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lunedì 25 marzo 2013SÓLSTAFIRInformazioni Autore: Bosj Traduzione: Bosj Formazione Aðalbjörn Tryggvason - Voce, Chitarra Guðmundur Óli Pálmason - Batteria Svavar Austman - Basso Sæþór Maríus Sæþórsson - Chitarra Ho dovuto superare qualche problema logistico, ma sono riuscito a fare una breve chiacchierata con Guðmundur prima e Aðalbjörn poi dei Sólstafir, subito dopo l'esibizione di Milano, tra un sorso di vino rosso e l'altro, all'interno del tourbus. Una cosa veloce, era mezzanotte e mezza di un lunedì notte e la band si stava rilassando dopo il concerto (eccessivamente breve), ma ho avuto la possibilità di disturbare i due cowboy islandesi con un paio di domande. Ecco cosa è saltato fuori. La vostra prima impressione della serata? Guðmundur: Oh, è stato molto bello, la gente ha partecipato molto, anche se il locale non era pieno, non importa. È anche lunedì sera. Guðmundur: Già. C'è stata un'ottima reazione e questo è l'importante; il pubblico cantava durante le canzoni e così via... Sì, dopo "Fjara" la gente è andata avanti a cantare, c'era un bel coro. Guðmundur: È stato molto bello [ridacchia]. È la vostra prima volta in Italia? Da che ricordi non passavate di qua da un po'. Guðmundur: No, in realtà non è la prima volta, ma è solamente la seconda; la prima fu nel 2010. Capisco... Questo era il mio terzo concerto dei Sólstafir, ma entrambi gli altri sono stati durante grandi festival estivi: quali sono le differenze tra queste due diverse tipologie di esibizione? Folle oceaniche, palchi enormi, e posti stretti e numeri piccoli come questa sera. Guðmundur: Probabilmente la più grande differenza è che i luoghi piccoli sono molto più energici. Sai, puoi riuscire a vedere le persone nella prima fila, a solo qualche metro di distanza. Quale delle due trovi sia più adatta alla vostra musica, al vostro modo di intenderla? Guðmundur: Non saprei, a me piacciono entrambe. Mi piace suonare ai grandi festival, ma anche nei piccoli locali, a noi suonare piace sempre. E sarete in tour per un po' ora... Ma poi? È passato del tempo dall'uscita di "Svartir Sandar" ormai... Guðmundur: L'idea è di suonare a qualche festival estivo, poi, a settembre, speriamo di fare un tour da headliner. Lo sto solo dicendo, per ora non c'è niente di confermato. Poi vogliamo scrivere del nuovo materiale, una volta tornati a casa. Speriamo di avere un nuovo album in uscita all'inizio del 2014. State già scrivendo qualcosa ora durante il tour? Siete il tipo di band che scrive musica sul tourbus? Guðmundur: No, no, dobbiamo chiuderci nella nostra sala prove per cinque, sei, otto ore al giorno e vedere cosa esce. È così che scriviamo. E quali sono le vostre maggiori influenze? Dal vostro debutto "Í Blóði Og Anda" la vostra proposta è cambiata non poco: cosa si è modificato nelle vostre menti, nelle vostre vite, per permettervi di arrivare a questo punto? Guðmundur: Sai, quando abbiamo iniziato avevamo sedici anni, mentre ora siamo nel pieno dei trenta. Tutto è cambiato nella nostra vita. Non l'abbiamo mai visto come un "grande passo", è sempre stato tutto un processo molto naturale... [ci pensa un po'] Sì, non lo so proprio. Abbiamo sempre suonato soltanto ciò che volevamo. Quindi è tutto venuto fuori dalla sala prove. Guðmundur: È così. Non mi viene in mente nulla di particolare, non c'è un quando, un come o un perchè. È tutto naturale. Siete una band abbastanza particolare, la vostra musica è molto personale: ricordo che l'estate scorsa al Brutal Assault vi siete presentati come la più lenta e "morbida" band dell'intera manifestazione. Come vi sentite quando suonate in un festival dove ci sono Immortal, At The Gates e poi i Sólstafir con la loro musica "diversa"? Guðmundur: È bello. Sai, soprattutto ai festival, puoi ascoltare gruppi death metal per un giorno interno, poi arriviamo noi. La gente di solito apprezza, può fare un attimo di pausa dalla roba più brutale. Quindi, alla fine, anche se non c'entriamo molto, c'entriamo sempre. [All'improvviso un alticcio Aðalbjörn entra nel tourbus, prende posto di fronte a noi e partecipa alla conversazione.] Aðalbjörn: Ho visto questo tizio che piangeva e gli ho chiesto: "che cazzo stai facendo?". Stava piangendo ascoltando dei testi, testi d'amore. Un uomo adulto che ti piange di fianco per problemi di donne. Che caz... L'ho abbracciato, cazzo. Non potevo mica lasciare il povero bastardo da solo, no? Poi è tornato da me, lo stesso tizio, sai, col cuore spezzato... [mugugna qualcosa che non riesco a capire] Beh, posso capire il poveretto. Io stesso ero qui con la mia ragazza. Penso che i Sólstafir siano adatti per essere ascoltati anche in compagnia della propria ragazza. Mi spiace per lui. [Aðalbjörn mi fissa come se avessi appena detto la stronzata del secolo, poi indica il registratore] Aðalbjörn: Sta registrando? Spero di sì, altrimenti quando trascriverò tutto non mi ricorderò nulla. È un problema? Aðalbjörn: No no, assolutamente. [Si gira verso i Sahg, i quali badavano agli affari loro dall'altro lato dell'autobus] Aðalbjörn: Ragazzi. Zitti. Vi state divertendo in tour? Vi annoiate? Insomma, come sta andando? Guðmundur: Ci stiamo divertendo molto, i ragazzi sono tutti molto simpatici... Aðalbjörn: Sai, durante il primo soundcheck del tour abbiamo distrutto una Les Paul. È cominciato davvero bene. Per fortuna Dave [Jordan, NdA] dei Long Distance Calling, il nostro tecnico delle chitarre, è riuscito a recuperare tutto l'equipaggiamento, chitarre comprese. [A questo punto Guðmundur mi lascia con il suo compare e torna all'esterno, mentre la conversazione continua] Ho fatto questa domanda perché lo scorso anno Anders [Nystrom, NdA] dei Katatonia disse che essere in tour era molto difficile, perché a parte quell'ora e mezza al giorno in cui suoni, le rimanenti ventidue sei ancora lontano da casa. Aðalbjörn: Sottoscrivo. Oggi in particolare. Oggi i minuti sul palco sono stati quaranta e le restanti ventitré ore e venti minuti le abbiamo passate lontane da casa. Decisamente posso sottoscrivere. ["Sottoscrivono anche i Sahg!" aggiunge Thomas dei Sahg, causando risate generali] Aðalbjörn: Comunque sia, è tutto molto vero, ma, beh, fa parte del gioco. Quindi, così sia. E poi potete godervela, comunque. Aðalbjörn: Sicuro! [molto entusiasta] Viviamo per questo! Suoni quaranta minuti o due ore, non cambia niente, è comunque la ragione di tutto. Ricordo di aver letto questa storia di un tour manager dei Mötley Crüe che era davvero preoccupato per loro: si chiedeva come cazzo facessero ad andare avanti così. Lavoravano novanta minuti al giorno, e il resto del tempo erano fottutamente distrutti. È difficile svegliarsi al mattino, cercare di stare bene. Sono sempre preoccupato per la mia voce: stasera per quaranta minuti ha retto, ok. Fare un buono show è comunque la cosa più importante. Noi beviamo sul palco, sì, ma non iniziamo mai già ubriachi. È come una regola. Non salirei mai sul palco ubriaco. Ho trentacinque anni e non pagherei un centesimo per vedere suonare gente sfatta. È patetico. Può essere divertente a sedici anni, poi basta. Dopo aver suonato posso distruggermi, ma non prima. Avete una filosofia. Ricordo che i Nevermore delusero i fan più di una volta a causa delle loro esibizioni rovinate dall'alcol. Aðalbjörn: È un atteggiamento stupido, sono d'accordo. Sai, non abbiamo molte regole nella band. Non suoniamo mai con bassi a cinque corde o chitarre a sette, si fottano, e non saliamo mai sul palco ubriachi. Ultima cosa, non decidiamo mai in anticipo che musica scrivere. Semplicemente, prendiamo quello che viene. Sì, Gummy mi stava dicendo che la sala prove è il luogo in cui tutto prende forma. Aðalbjörn: Esatto. È come una fottutissima antenna radio. Qualsiasi cosa viene trasmessa, la ricevi. È la chimica dell'essere in una band. Se fossi un artista solista, assumerei dei turnisti e quelli non sarebbero i Sólstafir. Quando si è in quattro, ci deve essere una parte di magia. E quella magia è l'essenza della band. Quindi, Gummy mi stava dicendo dei vostri piani, date estive e così via, e ha suggerito in qualche modo un tour da headliner. Aðalbjörn: Beh, lo dobbiamo ai nostri fan, saremmo felicissimi di farlo, ma... [con aria sconsolata] Diciamocelo: l'Italia non è la nostra meta primaria. Lo so. Mi spiace sentirlo, ma lo capisco. Aðalbjörn: È un dato di fatto. Ovviamente ci piace venire qui e i fan sono fantastici, ma costa un sacco di soldi organizzare tutto. Quando voliamo in Germania, per esempio, è un paradiso, è la Mecca. Lo so, durante l'estate devo andare in Germania, o comunque nell'Europa centrale, per poter trovare un festival. Questo era il mio terzo concerto dei Sólstafir, ma il primo in Italia. Aðalbjörn: Il punto è: stiamo facendo due o tre tour ora e suoniamo quaranta minuti. Vogliamo tornare e suonare per novanta minuti, soprattutto in Germania, Austria, Svizzera. C'è stata un sacco di richiesta dalla Francia, perchè abbiamo un'etichetta francese. E un sacco di dannatissima richiesta anche dalla Polonia. E in Scandinavia, ovviamente. Come ho detto, adoro venire qui, ma una piccola band non può organizzare dieci date in Italia, perché ci perderebbe un sacco di soldi. Non possiamo permettercelo. E non puoi nemmeno aspettarti di avere una band che suoni sotto casa, quindi, se sei un fan, ti tocca viaggiare. I ragazzi oggi non comprano dischi, difficilmente vanno ai concerti e alcuni dicono "fanculo amico, fai già abbastanza soldi", ma non è vero. Se non guadagniamo, non possiamo creare musica. Ti piace una band? Supportala. Eh, la webzine per cui scrivo è molto contraria al "digital delivery" e cose del genere. Pensiamo che se davvero ami un gruppo, dovresti dargli qualcosa. La band ti dà la sua musica, tu in cambio cosa fai? Aðalbjörn: Esatto! Al momento noi viviamo sulla vendita delle magliette, perchè oggi ancora una maglietta non puoi scaricarla da Internet. ["In realtà puoi scaricare anche le magliette, oggi", afferma Thomas dei Sahg.] Aðalbjörn: Thomas, stai zitto, cazzo. I ragazzi poi iniziano a scherzare riguardo l'essere o non essere gay, riguardo a chi è il più bello del pullman e via dicendo. Non voglio rovinare un'immagine così adorabile, quindi mi limito a chiedere un autografo sulla mia copia di "Masterpiece Of Bitterness", ho una breve discussione con Aðalbjörn circa l'etimologia del mio nome proprio (prendete nota: Andrea NON è un nome femminile), auguro a tutti buon viaggio e mi ritrovo fuori, nella nebbia notturna di Milano. Le parole di Aðalbjörn non sono state molto incoraggianti, purtroppo, ma mi auguro comunque di rivederli presto. |
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