giovedì 3 dicembre 2009

NOMAD SON - First Light



Informazioni
Gruppo: Nomad Son
Anno: 2008
Etichetta: Metal On Metal Records
Autore: Mourning

Tracklist
1. Forever Twilight
2. Shallow Grave
3. Seven Notes In Black
4. Delirium
5. At The Thresholds Of Consciousness
6. The Wraith
7. Empyrean Fade
8. The Light At The End

DURATA : 45:14



La band doom dei Nomad Son nasce dall’incontro dei membri dei Frenzy Mono (Stoner/rock) con il bassista dei Forsaken Albert Bell.
Cosa poteva venir fuori da questo connubio se non un album di classic doom a tinte settantiane? “First Light” è un platter di nove tracce che ha come influenze base Candlemass, Trouble e le movenze sabbathiane più stonerizzate senza dimenticarci dell’esperienza e dose d’epicità che porta con sè Albert da quei Forsaken che dal 1990 si cimentano in prove sempre d’alto livello nello stile più strettamente legato al primorde del genere.
Già dall’opener si sente la chiara presenza di Leif Endling e soci, in “Forever Twilight” riff monolitici vengono intervallati da brevi accelerazioni e solos agili e con piglio non indifferente.
“Shallow Grave” che le sussegue è più catchy un brano di compagnia, un appiglio visto che subito dopo uno dei punti più scuri del disco prenderà forma.
“Seven Notes In Black” con il suo incedere pachidermico, possente quasi oppressivo getta un alone “grigio” che durerà non poco a seguire supportata dal resto del disco.
La strumentale “Delirium” è forse l’unico passo falso commesso dalla band, un brano ambient che collocato fuori posto spezza in maniera irritante l’andare progressivo che sin lì si era creato, fosse stato usato come intro o outro probabilmente avrebbe avuto più senso in quanto proprio con il brano che ne segue “At The Thresholds Of Consciuness” il motore va di nuovo a pieno regime raggiungendo il livello d’intensità della titletrack.
Con “The Wraith” viene fuori appieno la vena epica più volte accennata nei brani precedenti ed in questo pienamente evidenziata da partiture e movenze alquanto evocative e possenti condite da un progressivismo settantiano che dona quel quid in più ad un brano già bello nelle sue fattezze.
La sensazione d’oscuro che si trascinava viene definitivamente spezzata da “Empyrian Fade” diretta, senza fronzoli, che sembra voler prendere atto d’aver interrotto quel giogo che opprimeva dando linfa vitale nuova e rabbiosa.
La sorpresa sta nella conclusiva “The Light And The End” che ad un primo ascolto mi ha fatto sobbalzare chiedendomi quante volte abbiano ascoltato “Planet Caravan” i ragazzi…non che sia un male (tutt’altro), di assonanze ve ne sono ma proprio quella vena che ricorda il pezzo sabbathiano lo rende gradevolissimo e una lieta fine del lavoro.
Band in forma sia dal punto di vista dei singoli che complessivo, solisticamente ispirata e con un Jordan Cutajar sopra le righe, se avete voglia di doom non vi resta che ascoltarli ne sarete ricompensati pienamente.

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