Informazioni
Gruppo: The Horn
Titolo: Volume Ten
Anno: 2012
Provenienza: Melbourne, Australia
Etichetta: Shaytan Productions
Contatti: shaytanproductions.com/Contacts/Contacts.html
Autore: Bosj
Tracklist
1. The Portal Opens
2. Spell 165
3. Spell 124
4. Spell 47
5. Spell 146
6. Spell 26
7. Spell 156
8. Spell 66
9. The Portal Closes
10. Book Of Dust
11. Spell 110
12. Spell 53
13. Spell 93
14. Spell 7
DURATA: 74:40
Ho fatto la conoscenza del progetto The Horn appena qualche settimana fa, quando — ricevendo il materiale degli Al-Namrood — dal pacco è uscito a sorpresa questo "Volume Ten". Cercando di documentarmi al meglio (opera affatto semplice, considerando che l'autore in questione non ha alcuna pagina personale di riferimento all'infuori di quella dell'etichetta), scopro piano piano dettagli sempre più affascinanti: one-man band australiana, The Horn è in attività fin dal 1997, anno in cui ha pubblicato il debutto "The Egyptian Book Of The Dead Vol.1". Titolo particolare, per una "musica" che dire particolare è un eufemismo.
L'obiettivo del'Australiano è infatti quello di trasporre in musica l'intero Libro Dei Morti, l'insieme di iscrizioni funerarie che corredano le antiche tombe egizie; ciascuna singola iscrizione ("spell") rappresenta una formula rituale e ritualistica per accompagnare il defunto nel viaggio dalla morte alla successiva rinascita. Un lavoro decisamente lungo dunque, che dopo il debutto ha visto un arresto di quasi dieci anni, ma dal 2006 The Horn's A D MacHine (questo il sobrio nome scelto dal folle alle spalle del progetto) ha ripreso i lavori a pieno ritmo, rilasciando un full dietro l'altro, con qualche ep e compilation sparsi qua e là, e "Volume Ten", come è facilmente intuibile, non è che il decimo lavoro completo.
Fatte le dovute premesse, veniamo ai contenuti: la musica di The Horn, quale che sia l'esotica definizione che di volta in volta le viene affiancata, è fondamentalmente un noise/drone "super-mega-giga-ultra" distorto, alla cui base viene programmata una secchissima e "industrialoide" drum machine. A tutto ciò poi si aggiungono qua e là sintetizzatori, voci effettatissime e le immancabili percussioni orientaleggianti. Al di là dell'effetto straniante di bonghi e tamburi su un tappeto di bordoni chitarristici ruvidi e graffiati avant/post/durante, il lavoro di A D MacHine è davvero sui generis, tanto concettualmente quanto musicalmente.
Il vero problema, ma allo stesso tempo il più grande pregio di un disco (e di un modo di fare musica) del genere è che è talmente "weird" da risultare decontestualizzato in qualsiasi ambiente e in qualsiasi situazione. E che l'approccio del musicista australiano non prevede il singolo album come mezzo di diffusione della propria arte, bensì l'opera omnia, il canovaccio nel suo insieme. E dieci e più dischi drone da sessanta, settanta minuti ciascuno, sono davvero una mazzata. D'altro canto siamo di fronte a uno degli ormai rarissimi esempi di musica (laddove per musica si intende rumorismo di vario genere lavorato e rielaborato) non di genere, non definita, con fondamenta radicate in un'idea personalissima e assolutamente fuori dagli schemi. Il minimo che posso fare è dirvi di provare ad avvicinarvi a questo piccolo grande universo sonoro.
Nota a margine: nel mio peregrinare in cerca di informazioni ho inteso che The Horn fa parte di un non meglio definibile "collettivo", tale InterWebMegaLink, dedito alla promozione della scena "out-noise" australe. Io ve l'ho detto, poi fate vobis...