lunedì 17 dicembre 2012

T.M.K. - Knownothingism

Informazioni
Gruppo: T.M.K. (Textbook Of Modern Karate)
Titolo: Knownothingism
Anno: 2012
Etichetta: Autoprodotto
Provenianza: Italia
Contatti: Facebook - Bandcamp - Myspace
Autore: Akh.

Tracklist
1. Clarity, Oh Open Wound
2. An Uncontrollable Moment Of High Tide
3. Cordyceps
4. Mariguanda
5. Lhasa & The Naked West
6. Nirguna
7. The Ashima Complex

DURATA: 62.32

Stasera 7 dicembre è la notte del Rohatsu, credo sia il momento migliore per iniziare una trilogia che da tempo ho in mente, ma di cui non mi sento la competenza per poterne descrivere la mole di energie mosse, le articolazioni sonore e le implicite componenti spirituali. Lo spessore personale che gli artisti riversano all'interno di questo nuovo lavoro targato T.M.K. ve lo mostro in un piccolo spaccato di cosa intendo:

Lyrically inspired by the Yin hemisphere of universal energy, the album features the charming vocals of Pina Kollars, moving further the entire work to smartly touch rock, pop, jazz while keeping the sound into the most adventurous fields of laptop experimentalism. From the Brechtian crescendo of "Clarity, Oh Open Wound" to "Nirguna" heavy trip hop; from the modern spiritual cadency of "An Uncontrollable Moment Of High Tide" to the jazzy abstractions of "Mariguanda", Knownothingism is a creative zen walk into sound and a musthave album for all open minded music enthusiasts.

Accedo quindi in maniera forse poco opportuna al simbolo di questa notte augurandomi di non essere eccessivamente fuori strada e incomincio la disamina di questo ambizioso parto che ha necessitato di una gestazione lunga cinque anni.

Se nella prefazione troviamo termini come Pop, Jazz, Rock, Experimental, io aggiungerei indubbiamente altrettanti termini come: Noir, Elettronico, Pulsante, a tratti... Isterico e Creativo. Avevamo lasciato i T.M.K. con soluzioni visionarie e fumose, quasi dai tratti investigativi, in questo caso si apre un nuovo spaccato alla loro dimensione, in quanto questo lavoro pare essere una colonna sonora ad una pellicola mai girata e solamente tramite le note se ne potrebbe incominciare a stendere il canovaccio.

L'iniziale "Clarity, Oh Open Wound" potrebbe benissimo esser un brano adattabile ad un film di Tim Burton per l'equilibrio quasi circense dei suoni delicati scelti e le sfumature oscure in cui si ritraggono, per non parlare delle linee vocali scelte da Pina Kollars che, nonostante sia di nascita austriaca e si ispiri ad una certa élite musicale statunitense (come ci delucida già in "An Uncontrollable Moment Of High Tide"), calibra a mio avviso una prestazione dal profumo tipicamente francese per questo pezzo, il che acuisce ancor di più i tratti romanticamente opalescenti ed onirici, compreso il cambio dall'incedere psichedelico.

Se come dicevamo ci sono molte propensioni "popolari" non si può non spezzare una lancia a favore delle musiche, veramente pregne ed espressione di talento, tanto che nonostante non si accenni minimamente a latenze metalliche il nome Arcturus è apparso sovente nell'udire arrangiamenti colti e ben strutturati, dove archi ed elettronica non invasiva vanno a braccetto con trasporto emozionandomi. Con l'avanzare degli ascolti e del disco però il termine sopra virgolettato acquisisce nuove prospettive che menzionerò fra poco.

Parlavamo di isteria, come avviene in "Cordyceps", quella cupa, quella che echeggia nelle membra e che fa fluire le proprie inclinazioni in perenni loops isolanti, un po' come combinare i The Axis Of Perdition e Bjork, per poi esplodere in un giro di basso alternativamente esaltante abbinato ad un piano jazz e attacchi trip hop di batteria, senza dimenticare una spruzzata funky core. Possiamo accostare quindi queste sonorità al mainstream, però con un tasso di classe altissimo, in cui il trio A. e M. Castagnetto / Bieber rischia perennemente di farci rotolare a terra il velo di Maya.

Le percezioni durante gli ascolti sono molteplici e seguono fedelmente l'intrecciarsi complesso e scardinante di questo attacco spirituale, il basso è perennemente sopra le righe, trovando soluzioni intriganti e mesmerizzanti, che ci danno l'impressione di trovarci di fronte alla rottura di un sigillo; situazione che ben si adegua all'intelligente uso dell'elettronica e delle altre varie strumentazioni. In questo senso l'approccio diviene quasi seduttivo, a volte passionale, altre volte distaccato, spesso coinvolgente e sempre ammaliatore, come la migliore delle femme fatale. Qui nasce un'altra consapevolezza: che questo turbinare di note contenga un'altra chiave di lettura? Se i tratti femminei di questo lavoro portassero in grembo l'idea di lavoro generante? E cosa è il "generare" nel mondo se non una maniera riproduttiva, quindi un'indole massiva e ancora quindi "popolare"... i T.M.K. stanno dunque partorendo energie notturne / ctonie per arrivare a una moltitudine oserei dire.

Per associazione mi è venuto in mente lo scritto di Apuleio "L’Asino D'Oro", in cui il protagonista subisce una metamorfosi che lo porta a rivisitare il proprio concetto di "Arte Nera", fino a farlo evolvere ad uno stadio spirituale devoto alla grande Dea Iside (in "Nirguna" ad esempio ritrovo pienamente quest'idea, per la tensione interiore dal finale chiaramente evocativo; la canzone tra le altre cose viene infarcita da multiple sfaccettature musicali, passando da sonorità Ulver a tratti drum & bass dotati di corpose chitarre ritmiche). Che sia uno dei segreti di questo "Knownothingism"’? un mezzo per evolverci attraverso il suono?

Sicuramente so che i rimanenti titoli divengono più robusti nell'approccio, ma che mantengono lo stesso tasso di seduzione ed ipnotica volontà, si vedano "Mariguanda" e "Lhasa & The Naked West", quest'ultima dai tratti elettro desertici; come percepire una versione mescalinica di quanto descritto sopra, giusto per ribadire il concetto. I ritmi crescono con gli ascolti, le percezioni si amplificano, le ombre si schiariscono attorno alla lunaticità della proposta, attraversando impulsi mistici in argentei riverberi, che portano ai vertici di un trascendente ballo liberatorio.

La chiusura è affidata alla lunga "The Ashima Complex" dedicata alla divinità Krishna, luogo imponente e colmo di vibrazioni in cui esplodono le forti influenze settantiane e sud-asiatiche del trio, ma soprattutto dei "La Croix", la cui ricerca si percepisce dai minuziosi dettagli di cui forniscono le loro variegate e intriganti composizioni, le quali in questo finale si esaltano, illuminandosi per la procreazione insita in questo concept (non credo sia un caso ma in Ashima si ritrova una statua di Balakrishna, ovvero il divino Krishna bambino), come a simboleggiare la nuova dimensione postuma a questo intricato e magico ascolto uscendo dal sogno iniziale.

T.M.K. è ancora sinonimo di avanguardia intellettuale ed artistica, una instancabile e indomabile creatura multidimensionale che sfiorandoci si apre come un nero Loto donandosi a noi, con o senza il nostro consenso. Sapremo rinascere e danzare ai limiti della notte? "Knownothingism" ci indicherà la strada durante questa veglia.

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