Informazioni
Gruppo: Mother Of God
Titolo: Anthropos
Anno: 2013
Provenienza: Smedjebacken, Svezia
Etichetta: Small Stone Recordings
Contatti: motherofgod.se - facebook.com/MOGmusic
Autore: Bosj
Tracklist
1. 230
2. Graenslandet
3. The Forest
4. Aim For The Sun
5. Adrift
6. To Live
7. Hoenan
8. Windows
9. Something From Below
10. R. McCord
11. Lucy
DURATA: 47:57
Un logo tondeggiante e sessantiano, una copertina dai colori sgargianti e pastello, un'etichetta, la Small Stone, tra le più rinomate della scena. Se dal colpo d'occhio non riusciste a inquadrare la proposta dei Mother Of God, quartetto svedese all'esordio, probabilmente vi converrebbe passare oltre. Dopo un breve ep un paio d'anni fa, la band arriva oggi al debutto con "Anthropos", arricchendo il parco stoner (stavolta più rock che metal) dell'ennesima, valida uscita.
Registrato e prodotto in patria, ma masterizzato ai Baseline Audio Labs di Chris Goosman, personaggio già in console, tra gli altri, per gli Acid King e in generale una valanga di artisti di casa Small Stone, "Anthropos" è un disco di stampo classico, sempre a mezza via tra la cavalcata ("230") e picchi di acidità più marcati ("Something From Below"), condito da un immaginario più o meno fantastico, da quella che sembra una specie di Madre Natura in copertina (e visto il nome del gruppo, ci sarebbe da aspettarselo) a una specie di resurrezione infernale nel testo di "To Live". La prima metà del disco, dal tono più aggressivo e caciarone, lascia libero sfogo alle composizioni più accelerate e veloci, tuttavia la formazione dimostra qualche limite quando pigia a tavoletta: i brani, seppur tutti ben confezionati e godibili, si amalgamano un po' troppo l'un l'altro, non fornendo effettive "ancore" all'ascoltatore. Il disco scorre, però difficilmente ci si ritrova a canticchiare un ritornello o fischiettare un riff particolarmente accattivante. È invece con gli ultimi brani, i più lunghi, i più psichedelici, i più "fatti", che la band di Smedjebacken tira fuori gli artigli: "Something From Below" riesce, pur nella forma canzone, a richiamare atmosfere dilatate e quasi spettrali, da grandi spazi americani, mentre la conclusiva "Lucy" è un malinconico viaggio metafisico, emblema della condizione umana, che alle volte alza il ritmo, solo per poi tornare, mestamente, su riff decompressi ripetuti e ripetuti.
In tutto questo, la voce di Daniel Nygren: fino all'ultimo non sono riuscito a decidere se mi piacesse o se invece fosse un insopportabile lamento. Alla fine mi sono reso conto che mi piaceva proprio perché, nel suo essere insopportabile lamento, è l'unica possibile interpretazione coerente della musica degli Scandinavi. Non ci sono atmosfere calde e roboanti, e per quanto il timbro di Nygren possa inizialmente ricordare un John Garcia qualunque, la voce dei Mother Of God è portatrice di acidità, di psichedelia, di un viaggio che, a un certo punto, è andato inevitabilmente storto. E proprio per questo merita di essere raccontato più di tanti altri.