Informazioni
Gruppi: Meshuggah + Decapitated + C.B. Murdoc
Data: 05/12/2012
Luogo: Alcatraz, Milano
Autore: Istrice
Potrei iniziare raccontandovi delle varie peripezie che hanno preceduto la serata, o semplicemente potrei raccontarvi della efficace seppur breve prestazione dei C.B. Murdoc, formazione svedese, autrice di un post death/thrash di matrice svedese di ottimo livello. Potrei altrimenti raccontarvi dell'aggressione chiamata Decapitated [vedi foto], il cui death tecnico e martellante travolge il locale iniziando a scaldare gli animi, potrei raccontarvi di come i polacchi riescano ancora ad essere convincenti nonostante la formazione sia ormai totalmente ricostruita e nonostante la qualità del suono non renda giustizia alla loro proposta, o di come il rasta-vocalist sappia destreggiarsi sul palco, o di come Vogg (chitarra) ultimo superstite dei membri fondatori porti ancora avanti il messaggio proseguendo per la sua strada. Potrei, si diceva, ma non lo farò, poiché tale è la dimostrazione di superiorità ed onnipotenza della main band della serata che tutto ciò che è avvenuto in precedenza perde di significato.
Sono appena scoccate le 21:00 quando il quintetto di Umea fa capolino on stage, l'ovazione dell'Alcatraz, gremito seppur in versione ridotta "orizzontale", è assordante. L'apertura delle danze è ovviamente affidata a "Demiurge", singolo estratto dall'ottimo neonato "Koloss". L'impatto sonoro è devastante, le 8-strings costruiscono enormi muri di suono, e tutte le perplessità che serpeggiavano nei minuti precedenti tra la folla circa le possibilità di una resa non perfetta (come detto i suoni fino a quel momento erano stati tutt'altro che eccezionali) vengono immediatamente fugate. I Meshuggah si dimostrano fin da subito in grande serata, alle ritmiche altalenanti di "Demiurge" vengono fatte seguire quelle più dirette e violente di "Pravus", su cui l'intero Alcatraz diventa una bolgia di pogo. E non è nulla se paragonato al delirio che di lì a breve si scatenerà sulle note di "Combustion", opener di "obZen", sicuramente uno dei brani più lineari (se così si può dire di un pezzo dei Meshuggah) ed adatti a fare morti in sede live di tutta la loro produzione. Tempo di placare gli animi, ai superstiti viene regalata l'intricata "Glints Collide", direttamente dalle disritmie di "Nothing", con Haake, un mostro di tecnica dietro le pelli, che dirige le danze.
I Meshuggah non si prendono pause, Jens Kidman, uomo di pochissime parole, ma autore di una prova vocale impressionante se si pensa che da oltre vent'anni urla sui palchi di tutto il mondo, trova giusto il tempo di ringraziare i presenti prima che attacchi "Lethargica", brano dal ritmo cadenzato e dal riffing glaciale, a cui fa seguito il combo "kolossiano" composto da "Do Not Look Down" e "The Hurt That Finds You First", che dimostra come la nuova creatura sia "colossale" anche in sede live. Due parole sulla seconda canzone in questione, che si reifica in una clamorosa mazzata sui denti, un treno di distorsioni dispari lanciato a folle velocità che a metà del suo percorso deraglia in un labirinto ritmico in cui ancora una volta la premiata ditta Haake & Lövgren si dimostra impeccabile. Il finale disteso coincide con la prima uscita di scena della band, che va a prendere fiato.
La voce elettronica di "Mind's Mirrors" intrattiene il pubblico e li introduce alla creazione più cervellotica della band, quel "Catch 33" da cui i Nostri propongono l'accoppiata "In Death – Is Life" / "In Death – Is Death", coadiuvati da uno psichedelico set di laser verdi che aiuta a rendere ancor più alienante l'esperienza. La facilità con cui si destreggiano nel caos di "Catch 33" è quasi irritante, pare che stiano suonando punk (col massimo rispetto per un genere che personalmente adoro, ma che ha altri valori) quando invece stanno dando vita ad un midtempo in trentasettesimi, o altre amenità del genere.
Il concerto si inoltra nella sua seconda metà ed arriva il momento dei pezzi da classifica. Si parte con l'assalto terzinato di "Bleed", accolta con grande calore dal pubblico, a cui fa seguito la storica ed immancabile "New Millenium Cyanide Christ", introdotta da Jens con un pregnante "Let's see if you know this one". Il megalitico riffing di Thordendal ed Hagström porta indietro nel tempo, a "Chaosphere", ed è straniante pensare che un pezzo del genere sia stato composto ormai quindici anni fa e ancora oggi suoni drammaticamente moderno, se non addirittura futuristico. Dopo il vecchio arriva il nuovo, spazio all'opener "I Am Colossus", al cui finale potentissimo fa seguito la meravigliosa "Rational Gaze", nell'opinione di chi scrive miglior brano della serata, e potenzialmente miglior brano della carriera degli svedesi. Coinvolgimento ai massimi livelli al momento di "Never stray... from the common lines" e del clamoroso riffing che ne consegue.
I Meshuggah salutano, ringraziano e scendono dal palco per pochi minuti. Il rientro è ancora una volta memorabile. L'attacco di "Future Breed Machine", divenuta ormai un inno alla loro carriera, non lascia scampo, giusto nel caso qualcuno fosse riuscito ad arrivare fino a quel punto senza lividi. Chiude "Dancers To A Discordant System", brano fiume il cui finale dilatato diventa il momento di congedo della band, che esce definitivamente di scena.
L'impressione finale è di essersi trovati al cospetto di un mostro sacro del metal più estremo, i Meshuggah sono dei fuoriclasse assoluti, la precisione e la perizia con cui padroneggiano la materia musicale non ha eguali attualmente, e la proposta da vent'anni a questa parte continua ad essere totalmente innovativa. Possono piacere o meno, possono risultare indigesti, ma rendiamo onore a chi nel nostro piccolo, ma significativo mondo di metallo ha realmente creato qualcosa di unico.