Informazioni
Gruppo: Inside Project
Titolo: A History Of Violence
Anno: 2012
Provenienza: Francia
Etichetta: Ultimhate
Contatti: facebook.com/pages/Inside-project/50104653479
Autore: Mourning
Tracklist
1. A History Of Violence
2. Hools No Rules
3. White Trash Whore
4. Drop Dead
5. We All Die Alone
6. The Lovely Bones
7. Black Sunday Bitch
8. The Gravedigger
9. My Fists Hate Your Pride
10. Ruining Me
11. The Firmament
DURATA: 35:24
La Francia anno dopo anno si conferma fra le nazioni non solo più prolifiche ma produttrici di metal dalle qualità elevate, questo vale per molti dei settori della sua florida scena.
Gli Inside Project rientrano in quella categoria di band che il metallaro old school odia non poco, quel filone post-death/thrash a tinte "core" che fa storcere il naso, eppure questi cinque musicisti (Manu alla voce, Felix alla batteria, Aurelien al basso e cori e Leo e Antoine alle chitarre, han tirato fuori un disco, "A History Of Violence", che oltre a mettere in mostra il carattere violento esplicitato nel titolo offre una prestazione leggermente differente al cospetto delle solite serie di riff triti e ritriti supportati da "coretti" catchy e voci pulite degne di Justin Bieber.
I transalpini pestano, martellano e lo fanno con insistenza, "White Trash Whore" in più di una circostanza mi ha ricordato l'impeto degli Hatesphere del periodo Bredahl anche se il platter è imbastardito pesantemente dall'hardcore, molto più dei danesi.
Il sound è nero, greve, la voce urlata e stridente, la tracklist si presenta compatta, a dir la verità forse un po' troppo, la sensazione che l'esposizione dei brani mostri il fianco a causa di una certa omogeneità di soluzioni è percettibile ma quando hai a che fare con martellate come "Hools No Rules" e "Drop Dead, in quest'ultima partecipa Elie degli Hellbats alla voce, pensi più all'headbanging che a quanto suonerebbe bene se fosse più varia. Non so se ho reso l'idea però preferiscono l'integrità alla "commercialata" e quando meno si è propensi a fermare lo scapocciamento ecco che ti si para contro "We All Die Alone", dal titolo sarebbe tutto un programma, invece niente randellate ma una fase di transizione ambient seguita da "The Lovely Bones", un altro intermezzo stavolta ben più animato che prepara l'ingresso alle martellate di "Black Sunday Bitch" e alla scavatrice "The Gravedigger", pronta a innestare un po' di fango internamente alla miscela che in fin dei conti è viscosa e acida quanto basta.
La fiera del "pungiball" riprende con "My Fast Hate Your Pride", pezzo che vede la partecipazione del secondo guest, Arsene de L'Esprit Du Clan, la solfa è la solita: ritmiche incalzanti, tanta foga e voglia virtuale "di menare", l'adrenalina è una spinta non di poco conto per "A History Of Violence" ma quando il finale sembra puntare a un crescendo di collera, "Ruining Me" con il suo approccio gelido e industriale sgretola le atmosfere da strada per catapultarci in un'altra dimensione. "The Firmament", ultimo episodio a noi concesso, si rivela uno strumentale cupo, minaccioso e dalle sferzate di thrash old school pronunciate, attitudine che fino a quel momento sembrava rinchiusa in un cassetto, ricordate i Dark Angel più cervellotici e ossessivi di "Leave Scars"? Questo brano possiede quel tipo di spirito.
Più che difetti veri e propri, sono limiti valicabili quelli che per ora intrappolano gli Inside Project, l'omogeneità della proposta è stata già citata, mentre credo che le soluzione "alternative" e le scappatoie in territorio ambient e industrial più che utilizzate come passaggi a livello, preposti a una svolta atmosferica, potrebbero essere annesse al songwriting delle canzoni più "quadrate" per offrire una variante alla "bordata" in prima botta.
Amiate o meno il genere, vi consiglio di dare una possibilità ad "A History Of Violence", se è una bella sveglia che andate cercando, sono sicuro che riuscirà a non porgervi l'altra guancia, anzi state attenti a non prenderle, mica si sta parlando dei Bullet For My Valentine: quello è pop!