lunedì 29 ottobre 2012

DYING FETUS + Job For A Cowboy + Revocation + Cerebral Bore

Informazioni
Gruppi: Cerebral Bore (UK), Revocation (USA), Job For A Cowboy (USA), Dying Fetus (USA)
Data: 12/10/2012
Luogo: Kiff, Aarau (Svizzera)
Autore: ticino1

No, proprio oggi voglia di uscire non ne ho... il tempo fa schifo, sono stanco, dopo una settimana orribile, e mi piacerebbe restare a casa, cullato dalla comodità delle mie quattro mura. Il biglietto è lì, sullo scaffale, che mi osserva ogni volta che vi passo accanto... alla fine mi lascio convincere e parto. Che cosa mi aspetterà? Il quartetto è forte e promette d’attirare molta gente... ma quante volte ho pensato così per trovarmi insieme a quattro gatti davanti al palco?

Arrivato sul luogo del delitto, mi tocca discutere con la sicurezza che non vuole lasciarmi passare con l'apparecchio fotografico. Cosa? Niente foto? Se ogni volta che ho chiesto, l'organizzatore mi ha risposto di non preoccuparmi? C'era sul sito? Che cosa me ne frega? Ho il biglietto e lì non vedo nessuna informazione a proposito. Alla fine, dopo avergli offerto il nostro biglietto da visita, mi lasciano passare. Evviva il 2012, evviva l'Iphone 5 e i divieti di fotografare...


Il palco è più addobbato più del solito, la sala è più piena delle altre volte a quest'ora. Occupo il mio posto abituale, senza sapere che non potrò più lasciarlo, nonostante la grande voglia di andare a prendermi una birra fresca. È giunta l'ora per i Cerebral Bore, giovane formazione britannica, di presentarsi al pubblico cosmopolita composto da alcuni "deathster", tanti "corer" e moltissimi under-18 brufolosi. Premetto di non avere mai visto o sentito i primi due gruppi della serata e dunque sono sorpreso dalla tenerissima età del cantante... per poi scoprire che si tratta di una ragazza, ehm..., piuttosto piatta di seno. L'offerta musicale, brutal death, non mi sorprende particolarmente, anche se l'esecuzione è buona. Qualche canzone è piacevole, i musicisti sembrano avere una certa routine in sessione live, anche se il tutto pare piuttosto plastico. I presenti non sono per nulla delusi e scuotono la testa, gridano, applaudono, soddisfatti dallo spettacolo.


I Revocation aprono il sipario sulla scena americana presente questa sera e lo fanno comportandosi esattamente come mi sarei aspettato dalla maggior parte delle formazioni provenienti dal continente oltreoceano: pieni di sé, pose a non finire (soprattutto se c'è una fotocamera) e una certa arroganza. Un conoscente mi ha detto poco prima che il gruppo non sarebbe particolarmente convincente... difficile da confermare. I pezzi sono molto tecnici, David Davidson sa sicuramente il fatto suo e inonda i timpani della platea con una serie di scale che coprono tutto il manico della chitarra. Effettivamente questo miscuglio di death e thrash non è adatto a tutti i gusti e a volte, questa è la mia opinione, annoia un poco. Lo show presentato sulle assi davanti a noi è bello e tutt'altro che noioso. La platea ringrazia con applausi scroscianti e chiede anche qui il bis. Il programma strettissimo non permette nessuna concessione, non conta quanto sia entusiasta la gente.

Ora so definitivamente che lasciare il mio angolino per andare a prendere una birretta significherebbe perdere la possibilità di scattare fotografie accettabili. La maggior parte della platea non si stacca dal fronte, attendendo la prossima band, dunque difendo il bastione di Aristocrazia tenendo a distanza quella marmaglia brufolosa che fino a ieri non sapeva neppure che cosa fosse il metal.


Job For A Cowboy... è ridicolo, ma la sua popolarità iniziale la deve a uno stupidissimo video su Youtube. La formazione è in movimento costante e mostra un'evoluzione continua su ogni disco; le ultime tracce uscite mi paiono addirittura un poco intrise di prog. I signori mi sembrano dei veri sportivi, considerate le masse muscolari e le magliette di "Gym studios" da loro portate, che non disdegnano un buon bicchiere. Una bottiglia di whiskey passa ogni tanto di mano in mano. Il motivo è forse il compleanno di un loro amico, pure lui presente nel pubblico, che compie oggi gli anni. Sarà onorato con un invito sul palco e un "Tanti Auguri A Te" suonato dalla chitarra solista. I primi due gruppi erano tecnicamente solidi, molto presenti, i Job For A Cowboy invece sono una vera macchina che spazza tutto... I musicisti sono in continuo movimento, come il pubblico d'altronde, l'interazione con la platea è buona e la scaletta uccide. Tony Sannicandro s'impenna a volte con tutto il suo peso (il ragazzo non è piccolo e neppure leggero...) sugli amplificatori e temo ogni volta per l'integrità di questi ultimi. Jonny Davy, ultimo membro fondatore ancora presente, sarà un poco brillo ma agisce come un forsennato, incitando le prime file, scuotendo la testa, dialogando e facendo molto altro ancora. Peccato che il suono in sala sia talmente impastato da impedire quasi di comprendere le note suonate. Le canzoni coprono comunque tutta la carriera della formazione, iniziando da "Doom" e l'immancabile "Knee Deep" che porta i presenti all'estasi. Bel concerto, intenso e privo di pecche.

Il sipario si chiude, spazzando via quelli che erano seduti sul bordo del palco, per permettere ai roadie di smontare il materiale superfluo e di preparare la scena per i Dying Fetus. La gente è oramai già pigiata sul davanti e prevedo parecchio movimento per il prossimo capitolo di questa serata.


Appena l'intro annuncia l'arrivo degli headliner, il pubblico inizia ad andare in fermento e sembra urlare: "Siamo qui solo per voi". Il palco pare enorme per questo trio e lo sarà. È da tanto che non vedo tanta staticità. L'esecuzione dei pezzi è indiscutibilmente perfetta e rende onore al nome. I presenti sono entusiasti proprio per esso, il nome. Io non mi sono mai particolarmente interessato per il gruppo e, se non lo conoscessi per niente, apprezzerei sicuramente le canzoni ma sarei deluso dalla rappresentazione in scena. Sono sempre stato dell'opinione che il vero valore di un trio, oltre alla musica naturalmente, è quello di padroneggiare l'arte di colmare il vuoto sul palco durante un concerto. Gli americani falliscono totalmente su questa linea e resteranno quasi immobili. I presenti la pensano diversamente da me e producono dei circle pit selvaggi per onorare l'uragano mortale che esce dalle casse. Positiva è invece la durata della rappresentazione: novanta minuti, stimati, sono piuttosto inabituali per una formazione death ma corretti, se si considera che molti, troppi intro sono stati parte della prestazione.

Ora ho scattato abbastanza foto e decido di godermi la meritata birra. Che errore... che erroooooore! L'organizzatore non ha raggiunto solo un tutto esaurito ma mi sa che abbia anche esagerato con la quantità d'entrate. Ritornare davanti? Difficile. Ascoltare e godermi almeno i pezzi a distanza? No, troppi idioti che hanno pagato il biglietto per poi ubriacarsi senza contegno, fregandosene del concerto, urlando, comportandosi in maniera primitiva e barcollando mentre spingono tutti quelli che si trovano sul loro cammino. Ne ho pieni i cosiddetti e me ne vado. Quando giunge il momento di non riuscire più a seguire quello che succede sul palco, bisogna agire di conseguenza.

A parte qualche piccolo disguido organizzativo, la serata è stata positiva per i gruppi che hanno suonato davanti a una platea accogliente e per il pubblico che ha potuto godersi quattro formazioni forti e motivate.

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