lunedì 19 novembre 2012

MARTYR LUCIFER - Farewell To Graveland


Informazioni
Gruppi: Martyr Lucifer
Titolo: Farewell To Graveland
Anno: 2011
Provenienza: Italia
Etichetta: Buil2Kill Records
Contatti: facebook.com/MartyrLucifer
Autore: Mourning

Tracklist
1. Janus
2. Farewell To Graveland
3. Turmoil
4. From Under The Ground
5. Noctua Munda
6. Onironauta (The Demon Of The Earth)
7. L'albero Ed Io [cover Guccini]
8. The Dustflower
9. They Said With Time All Wounds Will Heal
10. The Horseride
11. Waiting For The Dawn

DURATA: 56:11

Il nome Martyr Lucifer chi vive realmente l'underground nostrano sa che circola da tempo, la sua creatura, gli Hortus Animae adesso in pausa, è una di quelle band che stranamente ha raccolto molto meno di ciò che meritasse.
Lo ritroviamo nel 2011 alle prese con il suo primo album da solista in un ambito musicale diverso ma che espone nuovamente la brillante qualità compositiva e il piacere di mettersi in gioco di un artista in cerca di dar sfogo alla propria arte.
"Farewell To Graveland" è un disco che pur affondando le sue radici nel terreno del gothic e della darkwave ne incarna il vissuto tramite un'esposizione più "vitale", tecnicamente ineccepibile e talmente multisfaccettata da ritrovarsi a essere supportata da una gamma d'influenze veramente ampia.
Si potrebbero tirare in causa una moltitudine di band e ciò non basta dato che non rinuncia a excursus in campo progressive seventies, attimi di pura psichedelia e sonorità intimamente legate al folk cantautorale.
La squadra di musicisti a disposizione è di prim'ordine, oltre a Martyr, leader dietro al microfono sostenuto in un paio di circostanze dagli interventi vocali della cantante ucraina Leìt, mentre in "Turmoil" udirete Fabio Caruso degli As Memory Dies, troviamo al basso Evgeniy "Vrolok” Antonenko (ex Nokturnal Mortum, oggi negli Ygg) che fornisce una prestazione consistente, ordinata, non al di sopra delle righe tuttavia sempre e comunque efficiente, il chitarrista Arke impegnato nel fornire ritmiche varie, dal buon respiro e a disimpegnarsi in soluzioni solistiche abbastanza complesse e poi la botta finale che fa la differenza: due batteristi.
Sì, sono due i drummer e a ciascuno sono stati assegnati cinque brani, si tratta di Grom e Adrian Erlandsson, dei quali non citerò provenienza e band in cui hanno militato poiché dati i loro lunghi curriculum dovrebbero esservi più che noti.
Starà a voi individuare chi sia a metter su la tirata di doppia cassa, a concentrarsi sui cimbali o a dimenarsi sfruttando nei momenti inattesi i tom.
A corredo sarebbero potuti mancare synth, archi e orpelli vari ad arricchire e adornare la proposta? A quanto pare il reparto si divide fra la natura classica ed emotiva di Bless e quella da costante sperimentatore di Lucifer, con il risultato d'avere un impasto eterogeneo che fortunatamente apporta una dimensione propria ai brani.
Spesso quando si tira in ballo la personalità è per lamentarne l'assenza, "Farewell To Graveland" non può essere additato per questo motivo, anzi la sua è spiccata e riconoscibile, Martyr ha creato undici pezzi che, ad eccezione di un paio di occasioni nelle quali tende a compiacersi un po' troppo complicandosi la vita soprattutto in fase d'arrangiamento, dimostrano come si possa garantire al passato un presente degno.
 Prendete le canzoni che seguono il magniloquente intro "Janus", col trio di brani che vede succedersi la titletrack, "Turmoil" e "From Under The Ground" pare di essere avvolti dagli anni Ottanta, poi ti si para contro "Noctua Munda" che sembra appartenere con un piede ai Novanta e con uno ai giorni nostri, una sorta di ballad il cui animo è corroso da sezioni elettriche, da intromissioni elettroniche e da un'acidità che si fa strada consegnandoci alla folle "Onironauta", per lo più improntata sall'esaltazione della parte, ma capace di animarsi in maniera repentina e altrettanto velocemente di spegnersi, permettendo al riminese di introdurre la propria voce accompagnata da languidi fraseggi di stampo seventies.
I due rovesci di una medaglia che non dovrebbero mai incontrarsi lo fanno e ne scaturisce l'ennesima ripartenza in velocità, il drumming è imperterrito per non dire furioso, quale sarà il prossimo livello? A cosa ci condurrà tanto ardore? Si rimane di stucco quando al posto di un pezzo di sostanza è il tocco di classe a colpirti di netto, la cover di "L'Albero Ed Io" del Guccini di "Due Anni Dopo" (1970) coglie alla sprovvista, l'interpretazione della voce carica di effetti e lievemente grezza di Martyr e quella delicata di Leìt sollevano uno strato melancolico sublime, un angolo nel quale la natura ti accoglie e le spoglie andate hanno occasione di riascoltare il proprio battito cardiaco.
Con "Dustflower", per quanto non sia riuscito del tutto a inquadrare gli artisti, le parti atmosferiche dei synth mi hanno ricordato la scena dance che irrompeva prepotente sul finire degli anni Ottanta e i primissimi Novanta, parlo di musica ben lontana dallo stile da "truzzo", i suoni cupi erano particolarmente in voga in quel periodo, mentre con "They Said With Time All Wounds Will Heal" è il ritornello a fare breccia nella mia testa, portando alla ribalta la realtà nuda e cruda:

They said with time all wounds will heal
Let's wait and see. I'm sure they will
They said with time all wounds will heal
I'm sure they will, with you they will
They said with time all wounds will heal
Come take my hand, make me still feel
They said with time all wounds will heal
The hope for nothing gone, you made it real


"Farewell To Graveland" è quasi al suo termine, si fa avanti "The Horseride", la composizione più estesa del lotto con i suoi dieci minuti che scivolano via in maniera agevole, il suo alternare fraseggi sommessamente vivaci ad ariose aperture di pianoforte la rende particolarmente fruibile.
Sono circa le tre di notte e sto ancora scrivendo, sono giunto alla fine con "Waiting For The Dawn", che data l'ora e un po' di sonno accumulato, mi son divertito a immaginarla come una via di mezzo fra la doorsiana "Waiting For The Sun" e il pezzo dei The 69eyes "Wasting The Dawn", probabilmente è la stanchezza e la compagnia dai toni agrodolci che in un crescendo emotivo nel quale una luce seppur in lontananza traspare mi dice che è ora di porre il cosiddetto "The End".
Il testo vi sembra lungo? L'ho scritto e riscritto non so quante volte, ad ogni passaggio del lavoro una situazione diversa mi rimandava a qualcosa finito nel dimenticatoio chissà per quale motivo e come avrete notato di cassetti delle memoria nei quali ricercare se ne son aperti talmente tanti che attendo ancora di ricevere in toto le risposte che cerco.
Per questo e per mille altri valori positivi innescati dall'incontro con il platter di Martyr Lucifer, che comunque si può dire abbia lavorato per buona parte in famiglia, avrete notato la presenza di membri ed ex degli Hortus Animae, "Farewell To Graveland" sicuramente continuerà a girare nello stereo per un tempo indeterminato.
Non è facile, non è immediato, desidera entrare a far parte dei vostri ascolti, è una sfida e l'album attende solo che la raccogliate.

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