Information
Band: 冷酷仙境 (Cold Fairyland)
Title: 2005 Live
Year: 2006
Origin: Shanghai, Cina
Label: Self-Released
Contact: coldfairyland.com
Author: LordPist
Tracklist
1.摹仿剧场 (Mirror Theater)
2.死在报纸上的孩子 (The Dead Children In The Newspapers)
3.摩苏尔 (Mula-Shabel War)
4.缭乱 (Puzzle)
5.诱惑之舞 (Dance Of Seduction)
6.洪水 (The Flood)
7.暗杀 (Assassination)
8.巴黎猫 (The Cat From Paris)
9.玻璃刀 (The Glass Cutter)
10.地上的种子 (Seeds Of Ground)
11.手心里绝望的花 (Holding The Flower Of Despair)
12. 等待告别 (Waiting For The Farewell)
RUNNING TIME: 60:48
There are not that many significant rock bands in the Shanghai area, as the scene itself is still expanding and searching for its own particular traits. Perhaps it is the mixture of foreign and Chinese elements that indeed makes Shanghainese rock what it is.
If we had to name a list of relevant bands from this area, 冷酷仙境 (Cold Fairyland is their name for the international audience) would definitely make it. When this album was recorded — at the ARK in Shanghai, 2005 — the quintet was composed of Chinese members (two women and three men) and featured, apart from the usual drums, bass and guitar, also keyboards, cello and especially pipa (琵琶, a traditional string instrument, similar to a lute). This progressive folk rock band formed in 2001 and has always displayed multiple influences, from Western prog rock (quite a rare characteristic for a Chinese band) to traditional music, at times even flirting with metal.
Front-woman Lin Di (lead vocalist, pipa player and at that time also on keyboards) is the centerpiece of this project, while drummer Li Jia provides a diverse and personal rhythm pattern (often playing odd time signatures). The live rendition is top-notch and works as a showcase for the many musical faces of the quintet (currently a sextet), focusing on more "live-friendly" tracks – starting with the powerful opener "模仿剧场". The set-list features songs from their first two albums, with a couple of dips into Lin Di's solo project ("诱惑之舞" and "洪水") and the then preview of "地上的种子", foreshadowing the more acoustic-oriented approach of their next phase. The crescendo of "等待告别" closes the performance; here the rock roots of the band clearly come out.
After that, Cold Fairyland welcomed keyboard player Xi Jin'e - in order to allow Lin Di to only take up lead vocals and pipa — and a new bassist, this time a foreigner (all but a rare feature in Shanghai). Their March the eighth gig at the Yuyintang (a small and somewhat historic venue in the city) confirmed the notion of listening to one of the most interesting Chinese rock acts, although they unfortunately gave away no clues about any upcoming releases (their latest album "地上的种子" came out in 2009). In conclusion, this band is highly recommended to anyone interested in knowing about a different take on progressive rock, to those who love female vocals or just to anyone looking for something new. You can buy their albums on the official website.
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Informazioni
Gruppo: 冷酷仙境 (Cold Fairyland)
Titolo: 2005 Live
Anno: 2006
Provenienza: Shanghai, Cina
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: coldfairyland.com
Autore: LordPist
Tracklist
1.摹仿剧场 (Mirror Theater)
2.死在报纸上的孩子 (The Dead Children In The Newspapers)
3.摩苏尔 (Mula-Shabel War)
4.缭乱 (Puzzle)
5.诱惑之舞 (Dance Of Seduction)
6.洪水 (The Flood)
7.暗杀 (Assassination)
8.巴黎猫 (The Cat From Paris)
9.玻璃刀 (The Glass Cutter)
10.地上的种子 (Seeds Of Ground)
11.手心里绝望的花 (Holding The Flower Of Despair)
12. 等待告别 (Waiting For The Farewell)
DURATA: 60:48

Non sono molti i gruppi rock originari dell'area di Shanghai che si possono definire "storici", la scena stessa è ancora in fase d'espansione e alla ricerca di suoni caratteristici. Probabilmente, è proprio la mescolanza di elementi stranieri e cinesi a delineare la peculiarità del rock shanghainese rispetto a quello di altre parti del paese.
In un'ipotetica lista di band di rilievo della zona, i 冷酷仙境 (Cold Fairyland è il nome che usano con l'estero) sarebbero decisamente da includere. All'epoca della registrazione di questo disco, nel 2005 allo ARK di Shanghai, il quintetto era composto da soli membri cinesi (due donne e tre uomini) e includeva, oltre ai canonici batteria, basso e chitarra, anche tastiera, violoncello e, soprattutto, pipa (琵琶, strumento tradizionale a corda, simile a un liuto). Questa band progressive folk rock si formò nel 2001 e ha da sempre incorporato le più varie influenze, dal prog rock occidentale (cosa molto rara per un gruppo cinese) alla musica tradizionale, a volte anche sconfinando nel metal.
La figura centrale è a mio avviso quella della voce solista/suonatrice di pipa Lin Di (all'epoca della registrazione anche tastierista), mentre il batterista Li Jia detta i tempi (spesso e volentieri anche dispari) con precisione e personalità. La resa dal vivo dei brani è assolutamente di livello ed è un ottimo biglietto da visita della proposta, mostrando le varie sonorità del quintetto (ora sestetto), con un accento sui pezzi più movimentati e "da concerto" a partire dalla potente apertura con "模仿剧场". La scaletta pesca infatti dai primi due album del complesso, con qualche incursione nel progetto solista di Lin Di ("诱惑之舞" e "洪水") e l'allora anteprima del brano "地上的种子", che preludeva alla natura più acustica e "rilassata" della loro fase successiva. La chiusura, in crescendo, è invece affidata a "等待告别", in cui viene fuori il lato più dichiaratamente rock della band.
Da allora, i Cold Fairyland hanno accolto la tastierista Xi Jin'e, in modo da permettere a Lin Di di occuparsi esclusivamente di voce e pipa, oltre che un nuovo bassista, stavolta straniero (cosa tutt'altro che rara a Shanghai). La loro data dell'otto marzo allo Yuyintang di Shanghai (piccolo locale, a suo modo storico, della città) non ha fatto altro che confermare la sensazione di trovarsi davanti a una delle realtà più interessanti del rock cinese, anche se purtroppo non ci sono stati indizi riguardo eventuali nuove uscite (l'ultimo album, "地上的种子", è infatti datato 2009).
In definitiva, band consigliatissima a chiunque fosse interessato a conoscere un approccio "diverso" al rock progressivo, ai fan delle voci femminili o a chi cerca semplicemente qualcosa di nuovo. È possibile acquistare i dischi dal loro sito ufficiale.
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Gruppo: TOD
Titolo: Black Metal Manifesto
Anno: 2006
Provenienza: Bologna, Italia
Etichetta: Eyes Of The Dead Productions
Contatti: tod.altervista.org
Autore: M1
Tracklist
1. White Noise
2. The Black Dying Light
3. Apathy
4. Suffering, Beloved
5. Burning Kingdoms
6. Death...
7. ...And Rebirth
DURATA: 41:14
Sette anni passati dall'uscita del disco oggetto di recensione a oggi non sono pochi, se ne aggiungiamo ancora una dozzina da quando la Nera Fiamma arse al massimo del proprio bagliore, arriviamo quasi a venti. Eppure è ancora possibile talvolta imbattersi in uscite capaci di ricreare le sensazioni (non i picchi qualitativi, sia chiaro) emanate dai capolavori del genere, senza sembrare artificiosamente grezze oppure studiate freddamente a tavolino.
Un titolo così forte come "Black Metal Manifesto" da parte di una formazione poco nota come i bolognesi TOD — due demo e uno split all'attivo prima di questo album — potrà sembrare arrogante ed effettivamente il mondo del Metallo Nero non pecca di certo di autostima, ciononostante l'album racchiude davvero quella che è l'essenza più pura del filone. Vi troviamo espresse la furia intransigente di un'anima priva di pace ("White Noise"), la negatività senza fine di "The Black Dying Light", la sofferenza della dannazione di "Death..." e il pathos intenso di "...And Rebirth". Gli elementi per generare questo vortice sono arcinoti e diffusi un tempo da DarkThrone e Mayhem, vedi l'incipit macabro di "Apathy", su tutti; i Nostri vi aggiungono un piccolo tocco tricolore con alcuni testi in italiano per i quali il richiamo più semplice è quello ai concittadini Malnàtt, anche per le affinità vocali con Pòrz. I ragazzi sfruttano l'intero continuum delle ritmiche, fra passaggi veementi, tempi medi — sinceramente non troppo efficaci in "Suffering, Beloved" — e rallentamenti funerei, vedi la già citata "Death...". Lo screaming di Pogrom invece si attesta su un registro medio, né stridulo né profondo, fornendo una buona prova.
Se non siete attirati in maniera ossessiva dal black metal, lasciate perdere i TOD, per i quali "Black Metal Manifesto" fra l'altro rappresenta l'ultima testimonianza prima dello scioglimento. Qui infatti non troverete alcunché di personale o innovativo, soltanto un inno che esalta "l'angoscia dell'uomo nei confronti della vita e della morte".
Nota: il sito Internet indicato nelle informazioni è piuttosto datato e fra le ultime notizie riporta l'avvicendamento nel 2006 di Kvart — indicato nel libretto come batterista dal vivo e scrittore di tutti i testi — con Ratzinger.
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Gruppo: Rukkanor
Titolo: Ende
Anno: 2006
Provenienza: Polonia
Etichetta: War Office Propaganda
Contatti: non disponibili
Autore: Istrice
Tracklist
1. W.A.R.
2. Beware It's Coming
3. Hail, Rome Victorious!
4. Virus Dei
5. Fuggetlensig, Szabadsag!
6. It's Their War
DURATA: 29:44
Quasi per caso mi capita per le mani "Ende", EP dell'artista martial polacco Rukkanor, edito ormai una mezza dozzina d'anni fa dalla fu War Office Propaganda (di sua proprietà, oggi ribattezzata in Rage In Eden). Prodotto in sole 400, copie il disco è una raccolta di sei tracce di cui l'artista non voleva si perdesse memoria dopo esser state escluse per diverse ragioni dalle sue produzioni precedenti.
L'apertura è affidata a "W.A.R.", creata in origine per "Scontrum Act IV", split con Marching Runes e Ghosts Of Breslau, e risalente al settembre 2004 (il cd verrà poi dato alle stampe l'anno successivo).
Brano senza fronzoli dalle sonorità profondamente marziali, "W.A.R." assale l'ascoltatore con un attacco di percussioni estremamente incisivo, il ritmo cadenzato viene arricchito come al solito con echi industriali e dall'organo, in secondo piano, ma non per questo meno incisivo, che traccia una suggestiva melodia.
La guerra sta arrivando e suonano le sirene d'allarme. "Beware It's Coming", tratta dalla medesima sessione di registrazione, è invece un pezzo più inquietante e criptico, la sezione ritmica affidata ad un rullante fumoso che crea un'atmosfera d'attesa, attesa che però non vede risoluzione, straniante.
"Hail, Rome Victorious!" vede invece la luce un anno dopo, il titolo suggestivo suggerisce facilmente anche l'origine del brano, che viene plasmato la prima volta per lo split con Stahlwerk 9 e Cold Fusion intitolato "Triumvire".
Si tratta di un martial differente rispetto al precedente, come si nota fin dall'incipit, cupo, ma allo stesso tempo epico ed atmosferico. "Salute, Roma vittoriosa!" grida l'imperatore accompagnato dal boato della folla. La traccia si snoda poi in una sezione centrale più riflessiva, intrisa dalle onnipresenti campionature vocali che recitano la loro litania incomprensibile (e forse è meglio così), e un finale dal respiro più ampio e dall'orchestrazione più ricca e magniloquente.
Cambio totale di sonorità, si passa a "Virus Dei", live recording risalente al giugno 2006 creato in collaborazione con Insuffer, progetto dark ambient dell'artista polacco Marcin Batchtiak (a.k.a. Cold Fusion, i due lavorano a stretto contatto, vedasi recensione del progetto Across The Rubicon).
Il brano vive di due momenti, i movimenti psichedelici del lungo incipit lasciano il passo all'oscurità totale, le percussioni arrivano dall'oltretomba, le frequenze sono disturbanti e martellanti sequenze industrial aggrediscono l'orecchio.
Il finale, summa del brano, vede l'interessante coesistenza dei due momenti precedenti. Doppio carpiato e ci rituffiamo tra le macerie della guerra, l'accoppiata finale risale alle sessioni di registrazione di "Despartica", doppio album del 2006, e ci riporta all'ascolto di un Rukkanor più vicino al sound per cui è noto.
"Fuggetlensig, Szabadsag!" (ovverossia "Libertà, Indipendenza!") è un brano belligerante e cadenzato, dedicato ai combattenti ungheresi morti durante le insurrezioni contro il governo sovietico nell'autunno dell'anno 1956, moti rivoluzionari finiti in strage, con la sconfitta dei rivoltosi.
Ci stiamo ancora aggirando impotenti fra le macerie di una nazione che vide negli anni successivi l'esodo verso occidente di oltre 250.000 persone quando parte la conclusiva "It's Their War". Tra le rovine troviamo una bambina alle prese con una conta, la voce infantile ed i cinguettii di sottofondo rendono la simbologia evidente, l'innocenza contrapposta alla guerra.
Il finale capovolge la situazione, e la conta si trasforma in un conto alla rovescia, l'accento spiccatamente americano, tre, due, uno, zero, esplosione, "These are the States, to make a world in which all God's children can live". Non credo servano spiegazioni.
Nel complesso "Ende" non aggiunge nulla di nuovo o rivoluzionario a quanto Rukkanor aveva già prodotto, ma nonostante questo ne consiglio caldamente l'ascolto, il livello delle composizioni è sempre molto alto, e se per un ascoltatore abituale è l'amor di completismo che spinge verso un EP di questo tipo, per i neofiti può essere un buon inizio, dato che in sole sei tracce riesce a mostrare diversi volti dell'artista.
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Gruppo: In Twilight's Embrace
Titolo: Buried In Beetween
Anno: 2006
Provenienza: Polonia
Etichetta: Lifeline Records
Contatti: myspace.com/twilightkills
Autore: Mourning
Tracklist
1. Prelude. Love Denied
2. Set Them Free
3. Buried in Between
4. On The Verge Of Judgement
5. Hour of Retaliation
6. The Hollow Men
7. The Darkest Crime
8. Passage. Farewell
9. Still Before My Eyes
DURATA: 32:19
 Il post 2000 per il sottoscritto è stato un periodo traumatizzante metal parlando, da appassionato della scena melodica del death metal ho avuto spesso a che fare con dischi spacciati per derivati dalla scena di Gothenburg che altro non erano che schifezze commerciali difficilmente digeribili e quando si parlava di commistione del sound At The Gates con l'addittivo "core" la cosa diveniva ancor più difficoltosa da digerire.
Sono pochi e selezionati i nomi con i quali ho avuto un buon rapporto d'ascoltatore, in primis quelli che ritengo i capofila del genere melodic death/metalcore gli Heaven Shall Burn, una spanna e più sopra a chiunque in quella specifica sezione, in seconda battuta neanche a farlo apposta ancora una volta una formazione teutonica i Neaera, mentre gli americani As I Lay Dying e Black Dahlia Murder non mi hanno mai colpito granché.
Quando ho ricevuto gentilmente i due dischi dei ragazzi polacchi degli In Twilight's Embrace ho logicamente deciso di prenderli in esame in maniera separata data la distanza di un lustro nel rilascio l'uno dall'altro e quindi mi trovo a scrivere in questo articolo del debutto "Buried In Beetween" del 2006.
L'album è figlio del periodo storico nel quale è stato partorito, le influenze le ho già citate in antecedenza, la scuola svedese con gli At The Gates a capo viene presa a ispirazione, inserita in contesto dall'accentuata attitudine "core" ma che risentendo fortunatamente ancora degli insegnamenti del passato non concede il passo a ritornelli in voce pulita degni delle migliori celebrazioni eucauristiche e soprattutto le costruzioni non sono intervallate da duemila break-down inutili quanto fastidiosi.
Gli In Twilight's Embrace di "Buried In Beetwen" possiedono un suono robusto, chitarre pesanti ma dai costanti riferimenti melodici, un batterista abile nell'alternare sezioni atmosferiche a sferragliate ficcanti anche se i mid-tempo la fanno un po' troppo da padrone e un più che discreto "urlatore" dietro al microfono. Hanno tirato fuori il meglio che in quegli anni si potesse ottenere da un genere che sarebbe andato progressivamente a congestionarsi implodendo su se stesso, il numero di aborti musicali in giro con tale etichetta sonora incollata è al giorno d'oggi al limite della sopportazione e le cause le si conoscono.
Il loro è un disco piacevole , ricco di brani dal piglio sicuro come "On The Verge Of Judgement", "Hour Of Retaliation" e "The Hollow Men", che non si risparmia la divagazione strumentale malinconica con "Passage. Farewell" e possiede una produzione pulita ma non ancora massicciamente finta come quelle che si riscontrano sempre più spesso da un triennio a questa parte.
Devo essere sincero, il packaging, il suono e l'impatto pendono a favore della formazione polacca, probabilmente i nostalgici di una scena metalcore che sarebbe potuto essere innovativa, riuscendoci invece ben poco, potrebbero trovare interessante un lavoro come questo. Diciamocelo: anche quell'insieme di band che per molti è uno schifo senza mezzi termini aveva ed ha nel suo schieramento degli act da poter ascoltare e supportare, loro sono tra questi.
Vi rimando quindi al secondo atto nel quale parleremo di "Slaves To Martyrdom", si saranno evoluti? Che strada avranno intrapreso? Vi basterà attendere un paio di settimane e avrete il quadro completo della situazione.
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Gruppo: Downfire
Anno: 2006
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/downfire
Autore: Mourning
Tracklist
1. Wasted
2. Never
3. Stand
4. You
5. Yesterday
6. Drown
7. Someday
8. Alone
9. Powerful Me
10. Time
11. Through The Damage
12. Inside My Head
13. Step Up
DURATA: 52:03
 Anno 2006, i newyorkesi Downfire rilasciano l'album di debutto "Redemption", tredici tracce di metal "bastardo", una mistura che unisce la classica prestanza dell'Us Power di gente come i Metal Church alla scia Heavy perseguita da alcune realtà Nu-Metal (e in questo preciso caso fra le influenti per il percorso dell'album un buon punto di riferimento sembrano essere i Disturbed e Sevendust) facendovi confluire virate dal gusto più rock oriented.
La voce del singer David Diaz nella sua impostazione rimembra più volte sia il già citato cantante che l'Heitfield in versione più hardrockeggiante ed è supportato da basi accattivanti, in alcuni momenti anche di facile presa ma condite da discrete divagazioni solistiche a opera del riff-maker Carlos Vega e da un clima generale più che gradevole che rende il disco di buona compagnia seppur la presenza di tante band venga a galla fra le quali è impossibile non citare proprio i Metallica.
Il quartetto d'apertura in scaletta composto da "Wasted", "Never", "Stand" e "You" scopre in pratica le carte in tavola, è un dilettarsi fra istinto del quale l'opener gode appieno, intimità caratteristica che prende largo nell'ultima, delle tirate in causa e ritornelli che ti entrano in testa sbattendo a più riprese fra le mura del cervello con "Never" fra gli esempi più rapidi da enunciare.
Cinquanta minuti che non regalano sorprese o disegnano chissà quale quadro metal inaspettato, i Downfire suonano, si divertono, pestano quando ce n'è bisogno e infilano un altro paio di episodi che attirano l'orecchio, penso soprattutto a una "Yesterday", pezzo perfetto per trasmissioni radiofoniche o per una rotation su Mtv, è dotata di un'alta fruibilità tanto da ricordare in certi passaggi l'appeal dei Collective Soul, la semi ballad "Someday", l'introspettiva "Inside My Head" e un duo più robusto formato da "Drown" e "Powerful Me".
Un debutto che faceva ben sperare, fornito di una produzione calda e abbastanza pulita tanto da offrire una discreta resa collettiva, i ragazzi ci proporranno il bis quattro anni più tardi con "Damnation" decisamente più maturo ma che se avesse avuto a supporto un lavoro dietro al mixer pari a quello ravvisabile in "Redemption" sarebbe stato un discone.
I Downfire sono una formazione da seguire, in continua crescita e che gli amanti del sound metallico non eseguito nella più classica delle forme troveranno essere una compagnia di tutto rispetto.
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Gruppo: Viron
Anno: 2006
Etichetta: Sonic Age
Contatt: www.myspace.com/viron1
Autore: Mourning
Tracklist
1. Sander
2. Blow The Fuse
3. Viron
4. Bound To Die
5. Winds Of Valhalla
6. For Her Majesty
7. Ride On
8. Instrumetal
9. Lucifer Arise
10.Born Out Of Light
11.Doomsday
DURATA: 55:07
 L'heavy metal ha nel corso degli anni ripreso sempre più importanza, è la madre del metal, inutile negarcelo anche se le generazioni più giovani continuano troppo spesso nel fare l'errore d'iniziare dall'estremo o di disconoscere il ruolo di base a un genere che andrebbe onorato e ringraziato per i meravigliosi frutti regalati, NWOBHM in primis.
Se l'Inghilterra è stata la terra regina, la Germania gli si pone subito dietro insieme agli Stati Uniti, proprio dal territorio tedesco nei primi anni post 2000 intraprese il cammino una formazione dapprima denominata Seduction che, dopo aver prodotto solo due demo ("Ode To War" e "Winds Of Valhalla"), decise di cambiare il monicker in Viron ricevendo dei feedback positivi per l'album di debutto "NWOGHM".
Pionieri del nuovo sound teutonico? Il parafrasare l'acronimo britannico rendeva il messaggio alquanto chiaro e lo stile moderno di una band veloce, compatta, epicheggiante e soprattutto dotata di un cantante, Alex Stahl, capace di fare la differenza grazie a una vocalità a metà fra il power e l'hard rock (ascoltandolo mi son venuti in mente Ian Gillan, Kursch e Conklyn) era l'arma adeguata per affrontare una sfida heavy nel millennio dove l'estremo ha dilagato in maniera spropositata (e non sempre con risultati apprezzabili).
Momenti di furia libera in "Blow The Fuse" trovano contraltare nel classicismo ispirato manowariano di "Winds Of Valhalla" composta al tempo dei Seduction, frangenti di oscurità e misticismo incrociano il nostro orecchio in "Ride On" e "Born Out Of Light", i toni scuri aumentano nella parvenza doom di "Bound To Die" e una certa prestanza old oriented è rinvenibile nella sprezzante "Lucifer Arise"; tutto ciò vale la pena di esser gustato più e più volte a un discreto volume.
La formazione era potente, dinamica, compositivamente accurata e strumentalmente preparata in toto, le asce quanto la ritmica svolgeva il proprio compito offrendo una prestazione di alto livello e ripetermi sull'uomo che si attiva dietro il microfono sarebbe inutile.
Ciò che dispiace è che dopo aver dato alle stampe un secondo capitolo, "Ferrum Gravis", i Viron abbiano deciso di sciogliersi, sono quindi questi due dischi il piccolo patrimonio che lasciano al metal.
Vi dovesse capitare sott'occhio questo "NWOGHM" fossi in voi non scarterei a priori l'acquisto, è un platter che da soddisfazioni anche sul lungo termine.
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Gruppo: Satarial
Anno: 2005 - 2006
Etichetta: Sleazy Rider Records
Contatti: www.satarial.ru
Autore: Insanity
Tracklist
Tanz Mit... Tod...
1. Hure-Tod
2. Nachkommenschaften Der Rosses
3. Der Wolf
4. Aufleckenen Das Blut
5. Brennen Das Leben
6. Schenke Geliebte Der Tod
7. Engel Der Tod
8. Du Stribst
9. Ruf Der Wolfen Blut
DURATA: 36:53
Latexxx
1. Engel
2. Snuff
3. Herr Mannelieg
4. Welten Von Der Traum
5. Du Liebst Den Tod
6. Spiel Mit Liebe
7. Latex
8. Ewige Sommer
9. Sexmashine
10. Die Freiheit
DURATA: 39:34
 Gli oltre venti anni di attività non hanno portato grande popolarità mondiale ai Satarial, formazione russa che sembrerebbe aver cambiato una lunga serie di generi nel corso della propria carriera e che in qualche modo riesce a far parlare di sè nel panorama underground. Mi è bastato un giro veloce sul web per capire che la musica non è sicuramente ciò per cui si sono fatti conoscere, e allora la domanda che sorge spontanea è: per che cos'altro dovrebbe essere famosa una band? La risposta è semplice, l'immaginario che si sono costruiti è incentrato sul binomio sesso-blasfemia, non è difficile immaginare quanto questo attiri l'attenzione, specialmente in ambito Metal. Per i più curiosi il sito è pieno zeppo di foto dei loro concerti.

Tornando alla musica, i due album qui recensiti sono "Tanz Mit... Tod..." del 2005 e il successivo "Latexxx" del 2006. Particolare la scelta di usare la lingua tedesca, ma band come Rammstein e Oomph! ci insegnano che si sposa bene con un certo sound. Nel primo dei due lavori troviamo infatti un Industrial Metal che porta alla mente i nomi appena citati in cui vengono inseriti Folk, Rock, voci femminili, un po' di tutto insomma; il secondo, invece, risulta molto più incentrato sull'elettronica, mantenendo comunque le influenze che li caratterizzano. Nei precedenti lavori hanno suonato anche Black Metal sinfonico, per cui non si può certo dire che facciano album tutti uguali; nonostante ciò la base è un puzzle sicuramente non innovativo ma talmente variegato da renderli riconoscibili nonostante i cambi di genere.
"Tanz Mit... Tod..." è veramente molto vicino alle band tedesche nominate in precedenza, non brillerà per originalità ma le melodie dei synth sono piacevoli, come anche le parti di voce femminile inserite qua e là; brani quali "Nachkommenschaften Der Rosses", "Brennen Das Leben" e la folkeggiante "Ruf Der Wolfen Blut" in chiusura divertono, riescono a intrattenere l'ascoltatore per tutta la durata del disco che comunque, fortunatamente, non è affatto lunga. Certo, c'è qualche alto e basso, non è un disco fondamentale, ma per passare una bella mezz'oretta ci può stare.
Per quanto riguarda "Latexxx", come già detto si passa ad un sound decisamente più elettronico: le chitarre passano in secondo piano, i synth diventano protagonisti con melodie spesso vicine al Folk e la batteria viene sostituita da beat in 4/4; la voce femminile in questo disco ha molto più spazio, è presente quanto quella maschile se non di più. Anche qui le tracce sono godibili e scorrono bene, da citare "Herr Mannelig", "Du Liebst Den Tod" e la conclusiva "Die Freiheit".
I Satarial ci mostrano così due delle loro molteplici facce, dimostrando di saper variare le influenze che compongono il risultato finale ad ogni lavoro; purtroppo manca qualcosa che faccia fare loro il salto di qualità, entrambi gli album sono senza dubbio godibili ma non reggono il confronto con altri nomi della scena Industrial. Chi apprezza queste sonorità li troverà piacevoli, l'ascolto è però consigliato solo ai fan del Rock/Metal più elettronico.
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Gruppo: Poison
Anno: 2006
Etichetta: Iron Pegasus Records
Contatti: www.iron-pegasus.com
Autore: ticino1
Tracklist
1. Sphinx
2. Lurking Fear (originally titled "Yog-Sothoth")
3. Slaves (Of The Crucifix)
4. Requiem / Alive (Undead)
5. Satan Commands
6. Zombie Dance
7. Angel Of Satan
8. Alive (Undead)
9. Wake The Dead
10. Witchfynde
12. Possessed (By Hell)
DURATA: 70:57
 Erano i tempi in cui il metal si ribellò al dominio dei blue-jeans e delle magliette strappate, fondando un fronte di resistenza armato di tanto cuoio, borchie e catene. Gruppi come Sodom, Destruction e appunto Poison sono parte della base che diede spunto alla musica e all'immagine di parecchi gruppi estremi che seguirono. La simbiosi fra questo fungo, con il suo micelio nascosto nelle profondità del terreno metallico, e radici oscure, favorì lo sviluppo dei germogli del black scandinavo e del death sudamericano.
I Poison furono il risultato, cosa sovente allora, del vento proveniente da alleanze infernali come Hellhammer e Venom. La voce di Virgin Slaughter, straziata e oscura, ne è forse la più chiara espressione.
"Into The Abyss" uscì originariamente sotto forma di demo nel 1987 e fu relativamente ignorato dal pubblico d'allora. Dopo vicissitudini legate a una raccolta di band tedesche pubblicata dalla Roadrunner, il gruppo si sciolse per mancanza d’interesse e di correttezza da parte dell’etichetta. Nel 1993 fu stampata una prima versione in vinile della citata demo che è oggi quotata a prezzi elevati sul mercato. La marca Iron Pegasus, in collaborazione con i membri del defunto mucchio selvaggio, riprese il materiale aggiungendo pezzi demo e live. Il risultato è degno di nota. Durante più di settanta minuti potete ripercorrere la storia di una delle squadre più sottovalutate e sfortunate della storia tedesca.
Più tardi Uli, il chitarrista, formò un’altra formazione poco conosciuta, R.U. Dead che incise qualche lavoretto. La raccolta di quelle registrazioni è stata pure pubblicata dalla Iron Pegasus.
La Iron Pegasus vi offre due versioni, una in vinile e una in CD. Quest'ultima è oggetto di questa critica. Contiene un libercolo di ben dodici pagine piene d'immagini d’epoca e un'intervista esclusiva con Uli.
Due cose risaltano ascoltando la parte dedicata alla demo: primo, la lunghezza dei pezzi. Quattro canzoni hanno una durata totale di più di mezz'ora; secondo, le piste sono piene di originalità e non pescano nei pentoloni di gruppi conosciuti. I pezzi sono variati e si sfilano durante l'ascolto come una collana di perle cui si è strappato il filo. Voi comunque non perderete il filo dell'ascolto. I titoli sono ben strutturati e viziano l'ascoltatore esperto.
I pezzi seguenti sono tratti da diverse registrazioni in parte inedite. La qualità sonora è qui e là scarsa ma, che cazzo… erano gli anni Ottanta! Il mio preferito di questa serie è "Zombie Dance", tratto da una sessione in locale di prova. La rabbia e l'aggressione ivi contenute terrorizzano e spaccano tutto!
Ho già letto su Internet commenti concernenti la formazione che ritengo a dire poco stolti. Alcuni osano, uso di proposito questo verbo, definire il suo lavoro come "scontato" o dire che "c'è di molto meglio", dimenticando il quadro in cui nacque la registrazione e la sua originalità. Queste sono prove chiare per dimostrare che questa gente non ha fatto i propri compiti in materia metal. Nelle loro mani, questo disco sarebbe una perla gettata ai porci.
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Gruppo: Vurtula
Anno: 2006
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/vurtula
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Epochs
2. Gothic
3. Infernal Fate
4. Una Strana Giornata
DURATA: 23:00
 Certe realtà della scena italiana non sono da trascurare, ma al contrario da supportare. Questo è il caso dei Vurtula, band canavesana che arriva nel 2006 alla pubblicazione della seconda fatica discografica dopo un primo album strumentale. Il loro sound è una miscela variegata di elementi power e progressive, che possono riportare alla mente alcuni tratti stilistici della scena settantiana. "Infernal Fate" in sole quattro canzoni mette in mostra tutte le capacità di questa band: se da una parte ci sono frequenti richiami a formazioni storiche, dall'altra viene anche sfoderata una buona dose di personalità artistica. La track d'apertura, "Epochs", è maestosa e capace di rinnovarsi grazie a soluzioni variegate e cangianti, che lasciano già intendere quale sia lo spessore della musica in questione. Se la successiva "Gothic" si può considerare il brano più fruibile e catchy del lotto, la title-track è forse la più progressiva con rimandi frequenti a formazioni del calibro di Fates Warning e Shadow Gallery. Chiude il disco "Una Strana Giornata", brano in italiano in cui si erge suprema la prestazione vocale di Max Clara e in cui i più nostalgici troveranno le maggiori strizzate d'occhio ai seventies. Dal punto di vista strumentale è ineccepibile la tecnica messa in mostra dai nostri: chitarre e tastiere si intrecciano formando melodie dolci o decisamente più tirate, a seconda dell'occorrenza, la batteria è sempre precisa e senza una sbavatura e il basso tesse le sue intricate trame ritagliandosi anche ampi spazi, decisamente graditi da chi scrive. Beh, che altro posso dirvi? Questa è una band che ha tanto da offrire e sarebbe decisamente ora che le label si svegliassero e dessero più occasioni a realtà di questo genere. Se siete amanti del power in stile Symphony X, i Vurtula potranno risultare un ascolto più che gradito, ma in ogni caso io un giro sullo space di questi ragazzi lo farei, se fossi in voi: non ve ne pentirete!
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Informazioni
Gruppo: Millenium
Anno: 2006
Etichetta: Lynx
Contatti: www.millenium.art.pl - www.myspace.com/milleniumpoland
Autore: Mourning
Tracklist
1. Numbers
2. Night Voice In My Head
3. Wishmaker
4. Political Hero
5. Alone In Fame
6. Back To The Childhood
7. Family Play
8. Talk To Aliens
9. Help The People
10. ...And The Big Dream Of Mr Sunders
DURATA: 58:03
Ultimo capitolo della saga dei tre fratelli Daniel, Adrian e John, con "Numbers And The Big Dream Of Mr Sunders" il concept sui sogni e la vita che si vorrebbe intraprendere grazie alla realizzazione dei propri desideri conclude fornendoci le informazioni che completano il circolo iniziato con "Vocanda" nel 2000 e proseguito da "Interdead" nel 2005.
L'album mostra la formazione del carismatico singer Lukasz Gall e del tastierista/produttore Ryszard Kramarski in una veste non lontana da quella conosciuta con le passate release, il suono gode sempre delle reminiscenze di matrice floydiana, c'è una solida alleanza fra la chitarra e il lavoro di synth e i brani scorrono senza il minimo intoppo soprattutto nella prima parte dall'opener "Numbers" a "Political Hero".
I Millenium in queste quattro tracce, oltre a mettere in evidenza la voglia del personaggio (John) di conquistarsi un ruolo nella società, desiderando una soluzione a problemi non solo coinvolgenti la propria sfera personale, portano in musica l'umore che varia esaltandosi e spegnendosi come colpito da una gioia o una delusione improvvisa.
Desiderare è pur sempre un'azione sfuggente, né si ha il controllo quando si pronuncia il desiderio che si spera venga realizzato ma se poi prendesse realmente forma riusciremmo a controllarne gli eventuali e dovuti sviluppi?
Ciò che è sicuro è che le note suonate alle volte stranianti, altre dolciastre intrise d'incertezza non collimano alla perfezione con la parte testuale che ogni tanto sembra andare a un ritmo emotivo differente slegandosi dalla partitura sonora, si nota quindi un calo di partecipazione sensoriale particolarmente nella fase centrale del disco.
Tale mancanza verrà riassorbita quando lo strumentale "Talk To Aliens" verrà ad impattare il nostro orecchio e le conclusive "Help The People" e "...And The Big Dream Of Mr Sunders" tornerranno a rialzare la testa trasmettendo un feeling costante.
E' un lavoro abbastanza equilibrato, le canzoni non la tirano per le lunghe inserite in modo che il percorso espresso dalla tracklist diventi un'unica via da vivere senza pause, risultano accattivanti i temi strumentali che ne formano l'ossatura e qualche variante inaspettata che potrebbe portarvi a mente il nome dei Tangerine Dream o le prove chitarristiche di Alan Parson.
Non è forse il miglior platter del combo ma si difende con gli artigli "Numbers And The Big Dream Of Mr Sunders" mettendo in tavola carte semplici ma che rendono l'ascolto piacevole, di compagnia e che come costante della band gode di una produzione che rasenta la perfezione.
Se amate quindi il neo-prog o avete avuto già la fortuna d'incrociare questi musicisti non avrete nessun problema a passare quasi un'ora con una prova simile che gira nel vostro stereo.
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Informazioni
Gruppo: Sea Of Bones
Anno: 2006-2007
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Mourning
Tracklist
Grave Of The Mammoth
1. Chapter I
2. Chapter II
3. Chapter III
The Harvest
1. Chapter IV
2. Chapter V
3. Chapter VI
DURATA: 1:25:20
 La formazione americana dei Sea Of Bones suona uno sludge/doom talmente opprimente e ronzante che citare il funeral e il drone come generi in affiancamento è quasi un obbligo, la cosa strana è che si presenta più volte una situazione atmosferica sì estremamente nera ma che può essere paragonata a quell'intensa coltre nervosa che alcune realtà post-metal del calibro di Isis o Pelican riescono a sollevare.
 Ho preso la decisione di esaminare i loro due lavori all'attivo in un'unica botta in quanto la composizione e le tracklist come noterete creano una successione numerico romana ordinata, un percorso pesante come un macigno teso a schiacciare l'ascoltatore.
Certo il primo demo "Grave Of The Mammoth" era ancora in fase larvale, la band stava provando e ricercando una via propria, l'effetto della produzione caotica e altamente ridondante è già un marchio che fa presagire una susseguente evoluzione in tal direzione.
I tre brani sono robusti, grevi ma ancora relegati a una costruzione alquanto standard che non li fa uscire da quel limbo del già sentito che non dispiace ma che sul lungo corso necessità per forza di cose di trovare una dimensione alternativa.
E' "Chapter II" la regina del lavoro, possente sferra dei colpi ben assestati con chitarre maceranti e in più tratti ossessive sorrette da un drumming che manca ancora di dinamicità e al tempo stesso riesce a mantenere viva l'attenzione con uso dei cimbali costante esaltando però il lato riflessivo nelle pause a regime quasi pari allo zero.
Come detto antecedentemente però la produzione oltre a creare quel marchio di fabbrica che prenderà pieno valore in "The Harvest" nel suo confusionario lavoro affossa il basso, tiene la voce a distanza lasciando che in parte la batteria e le sei corde possano essere percepiti al meglio, il che fa perdere molto nell'impatto generale alle tracce.
L'uscita dell'album segna una svolta in positivo sia per la natura compositiva sia per quanto riguarda la cura del sound in genere da parte dei Sea Of Bones, le tre canzoni contenute in "The Harvest" si percepisce subito siano farina del buon sacco precedente ma è la riuscita complessiva che dona loro maggiore intensità e fruibilità all'orecchio.
Il platter arranca, si trascina con un incedere cupo, denso, non vi sono infiltrazioni di luce che possano insediare un'anima che nel fango affonda le sue radici pressando e compattando l'ascoltatore con singole note e semplici accordi alternati ripetuti in maniera ossessiva.
Si nota fin da subito che il batterista ha cambiato marcia, i pattern di batteria, per quanto non prendano quasi mai velocità considerabili sostenute, sono molto più elaborati e dotati di una dinamica sveglia e pimpante che supporta il muro di chitarre esponenziandone la pressione esercitata, lo stesso basso per quanto più simile a un continuo fragore che si dilata si presta a essere assorbito per riprendere a urlare rocamente l'attimo successivo.
Lo scream roco adesso è udibile e si ritaglia con tenacia lo spazio che gli compete, ogni fraseggio o schema è ben studiato e ormai collaudato trovando soluzioni adesso al limite fra il conosciuto e la strada propria, è evidente come una personalità che si sta delineando cerchi a più riprese di rimarcare la propria presenza per non scivolare sulla scelta più ovvia da farsi, dimostrazione n'è la virata sonora rapida e inconsueta che comparirà in "Chapter V", episodio che incarna perfettamente il salto qualitativo in avanti della band.
Il gorgo che la musica forma è ciclicamente devastante e se come pecca si potrebbe far notare una batteria che leggermente più alta come volume avrebbe potuto influire ancor più in fase di assestamento del tutto, in fin dei conti il risultato è più che discreto.
I Sea Of Bones sono in crescita, non mi resta quindi che consigliare l'ascolto di questi due lavori agli amanti delle sonorità più profondamente doom, vale la pena seguirli nell'attesa che sfornino un successore a quanto già regalatoci.
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Informazioni Gruppo: Mysterium Iniquitatis Anno: 2006 Etichetta: Autoprodotto Autore: Akh.
Tracklist 1. Assideramento 2. Demolizione Dell'Io 3. Cold Galaxy, My Despair 4. Disfacimento Del Cosmo
DURATA: 25:43
Secondo lavoro di questo progetto trevigiano. La differenza principale rispetto al precedente è l'inserimento di strumenti elettrici in alcuni frangenti, ma che non stonano anzi vanno a risaltare ed evidenziare i sentimenti e i concetti che gli autori hanno intenzione di ricreare.
L'iniziale "Assideramento" ne è l'esempio piu marcato; dopo un'introduzione ambient molto sottile si inserisce una chitarra che mi riporta a mente gli ottimi e mai troppo menzionati In the Woods... dell'epoca di "Omnio", si manifesta un'atmosfera melodica molto pronunciata, sognante, leggera e raffinata, ma al contempo ossessiva ed ipnotica che perdura per tutta la durata del pezzo.
"Demolizione Dell'Io" è il brano piu corto dell'album, un pezzo Dark Ambient che anestetizza l'interlocutore portandolo dritto dritto a "Cold Galaxi My Despair". Questo brano riabbraccia al suo interno il filone Ambient/Black Metal (a mio modo di vedere è il brano piu scuro e duro del disco), ad una prima parte molto profonda e bassa si passa ad una sezione abbastanza aperta, dove nuovamente le chitarre dominano con accordi molto inclini ad una melanconia molto marcata, per poi cambiare in maniera drastica e cupa in un mood tetro e disperato dal suono quasi rotto, mentre la chiusura mi riporta a mente la rarefazione di un pezzo come "Tomhet". "Disfacimento Del Cosmo" chiude quest'opera, un altro pezzo Dark Ambient, dove gli archi appaiono per poi sparire immediatamente ma fondendosi con la base in maniera suggestiva, pezzo dilatato ma evocativo, che insinua un tratto quasi epico, celestiale, che fa da contraltare al concetto della canzone stessa.
Un plauso anche all'ottima copertina, che riproduce le atmosfere che si respirano in alcuni punti di questo "Cosmos".
Complimenti vivi a questo progetto, hanno tutte le carte in regola per crescere ed osare ulteriormente!
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 Informazioni Gruppo: Mysterium Iniquitatis Anno: 2006 Etichetta: Autoprodotto Autore: Akh.
Tracklist 1. Human Creation 2. Astral Suicide 3. Machine Abomination God 4. Unchained AntiMateria 5. Human Extinction
DURATA: non disponibile
Mysterium Ini quitatis gruppo nostrano, dedito a soluzioni elettroniche e ambient, si presentano con un mini concept "Elohim's Ascension".
Il suono è una ricerca personale, dove si intende ritrovare l'equilibrio fra il dolore e il cinismo, una realta' fredda si propaga immediatamente con l'opener "Human Creation", dove sembra che l'umanita' sia solamente un freddo contributo al piano del Kosmos. La seguente "Astral Suicide" si cala in un tunnel cosmico dove il freddo continua a segnare la strada di questo concept, suoni dilatati parlano di un infinito che solo in determinati stati d'animo è possibile ritrovare, pezzo davvero notevole. Un po' di calore si intravede, quasi per paradosso in "Machine Abomination God", dove un cello pero' da forma ad un intreccio oscuro, che si miscela con somma lentezza alla morte, per ritrovarsi di fronte alla stessa entita' elettronica che da vita a tutto questo viaggio. "Unchained AntiMateria" ha un ritmo portante da marcetta marziale, disturbato da distrazioni elettroniche, che cozzano metaforicamente fra le due correnti energetiche, tornando ad una desolazione di fondo che da sempre si sente in questo lavoro e che è il vero trademark di questo concept. Chiude "Human Extinction" piccolo delirio, che manifesta la volonta' di andare oltre questo stato di cose.
In definitiva un prodotto particolare fatto con un trasporto e al tempo medesimo una cinica lucidita', dove non c'è spazio per la follia della vita.
Rivolgo i miei piu' sentiti complimenti a Minstrell e al suo progetto, per aver saputo creare tanta glaciale visione. Un viaggio astrale dove il buio è l'unico panorama possibile!
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Informazioni Gruppo: Tears Of Mankind Anno: 2006 Etichetta: Stygian Crypt Productions Autore: Mourning Tracklist: 1. Without Hope 2. Eternal Sadness 3. Deep Inside The Silence 4. Theme of Laura 5. Emotion Oblivion 6. From Dark To Light 7. The River 8. Never 9. Through The Storm 10. The Winter Dance 11. Sweet Harmony DURATA: 01:13:23 Partorito dalla  mente del musicista e compositore russo Philipp Skobelin e prende il via effettivo, dopo una sfilza di demo arriva al traguardo/debut nel 2006 con questo "Without Ray Of Hope". Un disco di doom con tratti gotici e inserti orchestrali che l'abbelliscono, un lavoro alquanto semplice nell'essenza ma non per questo di poco valore anzi il suo essere così orecchiabile, di facile assimilazione e dolce compagnia lo rende un buon disco da metter su quando si ha voglia di relax. I brani registrati per intero nello studio/home dello stesso Skobelin sono compositivamente validi, riescono il più delle volte a colpire l'ascoltatore con soluzioni facili ma mai troppo scontate, dotate di una qualità sonora non indiffente. Ha una buona dimestichezza con la totalità della strumentazione e dove lui non arriva ci vorrebbe un vocalist a dar una mano per le parti in clean anche che certamente potevano esser meglio affrontate. Tracce come "Eternal Sadness" pesante con le sue chitarre down tuned o la lunga e malinconica "Deep Inside The Silence" mostrano le varie sfaccettature che i Tears Of Mankind sono capaci d'offrire agli ascoltatori passando da arpeggi sospirati a l'uso d'un organo ad acuire la profondità a un riff pesante che riprende quella dell'episodio appena trascorso. "Theme Of Laura" è una cover voi direte di chi? e me lo sono chiesto anche io sino a quando spulciando nel booklet ho scoperto essere un tema tratto dalla colonna sonora di "Silent Hill" composto da Akira Yamaoka a cui sono state aggiunte le vocals, alquanto piacevole come cosa. Minacciosa si pone "From Dark To Light" con variazioni quasi arabeggianti e linee melodiche sinuose che si alternano a momenti più serrati con un cambio vocale growl/scream to clean e le backing vocals femminili ad arrichirne l'andare, bello l'inserto di synth dal gusto quasi ambient per lo spessore che infondono alla traccia. Ci sono poi "The River" folkish, "The Winter Dance" un connubio perfetto di chitarre sprezzanti e passaggi acustici e la conclusiva "Sweet Harmony" in cui un'orchestrazione emotiva scandisce le note che porteranno a termine il disco. Si parla di un debut, un buon debut, le piccole pecche sono state corrette nei lavori che verranno a seguire ma che vivono delle basi che "Without Ray Of Hope" ha fornito loro. Philipp e la sua musica meritano attenzione dai cultori del genere, nella sua non innovazione ma personale visione dello stile troverà le chiavi per accedere alle vostre emozioni.
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 Informazioni Gruppo: Last Minute To Jaffna Anno: 2006 Etichetta: Autoprodotto Autore: Advent
Tracklist 1. Down 2. Heating The Blood
DURATA: 23:39
Realtà come i Last Minute To Jaffna cercano di nascere come i funghi ogni giorno, dopo che nel mondo della musica è scesa la pioggia post-qualsiasicosa, gruppi che propongono misture varie (spesso inconcludenti) con tinte atmosferiche spuntano a migliaia, insomma, tante e tante risposte ai Cult Of Luna, Isis e Neurosis. Pochi sanno trovare la differenza tra tutte queste "sorelle minori", prendiamo la band in questione, torinese, dichiaratamente appartenente all'ultima scena core, come può essere diversa e quindi migliore degli altri gruppi fotocopia-post? Ascoltiamo il loro primo lavoro, autoprodotto, un EP del 2006, un cosiddetto Promo che mette in luce con due lunghi brani le loro iniziali potenzialità. La formula è quella più che abusata post-metal, dove da una cappa densa di vapore saturo escono emozioni che in questo caso non appesantiscono l'EP. Anzi aumentano, propagando ovunque reminescenze di una molteplicità di generi con i loro downtempos. "Heating The Blood" presenta un intro di richiamo stoner la quale senza risultare troppo derivativa va riscaldando le nostri menti, una melodia sognante che con una scossa viene distorta. La parte vocale alla Nothingface di stampo nu e core non da alcun fastidio all'ascoltatore più aperto, anzi, si intona perfettamente con gli altri strumenti, esempio lampante: "Dawn", appunto Alba, è una traccia da definirsi "piena"; un cantante che contrae la proprie corde vocali dapprima irrobustendole, con una parlata carica di tensione poi le scioglie con screams plasticosi che però si intrecciano bene con il primo impatto vocale, finendo con growls rabbiosi e duraturi. Duraturo, non c'è aggettivo più calzante di questo per quello che i Jaffna mettono in campo, tanti semi sparsi per la terra di ogni canzone, sepolti e stimolati con impegno e precisione dalla pioggia dei loro concitati musicisti, i fiori sbocciati alla fine sono colmi di un nettare dolce, che soddisferà come la pappa reale gli amanti del post-metal, azzeccati.
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Informazioni Gruppo:Dead Alone Anno:2006 Etichetta:Self-Released Autore:Mourning Tracklist: 1. Slivering Marrow 2. Guilty? 3. Angels in the dust 4. Sick society 5. A lifetime away 6. For you 7. Nightmare 8. Deathwish 9. Living Dream 10. Existence 11. Escape from reality DURATA: 44:15 Nel 2006 i D  ead Alone autoproducendosi rilasciano il loro primo disco successore del demo "Inhumanity". E' un death metal che punta molto sulla ritmica e su basi cariche di groove, una creatura non ancora del tutto matura che sopperisce momentaneamente ad una mancanza di forma chiara con una massiccia carica adrenalinica e che ogni tanto lascia intravedere sprazzi di personalità. I brevi passaggi che tendono a spezzare la costante e portante onda esplorando il lato più riflessivo denotano una ricerca che prova a uscire dalla schematicità ancora insita nelle composizioni, non sempre vi riescono ma il tentare è già sintomo di voler crescere e guardare oltre. Brani come "Angels In The Dust", "Sick Society", "Nightmare" e "Living Dream" rappresentano le chiavi di volta in versione primordiale del sound che verrà sviluppato nel successivo e maturo "Phobia". Così come "For You" straniante rispetto all'intero platter per la sua vena più addolcita e l'inserto di voci femminili in "Deathwish" che torneranno utili alla formazione proprio per la fase evolutiva della loro proposta. La produzione curata dagli stessi ragazzi non è male, avrebbe avuto forse bisogno di una spinta in più nella coralità degli strumenti, pecca è che alle volte le voci corali di contraltare risultano offuscate ("Escape From Reality"). Non si può negare la loro voglia di esporsi con conseguente spesa di tempo e denaro nell'affrontare l'autoproduzione (pratica ormai sempre più frequente). Un primo passo per una band che troverà il suo quadrare col tempo, iniziando a conoscerli dalla radice "Silvering Marrow" ne potrete apprezzare la crescita e farvi una chiara impressione sul loro stile.
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Informazioni
Gruppo: Hakenkreuz Nocturna
Anno: 2006
Etichetta: Algiz Art Productions
Autore: Cupra
Tracklist:
01. A New Dawn
02. November Sky
03. Dying For Ever
04. L'Ultimo Giorno
05. Illusione Di Esistenza
06. Eternal Introspective Winter
Tape version by After Many Funeral comes with bouns track "Winter Solistice"
DURATA 49 : 44
Un viaggio ver  so terre incontaminate, inospitali e misteriose. Quando la natura richiama l'uomo al suo posto, per scendere dal suo falso trono alimentato spesso da falsi idoli religiosi, rivendicando ciò che gli spetta.
"Eternal Introspective Winter" è tutto questo e molto di più. Dopo il demo "Pure Need Of Hate" targato 2005, gli Hakenkreuz Nocturna rilasciano questo full lenght di incontaminato Black metal, in cui le sonorità glaciali e aggressive lasciano emergere un profondo senso di venerazione e ammirazione per Madre Natura e per quello che riesce a suscitare negli animi sensibili nella sua veste invernale.
Sin dalle prime note dell'opener "A New Dawn" ho sentito l'eco di band come Odal e Bilskirnir: un riffing crudo e primordiale che serba una maestosità che si approssima a quella dei paesaggi aspri che hanno ispirato gli Hakenkreuz Nocturna. Lo screaming di Agast è abrasivo e quasi animalesco mentre narra le arcane visioni che si levano in ogni rituale. Infiltrazioni malinconiche si manifestano in "November Sky", brano carico di pathos e di una progressiva ascendenza emotiva che lo rende sublime nel suo alternare melodie agghiaccianti a motivi di carattere nostalgico. Fosca e dall'atmosfera surreale "Dying For Ever", i cui riffs di chitarra sembrano riprodurre le movenze di una bufera di neve per poi arricchirsi di sonorità più intimiste e "notturne"; emozionante "L'Ultimo Giorno", traccia interamente Dark Ambient che mescola sapientemente soluzioni eteree e passaggi arcani e tetri.
"Illusione Di Esistenza" e la conclusiva "Eternal Introspective Winter" sono, a mio avviso, gli apici compositivi dell'album, in cui il tempestoso ed ostile scenario esterno funge da catarsi per lo spirito. Accordi suonati con una furia primordiale vengono interrotti da arpeggi sinistri dall'incedere quasi mistico. Le note sono cariche di sfumature malevole e cangianti che rivelano trame toccanti e grigie, senza per questo annegare nella passività: nonostante le atmosfere raggelanti e vorticose, tutto è permeato da fierezza e impeto.
“Eternal Introspective Winter” è un gelido capitolo di crudo Black metal che, senza tanti “artifici” e soluzioni cervellotiche come tanto in voga oggi, riesce a coinvolgere profondamente chi lo ascolta, come un rituale che si amplifica attraverso “lo specchio” della rigida ed ostile stagione invernale.
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Gruppo:Crawling Quiet
Anno:2006
Etichetta:Self-released
Autore:Mourning
Tracklist:
1. Rising From The Sea
2. Lies
3. Sacrifice
4. Things Left Unsaid
5. Rape The World
6. Wanna Be Me
7. Shut You Out
8. Crawling Quiet
9. Death Is A Gateway
10. Slowly Changing
DURATA: 46:23
I Crawling Quiet nascono come creatura solo project del canadese Mark Trudeau (chitarra, basso e voce) che per questa sua prima release omonima si avvale della collaborazione di Louser Beetscine (batteria).
Quello che ne scaturisce è uno strano connubio di thrash, sonorità groovy tendenti a richiami stoner e una forte scarica adrenalinica di matrice rock e punk.
Il sound è caldo, avvolgente in certe parti rimembra act come i Fu Manchu del grandissimo Scott Reeder, in altre sembra invece tendere più al southern.
E' una miscela alquanto strana, pesante, che però riesce in alcuni punti a prendere il verso giusto risultando trascinante.
Sono i brani in cui l'animo si lascia andare più al selvaggio, una caciara voluta che rende l'atmosfera elettrica vedasi "Sacrifice", "Rape The World", "Wanna Be Me", "Death Is The Gateway" che mostrano una voglia di colpire libera e senza confine.
Capitolo a parte per la titletrack "Crawling Quiet", dissonante e malsana par far rivivere un animo compositivo distante ormai decenni e decenni dall'odierno pulito e plastificato prodotto.
La prova di Mark è interessante per il buon gusto con cui sciorina riff (molto pregevoli gli stacchi acustici), solos e per il modo in cui slancia la sua vocalità alterata, graffiante, sbilenca alle volte ma calzante come un guanto.
Col basso fa un lavoro di fino e buona compagnia senza strafare, ordinato.
D'altro canto Louser presta alla release i suoi servigi in maniera più che degna non facendo cose dell'altro mondo ma fornendo quel giusto apporto che permette ai pezzi di star su senza soffrire troppo.
La produzione polverosa, rozza, granulosa quadra con l'ottica espositiva di un Trudeau che sembra voler demolire l'ascoltatore con la pesantezza del suo suono.
"Crawling Quiet" è un disco che difficilmente potrà entrare nel cuore dei conservatori o integralisti, ha bisogno di una mente aperta che lo esamini, che goda della parte metal quanto di quella più rock, l'una non può escludere l'altra.
E' questa l'unica chiave d'accesso che ne permette l'ascolto in maniera obiettiva e da cui si può trarre guadagno pieno da un album che vive di esplosioni adrenaliche continue.
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Informazioni
Autore: Bosj
Anno: 2006
Etichetta: Tabu Recordings
Gruppo: Funeral
Tracklist
1.This Barren Skin
2.From These Wounds
3.The Architecture of Loss
4.Red Moon
5.Vagrant God
6.Pendulum
7.Saturn
DURATA: 57:18
Creatura instabile, i Funeral: nei suoi quasi vent’anni di esistenza non si è solo accontentata di gettare le basi per quello che oggi è un genere più che vivace quale il funeral doom, ma, avvicendandosi attraverso numerosi e repentini cambi di formazione (complice anche la prematura scomparsa di diversi membri), ha anche partorito uno dei dischi doom/death più belli di sempre. From These Wounds è infatti uno dei picchi del genere tutto, che lungo le sue sette massicce tracce trascina lo sventurato ascoltatore in un vortice di melodico mal de vivre. A partire dalla soffusa This Barren Skin, brano dove Kjetil Ottersen (all’epoca chitarrista, tastierista e maggior compositore della band) fornisce un laconico supporto alla ricercate liriche di Frode Forsmo, fino alla conclusiva Saturn, questo pugno di canzoni, nonostante il massiccio incedere tipico delle sonorità in questione, scivola leggero e sorprendentemente scorrevole, tanto che ci si ritrova al termine dell’album senza aver accusato alcuna noia, solo tanto, tanto sconforto.
La titletrack, ad esempio, con il suo riconoscibilissimo riff e la pregevole alternanza ritmica tra tempi lenti e più accelerati, riesce ad infondere uno strano malessere, una consapevolezza di qualcosa che non funziona in questo mondo, in questa società deviata.
Ancora, Pendulum ci propone un Forsmo al suo apice, in grado di modellare la propria voce, sempre rigorosamente pulita, passando senza problemi da toni bassi e vellutati a più incisive e marcate interpretazioni, sempre vertenti su tematiche in cui la morte, la pochezza della vita e la difficoltà nel trovare un senso alla stessa sono protagoniste indiscusse.
Complessivamente, i cinquanta minuti di From These Wounds riescono ad amalgamare alla perfezione il mastodontico riffing chitarristico che è lecito aspettarsi con trovate invece molto più particolari dovute all’intervento del già citato Ottersen, che non pago degli sforzi profusi si occupa in questa sede anche dei mai invadenti inserti elettronici, contorni che vanno a perfezionare un disegno ispiratissimo nella sua semplicità; sicuramente la prova migliore del pionieristico gruppo dai suoi esordi ad oggi, il che è tutto dire.
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