I had to go through a few logistical issues, but I managed to have a quick talk with Guðmundur first and Aðalbjörn then, just after their gig in Milan, between one sip of red wine and another in their tourbus. It's been quick, it was half past midnight of a monday night, the band was getting relaxed after the (too short) show, but I had the chance to annoy the two icelandic cowboys with a couple of questions. Here is the result.
So, what is your first impression of the night?
Guðmundur: Oh, it was very nice, people were very much into it, although the club wasn't full, that doesn't matter.
Also because it's monday night.
Guðmundur: Exactly. There was a great reaction, that's the important thing; people were singing during the songs and so on...
Yeah, after "Fjara" people went on singing, that was quite a chorus.
Guðmundur: That was great. [sniggering]
Is this your first time in Italy? As far as I can remember you haven't been around for a while.
Guðmundur: No, actually it's not the first time, but it's just the second one. The first was back in 2010.
I see. This personally was my third Sólstafir show, but the other two were at big summer festivals: what are the differences between these two kind of exhibitions? Huge crowds, big stages, and small places and numbers like this one.
Guðmundur: Probably the main difference is that being in small places is way more energetic, you know, you can see the people in the front row, only a few meters away from you.
Which of the two do you think is the most suitable for your music, for your way of feeling it?
Guðmundur: I don't know, I like them both. I like playing at big festivals, but I also like to play in small clubs, we always like to play.
And you'll be on tour for a while now, but what then? It's been a while since "Svartir Sandar" has come out..."
Guðmundur: Our plan is to play at some summer festivals, then, in september, hopefully a headliner tour, but I'm just saying this, there's nothing confirmed yet. Then, writing some new stuff, when we're home. We're going to have a new album out hopefully very early in 2014.
Are you already writing something during the tour? Are you the kind of band that writes music on the tourbus?
Guðmundur: No, no, we need to enter our rehearsal room for five, six, eight ours a day and see what comes out. That's the way we write.
And what would you say are your main influences? Since your debut "Í Blóði Og Anda" your music changed quite a bit, what changed in your mind, in your life, to bring you at this point?
Guðmundur: You know, we were sixteen when we started the band, we're in our thirties now. Everything changed in our life. We've never seen it as a "big step", it's always been a very natural process... [thinks about it a bit] Yeah, I don't know. We've always played only what we wanted to play.
So it's just been coming out from the rehearsal room.
Guðmundur: That's it. I can't really think of something in particular, no when, where or why. It's just a natural procession.
Well, you are quite a particular band, your music is very personal, I remember that last summer at Brutal Assault you introduced yourselves as the slowest and the softest band of the whole lineup, how do you feel when you play in a festival where you have Immortal, At The Gates and then Sólstafir, with their "different" music?
Guðmundur: It's cool. You know, especially at festivals, you might be listening to death metal bands for a whole day straight, and then we come on. People usually like that, they get a little break from the brutal stuff. So eventually, even if we do not really fit in, we kind of fit in.
[Suddenly a tipsy Aðalbjörn enters the tourbus, takes a seat in front of us and joins the convesation.]
Aðalbjörn: I saw this guy crying and I asked him: "what the fuck are you doing man?". And he was crying listening to some lyrics, love lyrics. A grown man, crying next to you, because of girl problems. What the fucking... I hugged the guy, fuck man. You're not gonna leave the poor bastard alone, are you? And then he came back to me, the same guy, you know, heart broken... [mumbles something I cannot understand]
Well I can understand the poor guy. I mean, I myself was here with my girlfriend, I think Sólstafir is suitable music to be listened to with your girlfriend. I'm sorry for him.
[Aðalbjörn stares at me as if I just said the greatest bullshit of the century, then points at the recorder]
Aðalbjörn: Is this recording?
I hope so, otherwise when I'll be writing the whole thing down I won't remember a thing. Do you have any problems with the recording?
Aðalbjörn: No, no no, absolutely.
[turns towards Sahg members, minding their business a few seats away in the bus]
Aðalbjörn: Guys. Hush.
So, are you enjoying the tour? Is it boring? How is it going?
Guðmundur: We are enjoying it, you know, very good people...
You know, the first soundcheck we performed in this tour, we had a broken a Les Paul. It started really good. But luckily Dave [Jordan, ndr] from Long Distance Calling, he's our guitar-tech, he managed to get us all the equipment and all the guitars.
[At this point Guðmundur leaves me with his bandmate and goes back outside, and the conversation continues.]
I asked that question because last year, talking to Anders [Nystrom, ndr] from Katatonia, he said that being on tour was very hard because apart from that hour and a half a day you play, the other twentytwo you are still far from home.
Aðalbjörn: I can top that. Today in particular. Today it was forty minutes on the stage and twentythree hours and twenty minutes away from home. I can definitely top that.
["And Sahg can top that too", adds Thomas from Sahg, making everybody laugh]
Aðalbjörn: Anyway, this is totally true but, well, that's the game. So be it.
And you can enjoy it, as well.
Aðalbjörn: Of course! [very enthusiastic] This is what you live for! You play forty minutes or two hours, nothing changes, that's the reason of it all. I remember reading this story from a tour manager for Mötley Crüe, he was really worried about the guys, wondering how the fuck can they go on like that. Work ninety minutes a day, and the other hours they were fucking cockeyed. It's tough, waking up in the morning, get your health back. I'm always worried 'bout my voice, tonight for forty minutes it was fine, ok. But having the performance right is number one. We drink on stage, we do, but we never go on stage drunk. That's like a rule. I wouldn't go on stage drunk. I'm thirtyfive, I wouldn't pay a cent to see wasted guys on stage. It's pathetic. It's funny when you're sixteen, no more. After the gig, I can get hammered, but not before.
That's quite a philosophy, I can remember Nevermore disappointing fans more than once because of their perfomances spoilt by alcohol.
Aðalbjörn: That was stupid. I agree. You know, we do not have many rules in the band. We never play with five-string basses or seven-string guitars, fuck them, and we never go on stage drunk. Last one, we never decide what music we write. Just, we take what is coming ahead.
Yes, Gummy was telling me that the rehearsal room is the place where everything comes out.
Aðalbjörn: Exactly. It's like a fucking radio antenna. Whatever is broadcast, you catch. It's the chemistry of being part of a band. If I was a solo artist, I would be hiring session guys, it wouldn't be Sólstafir. When you are four guys, there must be a magic part. That magic is being the band.
So, Gummy was telling me about your plans, summer shows and so on, and he was kind of suggesting a headliner tour.
Aðalbjörn: Well, we owe it to our fans, we would love to do it, but... [disconsolate look] Let's face it: Italy is not our main goal.
I know. I am sorry to hear that, but I know.
Aðalbjörn: It's a fact. Of course we love coming here and fans are great. But it costs a lot of money to run this thing. So, when we fly to Germany, for example, it's like heaven. Like Mecca.
I know, during summer I always have to go to Germany or central Europe to find a festival. This was my third Sólstafir show, but the first in Italy.
Aðalbjörn: The point is: we are doing two or three tours now, playing forty minutes. We are going to come back and play ninety-minute shows, mostly in Germany, Austria, Switzerland. There's been a lot of pressure from France, because we have a french label. There's been a lot of fucking pressure from Poland. And in Scandinavia, as well. Like I said, it's sad to say, I love coming here, but a small band is not going to have ten gigs in Italy, because it would lose a lot of money. We can't afford it. And you can't expect to have a band right in your town, so, if you're a fan, you have to travel. Kids don't buy albums, they hardly go to shows, and some say "fuck you man, you make enough money already". No. If we don't make any money, we can't do this stuff. You like a band? Support it.
Hey, the webzine I write for is very much against digital delivery and so on, we think that if you like a band, you should give it something. The band gives you the music, but what do you give to the band?
Aðalbjörn: Exactly! Currently, we are living on selling t-shirts. Because you cannot download a t-shirt yet.
["Actually you can download a t-shirt today", Thomas from Sahg states.]
Aðalbjörn: Thomas, shut the fuck up.
The guys then start to joke around about being or not being gay, who is the most good looking guy on the bust and so on. I do not want to spoil such a lovely picture, so I just ask for a signature on my copy of "Masterpiece Of Bitterness", have a short discussion with Aðalbjörn about the etymology of my own name (everybody take a note: Andrea is NOT a girly name), wish them all the best and then I'm out, back in the foggy night of Milan. Aðalbjörn's words about Italy were not very encouraging, but I hope to see them back soon.
Continua a leggere...
Informazioni
Autore: Dope Fiend
Traduzione: Dope Fiend
Formazione
Cypher: Tutti gli strumenti
Mriik: Voce
Abbiamo oggi la gradita possibilità di buttare uno sguardo all'interno del malato universo della creatura chiamata La Division Mentale, del cui ultimo parto, "TOTem Simius", potete leggere la recensione.
Salve e benvenuti sulle pagine di Aristocrazia Webzine. Iniziamo con un po' di notizie biografiche: quando nasce La Division Mentale? Chi o cosa si nasconde dietro a questa sovversiva incarnazione artistica?
Cypher: LDM nacque alla fine degli anni Novanta. All'inizio si trattava di una one-man band, un progetto effimero creato per sperimentare tutto quello che non potevo fare con la mia band, successivamente è diventato il mio principale progetto musicale. Sono passati un paio di anni e Mriik è saltato sul carro per unirsi a me in "L'eXtase Des Fous". Anche se allarghiamo la cerchia familiare in ogni produzione con vari ospiti partecipanti, il cuore di LDM è composto da Mriik e me.
Sono trascorsi cinque anni dall'uscita del distruttivo "L'eXtase Des Fous". Cosa è cambiato da allora nelle vostre inclinazioni musicali e nella vostra visione del mondo?
Cypher: Cazzo, non lo so. Ho la sensazione che nulla sia cambiato. Forse le cose sono più visibili, ma non è cambiato nulla. Ho ancora le stesse inclinazioni musicali, semplicemente le esprimo meglio. Per quanto riguarda la mia visione del mondo, il caos è un'ispirazione senza fine. Credo nella stupidità, fidati, siamo tutti uguali. È tutta una questione di punti di vista e LDM è il mio.
Mriik: Più il tempo passa, più mi sento interessato a varie forme artistiche. Ciò che ho scoperto in questi ultimi anni mi ha arricchito molto come artista. Quando ho registrato la mia voce per "L'eXtase Des Fous", non avevo una mentalità molto aperta: sai, ero quel tipo di ragazzo testardo che si concentra esclusivamente sul metal estremo. I miei gusti e i miei interessi si sono evoluti con il tempo, così come le influenze. Per circa due o tre anni sono stato molto curioso riguardo ad altri generi. Sono stato come una spugna che assorbiva l'influenza di tutti i tipi di band strane e musicalmente originali. Credo di essere cambiato molto tra "L'eXtase Des Fous" e "TOTem Simius" a livello artistico e personale. Non ho alcun pensiero particolare da divulgare sulla mia visione del nostro mondo, perchè tengo sempre gli occhi chiusi.
Ho notato qualche sostanziale cambiamento nel nuovo "TOTem Simius" rispetto al passato: l'aspetto grafico è diventato, secondo me, meno oscuro e più "carnale" e anche l'apparato musicale si è fatto più omogeneo e consapevole. Qual è stato il processo artistico e concettuale che ha dato vita a "TOTem Simius"?
Cypher: Sì, hai ragione per quanto riguarda il risultato, ma nulla è stato calcolato. Abbiamo portato tutte le tracce fino alla loro maturità. Alla fine, abbiamo scoperto la coesione reale dell'insieme. Abbiamo semplicemente sviluppato la nostra musica senza concetti teorici. È la musica a guidarci, non il contrario.
Mriik: Per me, "L'eXtase Des Fous" era più un grezzo scoppio di rabbia e caos, mentre "TOTem Simius" è più introspettivo, ben equilibrato ed emotivamente molto più ricco.
Credo che nel vostro sound siano ben chiari i riferimenti al passato (Mysticum e Dødheimsgard in primis), ma quali sono le creature che vi hanno portato su questo sentiero di follia e degenerazione? Ci sono gruppi che amate particolarmente?
Cypher: Amiamo migliaia di band, in ogni genere musicale, credimi, e potremmo parlare per ore e ore di gruppi da cui siamo affascinati. Ulver, Fugazi, Neurosis, Swans, ecc. La loro influenza su di me è assoluta, hanno tracciato la mia strada: nessuna fottuta limitazione nella musica, nessun requisito prestabilito. In realtà, all'interno della scena metal, sto ascoltando band come Liturgy, Wolves In The Throne Room, Celeste, ecc... Tali band hanno preso nuove direzioni e mi piacciono.
Mriik: Cypher ha ragione, ci sarebbero tanti gruppi da citare. Come dici tu, la scena avantgarde norvegese ha avuto un grande impatto sulla crescita di Cypher, ma anche sul mio modo di cantare. Inoltre ascolto un sacco di ottime band ultimamente, come Virus, Krakow, Conan, Kadavar, Danava, Juntus, Diapsiquir, Cult Of Luna, Yurei, Year Of The Goat, Solstafir e tonnellate di altri. E dal lato black metal, se dovessi scegliere i dischi che di recente mi hanno segnato profondamente, direi "Silencing Machine" dei Nachtmystium, "Cold Of Ages" degli Ash Borer e, soprattutto, l'incredibile "Road To Judah" dei Deafheaven.
Se doveste scegliere cinque aggettivi per descrivere "TOTem Simius", su quali cadrebbe la vostra scelta?
Cypher: Disinibito, che è la cosa più importante.
Mriik: Ti ho parzialmente risposto nella terza domanda, amico. È comunque difficile descrivere un proprio album.
All'interno della confezione del disco appare la scritta "LDM exclusively plays for monkeys!". Qual è il suo significato?
Cypher: È la mia visione del mondo: siamo solo primati, smettiamola di nascondere la verità! L'uomo ha inventato un sacco di cose per la sua comodità, ma queste cose ci differenziano forse dalle scimmie? Siamo solo scimmie con telefoni, automobili, ecc... Inventare Internet, navette spaziali o tamponi vaginali ci rende migliori? Può tutto questo cambiare il mondo? Solo una scimmia può fare queste cose e credere comunque in Dio (qualunque esso sia) o in un uomo assetato di potere (tra cui, per me, tutti i governi). Io sono un vecchio gorilla e questo album è rivolto ai miei compagni. Gli Ulver sono i lupi, noi siamo le scimmie... c'è una specie di risvolto cinico nel nostro disco.
Ho notato una crescita sostanziale tra "L'eXtase Des Fous" e "TOTem Simius". A vostro avviso, quali sono le principali differenze tra i due album?
Cypher: Il nostro primo attacco era personale, rivolto verso me stesso. Ho composto "L'eXtase Des Fous" per evacuare frustrazione e rabbia. È stata una specie di terapia. Ho avuto più consapevolezza su "TOTem Simius" ed è infatti venuto meglio. Un album dipende sempre da una data situazione. Questa versione è più cinica e meno fredda, "L'eXtase Des Fous" era guidato da vecchi sentimenti. Per questo disco siamo stati più... liberi.
Ho sempre adorato le selvagge, folli e alienanti qualità di realtà come La Division Mentale, Diabolicum, Mysticum, The Axis Of Perdition, ecc... Quali sono i sentimenti e le ispirazioni che possono dare vita a visioni artistiche tanto distruttive?
Cypher: Nel caso di LDM, parliamo della vita di tutti i giorni, dei rapporti. È tutto incentrato su di me, sulle persone che incontro, su ciò che vivo o ciò che vedo. Siamo scimmie. LDM si concentra sulle piccole cose, su questo apparato che rende il mondo così merdoso.
In "TOTem Simius" ho anche riscontrato una maggiore ricerca sperimentale — in particolare in pezzi come "Rebirth Of The Flesh e "The Eye" — che si destreggia tra elettronica feroce, parti quasi malinconiche e atmosfere acide. Come si è articolato il processo di composizione? Siete completamente soddisfatti del risultato?
Cypher: Per prima cosa, scrivo tutti i riff e le trame ritmiche in modo rudimentale. Poi mi occupo dei campionamenti elettronici e degli arrangiamenti, dopo aver ascoltato questo materiale di base un paio di volte. Quando tutte le varie parti di un brano sono formate, le spingiamo ai limiti estremi. Dopo Mriik mi manda le sue linee vocali, in modo da poter bilanciare bene tutta questa merda nell'insieme, sottolineare alcune parti e addolcirne altre. Lo facciamo con ciò che abbiamo, cioè con il cuore, le budella, le palle e, quando guardo queste condizioni di composizione, sì, dico di essere completamente soddisfatto.
Siete attivi in altri progetti, oltre che ne La Division Mentale?
Cypher: Lavoro con il mio vecchio amico Yan Donet sotto il nome Absent dal 2003. Abbiamo realizzato musiche per cortometraggi e documentari, collaboriamo con VJ, fotografi e artisti contemporanei, il collegamento alle immagini è una priorità. Tutti questi elementi fanno parte della ricchezza della nostra musica, da qualche parte tra gli esperimenti e l'efficienza della parte grezza, tra i suoni astratti e concreti, tra immagini e allucinazioni. Oltre a LDM, ho realizzato un remix per Absent in "Children EP".
Mriik: Io sono colui che si cela dietro al progetto Wolok. Ho realizzato tre album tra il 2003 e il 2009 e quest'anno vedrà il ritorno di quella bizzarra entità con un nuovo EP. Non ho parlato con nessuno di questo, quindi Aristocrazia sarà la prima webzine a diffondere la notizia. Wolok può in qualche modo essere considerato come una strana propaggine di LDM, dal momento che anche Cypher è coinvolto.
Avete una dimensione live? Se sì, in che modo riuscite a portare sul palco le vostre atmosfere disturbanti e distruttrici?
Cypher: No. E non ho idea di quale potrebbe essere il risultato.
Mriik: Suonare dal vivo è semplicemente impossibile per noi. Viviamo troppo lontani l'uno dall'altro ed entrambi abbiamo una vita molto impegnata. I nostri rispettivi posti di lavoro sono troppo incompatibili con le prove e i concerti.
La scena industrial black metal francese è parecchio folta e qualitativamente sviluppata (mi riferisco a gruppi come NeoInferno 262, Helel, Reverence, oOo, Diapsiquir...). C'è interazione tra voi e queste altre creature?
Cypher: Le uniche interazioni musicali che ho sono con Mriik e/o con Yan degli Absent. Io non sono un ragazzo molto socievole.
Mriik: La scena industrial black metal francese è molto affascinante. Sono un grande fan di quasi tutte le formazioni che hai citato, in particolare dei Diapsiquir, i quali non hanno limiti alla bizzarria e alla creatività. Si va ben al di là dell'industrial metal. Se hai ascoltato "A.N.T.I.", sai che non ha nulla a che fare con l'industrial black metal. I Diapsiquir suonano come i Diapsiquir, non c'è nessun'altra band come loro. Sono unici. Ma, tornando alla tua domanda, sì, ho alcuni contatti con la mente che si cela dietro ad Helel. È un musicista di talento e un mago del suono. Ci siamo anche sentiti ultimamente per considerare la possibilità di progettare un live a Parigi con Helel e LDM.
Immagino che siate estimatori delle correnti elettroniche e industrial: volete consigliare qualche progetto di tale ambito che apprezzate e ritenete meritevole?
Cypher: Credo che la scena elettronica non abbia portato nulla di nuovo per un lungo periodo. Preferisco ascoltare la vecchia musica sperimentale come Pierre Henry, Philip Glass e Steve Reich, e la vecchia elettronica glitch di Takemura e Yee-King. Quando voglio ascoltare noise, ascolto i vecchi dischi di Akita come "The Prosperity Of Vice", "The Misfortune Of Virtue" o "Satanstornade" con Russell Haswell, oppure compro un biglietto per vedere gli Swans dal vivo (già visti tre volte quest'anno e il mio udito è ancora abbastanza buono). Ascolto anche spesso "Ventolin Ep" di Aphex Twin. Ho visto Harakami dal vivo, è stato eccellente. Mi piacciono band come Crystal Castles, Zola Jesus o Tearist... e provate "Bektop (Mille Plateaux)" di Kabutogani. È fottutamente estetico! Come ho detto, potrei parlare ore e ore di musica...
Io sono convinto che "TOTem Simius" sia davvero un capolavoro, ma qual è stato finora il riscontro che avete ricevuto dalla critica e dai fan?
Mriik: Abbiamo avuto un sacco di riscontri positivi e sono abbastanza soddisfatto. Vorrei ringraziare tutte le riviste e i fan che ci hanno sostenuto in questo senso, soprattutto in Francia, Italia, Polonia e Grecia. Ci sono un sacco di veri e propri irriducibili in questi Paesi.
Quali saranno i prossimi passi de La Division Mentale?
Cypher: Okay, ti rivelo uno scoop: stiamo lavorando al nostro primo concept album. Tratta di una realtà deviata, della vita di un grande artista: Miroslav Tichy. Il risultato sarà più organico di tutto ciò che abbiamo fatto sinora. Non so se questa potrà essere considerata una digressione o una nuova direzione... dovremo solo aspettare e vedere.
Mriik: Come sempre, LDM è un'entità illimitata e fuori controllo. Ma da quello che ho sentito finora dei nuovi pezzi, vi posso dire che sarà davvero difficile per me misurarmi con una musicalità tanto forte.
Bene, l'intervista termina qui. Vi ringrazio immensamente per la vostra disponibilità, vi faccio ancora una volta i complimenti e vi lascio la parola per terminare l'intervista come preferite.
Cypher: Grazie amico! Non esitate a contattarci, Mriik è dietro le nostre pagine virtuali. I nostri album sono disponibili su www.foedus-aeternus.net e "TOTem Simius" è disponibile anche in streaming: è sufficiente andare sulla nostra pagina Soundcloud.
Mriik: Abbiamo ancora un paio di edizioni limitate "die-hard" contenenti digipak CD, spilla, toppa e dropcard. Sentitevi liberi di contattarci. E, a proposito, stiamo cercando un'etichetta: sarebbe molto utile per diffondere ulteriormente la nostra follia.
Continua a leggere...
|