Informazioni
Gruppi: My Dying Bride + Talanas
Data: 12/12/2012
Luogo: Magazzini Generali, Milano
Autore: Bosj
Ci avevo già messo una pietra sopra, il periodo è di magra e gli approvvigionamenti per potersi permettere anche questa data non c'erano. Quando mi sono ritrovato tra capo e collo un'email che invitava formalmente un Aristocratico Emissario all'evento, sul momento stentavo a crederci. E invece è tutto vero: Hal Sinden, tramite la sua label Eulogy Media, ci ha gentilmente proposto di raccontare quanto i suoi Talanas, che ammetto apertamente di aver conosciuto solo e soltanto quando sono stati annunciati come formazione di spalla di questo tour, e successivamente i My Dying Bride hanno tenuto alta la bandiera di Sua Maestà ai Magazzini Generali di Milano (eh sì, gira che ti rigira siamo sempre qui).
Come sempre, la serata ha orari "da aperitivo", per fare in modo che alle dieci si smonti tutto quanto e il popolo truzzo possa godere del dj-set di Marco Faraone di lì a poco. Tempo di trangugiare la canonica salamella del paninaro, e alle 19:30 è il combo capitanato dal succitato Sinden che sale sul palco e offre una quarantina di minuti di ottimo intrattenimento. Nonostante i ben noti problemi di acustica dei Magazza e dei suoi soppalchi (i soppalchi davanti alle casse, cose da terzo mondo), il quartetto londinese ha dato di che riflettere agli ancora pochissimi presenti: alcuni li dicono vicini agli Opeth, su Internet li si accosta agli Akercocke, la verità è che i Talanas hanno un modo tutto loro di fare progressive death, molto incentrato sulle ottime prestazioni vocali di Sinden e, per quanto il suo collega Mark Duffy suoni un basso a sette (!) corde, mai eccessivamente tecnico ed autocelebrativo, anzi piuttosto d'impatto in sede live e ben variegato, spaziando tra growl, clean, mid-tempos, cavalcate furiose e qualche immancabile assolo. Tutto il repertorio è poi stato ampiamente condito da una dose massiccia di humor inglese, in cui gli stessi Sinden e Perry si prendevano allegramente in giro commentando come la plastica trasparente e l'etichetta delle bottigliette di San Benedetto naturale ricordi molto, all'occhio inglese, l'olio per bambini. Da qui i due hanno continuato a discutere e commentare i diversi utilizzi "derivativi" del prodotto in questione, che neanche Peter Steele, ma va bene così. L'impegno prefissomi è quello di riascoltare il tutto su disco e approfondire la conoscenza dei simpatici inglesi, magari tralasciando la parte relativa agli oli per bambini.
Terminato il tempo a loro disposizione, i quattro musicisti si fanno da parte e scendono a loro volta tra il pubblico per spettare all'esibizione imminente. L'attesa è quasi palpabile, tra i mormorii si capisce come l'evento sia molto aspettato, quanto sia raro avere la possibilità di vedere uno dei gruppi padri del doom metal calcare un palco italiano; eppure, nonostante tutto, i presenti sono davvero pochissimi. Vero è che ad un concerto del genere meno si è meglio si sta, vero è che la sera precedente la compagine è passata da Firenze, tuttavia è un dispiacere constatare una volta di più come un evento di questa caratura sia passato quasi inosservato. Poi, le luci si abbassano, i pochi presenti si lanciano in boati di approvazione, la tensione è alle stelle e i cinque signori e la signora fanno il loro ingresso. Da lì, un'ora e mezza di sensazioni indescrivibili ed incommentabili.
Superato il trauma di vedere Stainthorpe rapato a zero, l'attacco di "Kneel Till Doomsday", opener del nuovo "A Map Of All Our Failures", mette in chiaro fin dai primi secondi che gli Inglesi sono in forma smagliante e la serata sarà di quelle da ricordare. Le casse tremano, il locale addirittura va in risonanza per certi momenti, tanto le chitarre di Craighan e Glencross sono grosse. Si continua con pezzi ben noti e Lena Abé, impassibile per tutto lo show, raccoglie grida di gioia quando scattano le prime note di basso di una MO-NU-MEN-TA-LE "From Darkest Skies". La formazione è brava ad attingere in maniera varia dalla propria foltissima produzione, spostandosi ora verso brani più gothicheggianti, ora tornando a riffing più pesanti, ora mescolando con classe entrambe le cose. Stainthorpe si contorce sul palco come da copione, passando dal suo clean particolarissimo a una voce sporca che, a dispetto dell'età, non ha assolutamente nulla da invidiare a nessuno, e pian piano del gilet scuro e della cravatta nera non c'è più traccia, la camicia bianca salta fuori dai pantaloni e man mano che si prosegue è difficile dire quale brano sia eseguito meglio, quale sia accolto con maggior approvazione dal pubblico in giubilo (ma anche disperato, d'accordo, certo), sia che si tratti di materiale fresco di pubblicazione, come "My Body, A Funeral" o "The Poorest Waltz", sia che si vada a pescare più in là con gli anni, fino a quello per il quale il buon Aaron si è addirittura spinto oltre i suoi risicati "cheers", arrivando a fare una presentazione plurisillabica del calibro "and now we have a nice and happy song called Turn Loose The Swans". Dopo un'ora e un quarto passata in un lampo, veniamo avvisati che la band non avrà tempo di fare alcun bis, e che lo show continuerà senza interruzioni fino alla fine. C'è tempo solo per un ultimo estratto dal disco attualmente in promozione, "Like A Perpetual Funeral", ed è poi il momento di concludere con un altro monolite indiscutibile che risponde al nome di "The Dreadful Hours".
Più di così non si poteva chiedere. Più di così, la Sposa Morente non poteva offrire. Più di così, non c'è niente. Uno dei concerti dell'anno.
Scaletta Talanas
Penetralium
Corpseflower
Diaphora
Antiphon
Aorta
Scaletta My Dying Bride
Kneel Till Doomsday
Like Gods Of The Sun
From Darkest Skies
To Remain Tombless
Turn Loose The Swans
My Body, A Funeral
The Wreckage Of My Flesh
She Is The Dark
The Poorest Waltz
The Cry Of Mankind
Like A Perpetual Funeral
The Dreadful Hours
Gruppi: My Dying Bride + Talanas
Data: 12/12/2012
Luogo: Magazzini Generali, Milano
Autore: Bosj
Ci avevo già messo una pietra sopra, il periodo è di magra e gli approvvigionamenti per potersi permettere anche questa data non c'erano. Quando mi sono ritrovato tra capo e collo un'email che invitava formalmente un Aristocratico Emissario all'evento, sul momento stentavo a crederci. E invece è tutto vero: Hal Sinden, tramite la sua label Eulogy Media, ci ha gentilmente proposto di raccontare quanto i suoi Talanas, che ammetto apertamente di aver conosciuto solo e soltanto quando sono stati annunciati come formazione di spalla di questo tour, e successivamente i My Dying Bride hanno tenuto alta la bandiera di Sua Maestà ai Magazzini Generali di Milano (eh sì, gira che ti rigira siamo sempre qui).
Come sempre, la serata ha orari "da aperitivo", per fare in modo che alle dieci si smonti tutto quanto e il popolo truzzo possa godere del dj-set di Marco Faraone di lì a poco. Tempo di trangugiare la canonica salamella del paninaro, e alle 19:30 è il combo capitanato dal succitato Sinden che sale sul palco e offre una quarantina di minuti di ottimo intrattenimento. Nonostante i ben noti problemi di acustica dei Magazza e dei suoi soppalchi (i soppalchi davanti alle casse, cose da terzo mondo), il quartetto londinese ha dato di che riflettere agli ancora pochissimi presenti: alcuni li dicono vicini agli Opeth, su Internet li si accosta agli Akercocke, la verità è che i Talanas hanno un modo tutto loro di fare progressive death, molto incentrato sulle ottime prestazioni vocali di Sinden e, per quanto il suo collega Mark Duffy suoni un basso a sette (!) corde, mai eccessivamente tecnico ed autocelebrativo, anzi piuttosto d'impatto in sede live e ben variegato, spaziando tra growl, clean, mid-tempos, cavalcate furiose e qualche immancabile assolo. Tutto il repertorio è poi stato ampiamente condito da una dose massiccia di humor inglese, in cui gli stessi Sinden e Perry si prendevano allegramente in giro commentando come la plastica trasparente e l'etichetta delle bottigliette di San Benedetto naturale ricordi molto, all'occhio inglese, l'olio per bambini. Da qui i due hanno continuato a discutere e commentare i diversi utilizzi "derivativi" del prodotto in questione, che neanche Peter Steele, ma va bene così. L'impegno prefissomi è quello di riascoltare il tutto su disco e approfondire la conoscenza dei simpatici inglesi, magari tralasciando la parte relativa agli oli per bambini.
Terminato il tempo a loro disposizione, i quattro musicisti si fanno da parte e scendono a loro volta tra il pubblico per spettare all'esibizione imminente. L'attesa è quasi palpabile, tra i mormorii si capisce come l'evento sia molto aspettato, quanto sia raro avere la possibilità di vedere uno dei gruppi padri del doom metal calcare un palco italiano; eppure, nonostante tutto, i presenti sono davvero pochissimi. Vero è che ad un concerto del genere meno si è meglio si sta, vero è che la sera precedente la compagine è passata da Firenze, tuttavia è un dispiacere constatare una volta di più come un evento di questa caratura sia passato quasi inosservato. Poi, le luci si abbassano, i pochi presenti si lanciano in boati di approvazione, la tensione è alle stelle e i cinque signori e la signora fanno il loro ingresso. Da lì, un'ora e mezza di sensazioni indescrivibili ed incommentabili.
Superato il trauma di vedere Stainthorpe rapato a zero, l'attacco di "Kneel Till Doomsday", opener del nuovo "A Map Of All Our Failures", mette in chiaro fin dai primi secondi che gli Inglesi sono in forma smagliante e la serata sarà di quelle da ricordare. Le casse tremano, il locale addirittura va in risonanza per certi momenti, tanto le chitarre di Craighan e Glencross sono grosse. Si continua con pezzi ben noti e Lena Abé, impassibile per tutto lo show, raccoglie grida di gioia quando scattano le prime note di basso di una MO-NU-MEN-TA-LE "From Darkest Skies". La formazione è brava ad attingere in maniera varia dalla propria foltissima produzione, spostandosi ora verso brani più gothicheggianti, ora tornando a riffing più pesanti, ora mescolando con classe entrambe le cose. Stainthorpe si contorce sul palco come da copione, passando dal suo clean particolarissimo a una voce sporca che, a dispetto dell'età, non ha assolutamente nulla da invidiare a nessuno, e pian piano del gilet scuro e della cravatta nera non c'è più traccia, la camicia bianca salta fuori dai pantaloni e man mano che si prosegue è difficile dire quale brano sia eseguito meglio, quale sia accolto con maggior approvazione dal pubblico in giubilo (ma anche disperato, d'accordo, certo), sia che si tratti di materiale fresco di pubblicazione, come "My Body, A Funeral" o "The Poorest Waltz", sia che si vada a pescare più in là con gli anni, fino a quello per il quale il buon Aaron si è addirittura spinto oltre i suoi risicati "cheers", arrivando a fare una presentazione plurisillabica del calibro "and now we have a nice and happy song called Turn Loose The Swans". Dopo un'ora e un quarto passata in un lampo, veniamo avvisati che la band non avrà tempo di fare alcun bis, e che lo show continuerà senza interruzioni fino alla fine. C'è tempo solo per un ultimo estratto dal disco attualmente in promozione, "Like A Perpetual Funeral", ed è poi il momento di concludere con un altro monolite indiscutibile che risponde al nome di "The Dreadful Hours".
Più di così non si poteva chiedere. Più di così, la Sposa Morente non poteva offrire. Più di così, non c'è niente. Uno dei concerti dell'anno.
Scaletta Talanas
Penetralium
Corpseflower
Diaphora
Antiphon
Aorta
Scaletta My Dying Bride
Kneel Till Doomsday
Like Gods Of The Sun
From Darkest Skies
To Remain Tombless
Turn Loose The Swans
My Body, A Funeral
The Wreckage Of My Flesh
She Is The Dark
The Poorest Waltz
The Cry Of Mankind
Like A Perpetual Funeral
The Dreadful Hours