Informazioni
Gruppo: Meshuggah
Titolo: Koloss
Anno: 2012
Provenienza: Umeå, Svezia
Etichetta: Nuclear Blast
Contatti: meshuggah.net
Autore: Istricë
Tracklist:
1. I Am Colossus
2. The Demon's Name Is Surveillance
3. Do Not Look Down
4. Behind The Sun
5. The Hurt That Finds You First
6. Marrow
7. Break Those Bones Whose Sinews Gave It Motion
8. Swarm
9. Demiurge
10. The Last Vigil
DURATA: 54:50
La scorsa primavera, mentre spulciavo le liste delle band partecipanti ai vari festival estivi di cartello sparsi in tutt'Europa per decidere quale opzionare, una domanda mi sorgeva spontanea: che cazzo significa "djent"? Da bravo ascoltatore per nulla informato sulle tendenze in voga mai mi ero imbattuto in tale categorizzazione, tanto da pensare in un primissimo momento che c'entrasse qualcosa con l'elettronica.
Niente di tutto ciò ovviamente, ascoltando un paio di pezzi scopro che la moda del momento è plagiare i Meshuggah. Accenti fuori posto, metriche improbabili, costrutti cervellotici e qualcosa di tremendamente sbagliato: un sound terribilmente artificioso che non possiede un grammo della raffinatezza malata, l'atmosfera caustica, l'aggressività della proposta degli svedesi.
Volenti o nolenti questa è la situazione in cui il quintetto di Umeå si trova a pubblicare la sua recente creatura: "Koloss". E mai la mia personale curiosità attorno ad un loro lavoro è stata così alta, non che la mia fiducia nei loro confronti fosse venuta meno, ma mai come ora era servita una risposta decisa, un cd distintivo, il colpo di frusta per mettere in riga i giovincelli che giocano a fare le cose complicate con la 8-strings.
Bastano pochi passi del "Colosso" per rendersi conto che è davvero tale, l'opening statement di Jens Kidman non lascia dubbi: "Io sono il Leviatano", la chitarra di Thordendal dopo un paio di minuti controllati comincia a mietere le prime vittime, spessa come un muro di cemento armato, inserendosi sui ritmi dettati dalle pelli di Haake, più lineari del solito.
Da manuale "I Meshuggah e la giusta misura".
Perchè nel momento in cui tutti sono partiti "alla ricerca dell'accento perduto", ecco che i Nostri decidono con sapienza di tagliare il superfluo, le fronde ormai inutili, e di tornare ad un approcio più diretto, senza che questo determini un calo della qualità complessiva della proposta, né che il risultato finale risulti più facilmente assimilabile.
I cinque, un tassello sull'altro, senza una sbavatura, costruiscono l'ennesimo, enorme monumento della loro carriera, mantenendo intatta l'originalità primigenia, immuni al passare del tempo.
Il grido monotono di Jens accompagna l'ascoltatore attraverso un cd che fa della varietà la sua forza, che alterna la complessità malata di "Behind The Sun" alla velocità di "The Hurt That Finds You First", all'oppressività "Chaospheriana" di "Swarm".
Il risultato finale è un disco di grande impatto, visceralmente violento, complicato nella giusta misura, in conformità alle dichiarazioni pre-release della band, che soddisferà appieno anche i fan più esigenti e di vecchia data, ma che con quel pizzico di immediatezza in più potrà attirare qualche giovane pecorella al già nutrito gregge.
Il "Colosso" è tornato, mostrando, senza ostentazione, la sua immensa superiorità, pronto a demolire col suo respiro chiunque osi avvicinarsi.
I am life, I am death, you belong to me
Call me what I am, I am Colossus.
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Informazioni
Festival: Nuclear War Now Festival III
Data: 09/11/2012 - 10/11/2012
Luogo: Fritz Club, Berlino
Autore: ticino1
Scaletta
sabato 9 novembre
Anatomia
Pseudogod
Antediluvian
Blasphemophagher
Wrathprayer
Dead Congregation
Rotting Christ
domenica 10 novembre
Bestial Raids
Adorior
Embrace Of Thorns
Black Witchery
Morbosidad
Proclamation
Ares Kingdom
Sabbat
Revenge
Blasphemy
"Sono il vento di Dio", "Il saccheggio è un artigianato con tradizione!"... questi sono due motti visti sulle magliette di uno degli addetti al controllo d'entrata. Ora, tralasciando che questa persona dimostra in più di una circostanza di essere stato trascurato dalla cultura e di essere vittima delle circostanze, toglietegli quel poco di potere datogli dalla funzione e resterà poco, essa non sa che ci sono mestieri artigianali più antichi e ancora oggi esercitati con successo come la prostituzione. Se poi sapesse chi sono i Blasphemy, avrebbe scelto i suoi abiti in maniera molto più cauta. Terminiamo qui questo discorso di scarso valore filosofico con una strizzatina d'occhio per passare all'argomento centrale di quest'articolo, il terzo rituale del Nuclear War Now Festival a Berlino che ritorna dopo due anni di astinenza.
Giovedì mattina sono già nella capitale tedesca perché al momento della prenotazione del volo conoscevo le date, ma la prevendita non era ancora iniziata, contavo quindi di acquistare anche il biglietto per la serata d'abbrivo; purtroppo il corso della storia è stato un altro e devo dunque rinunciare all'occasione. Il disguido si lascia un poco compensare dal fatto che Yosuke, capo della NWN! Records, mi ha promesso il tesserino stampa, il primo per Aristocrazia.
9 novembre 2012, tempo da due dita in gola.
L'attesa davanti al Fritzclub è lunga, una grande parte dei presenti proviene dall'est, grazie particolarmente agli Pseudogod e ai Bestial Raid, e l'alcol scorre già a fiumi nel primo pomeriggio. Scolarsi due decilitri di Vodka di un sol sorso per poi rifilarsi come ricompensa una bella birra, perché no? I gusti sono gusti.
L'inizio pare ritardarsi, la coda all'entrata è lunga ma l'aria fresca non disturba e dunque il tempo passa liscio scambiando quattro chiacchiere a dritta e a manca e osservando casi sociali che raccattano le bottiglie vuote per guadagnare qualche Euro. Evviva l'Europa, sociale e civilizzata, che non è neppure capace d'offrire un minimo di dignità... Il locale è suddiviso in un atrio, in cui si trovano le prime bancarelle, una sala che porta a destra verso una grande terrazza e a sinistra nella zona dedicata al concerto in cui mille persone troveranno posto.
Non sono in grado di dirvi se nel frattempo abbia già suonato qualcuno... io mi trovo ora davanti al palco decorato con la bandiera dei giapponesi Anatomia. L'offerta è un death-doom strisciante che ricorda parecchio i Winter, anche se parlando con uno dei membri mi rendo conto che non conosce questa formazione. Penso che la giovane signorina alle tastiere attiri qualche sguardo languido da parte dei ragazzi nello scarso pubblico. I musicisti s'impegnano al massimo e offrono un bello show.
Lo sapevo, no anzi, ne ero sicuro... ora si pigiano dinanzi al palco parecchi russi, sostenitori davvero fanatici, per assistere al rituale degli Pseudogod. Desidero ricordarvi che i ragazzi giungono da Perm e hanno all'attivo il primo disco uscito proprio quest'anno. La truppa si presenta in corpsepainting e imbrattata di sangue fresco. La rappresentazione è intensa, brutalmente carismatica e priva di fronzoli. Le canzoni spazzano via tutto, anche grazie al suono più che accettabile. Premetto che questo lato tecnico varierà col passare dei gruppi e in base a chi suona. Peccato ma d'altronde non è semplice accontentare i bisogni di ognuna delle diciotto formazioni.
I canadesi Antediluvian sono una delle vittime del missaggio e purtroppo, almeno secondo me, non riescono a compensare questo deficit con uno show energico. Il trio è molto statico e la sola sorpresa, almeno per i metallari accaniti, è forse una signorina che occupa il posto dietro alle pelli. Non sono particolarmente toccato dalla performance, anzi, ne sono abbastanza deluso.
Ora però sono pronto per un vero massacro con i fiocchi di piombo! R.R. Bastard e la sua squadra dei Blasphemophagher partono all'assalto di Berlino e spero che potrò rifarmi un poco l'udito. La qualità del suono non è ottima ma per me, abituato alla lo-fi, ciò non dà alcun fastidio. Gli italiani non perdono tempo, non lasciano tregua e non discutono: il piacere di presentarsi sulle assi dell'ex Repubblica Democratica Tedesca è palpabile. Una grandinata d'acciaio massacra con goduria il pubblico, vittima volontaria, che sfoga una buona porzione di rabbia in pozzi sfrenati e in headbanging da suicidio.
Dopo avere scambiato quattro parole col cantante dei Bethlehem, sì, al NWN Festival s'incontra parecchia gente interessante, entro un attimo in sala per ascoltarmi un poco i Wrathprayer, gruppo cileno sotto contratto presso l'organizzatore della serata. Vedere magliette dei Bolt Thrower è sempre un piacere, però resto senza un'impressione convincente del trio. Il suono è nuovamente impastato ed è dunque difficile discernere le note. Il lato positivo è il pubblico che pare comunque apprezzare il lavoro dei ragazzi sudamericani.
Resto delusissimo quando vedo sul palco i Dead Congregation al posto dei Morbosidad. A quanto pare il cantante di questi ultimi è bloccato da qualche parte e non potrà presentarsi. Domani, a quanto mi dirà la ragazza che ha sfottuto per le mie scarpe al concerto degli Shining qualche mese fa, potrò masturbarmi ascoltando la loro musica marcia. I greci che suonano ora li ricordo solo vagamente e la musica non mi convince completamente. De gustibus non est disputandum, l'offerta mi lascia poche impressioni permanenti. Il quartetto è comunque ben accolto dai presenti che festeggiano volentieri al suono delle sue note.
Ho visto i Rotting Christ l'anno scorso a Helsinki perciò sono curioso di rigodermi una loro performance. La sala è piena zeppa, la scena si presenta con un poco più di decoro e il gruppo sembra essere davvero in forma. È inutile perdere parole a proposito della professionalità che è quasi d'obbligo per un mito del black metal ellenico. Un classico dopo l'altro allieta i timpani del pubblico che gode come mai prima in questa giornata intrisa di metallo pesante. I signori si muovono sovranamente e sanno prendere per la gola gli ascoltatori, trascinandoli su un'onda di raffinato metallo nero maturato a perfezione. Perle come "Non Serviam" e altre non possono mancare e sono servite a caldo come bis. Sì, il restare fino alla fine è stato ricompensato abbondantemente.
10 novembre 2012, tempo variabile, la merda prevale.
Dopo avere fatto un giretto nei dintorni dell'Alexanderplatz, avere scoperto che la campagna elettorale di Mitt Romney è nata in Germania e che gli zingari rompono come mai a turisti e non, mi reco nuovamente verso la tana del leone. Gli addetti alla sicurezza sembrano festeggiare uno sciopero dello zelo; la moglie di un membro dei Morbosidad (se non erro) che è abbigliata in modo inconfondibile, è controllata per la centesima volta malgrado sia sulla lista degli ospiti e porti ben in vista, da brava ragazza, il pass attorno al collo. Questa è la prova che il Mondo ha bisogno di essere popolato da idioti per continuare a ruotare...
La sala è gremita di ospiti polacchi, pure loro fan privi di compromessi, per onorare l'attacco dei Bestial Raids, reduci da un disco piuttosto debole. In sede live il trio è statico e non riesce a riempire un palco di tali dimensioni (ok, non è enorme). La musica e l'interattività elitaria con il pubblico riescono a mantenere comunque alto il livello d'intrattenimento; i presenti sono in delirio e non si vergognano di mostrare per chi sono venuti oggi.
Gli Adorior, invece, si trovano davanti a una platea alquanto sfoltita. Il quintetto britannico non solo ha lo svantaggio di apparire dopo i polacchi ma deve pure combattere contro un suono assolutamente inaccettabile che, ho provato a piazzarmi in diversi angoli del locale per verificare, impedisce di capire una sola nota di quello che la squadra suona. Peccato. Le magliette dei Voivod mi lasciano speculare una tendenza thrash, il resto mi sussurra piuttosto "death". La cantante è piena d'energia e pare a volte avere un debole per la defunta signora Wendy O'Williams. Sarò onesto... gli effluvi ascellari del chitarrista hanno contribuito a scacciarmi dal pubblico...
Embrace Of Thorns... ecco un altro nome che conosco bene, ma di cui la musica non mi è presente. Il chitarrista sprigiona tanta antipatia, soggettivamente, che nella mia mente copre di vergogna tutta la formazione. Sì, l'attitudine è estrema, senza compromessi, ma parliamo pur sempre di metal e a volte è difficile restare obiettivi. Preferisco scattare quattro foto in croce e andarmene a visitare le bancarelle con una bella birretta in mano.
Naturalmente è d'obbligo presentarsi all'appello quando i Black Witchery invadono la capitale tedesca. Due anni fa il suono non era degno di una tale rappresentazione, forse un tantino pomposa e da copione. Come sarà oggi? Il pubblico pare essere pronto all'olocausto e si getta con coraggio nel conflitto. Brutale, senza compromessi e piena d'ira è la scaletta degli statunitensi. La celebrazione del rituale nero copre tutta la carriera del trio e, malgrado un certa staticità in scena e pause a mio vedere inutili, non lascia desideri inesauditi.
Il pacco nei pantaloni inizia a dolermi... è arrivato, scusate, sono arrivati i Morbosidad. Da anni attendo di poterli vedere in concerto e spero vivamente per loro che non mi deludano (eh eh...). Qualcosa sembra non funzionare come previsto; il chitarrista è totalmente snervato e presumo che il suo stato d'umore sia dovuto al tasso alcolico del bassista; questi barcolla e poco prima ha preso un bel sorso da una bottiglia che non voglio descrivere per mantenere un minimo di decoro. Mentre tento di scattare qualche foto, mi scateno di tanto in tanto, testando i limiti della pazienza del responsabile nel mio settore. Fortunatamente gli sono abbastanza simpatico e non dice niente. Soggettivamente il concerto è una figata unica e mi resta solo da criticare il suono che nuovamente non è ideale. Il set è corto, solo una ventina di minuti, ma sono contento che l'organizzazione sia stata tanto flessibile di concedere al gruppo lo spazio previsto per il giorno precedente.
La prossima tappa è rappresentata dai Proclamation che mi svelano quanto sia sceso il livello in questo movimento "War Metal". Il pubblico non si comporta diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare in qualunque festival in cui la musica è una scusa per ballare (pogo, mosh o circle pit) e non è più in primo piano. Più di una volta ho l'impressione che molti non conoscano neppure i pezzi, ma approfittino dell'occasione per fare casino. Gli spagnoli combattono bene, per il resto... vabbè, alcune attitudini sono solo contorno, superflue ma ci sono.
Gli Ares Kingdom paiono essere ospiti fissi a questo festival. Possiedo un disco ma non riuscirò mai a capacitarmi del fatto per cui questo gruppo sia tanto popolare. Musicalmente non è di alto livello, molte canzoni sono noiose e si muovono in un mare di mediocrità. Sul palco la truppa è comunque compatta e sa motivare il pubblico. Ne approfitto freddamente per andare a cena e mi godo poi una parte della rappresentazione, senza scattare foto. Il pubblico è soddisfatto, entusiasta per il concerto offerto dagli americani.
Pieni di sé entrano in scena i Sabbat, gruppo che conosco solo marginalmente (picchiatemi...). Gezol si mostra in costume stile Anni Ottanta che ricorda non poco alcune immagini promozionali dei Venom. Il pubblico, che ha dimostrato già in altre occasioni quanto il riso abbondi sulla bocca degli stolti, si diverte guardandolo e comportandosi con poco rispetto, gettando anche immondizia sul palco.
Tali atteggiamenti m'infastidiscono profondamente e provano quanto si stia imbastardendo questa nicchia di metallo estremo. Imperterriti i nostri samurai partono rapidi all'attacco incendiando gli animi dei presenti con una scaletta e uno show molto professionali e carichi d'energia. Il concerto mi piace e immagino che pure i Venom una volta fossero tanto fighi.
La pietà volge al termine e l'estremismo si avvicina al culmine con i Revenge; la Ross Bay è stasera più che mai vicina ai territori teutonici. Il 2012 ha portato alla ribalta il trio canadese con un disco che esce un poco dalla rigidità e dal ripetersi dei lavori passati. Stasera l'oscurità può scendere densa sul Fritz Club per ingoiare senza ritegno la massa stolta e priva di rispetto. Alla fine resteranno solo le anime davvero dannate e spudoratamente fanatiche che sfodereranno il loro pugnale in onore del War Metal. Ah, la regia di Aristocrazia mi dice di terminare la mia esaltazione e di restare ai fatti... Roger! Lo show dei nordamericani è tipicamente robusto e privo di compromessi. I pezzi martellano i timpani degli ascoltatori in delirio che paiono sentirsi particolarmente legati agli eredi dei Conqueror. Personalmente non mi sento di casa con questo trio ma il concerto è davvero brutale e mi piace parecchio.
Ora mi preparo moralmente per un rituale che ho già perso due anni fa. Mi vergogno a dirlo... sono dovuto soccombere agli effetti di un'influenza. I Blasphemy li adoro da qualche tempo e da altrettanto aspetto di poterli gustare in concerto. Ho già visto prima i membri del gruppo muoversi in sala e devo dire che sanno come mantenere le distanze e mostrare un elitarismo sfrenato. Particolarmente Caller Of The Storms si è visto sempre e solo con i suoi occhiali scuri, evitando il più possibile i contatti personali. Da un lato l'atteggiamento mi diverte, siamo nel 2012, dall'altro la musica metallica è un macigno che ha bisogno secoli per deteriorarsi; tale spirito per restare conseguenti è lodevole. Bando alle parole inutili... nuovamente alcuni individui diversamente abili, superflui su questa Terra, non hanno nulla di meglio da fare che buttare rifiuti sul palco, mostrando ancora una volta una mancanza di rispetto endemica e forse risultato dell'ignoranza musicale. Probabilmente i membri di Aristocrazia sono tanto legati fra loro proprio grazie a un certo accanimento musicale per il nostro amato genere. I Blasphemy invece non deludono e massacrano durante un'ora il pubblico con un rituale inesorabile. È inutile citare la scaletta, la discografia dei signori è davvero definita; ogni nota è netta, la voce di Nocturnal Grave Desecrator è ancora più impressionante che non su disco... sì, paurosa e intensa. Con questi termini si può definire la prestazione del gruppo!
Questo festival chiude il terzo capitolo mostrando di essere già una manifestazione non solo internazionale ma addirittura intercontinentale. Non solo i gruppi provengono da diverse parti del mondo, il pubblico giunge a Berlino dalle Americhe e da altre parti del Pianeta, in più la capitale tedesca offre la possibilità di combinare metal, divertimento, cultura e anche tanto altro.
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Informazioni
Gruppo: Caronte
Titolo: Ascension
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Lo-Fi Creatures
Contatti: facebook.com/ferociailluminata
Autore: Leonard Z666
Tracklist
1. Leviathan
2. Ode To Lucifer
3. Sons Of Thelema
4. Horus Eye
5. Black Gold
6. Solstice Of Blood
7. Navajo Calling
DURATA: 53:48
È trascorso un anno da "Ghost Owl", l'EP di debutto di questa promettente band italiana, che ha da poco fatto uscire il primo full-lenght intitolato "Ascension".
Le aspettative sono molto alte, visto che "Ghost Owl" è un ottimo prodotto.
Il primo impatto è davvero notevole: “Ascension” si presenta come un bel digipak a tre facciate con un booklet di dieci pagine contenente foto, testi e artwork davvero evocativi. Inserisco il cd nel lettore e quello che ne viene fuori sono sette tracce (che richiamano l'eptagono presente sul dischetto) di stoner/doom di grande fattura.
La voce del frontman Dorian Bones (anche nei Whiskey Ritual) è divenuta più personale, discostandosi da "clone di Danzig" quale era nell'EP; gli altri musicisti sanno il fatto loro e ci propongono brani dove psichedelia e pesantezza di amalgamano perfettamente.
Se conoscevamo già la track "Black Gold", perché presente nell'EP, gli altri pezzi sono una ventata di aria fresca in un genere che ultimamente rischia di cadere nel ripetitivo. Spicca su tutto "Ode To Lucifer" che avanza su continui cambi tra il meditativo e l'incazzato.
I Caronte celebrano l'ascensione verso piani di consapevolezza superiori tramite l'utilizzo di droghe (da qui il rimando allo sciamano pellerossa in copertina e titoli come "Navajo Calling") e uniscono richiami esotici ad altri esoterici provenienti dalla tradizione occidentale, quali l'immancabile Aleister Crowley, l'Ordo Templi Orientis e la Teosofia di Helena Blavatsky.
In definitiva un album da avere assolutamente se siete dei patiti del doom... e anche se non lo siete.
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Gruppo: Shroud Of Despondency
Titolo: Pine
Anno: 2012
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/shroudofdespondency
Autore: Mourning
Tracklist
1. Wanderlust (Winged Seed In The Breeze)
2. Overshadow
3. New Trees
4. Wanderlust (Moist Soil)
5. The Great Sadness Descends
6. Half Open Gates
7. Wanderlust (Sapling)
8. Light Words, Dark Graves
9. Nameless End
10. Wanderlust (Lightning Precedes Fire)
11. The Unchaining Of An Animal
12. Sleep
13. Wanderlust (Pts 1 Through 4)
14. Wanderlust (The Throwaway)
DURATA: 1:29:19
Gli Shroud Of Despondency si stanno facendo largo nell'underground grazie alla costanza e alle qualità delle prove prodotte, la formazione di Rory Heikkila è una creatura rodata che partendo dalle basi sonore di gente come gli Agalloch ha via via selezionato, modellato e costruito il proprio essere e il quarto capitolo full "Pine" n'è una chiara dimostrazione.
Gli statunitensi hanno sviluppato una passione per i brani strumentali, la tracklist composta di quattordici episodi ne vede presenti ben sei, tutti a titolo "Wanderlust" ma differenziati per sonorità da un sottotitolo che ne identifica la natura, oltre una traccia che li racchiude tutti in unica soluzione posta a chiusura del lavoro intitolata "The Throwaway", a infoltire e rendere ancor più interessante l'atmosfera già varia per una proposta musicale che sembra non volersi volutamente accasare in un genere preciso.
Ascoltando "Overshadow" vi accorgerete di come la canzone sia in possesso di una serie di riff che potrebbero appartenere ai Metallica, altri che attingono dal black melodico dei Dissection, altri ancora che pare giungano da una composizione di stampo doom e "New Trees"? Beh l'apertura è in classico death stile anni Novanta, oscura e serrata con aperture melodiche che paventano rallentamenti tesi a dare all'ambiente una sorta di misticismo, il calderone ribolle, forse anche troppo ma per ora va bene così.
Arriva poi il turno di "The Great Sadness Descends" dove il ruolo della componente doom diviene prominente, l'aura rituale e melancolica che la pervade attraversa i gironi più grigi, al limite col funereo/epicheggiante, lievemente folkish, mentre "Half Open Gates" si alimenta di una brutalità blackeggiante che sferra martellate salvo poi offrire il fianco a situazioni nelle quali è un'impronta melodica in crescendo a prendere il sopravvento.
Entrambe scandiscono un passaggio di stato che subirà una brusca curva in "Light Words, Dark Graves" che per com'è impostata potrebbe tranquillamente essere inserita in un album grind.
Che gli Shroud Of Despondency volessero mettere in "luce" il lato più tetro e pressante della loro musica era evidente, sono molto più pesanti e sfacciati nelle sfuriate rispetto al passato, eppure il loro meglio per il sottoscritto lo danno nell'attimo in cui si spogliano dell' armatura, via le ritmiche sfrenate, via i percorsi costellati da cambi di tempo e fraseggi estremi, dopo l'ennesima canzone cattiva e annerita, "Nameless End", appare "The Unchaining Of An An Animal" con la sua chitarra pulita, la sue voci pulite, cancellando il nero addensando nell'atmosfera un candido grigio che fa riflettere:
In my darkest dreams I unclipped the chain of an animal and laughed maliciously as I watched him attack the world
For the first time I filled my chest with fresh air, the cleanliness of discontent
For the first time I filled my chest with fresh air, the purity in aggressive denial of life
While still chained he had warned me, with focused eyes and belligerent posturing, that the affirmations I sought "Exist only through suffering
For the first time I filled my chest with fresh air, the cleanliness of discontent
For the first time I filled my chest with fresh air, the purity in aggressive denial of life
I loved him but denied his intellect
È altra storia, già tutt'altra storia, eppure è la stessa storia, nella sua diversità è sempre parte di ciò che si è ascoltato. Il talento, la voglia di lasciare lo sguardo e la mente liberi di vagare in più direzioni in contemporanea fanno di questo gruppo una certezza, si è sicuri che ogni loro album avrà comunque una personalità e un tocco che ne permetteranno il riconoscimento, questo è ciò che di solito son capaci di offrire le grandi realtà e l'underground ancora una volta da lezioni al mainstream. La cruda verità sbatte spesso troppo spudoratamente contro chi si vende dopo mezzo disco, i riferimenti possibili ad act più o meno noti non vi mancheranno di certo. Se avete avuto modo di entrare in possesso o solamente imbattervi nei dischi già rilasciati dagli Shroud Of Despondency non avrete nessun tipo di problema nell'approcciarvi a "Pine" né tanto meno ad acquistarne una copia, rientrerà nella lista delle spese da fare; a coloro che invece non avessero conosciuto tale realtà suggerisco d'intraprendere questo discorso iniziando da "Dark Meditations In Monastic Seclusion", il passaggio nello stereo vi risulterà utile per apprezzare al meglio quest'ultimo. In qualsiasi caso comunque inserite nel lettore e assorbite, è di buona musica che si parla.
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Gruppi: Celestia + Ater + Malakhor
Data: 17/11/2012
Luogo: United Club, Torino
Autore: Dope Fiend
Nel 1981 Francesco Guccini riferendosi a Bisanzio, nell'omonima canzone, cantava "città assurda, città strana". Parlando meno poeticamente, potrei applicare le stesse parole a Torino: il capoluogo piemontese è un agglomerato urbano tanto superficiale quanto mistico, un luogo in cui un'opera d'arte come la Fontana del Frejus di Piazza Statuto (uno dei monumenti con la valenza più occulta dell'intera area) viene pacchianamente ricoperta di addobbi natalizi, in cui l'antica compartimentazione architettonica romana si fonde con le più obbrobriose costruzioni moderne, in cui a pochi passi dal centro si può scovare un delizioso ed accogliente ristorante siberiano e in cui, a dispetto del traffico insopportabile e delle irritanti fiumane di gente lobotomizzata, il sottosuolo musicale pullula di nero e di progetti di qualità.
Nel giro di pochi mesi, è la terza volta che vi raccontiamo di un evento che ha luogo allo United Club, piccolo ambiente in cui è sempre più spesso possibile assistere a serate molto interessanti. Accompagnato dalla mia fedele compagna (che bisogna ringraziare perchè è a lei che dobbiamo le testimonianze fotografiche che corredano l'articolo) e dopo aver riempito abbondantemente lo stomaco nel sopracitato ristorante siberiano, mi preparo per immergermi ancora una volta nelle nere correnti che sfociano dal palco del locale.
I Malakhor sono il gruppo chiamato a dare inizio allo spettacolo: poco più di sei mesi fa li vidi in azione al Torino Black Metal Pt. II e non mi ci vuole molto per notare che quello che allora era un trio è diventato un quartetto, in virtù dell'aggiunta di un chitarrista. Proprio questo nuovo innesto fornisce un implemento non indifferente al muro sonoro eretto dai musicisti, i quali scaricano senza pietà sull'uditorio bordate di Black Metal aggressivo e senza compromessi. Le oscure e, in più di un'occasione, svedeseggianti note cavate dagli strumenti anneriscono la sala e solleticano le malefiche pulsioni che albergano in molti di coloro che sono accorsi alla serata. La scaletta, con pezzi come "No Mercy For The King", "Malakhor V" e "Red Ice", attinge dal recente EP "Crushing The Ancient Dogma", senza però farci mancare la presentazione di un furiosissimo brano nuovo che, almeno in sede live, macella e tritura tutto quanto trova sul suo passaggio. Mi ritrovo quindi a confermare ancora una volta la spietatezza dei Malakhor sopra il palco, molto bravi!
Gli spessi tendoni coprono il palco, in attesa del cambio della guardia.
Dopo poco tempo sono gli Ater a occupare le postazioni di fronte al pubblico. Il quintetto torinese era già stato ospite delle nostre pagine all'alba dell'uscita del recente bellissimo EP "De Aeterna Tragoedia" (per maggiori informazioni vi rimando alla recensione a cura del sottoscritto) ed ero molto curioso di testare la loro resa dal vivo, dal momento che purtroppo non ne avevo ancora avuto la possibilità finora. La serata è anche importante in quanto, come confermatomi dal frontman Samael è anche una delle prime esibizioni di prova del nuovo batterista. Nonostante alcuni problemi di resa sonora che costringono il gruppo a un soundcheck aggiuntivo poco dopo l'inizio dell'esibizione, i musicisti (Samael in particolar modo) sanno il fatto loro anche sul versante di interazione e sinergia con il pubblico. La performance è infatti incredibilmente energica e distruttiva e, sia i pezzi più recenti come "Kariot" e "Oltre Le Stelle" che quelli più vecchi come "Tramonto" (estrapolato dal precedente full "Oltre La Vetta") saturano l'aria di forza e passionalità selvaggia che si fanno largo all'interno del sistema circolatorio di molti spettatori, provocando un furioso roteare di chiome. Gli Ater si accomiatano con l'esecuzione della trionfale "La Caduta Del Re Di Tebe", pezzo maestoso e più che adatto all'ultima chiusura del sipario prima del termine della serata.
La piccola sala dello United si svuota durante il conclusivo cambio sul palco ma, inspiegabilmente, non si riempirà più molto (più tardi sfogherò la mia consueta vena polemica riguardo questo punto).
L'ultimo gruppo in scaletta sono i Celestia, compagine francese che effettua questa sera l'unica calata in Italia, almeno per quanto riguarda il biennio 2012/2013. E questa volta devo fare un enorme "mea culpa": purtroppo conosco molto poco la band in questione e quindi, perdonatemi, non posso sbilanciarmi troppo nell'affermare di aver riconosciuto un pezzo piuttosto che un altro. Nonostante ciò, vi proporrò ugualmente le mie impressioni. I cinque transalpini, assolutamente scevri da ogni tipo di "agghindamento" riconducibile al classico lato visuale del Black Metal e apparentemente tranquilli e innocui, aprono le danze con un'atmosfera soffusa e malinconica che lascia presto spazio a un sound tagliente con un retrogusto sempre arcaico ed estremamente emozionante. Le note che si diffondono nella sala sono crude ma allo stesso tempo melodiosamente eteree, i Celestia sono dei ciceroni in un viaggio oscuro all'interno di infiniti corridoi consumati da millenni di storia, rifulgenti di luce silvana e immersi in uno spazio insondabile, uno spazio che solo gli occhi dello Spirito possono assaporare. Rimango assolutamente estasiato dalla prestazione del cantante che, in uno stato di lucida trance, sembra esporre il suo disagio, la sua stessa Anima, come se non ci fosse un domani, imprigionato all'interno di una catarsi sensoriale infinita. Un'esibizione da brividi al cui termine, per colmare la mia vergognosa lacuna, mi porto a casa "Frigidiis Apotheosia: Abstinencia Genesiis", il secondo album del gruppo.
Ora posso dar voce alla vena polemica di cui parlavo poco fa: mentre per Malakhor e Ater il pubblico era nutrito (in rapporto alla dimensione dell'evento, è ovvio), durante i Celestia la sala non contava mai più di una ventina di persone al suo interno. Ora, io comprendo bene che le band del posto abbiano le consuete schiere di personali fan (e non vi è nulla di male in tutto ciò, anzi) ma per quale motivo non offrire supporto anche a un gruppo come i francesi che, oltretutto, si sono resi protagonisti di una performance bellissima? In tutta onestà è un atteggiamento che non riesco a comprendere e se penso che, forse, la maggiore qualità introspettiva della musica ha indotto qualcuno ad abbandonare il posto, beh... è qualcosa di immensamente triste.
In ogni caso è arrivato il momento di tornare a casa, stanchi e provati: mi fischiano le orecchie e la cervicale mi invia fin da subito segnali ben poco incoraggianti. Già so che nei prossimi giorni avrò fastidi a collo e schiena ma non me ne preoccupo particolarmente: il viscoso fluido nero che scorre nelle mie vene ribolle di soddisfazione, non potrei davvero chiedere di meglio per questa sera!
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Informazioni
Gruppo: Blind Stare
Titolo: The Dividing Line
Anno: 2012
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Inverse Records
Contatti: facebook.com/pages/Blind-Stare/127009751709
Autore: Mourning
Tracklist
1. Cold New World
2. Mind’s Armor
3. Bring Down The Tears
4. Mindless Dreams
5. Death And Rebirth
6. Blessing Of Freyja
7. The List
8. Redemption
9. The Disciple
10. Daughter Of The Sun
11. Legion Of Lost Minds
DURATA: 51:28
I finnici Blind Stare sono una buonissima realtà che ha come unica pecca la discontinuità nella pubblicazione dei lavori.
Sono infatti in attività dal 1999 e dopo aver rilasciato quattro demo e un ep nel periodo che va dal 2002 al 2004, nel successivo 2005 danno vita al debutto "Symphony Of Delusions", poi quattro anni di vuoto completo e sbuca fuori dal nulla "Promo 2009 & Demo 2009", infine dopo altri tre anni d'attesa finalmente vede la luce "The Dividing Line", vi ricorda qualcosa il titolo? Già, i Dark Tranquillity e non è neanche così strana la cosa visto che è sempre in ambito melodic-death che si muovono questi musicisti.
Della formazione originale è rimasto il solo chitarrista Anders Öström, adesso la line-up vede coinvolti Jaakko Lehtinen alla chitarra e voce clean, Tuomas Riihimäki alle tastiere, Ossi Elonen e Timo Palokankare a comporre la sezione ritmica rispettivamente nei ruoli di bassista e batterista e il cantante Eino Tuominen.
Ciò che in passato aveva fatto di "Symphony Of Delusions" un ottimo primo album, fa di "The Dividing Line" un successore meglio elaborato e concreto: l'abilità della band nel miscelare più stili. Noterete come heavy metal, power melodico e atmosfere symphonic entrino in contatto con le basi del Gothenburg sound, è l'arma che fa la differenza, si può tranquillamente affermare di ascoltare undici episodi difformi l'uno dall'altro, dotati ognuno di una caratteristica funzionale allo svolgersi del platter.
Si aprono le danze e fa il suo ingresso "Cold New World" mettendo subito in chiaro come le sonorità classiche siano apprezzatissime, echi di heavy eighties si percepiscono in maniera cristallina e Anders c'infila un gran bell'assolo dimostrando che non sa tenere banco esclusivamente in sede ritmica.
A seguire troviamo un terzetto di brani nel quale "Mind's Armor" utilizza una componente sinfonica spiccata (Mr. Holopainen sembra averci messo lo zampino), "Bring Down The Tears" è dotata di un ritornello dalla fruibilità altamente easy listening, mentre "Mindless Dreams" è passionale e carezzevole. La prima parte della tracklist invece si chiude in maniera più pestata e compatta grazie a "Death And Rebirth".
Sin qui i Blind Stare hanno dato conferma della loro efficacia, del saper essere convincenti equilibristi sempre in bilico fra l'eleganza e il martellamento, alla formazione riesce davvero bene coniugare melodia e una distinta forma aggressiva anche nell'ambito vocale dove si alternano con costanza le ugole di Jaako e Eino.
Con "Blessing Of Freyja" ci attende un altro excursus in territori influenzati dall'operato symphonic, il pezzo è ammiccante, ampiamente arricchito da influssi melodici contrastati dall'irruenza del growl, non c'è però tempo per abituarsi perché "The List" mescola le carte in tavola e fa confluire nel sound una razione di acido e introspezione inattesa dalle movenze tutt'altro che soft.
I Blind Stare continuano a modificare il tiro di brano in brano e con "Redemption" la solfa non cambia, l'incipit delicato, melancolico e dai tratti agrodolci cela dietro sé la composizione più estesa del lotto, una lenta e ammaliante vibrazione che si dipana per sette minuti, in cui le emozioni dominanti dipingono un quadro dalle tonalità grigio tenui tra sofferenza e velata speranza di redenzione, tuttavia nel momento più triste e raccolto del platter, quando sembra che possano proseguire su questa scia, ecco che giunge come una furia "The Disciple" a risollevare gli animi infliggendo una bella botta di vita alla situazione.
Sembra sappiano sempre come riportare sulla retta via il discorso dopo il cambio di sonorità e le conclusive "Daughter Of The Sun" e "Legion Of Lost Minds", pur non aggiungendo nulla a quanto si è già ascoltato, ma dando ulteriore riprova di quanto siano dei buonissimi compositori questi finnici, concludono l'album.
"The Dividing Line" è un ottimo esempio di come dovrebbe suonare il melodic death oggi, è lontano anni luce dalle bruttissime fotocopie "core oriented", non per questo si rifiuta di di convivere con un'impostazione ad ampio raggio che permette ai pezzi di sfruttare oltre le doti naturali del genere anche una fruibilità non indifferente.
Sono questi i motivi che mi inducono a consigliarne l'ascolto a coloro che hanno seguito e seguono tuttora con passione questo panorama musicale, i Blind Stare si meritano la vostra attenzione.
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Gruppo: Space Mirrors
Titolo: In Darkness They Whisper
Anno: 2012
Provenienza: Russia
Etichetta: Transubstans Records
Contatti: facebook.com/SpaceMirrors
Autore: Mourning
Tracklist
1. Shadow Over Innsmouth
2. Silver Key
3. Geometry Of Witchcraft
4. In Darkness They Whisper
5. Rue d'Auseil Is Missing
6. Cats Of Ulthar
7. The Dreamquest Of Unknown Kadath Part I
8. The Dreamquest Of Unknown Kadath Part II
9. The Dreamquest Of Unknown Kadath Part III
DURATA: 55:19
Il progetto Space Mirrors è ambizioso, la creatura nata per volontà dell'artista russa Alisa Coral nel 2002 produce il proprio quarto capitolo intitolato "In Darkness They Whisper" e in quanto appassionata del maestro di Providence, noterete come il nome designato per il disco e quelli di alcuni pezzi inseriti in tracklist quali "Silver Key", "Cats Of Ulthar" e "The Dreamquest Of Unknown Kadath" gli rendano omaggio, non poteva quindi che donare al sound una veste scura e particolare.
Definire space-rock la proposta sarebbe limitante, per quanto padri del genere come gli Hawkwind vengano coinvolti in maniera costante, non a caso troviamo in line-up nientemeno che Nick Turner (sassofono e flauto) e Alan Davey (basso), entrambi ex della band di Dave Brock, le atmosfere siderali e i paesaggi evocati coprono un orizzonte ampio che va dal progressive Ozric Tentacles alle derive malsano-letterarie dei The Vision Bleak sino ad arrivare allo scifi degli Oxiplegatz e alla ricercatezza di alcune scelte di stampo floydiano.
Vista così sarebbe da annoverare subito fra quelle da top ten, peccato che ci siano un paio di difetti purtroppo facilmente riscontrabili.
Musicalmente troviamo una concezione di vissuto espanso stranamente standardizzata, sono rari i momenti in cui gli Space Mirrors escono dagli schemi e sono quelli che fanno la differenza.
Per quanto brani come l'opener "Shadow Over Innsmouth" e la titletrack siano più che piacevoli e la trilogia di episodi conclusiva "The Dreamquest Of Unknown Kadath" offra dei buonissimi sprazzi di lucidità, è difficile andare oltre tali appigli per difendere una prestazione che si mette alla corda da sola dopo un paio di giri nello stereo.
Le note positive vedono brillare Martyr Lucifer dietro al microfono, personalmente trovo indovinato e interpretativamente corretto l'approccio lugubre e teatrale che il cantante riminese fornisce ai brani, e un complesso strumentale che esecutivamente parlando non ha nulla da farsi rimproverare.
Sulla costruzione invece, beh, lì il discorso si potrebbe ampliare in mille modi, le direzioni che avrebbero potuto intraprendere sono molteplici, soprattutto per quanto concerne l'esplorazione atmosferica, la sensazione di "spaziale" e "horror" che le canzoni per i temi trattati avrebbero dovuto rilasciare è alquanto ridotta e in parte questo demerito va affibbiato al lavoro dietro al mixer che sarebbe decisamente da rivedere.
"In Darkness They Whisper" pare porti con sé attaccato il cartello "lavori in corso", la materia prima grezza c'è, però se si vuole ottenere il pass per i portali del cosmo olio di gomito in fase di composizione e un'attenzione decisiva ai dettagli sono fondamentali. Per ora gli Space Mirrors si ascoltano in qualità di buon sottofondo ma non lasciano il segno, in futuro? Vedremo...
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Gruppo: Full Moon Ritual
Titolo: Summoning A Cursed Moon
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: Facebook - fullmoonritual.italy[at]gmail.com
Autore: Dope Fiend
Tracklist
1. Evocation
2. A Nihilist Creation
3. Upon A Dead Hill
4. Evil Forces
5. Eternal Decay
DURATA: 22:45
Capita spesso di ritrovarsi tra le mani dischi che suonano volutamente retrò ma nel compiere tale scelta stilistica risiedono insidie potenzialmente devastanti: ogni volta che mi approccio ad una proposta che percorre deliberatamente binari vecchi di decine di anni, ho sempre l'invincibile timore di trovarmi nelle orecchie una scimmiottatura, quasi caricaturale e assolutamente indegna, di quelli che furono i fasti passati.
Perchè una simile introduzione? Perchè i Full Moon Ritual sono un quintetto pugliese formato nel 2010 ma la loro demo di esordio, "Summoning A Cursed Moon", sembra essere uscita da chissà quale antro rimasto cristallizzato al primo lustro degli anni Novanta.
Dopo "Evocation", una breve intro atmosferica, si parte con "A Nihilist Creation" che, assieme a "Eternal Decay", mette in perfetta luce quello che è lo stampo in cui il gruppo ha forgiato il proprio stile: ciò che ci viene presentato è un Black Metal glaciale ed istintivo, un suono marcio e nero fino al midollo, in cui viene inconfondibilmente a galla l'ispirazione rappresentata dal migliore classicismo scandinavo (Mayhem, primissimi Marduk e Darkthrone su tutti), implementata da alcuni passaggi che ricordano la primordiale bestialità dei Morbid.
In "Upon A Dead Hill" e "Evil Forces" si percepisce altresì l'ottima abilità dei musicisti di ammorbare l'ascolto con atmosfere pestilenziali e logoranti che intorpidiscono e avvelenano l'anima grazie anche a sfuriate taglienti come rasoi e fredde come cadaveri.
L'ossessività dei riff dilanianti e quasi ipnotici che tanto ricordano le prime produzioni di Burzum, unita alla forza di una voce aggressiva e funerea, si nutre di oscurità e si insinua malevola nei palpitii di tutti quei cuori che pulsano veleno nero.
Anche la ruvida autoproduzione, perfettamente calzante e coerente con ciò che viene suonato, fa la sua parte e vi assicuro che se fossi entrato in contatto con questa uscita senza avere alcuna informazione al riguardo, avrei molto probabilmente pensato che fosse un qualche disco prodotto nel 1992 o 1993 e risputato chissà come dagli abissi del tempo.
Siamo invece nel 2012, "Summoning A Cursed Moon" lo potete trovare in download sulla pagina Facebook della band, il Black Metal ha ormai inglobato al suo interno contaminazioni di ogni tipo e molti scommetto che si lamenteranno di un'ennesima uscita apparentemente così anacronistica.
I Full Moon Ritual, però, hanno all'interno della propria creatura il vero fetore delle marcescenti e oscure gole del Black Metal, quell'istinto feroce che libera le pulsioni più bestiali, quella rabbia incontaminata che genera purezza e odio!
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Gruppo: The Stone
Titolo: Golet
Anno: 2012
Provenienza: Serbia
Etichetta: Satanic Deathcult Production
Contatti: facebook.com/thestonehorde
Autore: Mourning
Tracklist
1. Sekao Duboko, Zakopao Plitko
2. All Graves Gaping Wide
3. Nikad Bliži Smrti
4. Golet
5. Darkness Shatters Me Towards The Dead
6. Pred Licem Novog Boga
7. Barren Earth In Cold Death's Hands
8. Humke
DURATA: 57:58
Cos'è la coerenza? Un'arma che talvolta ripaga e talvolta ti limita. Ci sono band nell'underground attive ormai da oltre una decade che meriterebbero maggior attenzione, alle volte sono loro stesse a frenarsi rendendosi fautrici di prove che gradisci e al tempo stesso ti lasciano un lieve retrogusto amaro in bocca, i serbi The Stone sono fra queste.
La formazione di Belgrado è fra le veterane della scena balcanica estrema, come altro definire un combo al quinto disco?
"Golet" venne rilasciato nel 2011 tramite Folter Records, la versione che mi ritrovo fra le mani è però quella limitata in tape che la Satanic Death Cult Production ha deciso di mettere in commercio nel 2012.
Non mi perderò in lunghe disamine, l'album ha un anno di vita, in molti lo conosceranno e per coloro che non avessero avuto modo d'impattare con il black spinto, che ama le accelerazioni ma non disdegna d'allentare la presa di questi ragazzi potrebbe essere questo il momento giusto per farlo.
Il riffing di Demonetras e Kozeljnik è vario, ben assortito, regala sia fraseggi taglienti che ricchi di melodia mentre a far la reale differenza ci pensa l'operato dietro le pelli di L.G. che quando c'è da sferrare e pestare non si tira indietro, con Nefas a chiudere il quadro con un growl/scream che sa graffiare e rendersi fiero.
Le premesse sarebbero dunque rosee se "Golet" non risultasse alla lunga in più di una circostanza prevedibile.
Nella composizione dei serbi è apprezzabile la capacità di offrire una prestazione genuina che affonda nei cardini del sound anni Novanta tirando in mezzo nomi quali i Dissection per l'impostazione spesso e volentieri death-oriented sfoggiata in più di un'occasione e la gestione dei frangenti che palesano o meno la violenza insita nelle tracce; due o tre episodi in tal senso spiccano più degli altri, parlo di "Sekao Duboko, Zakopao Plitko", "Darkness Shatters Me Towards The Dead" e la conclusiva "Humke", queste canzoni riassumono in pratica quello che odiernamente i The Stone hanno da offrire.
La cover anche in cassetta è rimasta invariata, con le quattro figure funeree che sembrano indicare l'avvento di chissà quale sciagura incombente con tanto di ambiente circostante ovviamente racchiuso all'interno di una bolla cromatica dalle tonalità grigio scure, canonico ma aderente alla musica, del resto non a caso ho tirato in ballo nella prima riga la parola "coerenza".
In definitiva, se aveste già acquistato "Golet" in altro formato, questa sua nuova "vita" potrebbe attirarvi in qualità di collezionisti, il fruscio del nastro che scorre sulle testine che girano possiede un fascino intramontabile; i restanti invece potranno ponderare su quale tipo di supporto utilizzare per ascoltare un platter death-black che il suo compito lo svolge privo di cadute di stile, zero compromessi, solo buona musica.
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Gruppo: Bölzer
Titolo: Roman Acupuncture
Anno: 2012
Provenienza: Svizzera
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: soundcloud.com/bolzer
Autore: ticino1
Tracklist
1. Roman Acupuncture
2. Soul Eclipse
3. Zeus - Seducer Of Hearts
DURATA: circa 12:00
Che cosa hanno in comune Inquisition e Bölzer? Esatto, sono entrambi duetti. Una tale costellazione, e qui intendo dalla A alla Z, anche in concerto, è rara nel metal. Il difficile è riuscire a comporre pezzi che anche con due strumenti, tre se vogliamo contare la voce, riescano a riempire l’atmosfera d’ascolto in salotto e sul palco. La coppia di musicisti zurighese adempie efficientemente quest’arduo compito con scale, che guardano sì verso nord, ma che ostentano anche un potenziale creato da idee proprie riprodotte in maniera affiatata. Come si dice? Troppi cuochi rovinano il brodo. Detto tra parentesi: i ragazzi hanno già suonato in Nuova Zelanda, forse ospiti dei Diocletian con cui sono stati in tournée ( vedi il mio articolo).
La prima canzone, che porta il titolo ironico della cassetta demo, è un massacro black death che rammenta qui e là alcuni cugini canadesi, che si mostrano spesso e volentieri addobbati di catene, e vizia l’ascoltatore con dei passaggi interessanti, mantenendo desto l’orecchio. “Soul Eclipse” è più lineare nell’esecuzione, anzi, trascinante, e accende ricordi scandinavi della prima ora, diluiti da sequenze a rallentatore, a volte quasi raccapriccianti, accompagnate da parti vocali strazianti. La terza pista pare muoversi nella falsa riga della prima, tende, però, ad attanagliare l’ascoltatore con il ritmo delle mandibole di un coccodrillo intento a ingoiare la preda.
Che dire? Primo demo per un gruppo che non solo cela nella scarsella parecchie idee ma anche un grande potenziale di sviluppo ed evolutivo. Non abbiate timore, sono due che sanno il fatto loro; la chitarra spacca e la batteria è piena di fantasia. Spero che i Bölzer mantengano il concetto di duo e nel frattempo li terrò d’occhio, come lo farete pure voi. Ne sono sicuro.
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Gruppo: Dædal Sphallðlalia
Titolo: Confinement
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/DaedalSphalldlalia - soundcloud.com/daedal-sphall-lalia
Autore: Insanity
Minimalismo e Dark Ambient, un mix molto pericoloso per chi si cimenta in esso ma che quando è fatto come si deve sa regalare molto a chi lo ascolta. Del progetto Dædal Sphallðlalia avevamo già parlato in occasione del breve "Mental Anarchy" che possiamo considerare come un antipasto, con "Confinement" finalmente i camerieri ci portano piatti decisamente più sostanziosi.
Le cinque tracce che compongono questo lavoro, nonostante la semplicità e l'assenza di qualsiasi fronzolo, riescono a spaziare toccando sensazioni molto diverse tra loro seppur collegate da un comune senso di vuoto abissale e di oppressione che si manifesta sotto forme particolari come in "Flooded", in cui ci si trova sommersi nelle sabbie mobili di una torrida foresta tropicale con la sola speranza che il destino faccia il suo corso al più presto, o in "Derealization" e "Transcending" (rispettivamente opener e closer dell'album), che ci trasporta nella notte nebbiosa di un mondo a noi ignoto e che per questo temiamo.
La tetra "Abysmal" ci fa invece sprofondare in un baratro umido e profondo, mentre la titletrack ci lascia soli con il nulla totale, l'assenza di una qualunque forma di luce rimane la nostra unica compagna e dopotutto non è una cosa così brutta come può sembrare.
Come accade spesso in questo genere è una questione principalmente di sensazioni, chi riesce ad andare oltre al minimalismo (in fondo neanche così esagerato) di questo progetto inevitabilmente finirà avvolto dalla negatività che sa emanare; certamente non bisogna aspettarsi capolavori o innovazioni di altri mondi, è appunto un lavoro fatto di emozioni e per capirlo è necessario lasciarsi trasportare da esso.
Uno stile non per tutti, ma che saprà colpire i pochi coraggiosi.
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Gruppo: Flame Of War
Titolo: Long Live Death!
Anno: 2012
Provenienza: Wroclaw, Polonia
Etichetta: Lower Silesian Stronghold
Contatti: flame-of-war.t15.org
Autore: Bosj
Tracklist
1. The Hammer Of Ragnarok
2. Lunar Plains
3. The Pulse Of The Void
4. The Fates And The Usurper
5. Mare Tenebrarum
6. The Iron Age Of Europa
DURATA: 51:17
Il progetto Flame Of War vide la luce quasi un decennio fa, nell'anno 2004, in terra polacca. Da allora diversi elementi si sono avvicendati al suo interno, con l'unica costante del polistrumentista Njord a dirigere i lavori.
Oggi con "Long Live Death!" la band taglia il traguardo del quarto lavoro in studio, e a Njord, che nel frattempo ha assunto anche le vesti di cantante, si affianca quale session member alla batteria il misterioso P., già compagno all'interno dei Dark Fury (cui Njord si è unito nel 2010), nonché mastermind del fu progetto Wschód.
Da questa breve presentazione non dovrebbe essere difficile inquadrare il lavoro dei Flame Of War: black metal mitteleuropeo dalle forti radici conservatrici, per non dire destroidi, e dall'attitudine battagliera. E "Long Live Death!" non stupisce, collocandosi precisamente in questo filone.
Cosa si potrebbe scrivere, dunque, che non sia già stato scritto, riscritto, ribadito e ripetuto ancora su questa musica? Ben poco in verità, non fosse che la particolarità dei Flame Of War è piuttosto inusuale in questo settore: il songwriting di Njord, per quanto lineare, e non potrebbe essere altrimenti, si caratterizza per una durata media dei brani decisamente superiore al solito. Considerando che "The Pulse Of The Void" è un interludio da meno di due minuti, abbiamo infatti cinque brani che insieme toccano i cinquanta minuti complessivi, non proprio cose di tutti i giorni in ambito black continentale, quadrato e senza orpelli. A questo si va ad aggiungere una particolare predisposizione per testi asciutti e volutamente scarni che, con l'unica eccezione di "The Fates And The Usurper", non occupano che una parte del brano, lasciando così ampi spazi per la chitarra e le sue lunghe, lunghissime cavalcate sulle "pianure lunari" e non. Se ciò non bastasse, si consideri anche il fatto che la strumentazione diversa dalle sei corde è registrata a un volume discretamente inferiore rispetto a queste, e avrete un'idea di quanto il lavoro sia effettivamente orientato al massiccio uso delle asce. Forse un po' troppo, aggiungo.
Non si tratta tuttavia di un disco "ignorante", in cui volumi e mixaggi vengono fatti a casaccio, questo no: "Long Live Death!" è infatti un album curato, volutamente lo-fi, in piena coerenza con quella che è la scena di appartenenza del gruppo. Lo si scopre durante la lunghissima e conclusiva "The Iron Age Of Europa", che nella seconda parte si apre a fortissimi rimandi neofolk, prima di tornare ad innalzare il muro di chitarra per la conclusione del lavoro.
All'interno del booklet poi abbiamo diverse citazioni non identificate, tra cui Philip K. Dick ("Valis") e Lord Byron ("Manfred"); non saprei dire se queste siano effettivo segno di profondità oppure semplice ostentazione di ricercatezza. Quel che è certo è che il puzzle del black metal "tradizionalista" da oggi gode di un nuovo tassello. La fiamma della guerra continua ad ardere.
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Gruppo: Vacillation
Titolo: Sadistic Nature Of Mankind
Anno: 2010
Provenienza: Houston, Texas, USA
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/Vacillation
Autore: Bosj
Tracklist:
1. The Sadistic Nature of Mankind
2. Eye Of Hate
3. The Vast Cosmos
4. Skulls Of A Thousand
DURATA: 20:46
Pur con ritardo, parliamo oggi dei Vacillation, o meglio del loro primo EP datato 2010, cui ne è già seguito uno nei mesi estivi dell'anno corrente. Il gruppo, dalle calde terre texane, è formato da quattro giovani musicisti di Houston e dedica i propri sforzi artistici al verbo death metallico di stampo mediamente melodico, ma mai troppo.
Le quattro tracce sono quanto di più classico possiate aspettarvi: Adrian Socaciu al chitarrone dal riffing monolitico, Josh Ellis fornisce un growl convinto e deciso, Garrett Healy imbastisce blast beating a catinelle, e il basso di Nick Cooper è spesso come un muro, a scandire il tutto. Gli assoli e le linee di chitarra, di volta in volta, puntano più sul tecnicismo ("The Vast Cosmos") oppure sulla melodia ("Eye Of Hate"), tuttavia nel complesso denotano sempre una piacevolissima capacità compositiva, così come tutti gli altri elementi dei brani: mai prolissi, ma nemmeno raffazzonati, i ragazzi sanno il fatto loro e hanno le idee chiare.
Anche dal punto di vista lirico, questa breve release lascia intendere una certa attenzione per la stesura dei testi, decisamente corposi e dalle tematiche variegate, che, come si può intuire dai titoli, spaziano dall'animo umano, all'odio, agli sterminati spazi cosmici.
La pecca più vistosa del cd-r dunque esula totalmente dall'ambito della musica scritta e suonata, ricadendo nel novero dei "problemi tecnici": "The Sadistic Nature Of Mankind" soffre purtroppo di una produzione piuttosto sotto la media, che spesso costringe i suoni, su tutti la voce e subito dietro la batteria, in spazi a loro non proprio congeniali, per non dire inadatti. Il più che pregevole operato di Ellis, quindi, risulta soffocato nell'economia generale, eccessivamente sommerso dall'incedere delle chitarre, impedendo ai pezzi di delinearsi correttamente durante l'ascolto secondo quella che dovrebbe essere la loro effettiva conformazione.
Raschiando la superficie formale, tuttavia, il vero contenuto della musica dei Vacillation è un'incoraggiante prova compositiva e strumentistica, che mi auguro veda presto il traguardo di una degna distribuzione.
Per il momento, è doveroso segnalare come sia "The Sadistic Nature Of Mankind" sia il suo successore, "Corridors To A New World", siano gratuitamente scaricabili tramite link sulla pagina Facebook del gruppo, in attesa che qualcuno li noti.
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Gruppo: Mysteria Noctis
Titolo: Logos
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: piccinini.giacomo[at]gmail.com - myspace.com/mysterianoctis
Autore: Akh.
Tracklist
1. Logos
DURATA: 10.22
Provenienti da Como, si affacciano al panorama musicale i Mysteria Noctis, giovanissimo combo che con il demo "Logos" vuol rompere il ghiaccio e far circolare il proprio nome. Il brano in questione data la lunghezza ci fa percepire che abbiamo davanti un gruppo volenteroso che non teme questo tipo di strada.
La musica che si va ad ascoltare è un Techno-Death con forti aperture Rock oriented, soluzione che potrebbe essere vista come una miscela di Opeth, Atheist (da ascoltare gli stacchi jazz), Soul Grind (Davide Mauro mi è tornato alla mente moltissimo ascoltando le parti soliste e certe ritmiche di Alessio Negretti), alternanze molto jazzy oppure blues e spunti ispirati ai '70, in cui il pensiero è andato ai Phlebotomized; in certi frangenti tastieristici però anche agli Amorphis e i Dream Theater sono stati un riferimento, fino all'apparire in chiusura di canzone di una pennata tipicamente Rotting Christ.
Il brano quindi è assolutamente variegato, ci sono i classici attacchi monolitici tipici del settore D.M. e una voce (quella di Alberto) che si divide fra growl pregevoli di scuola olandese e aspri scream; il lavoro di Giacomo alla batteria è molto ben fatto e dinamico (forse un po' dura la sensibilità nelle parti veloci, ma buono nel variare gli stili), stessa cosa si può dire delle tastiere di Matteo che si snodano fra le influenze sopraindicate. Se non fosse che i nostri comaschi sono tutti di giovane età, penserei a musicisti già ampiamente rodati a livello tecnico e che si attrezzano per sperimentazioni estreme.
L'età ha in sé almeno una pecca: il limite, se così si può dire, di un gruppo al primo brano è il fatto che i vari innesti sembrano più situazioni a sé stanti che un insieme eterogeneo ma compatto. Si passa quindi da sfuriate tipicamente Death a stacchi talvolta un po' troppo netti o per i quali si sarebbe potuta arrangiare meglio l'entrata. Con ciò non pensiate che il tutto sia in uno stato embrionale, assolutamente no: ci sono acerbità ma il potenziale sia tecnico che emotivo è ottimo e "Logos" sta a manifestare che i Mysteria Noctis hanno voglia di crescere e migliorarsi, i demo servono anche per questo, per crearsi esperienza.
Attendiamo gli sviluppi e seguiamo questo nome, se riusciranno a limare certe situazioni e troveranno una identità più marcata potremo ricevere cose più che interessanti, nel frattempo questo è un demo dedicato a metallari con una certa voglia di materiale aperto a più sonorità e sicuramente troveranno suoni idonei ai loro gusti.
Se volete quindi dare un ascolto a "Logos" supportateli, sicuramente come introduzione è degna di merito.
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Informazioni
Autore: Mourning
Traduzione: Fedaykin
Formazione:
Heinrich - Basso
Dariusz "Daray" Brzozowski - Batteria
Thrufel - Chitarra, Voce
Aro - Chitarra
Wojciech "Sauron" / "Pig" Wąsowicz - Voce
Aristocrazia Webzine è lieta di accogliere i polacchi Masachist, scambieremo un paio d'impressioni sul nuovo lavoro "Scorned" con Threufel e cercheremo di conoscerli meglio. Cos'avranno da raccontarci? Non perdiamoci in convenevoli e iniziamo subito con le domande.
Benvenuto sul nostro sito, com'è tornare in carreggiata con un nuovo album? Qual è stata la sensazione una volta finita la registrazione?
Threufel: Ciao! Grazie per il vostro interesse nei Masachist. È sempre una splendida sensazione completare un album, siamo molto soddisfatti del risultato. È venuto fuori esattamente come lo volevamo.
Facciamo un passo indietro e parliamo della nascita dei Masachist, della scelta del monicker e raccontiamo ai nostri lettori chi sono i musicisti coinvolti in questo progetto...
Threufel: Il nome, semplicemente, mi suonava bene, non c'è dietro nessuna storia particolare. Quanto alle origini del gruppo, questa idea mi è ronzata in testa per anni, ma prima dovevo imparare a suonare. È per questo che mi sono unito a gruppi fondati da altri. Ovviamente mi piaceva la loro musica e suonare insieme a loro era molto eccitante e appagante inizialmente, ma ho sempre covato il desiderio di farmi un gruppo tutto mio. Ho provato con alcuni musicisti locali con cui eravamo in amicizia, però non ha funzionato. Qualche tempo dopo ho incontrato Daray ed era interessato a suonare questo tipo di Death Metal, quindi abbiamo fatto qualche jamming session e tutto è partito da lì. Aveva molta esperienza, come batterista, e questo mi permetteva di suonare al livello a cui mi ero abituato con i gruppi precedenti. Abbiamo completato la line-up con Aro (chitarre) e Heinrich (basso), e dopo la prima registrazione abbiamo chiesto a Pig di unirsi a noi come cantante. Questi sono tutti vecchi amici e musicisti esperti, il che diede l'idea di un super-gruppo o qualche genere di side-project, ma la realtà non poteva essere più lontana. Almeno per come la vedo io, perché prendo molto sul serio questo progetto.
Da questo secondo capitolo i più si attendevano una conferma e invece li avete spiazzati con un cambio di sound che non vi ha snaturati di netto ma offre una prestazione più varia. Perché questa scelta? Personalmente l'ho trovata interessante, le uscite polacche tendono un po' troppo ad assomigliarsi e mi avete sorpreso.
Threufel: Non è mai stata nostra intenzione somigliare a qualcun'altro nel nostro sound, e non ci sarebbe nessuna sfida nel registrare lo stesso album due volte. Creare musica deve risultare eccitante e dobbiamo piacere a noi stessi prima di piacere a chiunque altro. Perciò non aspettarti che il nostro prossimo album somigli a "Scorned", ci evolviamo costantemente come band e facciamo quello che sentiamo giusto sul momento.
Messi a confronto "Death March Fury" e "Scorned" possiedono due storie completamente diverse, pur rimanendo entrambi totalmente death metal. Come descriveresti gli album a chi non avesse avuto modo di ascoltarli?
Threufel: "Death March Fury": death metal molto veloce e intenso, suonato con abilità e aggressività. La colonna sonora dell'apocalisse. "Scorned": più atmosfera e varietà all'interno delle composizioni, arrangiamenti migliori e un sound più spontaneo rispetto a quello del debut album. Ancora molto aggressivo e diretto.
Avete puntato molto sul fattore atmosferico, brani quali "Innervoid" e lo strumentale "Liberation II", per quanto breve, hanno il loro fattore d'incidenza nel trascorrere del platter. È cambiato il vostro modo di comporre rispetto a tre anni fa?
Threufel: Ci siamo decisamente evoluti come musicisti. Si sentono tutti gli anni in cui abbiamo suonato la nostra musica. In più non volevamo puntare solo sul fattore velocità come nel primo disco. Volevo scrivere anche dei pezzi più lenti, massicci e atmosferici. Il death metal non è solo blast beat.
Il titolo dell'album "Scorned" ("disprezzato") e la figura che nella cover compie l'atto dell'harakiri in che modo si collegano? Il disprezzo è rivolto verso la vita? C'è un senso di auto-eliminazione ("process of elimination") che sembra pervadere il disco divenendo liberatoria.
Threufel: C'è un collegamento tra l'artwork e il titolo, ma questo disprezzo è riferito alla persona che si è coperta di disonore, non alla vita di per sé. L'harakiri era un rituale che permetteva di redimersi, in modo che il nome proprio e della propria famiglia non venisse macchiato dai propri errori. Ci si potrebbe vedere una sensazione di liberazione (come suggerisce il titolo di uno dei pezzi), ma anche molta sofferenza auto-indotta. Il nostro è un tentativo di descriverlo, non di giudicarlo e credo sia difficile capire per persone che sono cresciute in culture diverse (compresa la nostra). Quanto al "processo di eliminazione", in realtà si tratta di qualcosa che può renderti la vita migliore, si tratta di sbarazzarsi delle persone che vivono come parassiti e si nutrono sulle tue spalle, in un modo o nell'altro. Potrebbe suonare esagerato vivere secondo questo concetto – e di certo non parliamo di uccidere nessuno – semplicemente sapere chi è tuo amico e chi non lo è. Credo ci siano più elementi auto-distruttivi nel nostro primo album, i cui testi trasudavano negatività in ogni aspetto. "Scorned" è un po' diverso, parla della "via del guerriero", quindi oltre alla morte e alla brutalità contiene anche un elemento costruttivo. Forgiato col fuoco.
I testi sono stati in buona parte ispirati dal codice Bushido ("la via del guerriero"), com'è nato l'interesse verso questo particolare argomento?
Threufel: Ho studiato arti marziali per anni e ho sempre voluto creare un link tra questa tradizione e il death metal. Avevo questa idea persino prima del debut album, ma i tempi non erano maturi e ci siamo mossi in una direzione differente. Però l'ho fissata in testa per il futuro. Credo che questo soggetto si addica meglio alla musica di "Scorned".
Siete musicisti attivi ormai da una vita nel mondo del metal estremo, quali sono i cambiamenti che più vi hanno dato fastidio dal punto di vista sia musicale che sociale? L'essere "extreme" è diventato di moda?
Threufel: Sai, a partire da una certa età si comincia sempre a dire che i vecchi tempi erano migliori. Forse lo erano, perché dovevi sbatterti per tutto: da trovare una copia di qualche demo tape a comprare uno strumento, perché non erano facilmente reperibili. Oggi tutto è alla portata di tutti. E, tra l'altro, il pubblico metal è diventato più mite e tollerante. Un tempo i metallari in Polonia non lasciavano che i System Of a Down suonassero prima degli Slayer, oggi un gruppo nu metal può supportare gruppi old-school senza che nessuno dica niente. È solo un esempio insignificante di quanto le cose siano cambiate. In un certo senso è un peccato che il metallaro sia diventato così calmo, quell'atteggiamento era qualcosa che ci separava dagli altri.
Il death metal non ha mai vissuto cali di "popolarità" stranamente, però ritengo che tale termine strida proprio con quello che il genere rappresenta. Sbaglio io o l'immagine che viene data del genere è forse sin troppo appetibile a chiunque? Una volta non si diceva che se volevi davvero qualcosa dovevi guadagnartela? Fra mp3 e ristampe a raffica (alle volte utili, altre decisamente bypassabili) non sembra un po' il mercato del pesce (per il rumore) più che un panorama artistico che desidera rimanere underground?
Threufel: È nella natura delle persone seguire le mode, non importa se si parla di musica, abbigliamento o – cosa molto popolare qui in Polonia – andare in vacanza in Egitto. Giocare coi Lego va di moda tra i bambini, ma non tutti poi diventano ingegneri edili. Ma questo tipo di divertimento può tramutarsi, più tardi, in una vera passione. Le persone più anziane hanno altri tipi di "giocattoli", e la musica può essere uno di questi. Il Death Metal può esserlo, ad esempio. Su alcuni esercita solo un fascino temporaneo, ad altri resta dentro per la vita. E sarà la vita stessa a mostrarci se si trattava di essere "alla moda" oppure no. Che le cose restino come sono.
Qual è la tua idea sulla scena metal odierna? Pregi e difetti? Ci sono band che segui con piacere?
Threufel: Principalmente seguo i vecchi maestri del genere. Tra le cose nuove non molte catturano la mia attenzione. In più ho meno tempo per cercare nuovi gruppi di quanto non ne avessi in passato, sono troppo preso dalla mia vita di tutti i giorni. Sono però felice di riuscire a trovare il tempo per creare della musica con i Masachist e far parte della scena Death Metal globale.
Cos'è e cosa significa per te suonare e vivere death metal?
Threufel: Per me il Death Metal è quella passione di bambino di cui parlavo prima. È un bel genere di musica da suonare, pieno di emozioni e a volte ti regala una sensazione di potere, come se tu avessi il controllo su altre persone. Particolarmente in sede live, è una sensazione fantastica. Tolto ciò, questa musica mi ha mostrato che ci sono tanti tipi di culture, non solo quella Cristiana che si ostinano ad imporci. Per quanto possa sembrare il contrario, il Death Metal è musica intelligente creata da persone intelligenti; è anche vero che questo non si riflette sempre nei fans, perchè alcuni di loro tendono a prendere le cose con molta superficialità.
È possibile tramutare quest'amore per la musica in un lavoro vero e proprio, uno che permetta di vivere o quantomeno sopravvivere?
Threufel: È possibile, guarda i Behemoth, i Vader o i Cannibal Corpse. Ma per riuscirci i tuoi album devono diventare molto popolari e poi devi stare costantemente in tour. Non credo siano in molti a potercela fare e io sinceramente non riesco a immaginare i Masachist perennemente in tour. Ci accontentiamo di suonare la musica che ci piace e di registrare buoni album, le nostre occupazioni regolari ci pagano le bollette.
Parliamo di live, quale fu la prima esibizione dal vivo dei Masachist?
Threufel: Suonammo per la prima volta in un concerto importante. Forse un po' troppo importante, anche per noi. Supportavamo i Gojira, grande gruppo e persone splendide. Fortunatamente non ci siamo fatti prendere dal panico da palcoscenico e abbiamo suonato bene. Per essere onesto, preferisco date più underground in location più piccole. Si sente meglio l'atmosfera della musica ma vedremo, magari questa volta faremo più esibizioni dell'ultima volta.
C'è stata una prestazione "on stage" che ti ha lasciato un particolare ricordo o una nella quale accadde qualcosa che ti va di condividere?
Threufel: Ho un sacco di ricordi di questo tipo, ma la cosa che ricordo in modo particolare è stata di quella volta che suonavo con gli Yattering e ho strappato i capelli di una ragazza, un sacco di capelli in realtà. Era un club piccolino, non c'era una safety zone tra il palco e il pubblico che faceva headbanging, allora avevo l'abitudine di agitare la chitarra moltissimo mentre suonavo e sfortunatamente la paletta si incastrò tra i capelli di questa ragazza, strappandone abbastanza da farne una parrucca. Tra le altre cose la ragazza era pure carina. Ancora oggi io e lei ci ridiamo su quando ci incontriamo e qualcuno menziona il fatto.
È programmato un tour di supporto all'uscita di "Scorned"? Toccherà anche la nostra Penisola?
Threufel: Non organizzeremo il tour noi in prima persona, siamo troppo pigri. Ma se qualcuno ci offrisse una buona opportunità, perché no? Sarebbe bello suonare in Italia, specialmente con gli Undertakers, se esistono ancora. Persone in gamba, noi (come Yattering) ci abbiamo fatto un tour insieme una volta.
Quali sono stati gli ultimi dischi che hai acquistato e gli ultimi concerti a cui hai partecipato come spettatore?
Threufel: Ho comprato un sacco di album di recente, ma per la maggior parte cose che già conoscevo, che magari avevo solo copiate in CDr o cose così. Ma mi piace decisamente l'ultimo album dei Gojira, gran gruppo!
Con questa mi sa che possiamo anche concludere, ti ringrazio per il tempo dedicatoci e ti lascio ancora una volta la parola per concludere come meglio credi...
Threufel: Grazie per l'intervista. Ci vediamo ai concerti! Hail puttana!
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