lunedì 11 luglio 2011

NOVEMBERS DOOM - Aphotic


Informazioni
Gruppo: Novembers Doom
Anno: 2011
Etichetta: The End Records
Contatti: www.novembersdoom.com
Autore: Fedaykin

Tracklist
1. The Dark Host
2. Harvest Scythe
3. Buried
4. What Could Have Been
5. Of Age And Origin: Part 1
6. Of Age And Origin: Part 2
7. Six Sides
8. Shadow Play

DURATA: 50.34

Giunti ormai al loro ottavo full lenght, i Novembers Doom di certo non hanno bisogno di presentazioni: nei loro ventidue anni di carriera i nostri si son tolti delle belle soddisfazioni, dando alla luce album considerati al vertice del loro genere. E di sicuro non si può dire che questi ragazzi siano mai rimasti uguali a se stessi: nel corso del tempo hanno saputo cambiare il loro sound, perfezionarlo, modellarlo secondo i loro gusti, senza mai perderci nè in qualità nè in personalità. É proprio qui, secondo me, che risiede il pregio migliore del quintetto di Chicago: nonostante potrebbero permettersi, in virtù della loro posizione, di sedersi sugli allori, questi non vogliono rassegnarsi a fare il compitino, non vogliono che la loro musica risulti scontata, neanche in una nota. Ed è con questo spirito che nasce "Aphotic", lavoro che può contare sulla partecipazione di ospiti di eccezione come Anneke Van Giesbergen, celebre cantante dei The Gathering, che presta la sua voce suadente in “What Could Have Been”, o Dan Swano, a cui non solo sono nuovamente affidate le cure dell’album in fase di mixaggio e mastering (collaborazione ormai collaudata), ma che è presente anche con il suo possente growl in “Of Age And Origin”.

Paul Kuhr e soci hanno voluto qui rendersi più eleganti, più discreti, senza tornare alle sonorità più fredde delle loro origini, ma smussando un po’ quell’aggressività che aveva contraddistinto i loro ultimi due o tre dischi; nonostante i Novembers Doom abbiano sempre fatto dell’alternanza tra sessioni pesanti e linee soffici una pietra d’angolo del loro stile, c’è in "Aphotic" una presenza melodica decisamente più calcata, e la malinconia di fondo, sempre attuale nelle loro produzioni, emerge in modo più raffinato e più sottolineato. Già le prime due tracce, che considero comunque le più “Death” del disco, possiedono una vena prog piuttosto evidente, soprattutto negli splendidi assoli che coronano le loro fasi più calme; in “Harvest Scythe” in particolare, pur sfornando un bel riffing molto dinamico e potente, c’è una certa preponderanza del cantato in clean su quello in growl, e alla spiccata rabbia della strofa si contrappone un ritornello piuttosto catchy. In questi dettagli riecheggia una sensibilità molto opethiana, come testimonia anche la conclusiva “Shadow Play” nel suo gioco acustico, così delicato, che ci porta per mano alla suggestiva sfuriata di fine disco. Continuando con una rapida rassegna dei pezzi, in “Buried” e in “Six Sides” gli americani lasciano libero il loro lato più Doom, sfornando riff massicci, ritmiche più dilatate e una linea vocale più disperata che malinconica; nel primo, composizione più sinistra e pesante anche dal punto di vista testuale, è estremamente efficace la scelta di accompagnare il growl secco di Kuhr con un semplice giro acustico all’inizio, mentre nel secondo sembra quasi di risentire certi My Dying Bride. La parte centrale dell’album è forse anche la più intensa, sia emotivamente che stilisticamente: ci sono poche parole per commentare la splendida “What Could Have Been”, una ballad in piena regola in cui Anneke duetta leggiadra con il frontman del gruppo, mentre “Of Age And Origin” è un viaggio oscuro e compatto, che dalla base poderosa della Part 1 arriva ad una conclusione estremamente riflessiva nella Part 2, probabilmente il picco più alto del disco.

Tutto ciò è suonato perfettamente, senza sbavature, e prodotto anche meglio; non una nota fuori posto. Le prove individuali sono notevoli; grande protagonista la voce del frontman, estremamente versatile, che sa variare da un growl estremamente profondo, capace di collidere efficacemente con la produzione generalmente calda e pastellosa dei suoni, ad un pulito malinconico, intimo, piacevole. La ritmica è sempre convincente, sia nelle sessioni più accelerate che in quelle in cui il passo si fa più lento; chitarre e basso non sbagliano un colpo. Si può dire, peraltro, che ci sia tra una traccia e l’altra abbastanza varietà da reggere tranquillamente i cinquanta minuti di durata; il disco non annoia e non si ripete mai, e il tempo scorre liscio dall’inizio alla fine.

Certo coloro che si aspettavano un ulteriore distacco dalle loro produzioni iniziali probabilmente resteranno delusi da questo "Aphotic", ma d’altronde sembra quasi che la band sia riuscita, qui, a trovare una sua dimensione ideale: hanno saputo cambiarsi, hanno saputo non cambiarsi troppo e hanno saputo farlo con classe e personalità. Non è un disco che fa gridare al miracolo, è quello che ci si aspetta da un gruppo che ha sempre tenuto alta la sua bandiera con umiltà e con qualità. Buon ascolto.

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