Informazioni
Gruppo: Novembers Doom
Anno: 2011
Etichetta: The End Records
Contatti: www.novembersdoom.com
Autore: Fedaykin
Tracklist
1. The Dark Host
2. Harvest Scythe
3. Buried
4. What Could Have Been
5. Of Age And Origin: Part 1
6. Of Age And Origin: Part 2
7. Six Sides
8. Shadow Play
DURATA: 50.34
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Paul Kuhr e soci hanno voluto qui rendersi più eleganti, più discreti, senza tornare alle sonorità più fredde delle loro origini, ma smussando un po’ quell’aggressività che aveva contraddistinto i loro ultimi due o tre dischi; nonostante i Novembers Doom abbiano sempre fatto dell’alternanza tra sessioni pesanti e linee soffici una pietra d’angolo del loro stile, c’è in "Aphotic" una presenza melodica decisamente più calcata, e la malinconia di fondo, sempre attuale nelle loro produzioni, emerge in modo più raffinato e più sottolineato. Già le prime due tracce, che considero comunque le più “Death” del disco, possiedono una vena prog piuttosto evidente, soprattutto negli splendidi assoli che coronano le loro fasi più calme; in “Harvest Scythe” in particolare, pur sfornando un bel riffing molto dinamico e potente, c’è una certa preponderanza del cantato in clean su quello in growl, e alla spiccata rabbia della strofa si contrappone un ritornello piuttosto catchy. In questi dettagli riecheggia una sensibilità molto opethiana, come testimonia anche la conclusiva “Shadow Play” nel suo gioco acustico, così delicato, che ci porta per mano alla suggestiva sfuriata di fine disco. Continuando con una rapida rassegna dei pezzi, in “Buried” e in “Six Sides” gli americani lasciano libero il loro lato più Doom, sfornando riff massicci, ritmiche più dilatate e una linea vocale più disperata che malinconica; nel primo, composizione più sinistra e pesante anche dal punto di vista testuale, è estremamente efficace la scelta di accompagnare il growl secco di Kuhr con un semplice giro acustico all’inizio, mentre nel secondo sembra quasi di risentire certi My Dying Bride. La parte centrale dell’album è forse anche la più intensa, sia emotivamente che stilisticamente: ci sono poche parole per commentare la splendida “What Could Have Been”, una ballad in piena regola in cui Anneke duetta leggiadra con il frontman del gruppo, mentre “Of Age And Origin” è un viaggio oscuro e compatto, che dalla base poderosa della Part 1 arriva ad una conclusione estremamente riflessiva nella Part 2, probabilmente il picco più alto del disco.
Tutto ciò è suonato perfettamente, senza sbavature, e prodotto anche meglio; non una nota fuori posto. Le prove individuali sono notevoli; grande protagonista la voce del frontman, estremamente versatile, che sa variare da un growl estremamente profondo, capace di collidere efficacemente con la produzione generalmente calda e pastellosa dei suoni, ad un pulito malinconico, intimo, piacevole. La ritmica è sempre convincente, sia nelle sessioni più accelerate che in quelle in cui il passo si fa più lento; chitarre e basso non sbagliano un colpo. Si può dire, peraltro, che ci sia tra una traccia e l’altra abbastanza varietà da reggere tranquillamente i cinquanta minuti di durata; il disco non annoia e non si ripete mai, e il tempo scorre liscio dall’inizio alla fine.
Certo coloro che si aspettavano un ulteriore distacco dalle loro produzioni iniziali probabilmente resteranno delusi da questo "Aphotic", ma d’altronde sembra quasi che la band sia riuscita, qui, a trovare una sua dimensione ideale: hanno saputo cambiarsi, hanno saputo non cambiarsi troppo e hanno saputo farlo con classe e personalità. Non è un disco che fa gridare al miracolo, è quello che ci si aspetta da un gruppo che ha sempre tenuto alta la sua bandiera con umiltà e con qualità. Buon ascolto.