Informazioni
Gruppo: Persuader
Anno: 2006
Etichetta: Dockyard 1 Records
Autore: Mourning
Tracklist
1. Twisted Eyes
2. Slaves of Labour
3. Sending You Back
4. R.S. Knights
5. The Return
6. When Eden Burns
7. Judas Immortal
8. Doomsday News
9. Zion
10. Enter Reality
DURATA: 50:25
Corre l’anno 2006 e la band power svedese dei Persuader rilascia il terzo disco dal titolo “Whe Eden Burns”, un album complesso, ben studiato, colmo di melodia dove il lavoro chitarristico messo in atto dal duo d’asce Emil Norberg/Daniel Sundbom la fa da padrone.
Un platter di dieci brani ispirati, un assalto quasi privo di soste con (facendo eccezioni per brevi pause quasi intimiste all’interno dei pezzi stessi e di “Zion”) un drumming ed un riffing spesso martellante e scale melodiche altisonanti e cristalline.
Un disco di presa che sfrutta al meglio le qualità vocali di Jens Carlsson più in forma che mai nella sua voluttuosità artistica che lo porta a colpire sempre la nota giusta nel modo più adatto.
Vi sono tratti di voce perfettamente pulita, altri più aspri ed altri ancora che rasentano lo screaming, inanellati in modo da fornire ad ogni brano quella versatilità che il resto della band con una prova maiuscola non fa di sicuro mancare.
Si viene colpiti a ripetizione da brani catchy e accattivanti come “Slaves Of Labour” o “Sending You Back”, la titletrack “When Eden Burns” un vero e proprio gioiellino che unisce eleganza e incedere aggressivo (l’intro di batteria è stilisticamente similare a quello dell’osannata “Painkiller” dei Priest deja vù?) nella quale il combo offre la prova più convincente.
Vi sono ancora da citare “Judas Immortal” veloce e battente e la successiva e malinconica “Doomsday News” ad alzare il livello (come se ce ne fosse bisogno) di una release fuori dalla comune media che spinge l’ago della bilancia sin troppo spesso verso il basso.
Prestazione che viene ancor più arricchita da un Norberg perfetto in chiave solistica e dalla produzione che Piet Sielck (mastermind degli Iron Savior fra le tante altre cose)
ha curato per loro dando quella spinta aggiuntiva che ha reso quest’album quasi completo.
Quasi, perchè un difetto in effetti questo disco rispetto al passato della band ce l’ha, ed è quello di mancare di quell’essere frizzante e spontaneo che si riscontrava nel debut “The Hunter” (2000).
Tale mancanza è stata ovviata dalla corposità e dal mestiere di una act che sa quello che vuole, ci si può lamentare? Direi di no.
Se si ama il genere è uno di quei lavori che non possono mancare nella vostra collezione.